L’adozione di provvedimenti cautelari a favore dei destinatari di misure restrittive: una tutela giurisdizionale effettiva entro i confini del procedimento d’urgenza. Il caso Mazepin
Corte giust., ordinanza del vicepresidente 28 settembre 2023, causa C-564/23 P(R), Consiglio c. Mazepin
L’adoption de décisions en urgence en faveur des singuliers concernés par des mesures restrictives : une protection juridictionnelle effective dans les frontières de la procédure en référé. L’affaire Mazepin
Interim Relief Towards Individuals Interested by Restrictive Measures: An Effective Judicial Protection within the Framework of Interim Proceedings. The Mazepin Case
L’ordinanza in commento è stata emessa nel contesto del procedimento cautelare accessorio al ricorso di annullamento proposto ex art. 263 TFUE dal sig. Nikita Mazepin avverso alcune misure restrittive adottate nei suoi confronti dal Consiglio dell’Unione Europea all’indomani dell’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia (da ultimo la Decisione (PESC) 2023/1767 del 13 settembre 2023 e il collegato regolamento di attuazione 2023/1765). Nikita Mazepin è un giovane pilota di Formula 1, figlio di Dmitry Mazepin, importante uomo d’affari coinvolto in settori economici che forniscono una fonte sostanziale di entrate al governo di Putin e soggetto a misure restrittive UE. Il sig. Nikita Mazepin è stato sanzionato dall’Unione per la sua presunta associazione con il padre.
Nel solco del procedimento principale sopra menzionato, il presidente del Tribunale ha adottato alcune ordinanze cautelari, di cui la terza (ordinanza del 7 settembre 2023, T-743/22 RIII) inaudita altera parte, con le quali ha ordinato al Consiglio di sospendere parzialmente l’esecuzione delle misure restrittive (ex art. 278 TFUE) e di adottare alcune misure atipiche (ex art. 279 TFUE). In sostanza, al sig. Mazepin è stato concesso l’ingresso nel territorio dell’Unione al fine di scongiurare un grave ed irreparabile pregiudizio alla propria carriera professionale. L’ordinanza del 7 settembre 2023 è stata quindi impugnata dal Consiglio e, nelle more dell’impugnazione e dietro domanda del sig. Mazepin (proposta ex art. 164 RP Trib.) è stata revocata dal presidente del Tribunale, che ha adottato una successiva ordinanza disponente provvedimenti provvisori sostanzialmente analoghi (ordinanza del 19 settembre 2023, T-743/22 RIII).
La presente segnalazione ha ad oggetto l’ordinanza del 28 settembre 2023, con la quale il vicepresidente della Corte ha accolto la domanda di annullamento avanzata dal Consiglio. Vale la pena precisare che il Consiglio ha poi impugnato anche il nuovo provvedimento del 19 settembre 2023 con separato ricorso, definito dal vicepresidente della Corte con ordinanza che ricalca quella oggetto della presente segnalazione [ordinanza del 22 novembre 2023, C-585/23 P(R)].
Il provvedimento qui segnalato offre spunti di riflessione interessanti su alcuni aspetti di natura spiccatamente procedurale: sull’istituto della revoca a confronto con quello dell’annullamento e sui rispettivi effetti nell’ordinamento dell’Unione; sull’adozione delle ordinanze inaudita altera parte; sui presupposti per l’adozione di provvedimenti d’urgenza ai sensi degli articoli 278 e 279 TFUE e, in particolare, sul necessario nesso diretto col procedimento principale e sulla (im)possibilità di accedere ad una tutela preventiva; e ancora, sui poteri del giudice cautelare con riguardo alla tipologia di provvedimenti che lo stesso è legittimato ad adottare ex art. 279 TFUE alla luce del principio di attribuzione delle competenze. Qualche considerazione andrà infine dedicata all’art. 47 CDFUE e al principio della tutela giurisdizionale effettiva.
