Violazione dell’obbligo di rinvio pregiudiziale e misure individuali alla luce della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo Georgiou c. Grecia
Violation de l’obligation de renvoi préjudiciel et mesures individuelles à la lumière du jugement de la Cour européenne du droits de l’homme Georgiou c. Grèce
Infringement of the obligation to make a reference of preliminary ruling and individual measures in the light of the judgement of the European Court of Human Rights in Georgiou v. Greece
Premessa
La Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU) è tornata di recente ad affrontare due tematiche di particolare interesse che intrecciano il diritto all’equo processo, garantito dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), ed il mancato rispetto delle garanzie processuali fondamentali previste nell’ordinamento dell’UE. Nella sentenza pronunciata il 14 marzo 2023 nella causa Georgiou c. Grecia (n. 57378/2018) la Corte EDU si è infatti nuovamente pronunciata sull’art. 6 CEDU in relazione alla violazione dell’obbligo di rinvio pregiudiziale, ex art. 267, par. 3, TFUE, da parte degli organi giurisdizionali di ultima istanza e sull’individuazione del possibile rimedio «individuale» ad una tale violazione.
Il caso in esame trae origine dalla vicenda che ha coinvolto Andreas Georgiou, presidente dell’Ente Statistico Ellenico (Elstat) tra il 2010 e il 2015.
A novembre 2010, Georgiou trasmetteva ad Eurostat dati rettificati relativi al disavanzo greco per l’anno 2009, senza averli previamente comunicati al consiglio di amministrazione dell’Elstat o acquisito il consenso di quest’ultimo. Georgiou sosteneva che tale iniziativa era conforme al principio di indipendenza professionale sancito dal Codice delle Statistiche Europee (CSE), adottato dal Comitato del sistema statistico europeo, e, in particolare, al principio 1.4 secondo cui i responsabili degli istituti nazionali di statistica e di Eurostat sono i «soli responsabili» delle decisioni inerenti, tra l’altro, la diffusione delle statistiche.
Veniva nondimeno avviato un procedimento penale nei suoi confronti. Dopo essere stato assolto in primo grado, Georgiou veniva condannato a due anni di reclusione, con sospensione della pena, dalla Corte di Appello di Atene per il reato di violazione dei doveri d’ufficio. Georgiou adiva quindi la Corte di Cassazione. Il ricorrente sosteneva tra l’altro che, qualora vi fossero stati dubbi sull’interpretazione corretta da dare al principio 1.4 del CSE, sarebbe stato necessario rivolgersi in via pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’UE (CGUE). Qualora la Corte di Cassazione non avesse proceduto in tal senso, secondo il ricorrente, ciò avrebbe comportato una violazione del diritto ad un equo processo di cui all’art. 6 CEDU. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso. Nelle motivazioni della sentenza resa dal giudice di ultima istanza non vi è alcun riferimento alla richiesta di rinvio pregiudiziale proposta dal ricorrente, né tantomeno alle ragioni del suo rigetto.
A fronte di tale pronuncia, Georgiou ha quindi presentato un ricorso alla Corte EDU, facendo valere una violazione del proprio diritto ad un equo processo in ragione dell’immotivato rigetto della richiesta di rinvio pregiudiziale.
La violazione dell’art. 6 CEDU
Anzitutto, la sentenza della Corte EDU Georgiou conferma l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato in tema di violazione dell’obbligo di rinvio pregiudiziale che incombe ai giudici di ultima istanza ai sensi dell’art. 267, par. 3, TFUE.
