In medio stat virtus: la Corte di giustizia tra garanzia del contraddittorio e esigenze di celerità

Corte giust., ordinanza del vicepresidente, 27 marzo 2024, causa C-639/23 P(R), Commissione c. Amazon Services Europe

In medio stat virtus : la Cour de justice entre garantie du contradictoire et exigences de célérité

In medio stat virtus: the Court of justice between the adversarial principle and the need for speed

Premessa

Il principio della tutela giurisdizionale effettiva è uno dei capisaldi essenziali dell’ordinamento giuridico dell’Unione europea e del suo costituzionalismo, integrando tanto un diritto individuale del singolo, quanto un principio generale che informa il sistema giurisdizionale e l’ordinamento nel suo complesso, anche quale strumento di garanzia del valore fondamentale dello Stato di diritto (G. Gentile, 2022).

Tale principio è ad oggi consacrato come diritto fondamentale all’art. 47 della Carta di Nizza (in prosieguo “CdFUE”), dove viene articolato nel diritto all’accesso al giudice e ad un giusto processo entro un termine ragionevole, come anche al gratuito patrocinio, in parte ricalcando e in parte ampliando il già codificato diritto a un equo processo di cui all’art. 6 CEDU (in tal senso, e per un esaustivo commento dell’art. 47 CdFUE, v. D. P. Domenicucci et al., 2017, p. 865).

È fin da subito evidente, pertanto, come il principio della tutela giurisdizionale effettiva sia complesso e caratterizzato da una natura poliedrica, che si concretizza in una serie di sub-componenti solitamente tra loro interdipendenti e complementari. Talvolta, tuttavia, possono sorgere, proprio in nome dell’effettività della tutela, esigenze tra loro contrastanti, rispetto alle quali il giudice si trova chiamato a compiere un bilanciamento particolarmente delicato.

Proprio siffatto scenario ha occupato il vicepresidente della Corte di giustizia nella causa C-639/23 P(R), Commissione c. Amazon Services Europe a fronte dell’impugnazione, da parte della Commissione, dell’ordinanza cautelare adottata dal presidente del Tribunale nella causa T-367/23 R, Amazon Services Europe c. Commissione con la quale quest’ultimo aveva concesso al ricorrente una misura cautelare ex art. 278 TFUE. In sede di pourvoi, la Commissione ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza cautelare deducendo quattro motivi di impugnazione, di cui uno in parte di natura processuale, id est la violazione del principio del contraddittorio da parte del giudice di prime cure.

Il vicepresidente della Corte si è, dunque, trovato a riflettere e a decidere circa il punto di incontro tra due elementi che parimenti concorrono a garantire l’effettività della tutela, quali principio del contraddittorio, da un lato, e le esigenze di celerità di cui è espressione la tutela interinale, dall’altro, arricchendo la propria giurisprudenza sul tema con un’ulteriore preziosa puntualizzazione.

Il principio del contraddittorio, infatti è guarentigia processuale fra le più risalenti e consolidate che, pur non esaurendoli, è il cuore pulsante dei diritti della difesa (J. Danet, 2020, p. 68 e ss.). Esso – prima ancora di essere così denominato – è stato individuato e consacrato dalla Corte di giustizia già agli arbori della propria giurisprudenza: nella sentenza S.N.U.P.A.T. c. Alta Autorità del 1961 i giudici del Kirchberg hanno affermato che «si violerebbe un principio giuridico fondamentale se si ponessero a base di una sentenza circostanze e documenti di cui le parti, od una di esse, non abbiano avuto conoscenza e sui quali non abbiano potuto esprimersi». Da tale affermazione di principio la Corte non si è mai più discostata, reiterandola verbatim a più riprese, precisando che «per soddisfare le condizioni connesse al diritto a un processo equo, occorre che le parti abbiano conoscenza e possano discutere in contraddittorio gli elementi di fatto e di diritto decisivi per l’esito del procedimento» (v., più recentemente, H c. Consiglio, punti 103, 104 e giurisprudenza ivi citata).