Prima di toccare i suddetti aspetti, è necessario fare alcune premesse. La legalità delle misure restrittive può essere contestata di fronte alla Corte di Giustizia per errori di valutazione del Consiglio (cfr. sentenza del 26 ottobre 2022, Ovsyannikov c. Consiglio, T-714/20, punto 61) e non più per errori ‘manifesti’ (S. Poli, F. Finelli, Le misure restrittive russe davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in corso di pubblicazione) o per violazione dei diritti fondamentali dell’individuo. Si tratta di un’eccezione al limite posto dai Trattati alla giurisdizione della Corte in ambito PESC. È doveroso dare atto che la posizione degli individui è stata progressivamente rafforzata dalla giurisprudenza europea in tema di misure restrittive, in virtù del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva di cui godono i destinatari delle sanzioni (S. Poli, 2017 e 2018). Al ricorrere dei presupposti di legge, le persone soggette a misure restrittive hanno accesso alla tutela cautelare.
Sebbene nel contesto dei ricorsi per annullamento sia possibile introdurre una domanda cautelare tanto per domandare la sospensione dell’atto impugnato (art. 278 TFUE) quanto l’adozione di ogni altro provvedimento necessario (art. 279 TFUE) – ben potendo i due rimedi anche essere cumulativi – la Corte ha mostrato un approccio generalmente restrittivo alla tutela cautelare (C. Morviducci, 2004; C. Amalfitano, M. Condinanzi, P. Iannuccelli, 2017; M.F. Orzan, 2023). È solo in via eccezionale che il giudice investito di una domanda di provvedimenti provvisori può ordinare la sospensione dell’esecuzione di un atto impugnato dinanzi al Tribunale o prescrivere eventuali misure atipiche (cfr. ordinanza del 19 luglio 2016, Belgio c. Commissione, T‑131/16 R, punto 12 e ordinanza del 27 ottobre 2023, Mazepin c. Consiglio, T‑743/22 R III, punto 25). Sussiste infatti una presunzione di legittimità dell’atto UE impugnato, la cui efficacia non è sospesa dall’introduzione e dalla pendenza del ricorso. Sorge pertanto la necessità di effettuare un bilanciamento tra la tutela giurisdizionale della parte che domanda un provvedimento d’urgenza e l’effettività del diritto UE, la quale verrebbe minata dalla accordata sospensione.
La concessione della tutela cautelare è soprattutto infrequente nei procedimenti che riguardano le misure restrittive (si pensi ad esempio al sig. Kadi che, nel corso della sua strenua battaglia legale, non ha mai goduto di provvedimenti di questo tipo). La giurisprudenza in via generale preclude questa possibilità con particolare riguardo alle sanzioni che prevedono il congelamento dei fondi delle persone listate [cfr. ordinanza del 14 giugno 2012, Qualitest FZE c. Consiglio, C-644/11 P(R), punti 45-46 e 70-72; ordinanza del 11 marzo 2013, Iranian Offshore Engineering & Construction c. Consiglio, T-110/12 R, punto 25], benché non siano mancate delle caute aperture, sottoposte a condizioni precise (cfr. ordinanza del 24 febbraio 2014, HTTS e Bateni c. Consiglio, T-45/14 R, punti 51-52 e 57). La sospensione cautelare di misure restrittive di natura economica è quindi astrattamente configurabile, ma difficilmente ottenibile. Le deroghe di tipo umanitario previste all’interno delle misure restrittive dovrebbero in linea di principio garantire i diritti delle persone sanzionate [cfr. ordinanza del 25 ottobre 2012, Hassan c. Consiglio, C-168/12 P(R), punto 39, e ordinanza del 16 luglio 2015, National Iranian Tanker Company c. Consiglio, T‑207/15 R, punto 77]. Ed infatti, l’accoglimento della domanda di provvedimenti sospensivi vanificherebbe la ratio dell’asset freezing e ne pregiudicherebbe l’effet utile. La persona ‘listata’ beneficiaria di una ipotetica tutela cautelare sospensiva sarebbe infatti messa nella condizione di ritirare i propri capitali detenuti presso le banche dell’Unione, con conseguente pregiudizio irreparabile all’efficacia della misura sanzionatoria. Inoltre, la ratio del congelamento dei fondi è propriamente quella di realizzare per il destinatario (e, in secondo luogo, per la leadership politica di riferimento) un pregiudizio finanziario, il quale non potrà facilmente essere invocato a sostegno della richiesta di un provvedimento sospensivo (A. Maffeo, 2022). Nel contesto appena descritto, la saga Mazepin rappresenta un’eccezione, trattandosi del caso di un ricorrente privato che ottiene la sospensione dell’esecuzione degli atti PESC che gli vietano l’ingresso nel territorio dell’UE. Sussistendo infatti nei suoi confronti un c.d. visa ban, l’adozione di tutele cautelari non comporta il rischio di distrazione di asset finanziari. Un altro caso in cui il destinatario di una misura restrittiva ha cercato – tuttavia senza successo – di ottenere provvedimenti provvisori d’urgenza è quello di RT France c. Consiglio.
