Il livello di sindacato delle Corti europee

Corte giust., sentenza 4 maggio 2023, causa C-389/21 P, BEI c. Crédit lyonnais

Le niveau du contrôle des juridictions européennes

The Scope of Review of the European Courts

Premessa

Al fine di approfondire il controverso tema inerente il livello di sindacato degli organi giurisdizionali dell’Unione nel valutare la legittimità degli atti amministrativi adottati dalle altre istituzioni, si segnalano le conclusioni presentate dall’Avvocato generale Emiliou («AG») e la sentenza della Corte nella causa C-389/21 P, BEI c. Crédit lyonnais.  La causa riguardava l’applicazione delle norme UE in materia prudenziale, derivanti dal c.d. trattato Basilea III che disciplina il mondo delle banche, il cui fine principale è quello di rendere il sistema bancario più solido e capace di reagire ad eventuali shock finanziari. Tra le misure adottate è previsto il vincolo del leverage ratio o vincolo alla leva finanziaria, ossia un limite al rapporto tra il capitale della banca e il volume delle attività.

In una sentenza del 14 aprile 2021, il Tribunale aveva accolto il ricorso di annullamento introdotto dalla banca Crédit Lyonnais contro la decisione della BCE che rifiutava a tale banca la concessione in deroga alla leverage ratio richiesta dalle norme prima citate. La BCE ha impugnato tale sentenza innanzi la Corte di Giustizia, lamentando inter alia un eccesso di sindacato giurisdizionale del giudice di prime cure, sollevando quindi un argomento definito dall’AG di natura sistemica e costituzionale: il livello di sindacato degli organi giurisdizionali dell’Unione nel valutare la legittimità delle decisioni amministrative adottate dalle altre istituzioni, in presenza di un potere discrezionale di queste ultime.

Tale tema, definito per i non deboli di cuore, è oggetto di notevoli controversie tra gli operatori giuridici e negli ambienti accademici, motivo per cui nelle conclusioni presentate, l’AG ha svolto una ricostruzione sistematica della materia.

Il quadro normativo

Rileva l’AG che ai sensi dell’art. 13, par. 2, TUE ciascuna istituzione dell’Unione «agisce nei limiti delle attribuzioni che le sono conferiti dai trattati, secondo le procedure, condizioni e finalità da essi previste» secondo un principio di equilibrio istituzionale. Ciò detto, egli volge la sua attenzione all’art. 263 TFUE, che precisa la portata del sindacato giurisdizionale che la Corte deve esercitare in caso di contestazione della legittimità di un atto UE senza tuttavia precisare il livello di intensità che tale sindacato debba avere.

A suo parere, si deve quindi ritenere che il sindacato giurisdizionale sia massimo (o pieno) in riferimento all’accertamento di fatti semplici o primari, mentre tale sindacato si marginalizza nel caso in cui le istituzioni UE abbiano un potere discrezionale nella applicazione delle disposizioni.

L’analisi dell’AG prosegue individuando due categorie di potere discrezionale: la prima riferita alla opportunità o meno di agire e/o al modo di agire (c.d. discrezionalità politica) e la seconda riferita invece alla valutazione di situazioni complesse (c.d. discrezionalità tecnica).

Tale distinzione viene fatta risalire ai primissimi anni di attività della Corte ed ai principi sanciti nella sentenza Meroni che ha effettivamente distinti le due categorie.

L’attenta analisi prosegue nella individuazione dei due principali approcci giurisprudenziali elaborati dalla Corte sul punto.

Il primo riconosce la marginalità del sindacato giurisdizionale nel caso di riconoscimento di un ampio potere discrezionale in capo all’istituzione in materia di «policy»: in tal caso solo la manifesta inidoneità del provvedimento potrebbe dare luogo al detto sindacato.

