Brevi note sull’intervento del terzo nel procedimento nazionale sospeso a seguito del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia
Ordinanza del 22 dicembre 2022, non pubblicata, del Tribunale di Milano
Note brève sur l’intervention du tiers dans le procès national suspendu à la suite du renvoi préjudiciel devant la Cour de justice
A Brief Commentary on Third Party Intervention in the National Proceedings Suspended following the Preliminary Reference to the Court of Justice
Con ordinanza resa in data 22 dicembre 2022, non pubblicata, la Sezione specializzata in materia di impresa “B” del Tribunale di Milano ha permesso a un terzo interveniente nel procedimento dinanzi ad essa pendente di partecipare al procedimento pregiudiziale dinanzi alla Corte di giustizia, sebbene il suo intervento nel giudizio a quo fosse stato spiegato durante la fase di sospensione del processo, conseguita al rinvio.
La decisione del Tribunale di Milano non sembra priva di rilievo in quanto è proprio dopo la sospensione, e più in particolare dopo la pubblicazione dei quesiti pregiudiziali nella GUUE, che il rinvio pregiudiziale diviene noto al pubblico ed è soprattutto da quel momento che può sorgere l’interesse di terzi a rappresentare la propria posizione al Giudice del Kirchberg. Tuttavia, nei procedimenti dinanzi al giudice civile è stata sempre esclusa (contrariamente a quanto accade di fronte al giudice amministrativo) la possibilità di presentare un intervento nelle more della sospensione, impedendo così ai soggetti che non erano già parti del processo al momento della proposizione dei quesiti pregiudiziali di partecipare al giudizio incidentale a Lussemburgo.
Senza entrare in considerazioni sull’istituto della partecipazione del terzo al procedimento pregiudiziale (per le quali si rinvia, da ultimo, ai contributi di M. Condinanzi e I. Anrò), in questa sede si analizzerà la possibilità di divenire parte di tale procedimento successivamente alla proposizione dei quesiti.
Si ricorda, brevemente, che nel procedimento di cui all’art. 267 TFUE possono presentare osservazioni scritte alla Corte, ai sensi dell’art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione (“St.”), solo «le parti in causa, gli Stati membri, la Commissione, nonché l’istituzione, l’organo o l’organismo dell’Unione che ha adottato l’atto di cui si contesta la validità o l’interpretazione». Le «parti nel procedimento principale», ai sensi dell’art. 97, par. 1, del Regolamento di procedura della Corte di giustizia (“RP CG”), sono determinate dal giudice del rinvio, sulla base delle disposizioni del diritto nazionale. Ciò assume particolare rilievo con riferimento alla qualificazione di coloro che intervengono nel procedimento davanti al giudice a quo dopo che quest’ultimo abbia investito la Corte della questione pregiudiziale.
La posizione di tali soggetti, che si “aggiungono” al procedimento pregiudiziale quando lo stesso sia già stato avviato e, quindi, in pendenza della sospensione di quello principale, è prevista e disciplinata a livello “comunitario”: ai sensi dell’art. 97, par. 2, RP CG «quando il giudice del rinvio comunica alla Corte l’intervento di una parte nuova [enfasi aggiunta] nel procedimento principale, e la causa è già pendente dinanzi alla Corte, la nuova parte accetta di assumere la causa nello stato in cui essa si trova all’atto di tale informazione».
Tuttavia, stante il rinvio dell’art. 97, par. 1, RP CG alle norme nazionali, è solo sulla base di queste ultime che dev’essere valutata la possibilità di estendere la partecipazione al procedimento pregiudiziale, essendo questa condizionata dall’ammissibilità dell’intervento nel procedimento a quo sospeso (si veda sul punto M. Condinanzi, Commento all’art. 97 Regolamento di procedura della Corte di giustizia, in C. Amalfitano, M. Condinanzi, P. Iannuccelli (a cura di), Le regole del processo dinanzi al giudice dell’Unione europea. Commento articolo per articolo, Napoli, 2017, p. 614 ss.; per una ricognizione sull’intervento del terzo in ordinamenti nazionali diversi da quello italiano, si veda J. Krommendijk).
Nell’ordinamento italiano, la possibilità di intervenire in giudizio dopo il rinvio pregiudiziale alla Corte differisce a seconda che ci si trovi dinanzi al giudice civile o a quello amministrativo e, talvolta – anche all’interno della medesima giurisdizione – a seconda dell’orientamento giurisprudenziale seguito.