Fatte le dovute premesse, sarà qui di seguito volta l’attenzione alle considerazioni del vicepresidente della Corte in merito all’istituto della revoca di un’ordinanza cautelare. Essendo stata revocata l’ordinanza impugnata dal Consiglio, Mazepin ha eccepito il non luogo a statuire. La Corte ha invece dichiarato il ricorso del Consiglio ammissibile ed ha avuto modo di riaffermare che la domanda di revoca proposta ai sensi dell’art. 159 del RP Trib. a seguito di mutamento di circostanze non può essere assimilata ad un’impugnazione [cfr. ordinanza del 14 febbraio 2002, Commissione c. Artegodan, C-440/01 P(R), punti 65 e 68-69]. Essa si distingue infatti da quest’ultima per l’oggetto, per gli effetti e per i requisiti di applicazione. Dalla giurisprudenza della Corte emerge che la revoca di un’ordinanza cautelare non ha gli effetti retroattivi propri dell’istituto dell’annullamento, ma comporta soltanto la sua modifica o abrogazione ex nunc. Un’ordinanza può quindi essere riconsiderata dal giudice cautelare solamente per il futuro, restando cristallizzati gli effetti dalla medesima esplicati nel passato [cfr. anche ordinanza del 19 maggio 2022, Repubblica ceca c. Polonia (Miniera di Turów), C-121/21 R, punti 22-23]. L’annullamento, al contrario, ha quale effetto la cancellazione dell’atto dall’ordinamento giuridico dell’Unione, salvo la sussistenza di circostanze che giustifichino il mantenimento dei relativi effetti [cfr., in tal senso, sentenza del 28 aprile 2015, Commissione c. Consiglio, C‑28/12, punto 60 e sentenza del 4 settembre 2018, Commissione c. Consiglio (Accordo con il Kazakhstan), C‑244/17, punto 51]. Un’ordinanza di provvedimenti provvisori è per sua propria natura priva dell’autorità di cosa giudicata di cui sono munite le sentenze e le ordinanze con cui si conclude il procedimento; soltanto la prima, infatti, in qualsiasi momento può essere modificata o revocata (Commissione c. Artegodan, punto 66 e Miniera di Turów, punto 22). Sia l’impugnazione che la revoca ex art. 159 RP Trib. consentono quindi di ‘rimettere in discussione’ un provvedimento d’urgenza del giudice: tuttavia, soltanto la prima avrà l’effetto di espungere l’ordinanza dall’ordinamento e cancellare i suoi effetti passati (intercorrenti tra la data della notifica e quella della revoca). D’altronde, se si negasse al ricorrente la possibilità di proseguire nell’impugnazione ad intervenuta revoca dell’ordinanza, si permetterebbe alla controparte di abusare dello strumento ex art. 159 RP Trib., rendendo il ricorso vano.