Il principio del contraddittorio trova ad oggi una sistematizzazione nell’ordinamento giuridico dell’Unione come principio fondamentale e sub-componente del diritto ad un processo equo di cui agli artt. 6 CEDU e 47 CdFUE, nonché, a partire dal 2015, all’art. 64 del RP del Tribunale. Tale disposizione sancisce che «[s]alvo quanto disposto dagli articoli 68, paragrafo 4, 104, 105, e 144, paragrafo 7, il Tribunale prende in considerazione solo atti processuali e documenti di cui i rappresentanti delle parti hanno avuto facoltà di prendere cognizione e sui quali hanno avuto facoltà di pronunciarsi», avendo il pregio – pur non essendo necessaria e non trovando infatti codificazione nel RP della Corte – di porre la citata guarentigia in maggior risalto, elevandolo a norma di portata generale del processo e sottolineando l’eccezionalità delle ipotesi in cui ad essa si possa derogare (in tal senso, e per un’analisi della disposizione de qua, v. D. P Domenicucci, 2017, p. 1088). Queste ultime sono limitate, infatti, ad ipotesi tutte legate alla necessità di bilanciare i diritti della difesa con questioni legate alla riservatezza dei dati e/o dei documenti prodotti dinanzi al Tribunale (funditus M. Jaeger, 2021, p. 187 e ss.).

Altre non codificate deroghe al principio del contraddittorio sono, poi, state individuate nei casi in cui la Corte abbia proceduto a rilevare con ordinanza motivata la propria incompetenza, ovvero l’irricevibilità manifesta della questione senza previa comunicazione di tale eccezione alla parte contro la quale quest’ultima è stata sollevata, nei casi di irricevibilità per motivi di ordine pubblico (che la Corte è legittimata a rilevare d’ufficio), o ancora relativamente all’adozione delle conclusioni da parte dell’avvocato generale; infine, nelle peculiari esigenze della procedura cautelare (I. Pingel, 2004, p. 55 e ss.).

Invero, quest’ultima è, per esplicita previsione dell’art. 39 dello Statuto della Corte di giustizia, «una procedura sommaria che [deroga], per quanto necessario, ad alcune norme contenute nel presente statuto». Essa rappresenta uno strumento il cui scopo è quello di soddisfare l’eventuale esigenza di celerità (in tal senso v. le conclusioni dell’avvocato generale Tesauro nella causa Factortame, pt. 18), altra faccia dell’effettività della tutela giurisdizionale in parte contrapposta al principio del contraddittorio, giacché impone una contrazione dei tempi del procedimento e una limitazione dei momenti dialogici in cui siano coinvolte le parti, delineando una sorta di contraddittorio che si potrebbe definire “attenuato”.

E infatti, nella procedura sommaria, innanzitutto è possibile adottare delle misure cautelari inaudita altera parte, pur con l’obbligo di integrare al più presto il contraddittorio permettendo alla controparte di presentare le proprie osservazioni scritte circa l’istanza interinale (art. 157, par. 2 RP del Tribunale; art. 160, par. 7, RP della Corte); ma in generale è previsto che la fase scritta sia costituita da un solo “giro” di memorie, l’eventuale fase orale da un’informale audizione delle parti e, infine, che al giudice cautelare sia attribuita un’ampissima discrezionalità circa l’opportunità di adottare misure di organizzazione e mezzi istruttori (sulla sommarietà della procedura cautelare, v. M. F. Orzan, 2023, p. 64 ss.).

Ed è proprio quest’ultimo aspetto che ha ingenerato la controversia qui oggetto di analisi.

 

L’ordinanza del Tribunale

La vicenda principale sulla quale si è innestata la procedura cautelare de qua ha preso avvio con il ricorso proposto il 5 luglio 2023 dalla società Amazon Services Europe Sàrl (in prosieguo, “Amazon”) con il quale essa ha chiesto l’annullamento della decisione della Commissione europea C(2023) 2146 final del 25 aprile 2023 (in prosieguo, la “decisione contestata”), che designava Amazon Store come piattaforma online di dimensioni molto grandi, conformemente all’art. 33, par. 4, del regolamento UE n. 2022/2065 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 ottobre 2022, relativo a un mercato unico dei servizi digitali. Da tale decisione era derivata l’insorgenza in capo ad Amazon, fra gli altri, dei due seguenti obblighi: fornire agli utenti un’opzione per ogni sistema di raccomandazione non basato sulla profilazione ai sensi dell’art. 38 del citato regolamento; compilare e rendere disponibile al pubblico un registro delle pubblicità ai sensi dell’art. 39 del medesimo testo normativo. Ebbene, secondo parte ricorrente, siffatta disciplina avrebbe violato il principio della parità di trattamento e i propri diritti fondamentali.