Per quanto riguarda il processo amministrativo, il Consiglio di Stato ammette l’intervento di terzi anche nella fase di quiescenza del processo a seguito di rinvio pregiudiziale. In particolare, rilevando come l’ordinamento consenta l’assunzione di provvedimenti urgenti anche nello stato di sospensione del giudizio principale (nelle more della sospensione sono, ad esempio, ritenuti possibili il rilascio della procura a un nuovo difensore e l’espletamento della prova testimoniale), il giudice amministrativo ritiene che il diritto di difesa del terzo interessato, venuto a conoscenza del contenzioso dopo l’ordinanza di rimessione, non possa essere pregiudicato.
Così, data l’impellenza della statuizione rispetto alla quale occorre provvedere, il giudice amministrativo si pronuncia sull’ammissibilità dell’intervento in udienza camerale, fissata ai sensi dell’art. 87 c.p.a., non decidendo in senso definitivo l’ammissibilità dell’intervento, ma compiendo una valutazione interinale funzionale alla risoluzione di una questione processuale urgente (si veda l’ordinanza del TAR Piemonte, Sez. I, 24 gennaio 2019, n. 77, che ha ammesso l’intervento in giudizio delle associazioni di categoria nel processo dinanzi alla Corte di giustizia per la tutela di interessi comuni alla categoria, espressamente indicati nei loro statuti, nonostante la intervenuta sospensione del processo; si veda altresì la sentenza non definitiva del TAR Bologna del 29 giugno 2020, n. 434, con la quale si è ammesso l’intervento successivo al rinvio pregiudiziale, sul rilievo che «a prescindere dalle qualificazioni del diritto processuale interno in tema di intervento adesivo di tipo autonomo o dipendente, [l’art. 28, comma 2, c.p.a.] deve comunque essere interpretato nel senso di garantire agli odierni intervenienti la partecipazione al giudizio pregiudiziale, al fine di non vanificare l’effetto utile delle predette norme comunitarie»; per un’analisi più approfondita, si rinvia a G. F. Licata).
Nel processo civile, la Corte di cassazione adotta un orientamento differente, escludendo generalmente la possibilità di intervenire nel processo sospeso (si veda A. Briguglio, Pregiudiziale comunitaria e processo civile, Padova, 1996, p. 327 ss.).
Si applica, infatti, il regime della sospensione processuale di cui agli artt. 297 e 298 c.p.c., non derogato dalla l. n. 204/1959: durante la sospensione non possono essere compiuti atti del procedimento, né quelli di natura decisoria, né quelli di carattere “interlocutorio” rispetto alla dinamica processuale (si vedano le sentenze della Cass. civ., sez. II, 12 ottobre 2000, n. 13595 e 2 marzo 2004, n. 4427; per un approfondimento, si rinvia a R. Mastroianni, Rinvio pregiudiziale e sospensione del processo civile: la cassazione è «più realista del re»?, in DUE, 2000, p. 91 ss.).
Non sono ammessi neppure gli atti di impulso processuale, in quanto, ai sensi del secondo comma dell’art. 298 c.p.c., la sospensione interrompe (tutti) i termini, i quali (ri)cominciano a decorrere dopo che la causa di sospensione è cessata.
A tale interpretazione rigida dell’art. 298 c.p.c. della Cassazione si è contrapposta l’ordinanza del 22 dicembre 2022 del Tribunale di Milano. Quest’ultimo, in particolare, ha qualificato un terzo come parte (interveniente) in virtù del suo intervento spiegato in un procedimento già sospeso a seguito del rinvio. Così, in quanto “part(e) in causa” ai sensi dell’art. 23 St. l’interveniente ha potuto partecipare alla fase pregiudiziale.
Nel caso di specie, il procedimento è stato sospeso a seguito dell’ordinanza del 16 settembre 2022, con la quale il Tribunale ha proposto alla Corte di giustizia tre questioni pregiudiziali interpretative concernenti alcune norme della direttiva 2010/75/UE relativa alle emissioni industriali.
Il giudizio principale, ad oggi pendente, verte sull’azione collettiva promossa ai sensi dell’art. 840 bis c.p.c. da alcuni abitanti di Taranto contro Acciaierie d’Italia S.p.A. (“ex Ilva”). Gli attori agiscono per la protezione, in via di inibitoria dell’attività produttiva svolta nel noto stabilimento siderurgico, di asseriti diritti individuali omogenei dei residenti di Taranto e dei comuni limitrofi, pregiudicati, in tesi, dall’attività produttiva dello stabilimento.
