Divieto di circolazione sull’autostrada del Brennero: la Commissione europea deposita il parere motivato ex art. 259 TFUE. Ricorrerà l’Italia in Corte?
Interdiction de circulation sur l’autoroute du Brennero : la Commission européenne dépose l’avis motive ex art. 259 TFUE. L’Italie va-t-elle introduire un recours devant la Cour ?
Traffic Ban on the Brennero Motorway: the European Commission delivers the Reasoned Opinion ex art. 259 TFUE. Will Italy apply to the Court?
Lo scorso febbraio l’Italia, dopo numerose e infruttuose interlocuzioni con la Repubblica d’Austria e con la Commissione europea, ha presentato a quest’ultima una richiesta a norma dell’art. 259 TFUE. Come già oggetto di segnalazione sulla Rivista, nella lettera inviata alla Commissione, l’Italia ha fatto valere l’incompatibilità con il diritto dell’Unione europea dell’introduzione e del mantenimento in vigore da parte dell’Austria di “provvedimenti” restrittivi del transito di veicoli pesanti sull’asse del Brennero, in quanto capaci di creare un vulnus alla libera circolazione delle merci, di cui agli artt. 34 e 35 TFUE (si tratta, in particolare, di quattro provvedimenti consistenti in un divieto di transito notturno, in un divieto settoriale di circolazione, in un divieto di circolazione invernale e, infine, in un sistema di “dosaggio” del traffico). Tali provvedimenti erano stati adottati, a detta dello Stato austriaco, al fine di tutelare l’ambiente e, pertanto, la salute umana (in particolare, al fine di far sì che il livello annuale di NO2 non vada a superare quello stabilito per la zona del Tirolo nella direttiva 2008/50/CE sulla qualità dell’aria), concretizzandosi, tuttavia, nei fatti, secondo lo Stato italiano, in una violazione del diritto dell’Unione.
Dopo uno scambio di osservazioni scritte tra i due Stati membri e un’audizione dei medesimi dinanzi alla Commissione, quest’ultima, in data 14 maggio 2024 ha adottato il (proprio) parere motivato, sempre ai sensi dell’art. 259 TFUE. Con il parere motivato la Commissione ha, in sostanza, riconosciuto che, tramite l’assunzione dei provvedimenti menzionati (di cui meglio si dirà a breve), l’Austria ha violato gli obblighi ad essa incombenti in forza del principio di libera circolazione di cui ai citati artt. 34 e 35 TFUE, così confermando le preoccupazioni espresse dall’Italia in sede di avvio della procedura.
Più nello specifico, dopo aver affermato la ricevibilità della richiesta dello Stato italiano, la Commissione è passata ad analizzare il primo (e principale) motivo addotto da quest’ultimo, ossia, come già detto, la violazione del principio di libera circolazione delle merci. In linea generale la Commissione, pur rammentando che limitazioni a tale libertà possono essere giustificate da ragioni d’interesse generale, ha altresì ricordato che esse, affinché possano dirsi legittime, devono essere proporzionate al conseguimento dell’obiettivo di interesse generale perseguito e, quindi, idonee a raggiungerlo senza eccedere quanto a ciò necessario. Se, quindi, da un lato la Commissione ha riconosciuto che, in linea di principio, i provvedimenti adottati dall’Austria potrebbero essere funzionali alla preservazione di una migliore qualità dell’aria e, pertanto, alla tutela della salute umana, dall’altro ha poi concluso per l’incompatibilità, in concreto, dei medesimi con il diritto dell’Unione europea, in quanto, sostanzialmente, non proporzionati allo scopo.
A tal proposito, si osservi, in particolare, che la Commissione ha ravvisato nel “divieto di circolazione invernale”, concernente i veicoli pesanti diretti in Italia o in Germania, o in un Paese da raggiungere attraverso l’Italia o la Germania, e sussistente in tutte le giornate di sabato dei mesi invernali dalle ore 7.00 alle ore 15.00, e nel “sistema di dosaggio del traffico”, il quale circoscrive a un massimo di 300 unità l’ora il numero di veicoli pesanti provenienti dalla Germania e diretti a Sud, delle misure a carattere discriminatorio, poiché restrittive della circolazione di solo alcune categorie di veicoli pesanti, alle quali viene applicata una disciplina più severa senza, tuttavia, che quest’ultima sia coerente e idonea al conseguimento dell’obiettivo di interesse generale.