Ai fini di accertare la violazione dell’art. 6 CEDU denunciata dal ricorrente, la sentenza fa infatti leva sui suoi precedenti in materia (i.a. Dhahbi c. Italia, n. 17120/09, 8 aprile 2014, Baydar c. Olanda, n. 55385/14, 24 aprile 2018 e Bio Farmland Betriebs S.R.L. c. Romania, n. 43639/17, 13 luglio 2021). La Corte EDU richiama, in particolare, i principi sanciti nella sentenza Vergauwen e Altri c. Belgio (n. 4832/04, 10 aprile 2012) secondo cui l’art. 6 CEDU impone ai giudici nazionali l’obbligo di motivare, alla luce del diritto applicabile, le decisioni di non aderire a richieste formulate dalle parti di rinviare questioni pregiudiziali alla CGUE. Il giudice di ultima istanza deve, in particolare, fornire una adeguata motivazione di tali decisioni, alla luce delle possibili deroghe all’obbligo di rinvio sancito dall’art. 267, par. 3, TFUE. Ancorché non sia indicato espressamente nella sentenza, la Corte EDU si riferisce alle tre eccezioni delineate nella c.d. giurisprudenza Cilfit della CGUE. Invero, come nota la sentenza, il giudice di ultima istanza può non rivolgersi alla CGUE solo qualora la questione sollevata non sia rilevante, ovvero la disposizione del diritto dell’UE invocata è già stata oggetto d’interpretazione da parte della CGUE o, ancora, in caso di acte clair (i.e. quando la corretta interpretazione del diritto dell’UE si impone con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi).
Nellasentenzavienealtresìevidenziatocheloscrutininoeffettuatodalla Corte EDU sul rispetto dell’obbligo di motivazione èrigoroso, ma non si può estendere all’esame di eventuali errori che il giudice nazionale possa avere commesso nell’interpretazione o nell’applicazione delle conferenti disposizioni.
Nella sentenza Georgiou la Corte EDU ha, quindi, accertato che la Cassazione è incorsa in una violazione del diritto all’equo processo sancito dall’art. 6 CEDU, in ragione dell’assenza di qualsivoglia motivazione con riguardo al rifiuto di rinviare alla CGUE la questione interpretativa proposta da Georgiou. È interessante notare che tale circostanza ha altresì condotto la Corte EDU a rigettare le obiezioni formulate dal Governo greco, secondo cui non vi sarebbe stata alcuna violazione dell’art. 6 CEDU atteso che era chiaro che la richiesta del ricorrente era condizionata alla esistenza di un dubbio sulla interpretazione del principio 1.4: dubbio che la Cassazione non avrebbe affatto nutrito.
Il possibile rimedio alla violazione dell’art. 6 CEDU
Accertata la violazione, la Corte EDU si sofferma quindi sull’individuazione del suo possibile rimedio. Va sottolineato che, come risulta anche dalla sentenza, il ricorrente non aveva richiesto il riconoscimento di un’ «equa soddisfazione» per i danni pecuniari o morali subiti ai sensi dell’art. 41 CEDU, ma unicamente la riapertura del giudizio nazionale.
Sul punto, la Corte EDU richiama la propria giurisprudenza sull’art. 46 CEDU da cui discende che le sentenze che accertano una violazione della CEDU sono vincolanti. Gli Stati contraenti sono pertanto tenuti a porre fine a tale violazione, pur essendo, in linea di principio, liberi di scegliere le misure, individuali o generali, di esecuzione alla sentenza. Lo Stato contraente è soggetto ad un obbligo di risultato su cui vigila il Comitato dei Ministri, essendo tenuto ad adottare misure di esecuzione coerenti con il diritto nazionale, che consentano di rispristinare, per quanto possibile, lo status quo ante (c.d. obbligo di restitutio in integrum).
Secondo la Corte EDU, nel caso di specie il ripristino della «situazione più vicina possibile a quella che sarebbe esistita se la violazione in questione non si fosse verificata» avrebbe potuto essere assicurato mediante l’adozione di misure volte a garantire, se richiesta, la riapertura del procedimento nazionale, così da consentire l’esame da parte della Corte di Cassazione della domanda di rinvio pregiudiziale formulata dal ricorrente.