Ebbene, durante la sospensione del procedimento, due soggetti terzi – la Regione Puglia e il Gruppo d’Intervento Giuridico ODV – hanno proposto istanza di intervento adesivo al Tribunale di Milano, al fine di acquisire la qualità di parte nel processo (principale), così da poter partecipare (anche) alla causa pregiudiziale pendente dinanzi alla Corte di giustizia.
In particolare, in data 12 dicembre 2022, in fase di quiescenza del giudizio a quo (quasi tre mesi dopo la sua sospensione), la Regione Puglia è intervenuta ad adiuvandum rispetto alle ragioni dei ricorrenti e ha chiesto al Tribunale di darne notizia alla Cancelleria della Corte di giustizia, in modo da poter intervenire tempestivamente nel procedimento incidentale.
Il Tribunale di Milano ha ritenuto che «l’istanza di intervento, di natura meramente formale, [potesse essere] accolta in attuazione del principio di collaborazione tra il giudice del rinvio e la Corte di giustizia, in forza del quale il primo deve informare la seconda dei fatti processuali rilevanti occorsi medio tempore nel procedimento a quo». Pertanto, il 15 dicembre 2022 ha trasmesso, ai sensi dell’art. 97, par. 2, RP CG, l’istanza di intervento alla Corte. Quest’ultima, non potendo autonomamente qualificare tale soggetto, con nota del 19 dicembre 2022, ha chiesto al giudice del rinvio di precisare se la Regione Puglia fosse una parte del procedimento principale. Solo in quel caso, infatti, sarebbe stata legittimata a presentare le proprie osservazioni.
In risposta, con l’ordinanza del 22 dicembre 2022, il Tribunale ha qualificato la Regione, seppure intervenuta in fase di quiescenza del giudizio, come parte del giudizio principale. Conseguentemente, il 31 gennaio 2023, la Regione ha depositato le proprie osservazioni presso la Cancelleria della Corte (sul ruolo delle regioni di fronte alla Corte di giustizia, si vedano I. Anrò e C. Pesce). Le osservazioni supportavano la posizione dei ricorrenti nel giudizio principale – che a loro volta denunciavano l’incompatibilità delle disposizioni italiane in materia di valutazioni e autorizzazioni sanitarie e ambientali con il diritto UE. Tali ragioni risultavano nettamente diverse rispetto a quelle sostenute nella medesima causa dallo Stato italiano, il quale propendeva, invece, per la conformità del diritto nazionale con la direttiva 2010/75/UE. Lo Stato italiano, convenuto in giudizio in persona della Presidenza del Consiglio dei Ministri, si trova così di fronte alla Corte di giustizia chiamato a difendere tesi e ad esporre argomenti affini a quelli che lo stesso Governo sta rappresentando alla Commissione nel contesto della procedura di infrazione ancora pendente.
Senza entrare qui nel merito delle discordanti posizioni della Regione e dello Stato avanti al giudice nazionale (e quindi avanti alla Corte), il punto saliente dell’ordinanza risiede nell’individuazione del modo e del momento in cui un soggetto terzo può assumere la qualità di parte processuale, status rilevante – come detto – ai sensi dell’art. 23 St.
Il Tribunale di Milano, al riguardo, muove dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, secondo la quale, «in caso di intervento adesivo, l’interventore diventa parte del giudizio» (si vedano, ad esempio, le sentenze della Cass. civ., sez. un., n. 27846 del 2019 e Cass. civ., sez. III, n. 4213 del 2007). In applicazione di tale orientamento, il Tribunale di Milano ha ritenuto che la qualità di parte, necessaria per partecipare al giudizio ex art. 267 TFUE, fosse stata acquisita con il deposito dell’istanza di intervento.
Ne è seguito che, da quel momento, la Regione Puglia è stata considerata “parte” interveniente e, quindi, legittimata a presentare le proprie osservazioni dinanzi alla Corte di giustizia.
Ciò, tuttavia, secondo il Tribunale, non equivale a ritenere l’intervento della Regione ammissibile nel giudizio principale: si precisa, infatti, che la decisione sulla qualità di parte «non può essere in alcun modo ritenuta integrare una decisione del Tribunale in ordine all’ammissibilità dell’intervento della Regione Puglia, considerando che il procedimento è sospeso e non è pertanto consentito suscitare, in proposito, alcuna forma di contraddittorio con le altre parti processuali».