La medesima considerazione è stata, per altro, compiuta (seppur meno esplicitamente) dalla Commissione anche con riferimento al “divieto di transito notturno”, vigente questo, sempre per i veicoli pesanti, dalle ore 22.00 alle ore 5.00 nel semestre estivo e dalle ore 20.00 alle ore 5.00 nel semestre invernale, il quale prevede, tuttavia, delle esenzioni per quanto concerne essenzialmente il traffico locale, esenzioni che sono state ritenute non coerenti con l’obiettivo perseguito, inficiando la valutazione di proporzionalità delle misure austriache. Nell’insieme, da questo punto di vista, è quindi emersa, anche agli occhi della Commissione, una disciplina sostanzialmente più favorevole per quanto concerne i veicoli pesanti austriaci, i quali sembrerebbero essere, de facto (in quanto destinati soprattutto al traffico locale), esentati dalle restrizioni non appena analizzate, il tutto accendendo una “spia” sul reale intento, più protezionistico che di tutela ambientale, dei provvedimenti in questione e, in quanto tale, in contrasto con i principi del mercato unico. Per quanto concerne, inoltre, la disciplina da ultimo menzionata, inerente al divieto di transito notturno, si noti che la medesima è stata ritenuta dalla Commissione non adeguatamente motivata (gravando l’onere di motivazione della misura restrittiva sullo Stato membro che ne invoca l’applicazione) anche con riferimento ad altri fattori: fra questi si menziona il fenomeno dell’inversione termica, il quale, ad avviso dello Stato italiano si verificherebbe soltanto nella stagione invernale rendendo, pertanto, ingiustificato tale divieto nel periodo estivo. Sul punto, la Commissione, pur ammettendo che, in minima intensità, il fenomeno in parola possa verificarsi anche d’estate, ha rilevato come lo Stato austriaco non sia stato, tuttavia, in grado di fornire delle giustificazioni adeguate circa l’estensione del divieto di transito notturno, in misura pressoché invariata, sull’arco di tutto l’anno solare.
Oltre al motivo inerente alla violazione del principio di libera circolazione delle merci, lo Stato italiano aveva addotto un secondo motivo d’incompatibilità della normativa austriaca, concernente la violazione del principio di leale cooperazione di cui all’art. 4, par. 3, TUE. Tale motivo si fondava sul fatto che, pur avendo la Corte di giustizia già accertato in precedenza, in circostanze del tutto similari (sempre concernenti la circolazione stradale sul valico del Brennero), la violazione da parte dell’Austria del diritto dell’Unione europea (v. Commissione c. Austria, 2005 e Commissione c. Austria, 2011), quest’ultima ha nuovamente posto in essere dei provvedimenti lesivi della legalità “comunitaria”. Da questo punto di vista, tuttavia, la Commissione ha rigettato le ragioni fatte valere dall’Italia, in ragione del fatto che l’adozione di nuove misure, pur riguardanti la situazione dell’asse del Brennero, non può essere tale da integrare una violazione dell’art. 4, par. 3, TUE.
Al di là di tale ultimo rilievo, pronunciandosi in favore dell’incompatibilità dei provvedimenti austriaci con il principio “comunitario” di libera circolazione delle merci, la Commissione potrebbe ora promuovere essa stessa una procedura d’infrazione ai sensi dell’art. 258 TFUE. Tale eventualità, se da un lato consentirebbe, forse, di “normalizzare” la contestazione, finendo per accentrarla nella consueta funzione di “vigilanza” che incombe alla Commissione ai sensi degli artt. 17 TUE e 258 e 260 TFUE, dall’altro implicherebbe, necessariamente, una dilatazione dei tempi procedurali, in quanto la procedura di infrazione dovrebbe in questo caso ricominciare dall’inizio, ossia dall’invio della lettera di messa in mora da parte della Commissione, seguita da un nuovo parere motivato e, infine, eventualmente, dalla proposizione di un ricorso per inadempimento dinanzi alla Corte di giustizia.
Ad ogni modo, tale scenario non pare plausibile, in quanto la stessa Commissione sembrerebbe orientata nel senso di lasciare all’Italia l’onere di proseguire nel procedimento di infrazione ex art. 259 TFUE. Così facendo l’istituzione consentirebbe, in un certo senso, una risoluzione più spedita della controversia, potendo lo Stato italiano ricorrere in tempi più rapidi dinanzi al giudice dell’Unione, al quale potrebbe persino richiedere l’adozione di misure cautelari (misure che erano state, per altro, già concesse in passato in una fattispecie analoga: v. Commissione c. Austria).
Per questa via, per altro, l’Italia potrebbe insistere nel ricorso sulla violazione dell’art. 4, par. 3, TUE, ritenuta, come visto, insussistente dalla Commissione. Come la prassi dimostra (v. Ungheria c. Slovacchia), così come la mancata adozione del parere da parte della Commissione (e ciò sulla base di espressa previsione pattizia), neppure la formulazione del medesimo in senso negativo da parte della “guardiana dei Trattati” rispetto alla sussistenza dell’eccepita violazione del diritto dell’Unione (e qui rileva, appunto, la prassi) potrebbe impedire allo Stato interessato di ricorrere dinanzi al giudice dell’Unione. É però evidente che il parere motivato adottato dalla Commissione in questa vicenda agevolerà, e forse anche stimolerà, l’iniziativa giudiziaria dello Stato italiano.
