Quo vadis, Boards of Appeal? The Evolution of EU Agencies’ Boards of Appeal and the Future of the EU System of Judicial Protection. Ferrara 8 e 9 Febbraio 2024

Tra l’8 e il 9 febbraio 2024 si è tenuta, nella cornice dell’Università di Ferrara, la Conferenza finale del modulo Jean Monnet “EU Specialized Judicial Protection” del Prof. Jacopo Alberti (afferente al Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Ferrara), dal titolo “Quo vadis, Boards of Appeal? The evolution of EU Agencies’ Boards of Appeal and the future of the EU system of Judicial Protection”. Lo scopo dichiarato del Convegno era quello di interrogarsi sulle modalità per garantire una migliore tutela giurisdizionale in alcuni settori, altamente tecnici, del diritto dell’Unione (nei quali, per l’appunto, è previsto l’intervento delle commissioni di ricorso), nonché sulle possibili, future, evoluzioni dell’intero sistema giudiziale “comunitario”.

Come anticipato, l’incontro si è articolato su due giornate; in queste si sono avvicendati relatori provenienti sia dal mondo accademico, sia da quello delle istituzioni dell’Unione europea. Se il primo giorno ha visto i vincitori della call for papers, precedentemente indetta, esporre i loro elaborati attinenti a determinati aspetti del contenzioso dinanzi alle commissioni di ricorso, il secondo giorno è stato dedicato a due roundtable a carattere più istituzionale. La prima, in mattinata, ha avuto come protagonisti i membri delle commissioni di ricorso, i quali si sono confrontati sul tema dello standard of review richiesto alle medesime commissioni (in particolare alla luce di Aquind c. ACER, 2020; confermata in appello da ACER c. Aquind, 2023); la seconda, tenutasi nel primo pomeriggio, ha, invece, coinvolto i rappresentati del panorama istituzionale dell’Unione in una riflessione di più ampio respiro sul ruolo delle commissioni di ricorso nel sistema di tutela giurisdizionale dell’Unione europea.

Giorno 1. Sei studi “orizzontali” sul contenzioso dinanzi alle commissioni di ricorso delle agenzie europee

Il primo giorno si sono susseguiti sei interventi che, come anticipato, hanno affrontato in maniera “orizzontale” alcuni aspetti del contenzioso dinanzi alle commissioni di ricorso delle agenzie europee. Nello specifico, nella prima parte del pomeriggio, la Dott.ssa Camilla Burelli ha trattato il tema della legittimazione ad agire dei ricorrenti privati, la Prof.ssa Ilaria Anrò, associata presso l’Università degli Studi di Milano, si è, successivamente, occupata dell’intervento dei terzi, mentre la Dott.ssa Giulia Agrati ha, infine, affrontato l’argomento delle garanzie procedurali applicabili al contenzioso dinanzi alle commissioni di ricorso. Dopo un breve coffee break, la sessione è proseguita con gli interventi del Dott. Massimo Orzan, referendario presso il Tribunale dell’Unione europea, della Dott.ssa Sofie Oosterhuis e del Dott. Riccardo Torresan, i quali hanno, rispettivamente, affrontato i temi della tutela cautelare, dello standard of review e del meccanismo del filtro di cui all’art. 58 bis dello statuto della Corte di giustizia. Questi ultimi due interventi in qualche modo hanno anticipato quanto è stato discusso il giorno seguente all’interno delle due tavole rotonde.

Dall’insieme delle relazioni è indubbiamente emersa la natura estremamente eterogenea delle commissioni di ricorso e delle discipline processuali loro applicabili. Fattore che, per quanto concerne l’analisi di alcuni istituti, come l’intervento dei terzi o la tutela cautelare, ha reso piuttosto difficile formulare delle conclusioni “di sistema”. D’altronde, neppure la stessa Unione europea sembrerebbe aver considerato le commissioni in parola come un insieme omogeneo, circostanza che emerge dalla disciplina del filtro la quale, seppur sarà oggetto a breve di revisione (per un riassunto delle “tappe” della modifica dello statuto della Corte v., in questa Rivista, un’informativa, in perenne aggiornamento, da parte della Redazione), allo stato attuale, concerne soltanto le commissioni di ricorso di EUIPO, CPVO, ECHA e EASA, senza per altro fornire una motivazione chiara per quanto riguarda l’esclusione delle restanti quattro commissioni (sul tema del filtro v. L. De Lucia, 2019).