Ad ogni modo, nonostante non sia possibile valutarne l’ammissibilità, l’intervento può comunque essere presentato nelle more della sospensione. Invero, l’ordinamento giuridico consente l’intervento (litisconsortile) durante lo stato di sospensione (e di interruzione) del giudizio. È citata, sul punto, la sentenza Cass. civ., sez. II, n. 765 del 1976: «il terzo […] ben può intervenire […] nel processo sospeso o interrotto per morte dell’attore, a ciò non ostando l’art. 304 cod. proc. civ. – che stabilisce non potersi compiere durante l’interruzione atti del procedimento –, poiché l’atto di intervento non appartiene al procedimento interrotto, ma ad altro che vi si inserisce con diversa finalità. Il terzo interventore, poi, avendo acquistata la qualità di parte, ben può riassumere il processo interrotto».
La fattispecie, per il Tribunale di Milano, è assimilabile all’intervento adesivo finalizzato alla presentazione delle osservazioni alla Corte di giustizia, laddove l’atto di intervento appartiene al giudizio “comunitario”, inserito nel procedimento sospeso. Quest’ultimo, invece, rimane oggettivamente invariato: la Regione Puglia, domandando l’integrale accoglimento del ricorso introduttivo del procedimento, non ha sottoposto alcun nuovo elemento alla valutazione del giudice e, pertanto, non ha modificato né snaturato il perimetro della controversia.
L’impostazione così strutturata sembra postulare uno scollamento tra il momento dell’acquisizione della qualità di parte (ai fini della partecipazione alla fase pregiudiziale) e quello della decisione del giudice nazionale sull’ammissibilità dell’intervento. Mentre il primo coincide con la presentazione dell’istanza, il secondo potrà avvenire soltanto in sede di riassunzione, allorché sarà suscitabile il contraddittorio tra le parti. La conseguenza è che, in quest’ottica, gli interessati (anche solo) al giudizio pregiudiziale possono ambire a divenire parte del giudizio incidentale anche dopo la rimessione dei quesiti, presentando istanza d’intervento. Se, poi, in sede di riassunzione del giudizio nazionale, l’intervento non sarà ritenuto ammissibile, le considerazioni in esso spiegate non formeranno oggetto della decisione del giudice.
In linea di principio potrebbe apparire singolare consentire ad un soggetto di partecipare al procedimento pregiudiziale davanti alla Corte di giustizia senza avere stabilito, di fatto, se il suo intervento dinanzi al giudice nazionale sia ammissibile o meno. Va, tuttavia, considerato che il Tribunale di Milano ha svolto una valutazione prima facie sull’ammissibilità degli interventi, spiegati da due soggetti portatori di interessi collettivi sicuramente implicati nel caso di specie, quali la Regione e un’associazione di protezione ambientale riconosciuta. Il loro interesse intrinseco all’oggetto della causa (sia principale sia incidentale) – e il loro interesse a prendere parte al processo nelle aule del Kirchberg derivante dagli effetti che la pronuncia resa in tale sede avrà sui loro diritti – sembra fondare l’ammissibilità degli interventi. Non è, infatti, priva di rilievo la considerazione nel merito del giudice milanese sull’opportunità che, su tematiche di rilevanza assoluta per i residenti di un intero comune, possano pronunciarsi anche tali soggetti istituzionali.
Questa apertura all’intervento nel procedimento principale, finalizzato alla partecipazione a quello incidentale, appare a prima vista in contrasto con la risalente giurisprudenza della Corte di giustizia, secondo la quale «non può riconoscersi la qualità di “parte nel procedimento principale” ai sensi dell’art. 96, par. 1, RP CG, letto in combinato disposto con l’art. 23 St., ad una persona, e quest’ultima non può essere ammessa ad un procedimento dinanzi alla Corte ai sensi dell’art. 267 TFUE, qualora questa persona introduca dinanzi a un giudice nazionale la sua domanda di intervento non per assumere un ruolo attivo nella prosecuzione dell’azione dinanzi al giudice nazionale, ma al solo fine di partecipare al procedimento dinanzi alla Corte» (ordinanza del 16 dicembre 2009, cause riunite C‑403/08 e C‑429/08, Football Association Premier League e a., spec. punto 9).