Veniamo quindi al secondo motivo di ricorso del Consiglio, che ha fornito l’occasione al vicepresidente della Corte per riflettere sulla portata della competenza del giudice del procedimento sommario (cfr. punti 55-90 dell’ordinanza in commento). Si rammenta che la finalità della tutela cautelare è quella di evitare che si realizzi per la parte istante, nelle more del ricorso principale, un pregiudizio grave e irreparabile (che implicherebbe la scomparsa dell’oggetto del ricorso stesso, con la conseguenza di renderlo vano). Il giudice dell’urgenza dispone quindi di una competenza finalizzata alla salvaguardia dell’oggetto della controversia. In questo contesto, poi, l’adozione delle ordinanze inaudita altera parte rappresenta per la parte istante ‘una tutela cautelare nella tutela cautelare’ (M.F. Orzan, 2023), essendo soggetta a regole speciali [art. 157(2) RP Trib.] che derogano al procedimento prescritto per l’ottenimento dei provvedimenti d’urgenza. Nonostante le caratteristiche proprie delle ordinanze inaudita altera parte, anche queste ultime possono essere impugnate (ed il caso in commento avvalora tale prassi). Il ricorso alla procedura di ‘estrema urgenza’ comprime fortemente il principio del contraddittorio, ma non permette comunque al giudice cautelare di adottare provvedimenti che lo stesso non sarebbe legittimato ad adottare ai sensi degli articoli 278 e 279 TFUE. Nonostante quest’ultimo goda di un ampio potere discrezionale con riguardo alle misure atipiche (di cui si darà conto a breve), non può con il proprio provvedimento travalicare il campo applicativo del ricorso principale al quale si ‘aggancia’ il procedimento d’urgenza.
È doveroso premettere che l’annullamento parziale delle misure restrittive nei confronti di un determinato individuo non conduce necessariamente al de-listing da parte del Consiglio poiché tale istituzione, da prassi, procede all’integrazione della motivazione a supporto della suddetta decisione così da mantenerla in vigore (S. Poli, 2021). L’effettività della PESC è quindi garantita dall’attitudine del Consiglio, volta a conservare la validità delle sanzioni adottate a livello UE. L’individuo sanzionato è legittimato ad impugnare con nuovo ricorso la misura restrittiva successivamente adottata nei suoi confronti o ad adattare il ricorso pendente (sulla base dell’art. 86 RdP Trib.), estendendo la domanda di annullamento alle misure sanzionatorie adottate in corso di causa. Il sig. Mazepin aveva ad esempio adattato il ricorso principale estendendo la domanda di annullamento alle misure restrittive del marzo 2023, quando il Consiglio aveva aggiornato la lista dei sanzionati con nuove motivazioni. Nel settembre 2023, il Consiglio ha annunciato la propria intenzione di procedere al re-listing di Mazepin e quest’ultimo, pur non avendo ancora adattato il ricorso (perché in attesa dell’adozione delle nuove misure), aveva cercato di ottenere la tutela cautelare, chiedendo la sospensione dell’operatività dell’annunciato re-listing (i.e. prima che questo avesse luogo).
Nel caso di specie, la Corte ha rilevato che l’ordinanza avesse ad oggetto misure non ancora adottate dal Consiglio (cfr. punti 68-69 e 85). Il pregiudizio, perciò, non risultava attuale ma meramente potenziale e, così, la tutela del diritto alla difesa del ricorrente sproporzionata. Il vicepresidente della Corte non ha rilevato il prescritto collegamento diretto col procedimento principale ed ha perciò accolto il secondo motivo di ricorso del Consiglio, annullando integralmente l’ordinanza impugnata. Il ricorrente non poteva, nell’ambito di tale domanda, invocare, a titolo preventivo, uno ‘scudo cautelare’ a protezione dagli effetti di misure non ancora adottate da un’istituzione dell’UE, chiedendo la sospensione dell’annunciata re-iscrizione del suo nome nella black-list.