Giacché, tuttavia, per esplicita previsione dell’art. 278 TFUE, «i ricorsi proposti alla Corte di giustizia dell’Unione europea non hanno effetto sospensivo» secondo il principio della presunzione della legalità degli atti, con atto separato del 6 luglio 2023, Amazon ha proposto una domanda di provvedimenti provvisori volta ad ottenere la sospensione dell’esecuzione della decisione controversa proprio nella parte in cui essa impone ad Amazon il rispetto degli obblighi di cui agli artt. 38 e 39 del regolamento n. 2022/2065. In subordine, e qualora non fosse risultato possibile adottare la misura cautelare prima del 1° agosto 2023, Amazon ha chiesto che venisse disposta la sospensione degli ora menzionati obblighi inaudita altera parte nelle modalità previste dall’art. 157, par. 2, RP del Tribunale, dunque “prima che l’altra parte abbia presentato le sue osservazioni”.

Ebbene, il presidente del Tribunale ha dapprima disposto la sospensione degli effetti dell’intera decisione controversa con ordinanza del 28 luglio 2023 adottata ex art. 157, par. 2, RP del Tribunale; in un secondo momento – e dopo aver esaminato le osservazioni scritte della Commissione relative all’istanza interinale – con pronuncia del 27 settembre 2023, ha definito il procedimento sommario concedendo (in parte) le misure cautelari richieste, ossia la sospensione degli effetti della decisione della Commissione, seppur limitatamente alla parte in cui essa determinava l’applicabilità ad Amazon dell’obbligo di cui all’art. 39 del regolamento 2022/2065.

Segnatamente, infatti, il giudice cautelare di prima istanza ha ritenuto sussistente il requisito del periculum in mora, dal momento che la creazione di un registro pubblico come prescritta dalla citata norma avrebbe imposto ad Amazon la diffusione di informazioni riservate relative alla propria strategia operativa, nonché ai propri clienti, determinando in tal modo un danno grave ed irreparabile (punti 66 e ss.); così come ha valutato fondato il fumus boni iuris, dal momento che non risultava in modo univoco – contrariamente a quanto affermato dalla Commissione – che Amazon fosse già tenuta alla pubblicazione di tali dati in ragione di altri e precedenti atti di diritto UE. Pertanto, l’illegittimità dell’art. 39 del regolamento 2022/2065 non appariva prima facie priva di serio fondamento (punto 75). Infine, il presidente del Tribunale ha ritenuto di far prevalere l’interesse dell’istante sull’interesse della Commissione a che la propria decisione ricevesse immediata applicazione, in ragione del fatto che concedere la misura cautelare avrebbe semplicemente determinato il mantenimento dello status quo, peraltro per un periodo limitato (punto 83).

So far so good, tanto che in sede di impugnazione dell’ordinanza, il vicepresidente della Corte ha di fatto avallato, seppur limitatamente ai requisiti del fumus boni iuris e dell’urgenza, le valutazioni compiute dal giudice di prime cure, rovesciando il solo bilanciamento degli interessi.

Ciò che ha caratterizzato il caso di specie è da individuarsi, piuttosto, nel fatto che al giudice di prime cure sia stata contestata dalla Commissione, e successivamente riconosciuta dal vicepresidente della Corte, la responsabilità di aver adottato la propria decisione a valle di una procedura viziata.

 

Il giudizio in sede di pourvoi

Nel proprio ricorso avverso la descritta ordinanza cautelare del presidente del Tribunale, la Commissione ha avanzato – come anticipato – quattro motivi di ricorso, di cui il secondo incentrato, oltre che su un errore “sostanziale” di diritto e sull’applicazione manifestamente errata della condizione relativa all’urgenza, su alcuni vizi di procedura. Tale ultimo profilo è stato analizzato dal giudice del pourvoi in via prioritaria ed è risultato assorbente di tutte le altre censure.