Tuttavia, nel caso che qui interessa, nessun elemento sembra indicare che la Regione e il Gruppo di Intervento Giuridico non intendessero assumere un ruolo attivo nel procedimento dinanzi al giudice del rinvio e volessero manifestarsi esclusivamente nel contesto del procedimento dinanzi alla Corte (in questi termini, sentenza resa nella causa C-64/14, Orizzonte Salute, spec. punto 36). Entrambi i soggetti, infatti, sostengono le posizioni dei ricorrenti sia per quanto riguarda i profili di contrasto con il diritto dell’Unione sia per quanto concerne le questioni di diritto interno, la cui valutazione è rimessa al solo giudice nazionale. L’ordinanza del Tribunale di Milano risulta, così, in linea con più recente e da ultimo citata giurisprudenza “comunitaria”.
Adottando questa linea interpretativa, il Tribunale risponde anche all’esigenza di massimizzare la raccolta di informazioni e dati rilevanti ai fini della decisione della Corte. Come evidenziato nelle conclusioni dall’avvocato generale Bobek nella causa C‑352/19 P: «in sede pregiudiziale, la Corte non raccoglie alcuna prova, non ascolta praticamente mai periti, e l’accertamento dei fatti (o più frequentemente, purtroppo, in cause tecniche così complesse, il non accertamento dei fatti) è rimesso in via esclusiva al giudice del rinvio. Per effetto dei limiti al numero di potenziali intervenienti, la Corte è spesso costretta a decidere su questioni profondamente scientifiche e di fatto sulla base di scarsi dati provenienti dalle parti intervenienti o dal giudice del rinvio».
Anche la Corte si dimostra favorevole a una maggior partecipazione al pregiudiziale: escludendo di poter valutare l’ammissibilità di un intervento dinanzi al giudice a quo, si limita a rilevare la decisione che ha consentito l’intervento, fintantoché essa non sia stata revocata nell’ambito dei mezzi di ricorso previsti dal diritto nazionale (si veda, ex multis, Orizzonte Salute, cit., spec. punto 33).
D’altro canto, non ammettere l’intervento di soggetti interessati nel giudizio nazionale, impedendo loro di presentare le osservazioni alla Corte di giustizia, non sempre limita l’ingresso delle loro istanze nel giudizio. Al contrario, può incentivare pratiche meno trasparenti e tracciabili volte a far pervenire ai giudici un’ulteriore posizione per vie indirette. Si richiamano di seguito due esempi in questo senso.
In un caso, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, non essendo stato ammesso a intervenire nel giudizio nazionale in un caso in materia di asilo, ha pubblicato online le proprie osservazioni, le quali sono giunte alla Corte per il tramite di un allegato alle osservazioni della parte nel giudizio principale (cfr. conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi nella causa C-285/12, spec. nota a piè di pagina n. 13).
In un altro caso, la Migration Law Clinic (gruppo di studio della VU University Amsterdam), che pur non richiedendo di intervenire nel giudizio a quo relativo al controllo giurisdizionale sulle misure di trattenimento, ha predisposto un parere (dettagliato sino al punto di proporre una risposta al quesito pregiudiziale) che è stato allegato alle osservazioni di una delle parti e che poi ha coinciso con la soluzione adottata dalla Corte (cause riunite C‑704/20 e C‑39/21).
Anche alla luce di tali precedenti, si ritiene che consentire ai portatori di interessi collettivi, per il tramite dell’intervento nel giudizio nazionale di rinvio, di presentare le osservazioni alla Corte e di partecipare anche alla fase nazionale successiva alla riassunzione del giudizio garantirebbe una migliore tutela degli interessi in gioco.
Ciò appare coerente con una concezione del pregiudiziale come strumento processuale non tanto diretto a risolvere il singolo caso, ma piuttosto a consentire alla Corte di pronunciarsi in una prospettiva interpretativa di valore nomofilattico e, quindi, alla luce della più ampia informazione possibile.
Il procedimento dinanzi al Tribunale di Milano di cui si è trattato sottende un ulteriore profilo meritevole di segnalazione. Si tratta dell’intervento nel giudizio a quo del Gruppo d’Intervento Giuridico ODV, avvenuto non solo dopo la proposizione dei quesiti, ma anche dopo la conclusione della fase scritta dinanzi alla Corte di giustizia. Tale tardivo intervento ha avuto come conseguenza l’obbligatorietà della fase orale del procedimento ex art. 267 TFUE.
Come noto, l’udienza è un momento fondamentale nel rinvio pregiudiziale: essendo questo un meccanismo di cooperazione tra giudici, i partecipanti a tale procedimento non hanno la possibilità di replicare per iscritto alle osservazioni delle altre parti. L’unica possibilità di contraddittorio si ha durante la fase orale (per un approfondimento sul tema, si veda C. Amalfitano, Commento all’art. 20 Statuto, in C. Amalfitano, M. Condinanzi, P. Iannuccelli (a cura di), op. cit., p. 92 ss.)