Appare opportuno sottolineare che l’indicazione della misura individuale ritenuta idonea dalla Corte EDU a far venir meno la violazione dell’art. 6 CEDU – i.e. la riapertura del procedimento – non è unicamente riportata nella motivazione della sentenza – come in genere avviene – ma è altresì espressamente contenuta nel suo dispositivo.
Conclusioni
La sentenza Georgiou presenta diversi profili di interesse legati non solo al rapporto tra ordinamento UE e CEDU e al dialogo ormai costante tra CGUE e Corte EDU, ma soprattutto alle implicazioni processuali in caso di violazione dell’obbligo di rinvio pregiudiziale.
Sotto il primo profilo, la sentenza consolida l’orientamento della Corte EDU affermando, ancora una volta, in termini chiari il dovere delle corti nazionali avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno di motivare adeguatamente il rigetto di una domanda formulata da una parte in causa di sottoporre alla CGUE una questione pregiudiziale.
Sempre in relazione a questo aspetto si registra altresì un chiaro, ancorché implicito, percorso di reciproco allineamento delle statuizioni delle due Corti. Da un lato, la Corte EDU si rifà – senza richiamarla espressamente – alla giurisprudenza Cilfit della CGUE al fine di delineare l’esatta portata dell’obbligo di motivazione ai sensi dell’art. 6 CEDU. Dall’altro, la CGUE condivide gli insegnamenti della Corte EDU, interpretando l’art. 47 CdfUE in linea con l’art. 6 CEDU e affermando parimenti che il giudice di ultima istanza, per «essere esonerato dall’obbligo di effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte», deve far emergere dalla «motivazione della sua decisione […] o che la questione di diritto dell’Unione sollevata non è rilevante ai fini della soluzione della controversia, o che l’interpretazione della disposizione considerata del diritto dell’Unione è fondata sulla giurisprudenza della Corte, o, in mancanza di tale giurisprudenza, che l’interpretazione del diritto dell’Unione si è imposta al giudice nazionale di ultima istanza con un’evidenza tale da non lasciar adito a ragionevoli dubbi» (v. Consorzio Italian Management, punto 51).
Sotto il secondo profilo, la sentenza Georgiou riconosce che la violazione dell’art. 6 CEDU può essere neutralizzata vuoi con il risarcimento in forma pecuniaria a titolo di equa soddisfazione, vuoi con l’adozione da parte dello Stato di misure idonee ad assicurare il reintegro della parte lesa nello stato esistente prima del verificarsi della violazione. La sentenza conferma altresì che il risarcimento è comunque una opzione subordinata alla restitutio in integrum, come del resto prevede l’art. 41 CEDU (secondo cui la Corte EDU «accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa» nel caso in cui «il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione»).
Sul piano processuale, occorre nondimeno che il diritto nazionale applicabile effettivamente consenta alla parte lesa di richiedere la riapertura del procedimento già concluso con sentenza passata in giudicato, a seguito della pronuncia della Corte EDU.
Invero, seppur possa indicare nelle sentenze le misure che ritiene adeguate, la Corte EDU non può imporre agli Stati l’introduzione di appositi rimedi nei loro ordinamenti. Spetta infatti agli Stati contraenti decidere il modo migliore con cui attuare le sentenze della Corte EDU «senza turbare ingiustamente i principi della res judicata o della certezza del diritto» (Bochan c. Ucraina, n. 22251/08, 5 Febbraio 2015). L’opinione concurring resa dal giudice Serghides nel caso Georgiou mette in luce le implicazioni che una tale imposizione potrebbe avere nei rapporti, da un lato, tra il sistema CEDU e le prerogative di esecuzione degli Stati contraenti (che, come detto, restano liberi di scegliere, in base al diritto interno, le misure più opportune) e, dall’altro, tra la Corte EDU e il Comitato dei Ministri (cui spettano appunto le prerogative di controllo sull’esecuzione delle sentenze da parte degli Stati).