Dall’altro lato, nel caso di valutazioni tecniche complesse compiute delle istituzioni nell’esercizio delle loro funzioni, il sindacato si limita alla verifica dell’osservanza delle regole procedurali e di motivazione nonché alla assenza di errori materiali o manifesti, senza però che sia previsto il riesame ex novo di tutti gli elementi posti alla base del provvedimento.

Proprio sull’errore manifesto si sofferma l’AG, sostenendo che per stabilire un errore di valutazione manifesto non è sufficiente il mero disaccordo dell’organo giudicante sulla opportunità della scelta fatta dalla istituzione UE, ma sia necessaria la totale ingiustificabilità delle valutazioni compiute dalla stessa sulla scorta dei fatti e degli elementi di prova posti a fondamento delle medesime decisioni. Non si tratta quindi di opinioni divergenti, ma – si potrebbe dire – della totale assenza di correlazione tra presupposti e decisione.

Conclude l’avvocato Emiliou che stabilire quindi gli esatti confini del potere discrezionale e di conseguenza del sindacato giurisdizionale, sia un compito a volte particolarmente difficile e varia da caso a caso, indicandoci però le più importanti variabili da tenere in considerazione.

La prima variabile è inerente il margine di manovra riconosciuto alle istituzioni quando agiscono in veste legislativa (più ampia) rispetto a quando agiscono nel contesto amministrativo (più ristretto).

La seconda variabile è la natura politica dell’atto impugnato, che garantisce all’istituzione un ampio margine di manovra insindacabile a differenza del caso in cui si tratti di discrezionalità tecnica in cui tale campo di manovra è assai più limitato.

La terza variabile ci dice che il margine di discrezionalità concesso dipende dalla formulazione e dall’obiettivo delle disposizioni pertinenti.

La quarta variabile da esaminare porta a considerare la natura del diritto invocato dal ricorrente ed il livello di interferenza lamentato con lo stesso.

Nella analisi dell’annosa questione, l’AG conclude affermando che non esista un’unica e specifica intensità di giudicato giurisdizionale valida in tutte le occasioni in cui le istituzioni dell’Unione godano di un certo grado di discrezionalità: il controllo «marginale» cui i giudici hanno più volte fatto riferimento può essere più o meno marginale, rimanendo in capo agli stessi, alla luce delle considerazioni svolte, la decisione sulla intensità del controllo da applicare nell’esame dell’uso discrezionale del potere di una istituzione.

Proprio alla luce di tali conclusioni, l’AG ritiene che il Tribunale, nella impugnata sentenza, sia andato oltre il mero controllo di legittimità della decisione: effettuando un esame autonomo della questione, ha oltrepassato il limite su indicato, sostituendo la propria valutazione a quella dell’ente e pertanto che la sentenza debba essere annullata. Successivamente, ritenendo che fosse possibile statuire definitivamente sulla controversia, conclude proponendo alla Corte il rigetto del ricorso presentato.

La sentenza della Corte, emessa da una sezione a cinque giudici che comprendeva fra gli altri il Presidente ed il vice Presidente della Corte, sembra in linea con le conclusioni sopra esaminate, in quanto anche la Corte arriva alla conclusione che il Tribunale non si sia limitato ad effettuare un controllo dell’errore manifesto di valutazione, ma abbia sostituito la propria valutazione a quella della BCE, in un caso in cui tale istituzione godeva di un ampio margine di discrezionalità.

La sentenza è tuttavia piuttosto breve ed in particolare solo pochi passaggi sono dedicati alla spiegazione dell’errore di diritto in cui è incorso il Tribunale.

Vista la natura sistemica e costituzionale del delicato argomento trattato, ci si sarebbe forse potuti attendere una più profonda disamina delle questioni sollevate in sede di impugnazione dalla BCE.

Con ciò, la Corte ha forse perso l’occasione per svolgere una attenta disamina della questione sollevata inerenti i limiti del controllo giurisdizionale, anche alla luce dell’esame dettagliato delle conclusioni qui sinteticamente analizzate.