Tuttavia, lo svolgimento dell’udienza di discussione – previsto come obbligatorio (nei ricorsi diretti e nei rinvii pregiudiziali) dall’art. 20 St. – è in realtà, in virtù del RP CG, solo eventuale. Infatti, ai sensi dell’art. 76, par. 2, RP CG, l’effettivo svolgimento dell’udienza di discussione dinanzi alla Corte non è previsto come necessario nemmeno in presenza di una domanda motivata presentata (entro tre settimane, più dieci giorni, dalla notifica della chiusura della fase scritta) da una o più parti ai sensi del primo paragrafo della medesima disposizione: anche in questo caso, la Corte può decidere di non tenere l’udienza qualora giudichi, all’esito della fase scritta, di essere «sufficientemente edotta per statuire». La sola eccezione alla regola dell’eventualità dell’udienza di discussione è prevista per l’ipotesi in cui «una domanda di udienza […] [sia] stata presentata, in modo motivato, da uno degli interessati [ex art. 23 St.] che non ha partecipato alla fase scritta del procedimento» (art. 76, par. 3, RP CG).
Nel caso in commento, in data 24 febbraio 2023 il Gruppo d’Intervento Giuridico ODV ha presentato istanza di intervento volontario a supporto delle posizioni dei ricorrenti ed è stato qualificato dal Tribunale – nella comunicazione alla Corte di giustizia – come parte del giudizio a quo, sulla base delle medesime considerazioni svolte per la Regione Puglia.
Intervenendo tardivamente, il Gruppo non ha potuto presentare osservazioni scritte alla Corte (in quanto i termini per la presentazione delle stesse erano spirati), e ha avuto, pertanto, la possibilità di svolgerle oralmente in sede di udienza di discussione.
Siffatta pratica ha permesso anche alle altre parti del giudizio principale – e in particolare alle ricorrenti, la cui posizione è sostenuta dal Gruppo d’Intervento Giuridico ODV – di prendere posizione (oralmente) sulle osservazioni (scritte) delle altre parti, possibilità che non vi sarebbe stata se l’udienza non si fosse tenuta.
Quanto descritto si presta, in alcuni casi, a divenire una “strategia” volta ad aggirare la prassi della Corte di ridurre al minimo il numero dei casi trattati in udienza, per garantire una replica alle osservazioni scritte presentate da altri (per un’analisi statistica sulle udienze tenute in Corte, si rimanda all’intervento di J. Alberti sulle Garanzie procedurali ed efficienza decisionale nei processi dinanzi ai giudici dell’Unione europea in occasione del convegno del 15.12.2023 della Facoltà di giurisprudenza dell’Università Statale di Milano, la cui relazione è di prossima pubblicazione). Si segnala un’ulteriore escamotage in tal senso, fondato sull’art. 83 RP CG e diretto a replicare, addirittura, alle conclusioni dell’avvocato generale – sulle quali non è ammesso il dibattito – inserendo le contestazioni nell’istanza di riapertura della fase orale (sul punto, si veda la descrizione di K. Groenendijk sulla richiesta presentata ai sensi dell’art. 83 RP CG nelle cause riunite C‑558/18 e C‑563/18, cfr. spec. punti 20 e ss.).
I profili processuali sottesi all’ordinanza del Tribunale di Milano, tratteggiati sommariamente, richiederebbero ben altro approfondimento e molteplici precisazioni. L’auspicio è che la descrizione fornita possa essere sufficiente a mostrare l’esistenza di una certa tensione tra l’esigenza di ampliare la partecipazione e il confronto davanti alla Corte in sede di rinvio pregiudiziale (per consentire a quest’ultima una migliore conoscenza delle posizioni nazionali e delle informazioni sulle questioni trattate) e la necessità di limitare le condotte lato sensu strumentali.
L’ordinanza commentata, ma anche la giurisprudenza più recente della Corte di giustizia, sembrano voler allentare questa tensione favorendo una più ampia partecipazione, in particolare di quei soggetti portatori di interessi collettivi e istituzionali. Ciò appare coerente con l’urgenza, avvertita da più parti, di portare alla Corte quante più prospettive possibili sulle questioni pregiudiziali, urgenza che è anche il sintomo dell’importanza generalmente riconosciuta al rinvio pregiudiziale e ai suoi effetti al di là del caso di specie (si rinvia a G. Martinico per un recente studio sull’effetto delle sentenze pregiudiziali).