Ed infatti, caratteristiche del procedimento cautelare sono non soltanto la sua autonomia e sommarietà rispetto al procedimento principale, ma anche l’accessorietà del primo rispetto al secondo. Non è quindi configurabile una tutela cautelare c.d. ante causam nelle domande introdotte ai sensi degli artt. 278 e 279 TFUE, proprio per la necessaria presenza di un ricorso principale già instaurato dinanzi ai giudici dell’Unione. A questa precisazione formale va aggiunto che l’adozione di un provvedimento cautelare non può essere sorretta dall’esigenza di far fronte né ad un pregiudizio già realizzatosi (non essendo lo scopo del procedimento sommario quello di garantire la riparazione del danno), né ad un pregiudizio meramente potenziale, come quello invocato dal sig. Mazepin. Il fatto che il Consiglio avesse annunciato la propria intenzione di mantenere Mazepin sulla lista di persone sanzionate non ha alcuna rilevanza ai fini del procedimento cautelare, ovvero non è idoneo a creare quel legame diretto necessario tra tale procedimento ed il ricorso principale. È possibile ritenere che, se il giudice cautelare avesse garantito il contraddittorio, dando la possibilità al Consiglio di presentare le proprie osservazioni, non sarebbe giunto all’adozione dell’ordinanza qui segnalata. Come sopra rilevato, infatti, quest’ultima aveva ad oggetto un re-listing sì annunciato, ma ancora soltanto potenziale.
La tutela cautelare rientra nel diritto alla tutela giurisdizionale effettiva protetto dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE (CDFUE), che non manca di essere invocato dalla difesa del sig. Mazepin. Tuttavia, una interpretazione delle previsioni regolanti il procedimento cautelare in armonia con l’art. 47 della CDFUE è possibile fino a quando esso non travalichi i poteri assegnati al giudice dell’urgenza. La Corte prende atto che i Trattati non hanno previsto la possibilità, per il potenziale destinatario di un atto la cui adozione è solamente contemplata da una istituzione UE, di ricorrere avverso lo stesso in anticipo, né di ottenere una protezione preventiva [cfr. ordinanza del 22 novembre 2023, C-585/23 P(R), cit., punto 84]. Il vicepresidente della Corte osserva che il ricorrente sta cercando ‘una tutela preventiva di tutt’altro ordine’ (cfr. ordinanza in commento, punto 81) e riconosce che la possibilità di promuovere un ricorso per annullamento (corredato di eventuale domanda di provvedimenti provvisori) sia sufficiente a garantire alla persona adeguata tutela giurisdizionale ai sensi del diritto UE.
Anche il quinto motivo di ricorso del Consiglio merita alcuni brevi approfondimenti (cfr. punti 35-45 dell’ordinanza in commento). Nell’ipotesi di domande introdotte ai sensi dell’art. 279 TFUE, il giudice cautelare può imporre alla parte convenuta obblighi di comportamento, sia di facere che di non facere, realizzandosi così una deroga al divieto generale per il giudice dell’Unione di indirizzare ingiunzioni (M.F. Orzan, 2023). Nella scelta dei provvedimenti provvisori da adottare, il giudice dell’urgenza gode di ampia discrezionalità, i cui limiti non sono delineati con precisione (cfr. ordinanza del presidente della Corte del 24 aprile 2008, Commissione c. Malta, C-76/08 R, punto 19 e ordinanza del 20 novembre 2017, Commissione c. Polonia, C-441/17 R, punti 96-97 e 99). Tuttavia, tale potere non legittima certo il giudice ad ingiungere all’istituzione in questione l’adozione di atti o comportamenti che esulano dal perimetro delle competenze che le sono state attribuite dai Trattati. Ciò integrerebbe una violazione del principio di attribuzione di cui all’art. 13(2) TUE. Un principio generale regola, infatti, i poteri del giudice tutelare, stabilendo che questi non debba oltrepassare le competenze del giudice del ricorso principale, né quelle delle istituzioni dell’Unione.