Senza entrare nello specifico dei sei interventi, i quali saranno raccolti in un fascicolo speciale di questa Rivista, di prossima pubblicazione, si può rilevare che il punto di caduta che pare aver accomunato le relazioni presentate è stato quello inerente alla natura (non solo eterogenea, ma anche) ibrida delle commissioni di ricorso, collocabili in un perenne “limbo” tra l’ambito amministrativo e quello giurisdizionale (sul tema v. J. Alberti, 2022). Seppur, in effetti, queste ultime siano state più volte definite in giurisprudenza come organi di riesame amministrativo (a partire da  The Protector e Gamble Company c. OHMI, 1999), il loro coinvolgimento all’interno del meccanismo del filtro di cui all’art. 58 bis dello statuto della Corte ne ha enfatizzato il carattere di indipendenza, apparentemente parificandole, per lo meno dal punto di vista funzionale, a un organo giurisdizionale di prima istanza. In proposito, non si è che potuta notare una certa difficoltà dei relatori nell’applicare e analizzare categorie processuali proprie del processo dinanzi a un organo giurisdizionale a quello che, in fin dei conti, è essenzialmente un procedimento dinanzi a un’istanza di riesame amministrativo. D’altra parte, lo sforzo non può dirsi essere stato vano, anzi: il maccanismo del filtro e, ancor più, l’imminente revisione di quest’ultimo (che lo estenderebbe a tutte le commissioni oggi istituite e a quelle di, eventuale, prossima istituzione) impongono un’analisi approfondita della procedura applicata da tali commissioni di ricorso, proprio al fine di comprendere se lo step che si svolge di fronte alle medesime sia di per sé idoneo a sostituire quello innanzi a un organo propriamente giurisdizionale.

Tali considerazioni sembrano chiamare in causa riflessioni più ampie circa la necessità o meno che le commissioni in parola applichino all’interno dei loro procedimenti le garanzie processuali richieste dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali (circa il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale), in luogo di quelle di cui all’art. 41 della medesima Carta (circa il diritto a una buona amministrazione) e che, dunque, i temi affrontati nella prima giornata di studi, ossia quelli dell’accesso al giudice per quanto concerne i soggetti privati, dell’intervento dei terzi, della tutela cautelare e, perfino, dello standard of review applicabile da tali commissioni, debbano essere letti o ri-letti alla luce dell’una o dell’altra previsione di cui alla Carta (sul tema v. D. Ritleng, 2022).

Giorno 2. Due tavole rotonde a carattere istituzionale  

Come anticipato, la prima tavola rotonda della seconda giornata di studi ha visto i membri delle otto commissioni di ricorso discutere attorno al tema dello standard of review, ossia dell’intensità del controllo, operabile dalle medesime commissioni. La riflessione ha avuto origine, in particolare, dalla sentenza del 18 novembre 2020 del Tribunale, in causa T-735/18, Aquind c. ACER, già citata, nella quale il giudice di primo grado dell’Unione (poi confermato in sede di appello) ha sancito la necessità per la commissione di ricorso di ACER di operare un pieno riesame della fattispecie, rispetto a quello già compiuto dall’agenzia di riferimento. Con ciò imponendo a tale commissione la doverosità di compiere uno scrutinio molto approfondito sulle valutazioni tecnico-complesse svolte dall’agenzia, non limitato agli errori manifesti ma esteso a tutti gli eventuali errori commessi in fatto e in diritto, quindi anche con riferimento al “merito tecnico” della questione (in proposito v. G. Greco, 2023).

In proposito, in termini generali, non si è potuta che osservare una comune “preoccupazione” dei membri delle commissioni di ricorso circa la possibile estensione futura di questa giurisprudenza a tutte le commissioni la quale, come evidente, comporterebbe per le medesime un carico e un’intensità di lavoro notevolmente maggiore rispetto a quello attuale. Anche in questo caso, data l’eterogeneità dei soggetti in questione, i “punti di vista” sul tema sono stati comunque differenti: le criticità più marcate paiono essere state sollevate dai Presidenti delle commissioni di ricorso che prevedono la presenza di commissari “non permanenti”, ossia nominati ad hoc (purché, sempre, da una lista precedentemente predisposta) per dirimere una data controversia (il tema coinvolge, sostanzialmente, tutte le commissioni ad eccezione di quelle di EUIPO e CPVO). Da ciò che è emerso, infatti, i membri “non permanenti”, in quanto nominati ad hoc, sono anche retribuiti ad hoc, ossia limitatamente alla risoluzione della controversia per la quale sono stati designati, la quale, per altro, è commisurata dall’agenzia in un monte ore ben definito. Come osservato da molti commissari, in tale contesto, se già, allo stato attuale, il monte ore risulta spesso non essere sufficiente per dirimere cause complesse, difficilmente potrà esserlo nel momento in cui alla commissione sarà imposto, come a quella di ACER, il dovere di svolgere un pieno riesame anche del “merito tecnico” della fattispecie.