In particolare, la Commissione ha contestato al presidente del Tribunale di essere incorso in una violazione del «principio del contraddittorio e, in tal modo, anche [degli] articoli 88 e 90 del regolamento di procedura del Tribunale, nonché [del] principio di audi alteram partem» (ordinanza relativa alla causa C-639/23 P(R), punto 30). Ciò, ha argomentato la Commissione, in ragione del fatto che il 28 luglio 2023, il presidente del Tribunale avesse adottato una misura di organizzazione del procedimento a seguito della quale è stato concesso ad Amazon di depositare una memoria scritta al fine di comprovare la natura riservata delle informazioni di cui l’art. 39 del regolamento 2022/2065 impone la pubblicazione e dimostrare così la sussistenza del fumus boni iuris, non solo rigettando, di contro, la domanda della Commissione volta ad ottenere un’ulteriore misura di organizzazione del procedimento, ma nemmeno dando modo alla stessa di esprimere qualsivoglia posizione circa la misura già adottata (punto 31).

Si è così profilato uno “scontro” tra principio del contraddittorio ed esigenze di celerità incentrato proprio sulla facoltà del presidente del Tribunale di disporre delle misure si organizzazione di cui agli artt. 88, 89 e 90 RP del Tribunale e sulla definizione dell’estensione della stessa, essendo necessario sancire se l’adozione delle misure possa legittimamente avvenire inaudita altera parte, come di fatto accaduto nel primo grado del giudizio cautelare.

A tal fine, il vicepresidente della Corte ha ripercorso parte della giurisprudenza rilevante sul tema restituendo il seguente quadro (punti 39-57).

Da un lato, è stata sottolineata la grande discrezionalità del giudice cautelare di disporre misure di organizzazione del procedimento in forza dell’art. 157, par. 3, RP del Tribunale. In particolare, viene richiamata la pronuncia Inivos e Inivos c. Commissione dove il vicepresidente della Corte aveva affermato, in primo luogo, che il presidente del Tribunale è «competente in via esclusiva per valutare le misure di organizzazione del procedimento che reputa opportune ai fini della pronuncia sulla domanda di provvedimenti provvisori [disponendo] di un ampio potere discrezionale [a tal riguardo]» (punto 45), e, in secondo luogo, che «il giudice dei procedimenti sommari non è tenuto a sentire in maniera sistematica la parte ricorrente su tutte le informazioni fornite dalla parte convenuta di cui intende tener conto per pronunciarsi sulla domanda di provvedimenti provvisori» (punto 47).

Dall’altro lato, è stato messo in risalto come il principio del contraddittorio debba trovare applicazione in «ogni procedura che possa sfociare in una decisione di un’istituzione dell’Unione che pregiudichi sensibilmente gli interessi di una persona» (Hércules Club de Fútbol c. Commissione, punto 47), categoria di pronunce cui può certamente essere ricondotta un’ordinanza che disponga l’adozione di misure cautelari.

Orbene, posti questi due punti cardinali, il vicepresidente della Corte, per individuare il punto mediano tra i due, ha fatto riferimento alla disciplina relativa all’adozione di ordinanze cautelari inaudita altera parte di cui all’art. 157, par. 2, RP del Tribunale. È evidente che essa integri una deroga al principio del contraddittorio. Trattasi, tuttavia, di una deroga non assoluta, e anzi meramente temporanea, che impone la successiva reintegrazione del contraddittorio, a valle della quale il giudice può modificare e “correggere” la decisione già adottata anche d’ufficio. La natura derogatoria di tale procedimento, pertanto, non permette di dedurne un’autorizzazione generale, per il giudice cautelare, nel senso di pronunciarsi senza rispettare il principio del contraddittorio (Mazepin c. Consiglio, punti 60 e 61, commentata in questa rivista da A. Pau, 2024).

Da siffatti presupposti si deduce, quindi, che il giudice cautelare ha, sì, piena discrezionalità nel senso di disporre o meno l’adozione di misure di organizzazione del procedimento. Tuttavia, nel momento in cui proceda effettivamente in tal senso e inviti – come accaduto nel caso di specie – una parte a presentare delle precisazioni scritte aventi ad oggetto quanto affermato dalla controparte, quest’ultima dovrà, in virtù del principio del contraddittorio, potersi a sua volta esprimere circa quanto contenuto nella misura di organizzazione stessa. Ciò implica, dunque, che la discrezionalità organizzativa del giudice viene meno, poiché compressa da un vero e proprio obbligo di audi altera parte il cui mancato rispetto determina l’illegittimità della pronuncia eventualmente adottata in violazione di tale vincolo procedurale.