Nel caso in commento, per la prima volta si è presentata l’occasione di chiarire quali sono i limiti al potere del presidente del Tribunale di adottare provvedimenti ex 279 TFUE nel contesto dei ricorsi cautelari aventi ad oggetto misure restrittive. Il ricorrente aveva domandato al giudice dell’urgenza che il Consiglio obbligasse gli Stati membri a concedergli il visto per tutto il tempo necessario a permettergli di svolgere le attività oggetto di una precedente ordinanza (ordinanza del presidente del Tribunale del 19 luglio 2023, Mazepin c. Consiglio, T-743/22 RII). Al punto 3 del dispositivo (ordinanza del 7 settembre 2023), veniva quindi ordinato al Consiglio di adottare le misure necessarie per garantire che gli Stati membri si conformassero, in modo effettivo e completo, all’ordinanza del 19 luglio 2023. In particolare, al Consiglio veniva ordinato di ‘garantire’ che il visto rilasciato al sig. Mazepin coprisse il territorio degli Stati membri dello spazio Schengen e rimanesse valido per il periodo necessario a consentire al medesimo di esercitare i diritti concessigli dal provvedimento sopra citato. Tutto ciò “nella misura in cui ciò risulta necessario per permettergli di negoziare la sua assunzione come pilota professionista di Formula 1 o come pilota di altri campionati di sport motoristici che si svolgono anche o unicamente sul territorio dell’Unione europea, nonché di partecipare ai Gran Premi, prove, allenamenti e sessioni di prove libere di sport motoristici che si svolgono sul territorio dell’Unione” (cfr. ordinanza del 19 luglio 2023, punto 1 del dispositivo).
Come è noto, l’attuazione e l’applicazione delle misure restrittive è un processo nazionale di cui gli Stati membri sono i principali responsabili (F. Finelli, 2023). Inoltre, esula dalla competenza del Consiglio imporre agli Stati membri di rilasciare o prolungare visti: ciò ricade infatti nella competenza statale. Un tale potere non può trovare giustificazione né nell’art. 16(1) TUE, che prevede che il Consiglio eserciti funzioni di definizione delle politiche e di coordinamento, né nell’art. 32 TUE, che impone agli Stati membri di consultarsi in sede di Consiglio europeo e di Consiglio in merito a qualsiasi questione di politica estera e di sicurezza di interesse generale per definire un approccio comune. Un siffatto potere non è neppure conferito al Consiglio da atti di diritto derivato UE (e.g. il Regolamento (CE) 810/2009).
In conclusione, è doveroso dare atto che il sig. Mazepin ha infine ottenuto la sospensione provvisoria delle nuove misure restrittive adottate dal Consiglio nel settembre 2023 (cfr. ordinanza del vicepresidente del Tribunale del 22 dicembre 2023, Mazepin c. Consiglio, T-743/22 R IV). Ciò non affievolisce certo la rilevanza dell’ordinanza segnalata in questa sede. Il suddetto provvedimento offre, in primo luogo, una sistematizzazione di principi già individuati ed applicati dalla Corte in passato (e.g., giurisprudenza Artegodan, Qualitest, Turów, etc.). In secondo luogo, vi è stata altresì occasione per meglio definire i confini del procedimento cautelare nel contesto dei ricorsi avverso le misure restrittive; infine, la Corte è tornata a pronunciarsi sul principio della tutela giurisdizionale effettiva. È condivisibile l’affermazione secondo la quale l’art. 47 CDFUE “is not intended to change the system of judicial review laid down by the Treaties” [cfr. ordinanza del 22 novembre 2023, C-585/23 P(R), cit., punto 85]. È possibile affermare in conclusione che, nel caso in commento, il vicepresidente della Corte ha affrontato in modo serio e approfondito la tematica dei limiti al potere del presidente del Tribunale di adottare provvedimenti cautelari.