A tale criticità, circa la possibile incapacità, in termini economici e di personale, di soddisfare lo standard richiesto da Aquind, è parso sommarsi, nelle relazioni di questa prima tavola rotonda, il timore dei membri delle commissioni di ricorso circa le conseguenze di un, eventuale, “fallimento” in tal senso. Al di là della sorte della decisione resa, infatti, si deve notare che i commissari non dispongono delle medesime tutele predisposte per i giudici dell’Unione europea, potendo i primi, nella maggior parte dei casi, persino essere rimossi dall’agenzia a cui afferiscono nell’ipotesi, essenzialmente, di mancato gradimento da parte di quest’ultima del loro operato (solo EUIPO e CPVO prevedono un meccanismo di rimozione che coinvolge, a titolo di garanzia, la Corte di giustizia). Mancato gradimento che potrebbe ben derivare proprio dall’eventuale incapacità, secondo l’agenzia (ma impossibilità ad avviso della commissione di ricorso), di svolgere un sindacato di full review.

Passando, infine, alla seconda tavola rotonda, quest’ultima ha visto partecipi vari esponenti del mondo istituzionale dell’Unione europea, tra cui il giudice italiano presso il Tribunale, membri dei servizi giuridici di Parlamento, Consiglio, Commissione e BCE, nonché, a rappresentanza delle commissioni di ricorso nel loro insieme, il Presidente dell’Inter Agency Appeal Panel Network.

La discussione, come anticipato, ha riguardato il futuro del sistema di tutela giurisdizionale dell’Unione, in particolare alla luce della, già citata, imminente revisione del meccanismo del filtro di cui all’art. 58 bis dello statuto della Corte, il quale verrà esteso a tutte le commissioni di ricorso oggi esistenti e a quelle che, eventualmente, verranno istituite in futuro. A valle delle relazioni presentate, non si è potuta che notare una certa mancanza di consapevolezza delle istituzioni in merito al tema delle commissioni di ricorso, le quali, data la loro eterogeneità e specificità settoriale, paiono rimanere ancor oggi dei soggetti abbastanza “oscuri”. D’altronde, è pur vero che il contenzioso dinanzi alle medesime è, ad eccezione principalmente di quello che si svolge di fronte alla commissione di EUIPO, limitato a poche cause l’anno le quali, tendenzialmente, non vertono su profili di carattere “istituzionale” (o “costituzionale”), ma si concentrano su questioni tecniche e, per l’appunto, settoriali.

Proprio a fronte di tale non-consapevolezza sembra potersi leggere l’introduzione nel citato art. 58 bis dello statuto della Corte dell“epiteto” “indipendente” con riferimento alle commissioni di ricorso a cui è applicabile il meccanismo del filtro. Tale aggettivo, in effetti, codificato all’interno di una disposizione di diritto primario, sembra conferire alle commissioni in esame una certa licenza d’indipendenza, la quale, tuttavia, è ben lontana dall’essere garantita in concreto. I regolamenti istitutivi, così come quelli processuali, delle commissioni in parola dispongono, infatti, per le medesime una disciplina non del tutto improntata al principio di indipendenza (soprattutto dal punto di vista strutturale, essendo i membri di queste ultime, in fin dei conti, ampiamente dipendenti dall’agenzia di riferimento). In una logica, corretta, di sistema delle fonti, le commissioni dovrebbero, dunque, godere, ai sensi dello statuto della Corte, di indipendenza, strutturale e funzionale, la quale le avvicinerebbe in sostanza alla qualifica di organi giurisdizionali e comporterebbe la necessità di ripensarne la disciplina (data, come visto, l’illegittimità, in questi termini, di quella attuale).

Tale riflessione, tuttavia, non sembra essere stata posta alla base del ragionamento né della Corte di giustizia dell’Unione europea, né delle altre istituzioni che hanno partecipato alla redazione dell’art. 58 bis (prima) e alla revisione dello statuto (poi). Queste ultime, più che dall’intento di rafforzare il ruolo e l’immagine delle commissioni di ricorso all’interno del sistema di tutela giurisdizionale dell’Unione, sembrano essere state mosse, infatti, da logiche di deflazione del contenzioso nell’introduzione del meccanismo del filtro, finendo, poi, per utilizzare, forse non del tutto consapevolmente, nella descrizione del funzionamento di quest’ultimo, l’enfasi (non voluta) del carattere di indipendenza delle commissioni alle quali è applicabile.