Senza entrare nei profili di complessità istituzionale che questa delicata questione pone, si rileva che l’ordinamento processuale italiano già prevede la possibilità di riaprire procedimenti a seguito di una violazione accertata della CEDU. Si è infatti proceduto, in via giurisprudenziale, all’estensione della possibilità di ricorrere ad alcuni rimedi straordinari esistenti anche in caso di violazione della CEDU accertata dalla Corte EDU, tra cui la revisione delle sentenze di condanna penale passate in giudicato ex art. 630 c.p.p. (Corte cost., 4 aprile 2011, n. 113). Più di recente, anche a seguito delle sollecitazioni ricevute dalla Corte EDU (Beg S.p.A. c. Italia, n. 5312/11, 20/08/2021), la c.d. riforma Cartabia ha introdotto nel codice di procedure civile il nuovo art. 391-quater che consente di presentare un ricorso in revocazione «per contrarietà alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo», ma solo in ipotesi estremamente circoscritte (i.e. ove ricorra una accertata violazione di un «diritto di stato della persona» – e cioè, salvo ulteriori interventi ampliativi in via giurisprudenziale, di un diritto non patrimoniale – che non risulti adeguatamente compensata dall’equa soddisfazione).
L’ordinamento processuale italiano non detta rimedi equivalenti che possano essere proposti al fine di correggere eventuali violazioni del diritto UE in cui siano incorsi giuridici di ultima istanza, anche a seguito di un omesso rinvio alla CGUE o di erronea applicazione di una sentenza già emessa da quest’ultima, ormai coperti da una pronuncia che ha acquisito autorità di res judicata. Sul punto, ci si limita a ricordare che anche la stessa CGUE ha ritenuto che il diritto dell’UE – segnatamente, il principio di leale collaborazione, l’art. 19 TUE, l’art. 47 CdfUE e i principi di equivalenza e di effettività – non osti a disposizioni di diritto processuale italiano che non consentono ai singoli di introdurre un’azione di revocazione, ex art. 395 e 396 c.p.c., o un ricorso per cassazione per motivi di giurisdizione, ex art. 111, 8° c., Cost., al fini di contestare la non conformità al diritto dell’UE di una sentenza di un giudice di ultimo grado evitandone così il consolidamento (v. Randstad Italia e Hoffman-La Roche).
Letta in questo contesto, la sentenza Georgiou può offrire, in definitiva, ai justiciables un possibile spunto interpretativo nella definizione di un ulteriore strumento di tutela processuale dei diritti loro conferiti dall’ordinamento dell’UE, nella misura in cui conferma che la riapertura del procedimento può costituire una misura idonea a porre rimedio alla violazione dell’obbligo di rinvio pregiudiziale da parte dei giudici di ultima istanza. Tale strumento processuale si affianca al ricorso di risarcimento del danno che può essere introdotto al fine di far valere la responsabilità di tale Stato membro in relazioni a violazioni del diritto dell’UE causate da una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado.
Resta nondimeno da chiedersi se davvero entrambi tali rimedi consentano una tutela giurisdizionale effettiva, ai sensi degli artt. 6 CEDU e 47 CdfEU. Sia consentito dubitarne. Da un lato, la riapertura del procedimento comporta tempi significativamente lungi per la parte lesa, potendo essere infatti richiesta soltanto dopo la pronuncia della Corte EDU (che a sua volta richiede il previo esaurimento dei mezzi di ricorso nazionali). Dall’altro, e come nota anche una recente ordinanza del Consiglio di Stato, l’azione di risarcimento, oltre a essere, come la riapertura del procedimento, un rimedio solo successivo e comunque subordinato all’accertamento di determinate condizioni, non ha l’effetto di corregge la violazione del diritto UE ormai consolidata (Cons. St., ordinanza di rimessione all’Adunanza Plenaria, n. 8436/2022).