Certo, in merito a un eventuale ricorso dell’Italia ex art. 259 TFUE, resta da chiarire quali conseguenze potrebbe comportare un eventuale adeguamento dell’Austria a quanto contenuto nel parere motivato nelle more dell’effettiva proposizione in Corte di un siffatto ricorso o nelle more del giudizio. In effetti, a differenza dell’art. 258 TFUE che identifica quale termine per la “cristallizzazione” dell’inadempimento il decorrere di due mesi dalla presentazione del parere motivato, l’art. 259 TFUE non è altrettanto esplicito sul punto, omettendo di fornire un qualsiasi riferimento temporale. In proposito, pare potersi sostenere che il termine dei tre mesi forniti alla Commissione per l’adozione di tale parere coincida con il termine ultimo concesso allo Stato destinatario delle contestazioni per porre fine in maniera proficua alla violazione del diritto dell’Unione, risultando pertanto irrilevante qualsiasi adeguamento intervenuto successivamente a detto termine (o a quello dell’eventuale parere adottato dalla Commissione). In proposito, non pare, infatti, condivisibile sostenere che l’eventuale modificazione della normativa austriaca intervenuta nelle more tra l’adozione del parere motivato e la proposizione del ricorso privi di interesse lo Stato italiano dall’agire in via giudiziaria. Intanto, a parte l’ipotesi (alquanto improbabile) della abrogazione tout court della normativa restrittiva, ogni sua revisione dovrebbe essere ulteriormente verificata di nuovo sul piano della proporzionalità, cosicché se la sola modifica bastasse a rendere irricevibile il ricorso dell’Italia, finirebbe per essere frustrata la stessa ratio dell’art. 259 TFUE. Inoltre, sembra poter essere pacificamente trasponibile la linea interpretativa secondo la quale, nel sistema “ordinario” dell’art. 258 TFUE, una volta che l’inadempimento si considera cristallizzato, rimangono irrilevanti eventuali mutamenti normativi successivi dello Stato considerato. Da ultimo, converrà invece ricordare che pare discutibile, se non facendo leva proprio sul principio di leale cooperazione, la possibilità per lo Stato italiano di contestare nella fase giudiziaria norme nuove adottate successivamente dal Governo austriaco, rispetto alle quali la fase precontenziosa dell’art. 259 TFUE non si è potuta consumare.
Sempre scrutando la prossima dimensione giudiziaria della vicenda, si noti anche che il fatto che la Commissione non abbia agito sino ad ora ex art. 258 TFUE nei confronti dell’Austria, né pare voler agire dopo il deposito del parere ex art. 259 TFUE, non sarà tale da impedirle (laddove lo ritenesse opportuno – e il tenore del parere potrebbe andare in questa direzione) di intervenire in giudizio a sostegno della posizione italiana. Sostegno che, per altro, potrebbe derivare all’Italia anche da un possibile intervento della Germania, i cui interessi commerciali, data la sua posizione geografica, sembrano venir lesi dai provvedimenti austriaci al pari di quelli italiani, come d’altronde testimonia l’intervento della medesima nella richiamata controversia Commissione c. Austria, del 2005, avente ad oggetto un’infrazione analoga.
In conclusione, non si può comunque negare che alcuni dubbi permangono circa l’idoneità dell’art. 259 TFUE a garantire la corretta applicazione del diritto dell’Unione europea, dal momento che l’impiego di tale strumento da parte di uno Stato membro sembra, in un certo senso, indice del “fallimento”, nel caso di specie, delle meccaniche che presiedono e garantiscono il processo d’integrazione “comunitaria” in un settore strategico e consolidato come quello del mercato unico. In effetti, non ci si può che domandare come mai il dialogo politico non sia riuscito (o non abbia voluto?), a monte, risolvere in maniera meno pubblica e “frontale” la questione; così da evitare i sicuri strascichi negativi per le relazioni infra-statali che, invece, tale vicenda porterà con sé. A differenza del noto caso Schmidberger dell’ormai lontano 2003, la vicenda relativa al valico del Brennero non ha questa volta avuto modo di venire in rilievo dinanzi ad un giudice nazionale, il quale ben avrebbe potuto attivare un rinvio pregiudiziale in relazione alla compatibilità delle misure austriache, consentendo così alla Corte di giustizia, nella tradizionale logica della complementarietà dei sistemi rimediali dinanzi al giudice dell’Unione europea, di risolvere il caso evitando l’impatto frontale tra i due Governi, che i mezzi della diplomazia non hanno saputo altrimenti evitare.
Al contrario, e in una prospettiva più ottimista, il caso insegna che i meccanismi anche giudiziari che il sistema di integrazione europea offre per la composizione degli interessi in conflitto, sono di gran lunga più efficaci dei tradizionali approcci bilaterali diplomatici, spesso condizionati e resi inefficienti dai rispettivi condizionamenti politici.