Il risultato è, pertanto, uno schema secondo il quale il principio dell’effettività della tutela risulta rispettato o nel caso in cui sull’istanza di misure cautelari venga sentito tanto l’istante, quanto il resistente tramite l’adozione di misure di organizzazione del procedimento e/o di mezzi istruttori, ovvero nel caso in cui nessuno dei due sia sentito. Il vicepresidente della Corte sancisce una logica del “o tutti, o nessuno”, ritenendo persino l’opzione della non audizione di nessuna delle due parti maggiormente garantista rispetto alla via mediana che veda presentate osservazioni ulteriori solo della parte istante.

Tale soluzione potrebbe in un primo momento apparire in contrasto con la ripartizione dell’onere della prova e le esigenze di celerità tipiche del procedimento cautelare: da un lato spetta al ricorrente dimostrare la sussistenza dei tre requisiti necessari all’ottenimento di misure interinali; dall’altro la Commissione si trova in una posizione privilegiata, godendo i suoi atti di una presunzione di legittimità, e tali elementi potrebbero pertanto apparire idonei a fondare una temporanea deroga alla parità delle armi delle due parti.

Ebbene, il vicepresidente della Corte ha evidentemente, seppur implicitamente, escluso tale possibilità richiamando l’ordinanza Akhras c. Consiglio e la giurisprudenza ivi citata. In tale pronuncia, infatti, viene osservato come il soggetto che chieda di accedere alla tutela interinale abbia due obblighi: i) presentare una domanda cautelare che sia autosufficiente, cioè che consenta «di per sé, alla parte convenuta di predisporre le proprie osservazioni e al giudice dei procedimenti sommari di pronunciarsi su tale domanda se, del caso, senza ulteriori informazioni a sostegno, in quanto gli elementi essenziali di fatto e di diritto su cui essa è fondata devono emergere dal testo stesso della domanda» (punto 36 dell’ordinanza in commento); ii) presentare «salvo casi eccezionali, fin dalla fase della presentazione della sua domanda, tutti gli elementi di prova disponibili a sostegno di quest’ultima» (punto 37). Occorre osservare, dunque, come sia già la stessa procedura cautelare in generale, ed eventualmente l’adozione di misure interinali inaudita altera parte, a garantire al soggetto istante una posizione che in parte gli permetta di ridurre la distanza e il vantaggio processuale di cui gode la Commissione, nonché qualsiasi altra istituzione dell’Unione di cui venga impugnato un atto. La temporanea deroga al principio della parità delle armi di cui supra, pertanto, è integrata dalla tutela cautelare stessa e non si può pretendere che l’eventuale incapacità della parte istante di adempiere agli obblighi processuali imposti dal procedimento interinale venga tamponata dall’adozione da parte del giudice di misure di organizzazione o di mezzi istruttori, che è per quest’ultimo una mera facoltà e non di certo un atto dovuto. Il giudice è quindi tenuto a valutare la bontà dell’istanza cautelare sulla base degli elementi messigli a disposizione dal soggetto procedente: se la ritiene fondata o apparentemente fondata, potrà derogare al principio del contraddittorio e della parità delle armi adottando un’ordinanza inaudita altera parte; ma, se successivamente ritiene di dover interrogare la parte istante e reputa – nonostante le esigenze di celerità – di dover/poter procedere ex artt. 88 e ss. RP del Tribunale, allora egli dovrà “trovare il tempo” di audire entrambe le parti, non essendo a questo punto più giustificata alcuna deroga ai principi cardine dell’effettività della tutela, primo fra tutti quello del contraddittorio, che torna così ad operare pienamente.

Tale rilievo trova conforto nel fatto che all’eventuale violazione del diritto di essere sentito non segua l’illegittimità della pronuncia solo in due casi: quello in cui, una volta posto un quesito ad una delle parti, il contenuto della risposta allo stesso non contenga elementi decisivi per la definizione della causa di cui trattasi (Romania c. Commissione, punto 77), e quello in cui vi sia impossibilità di prendere posizione su un elemento di prova che non era disponibile alla data di deposito della domanda di provvedimenti provvisori (come accaduto in Anglo Austrian AAB e Belegging-Maatschappij “Far-East” c. BCE, punto 42) purché tale circostanza non derivi dall’adozione da parte del presidente del Tribunale di una misura di organizzazione del procedimento.

Nel caso di specie, dunque, il fatto che nel primo grado cautelare il presidente del Tribunale – vista la memoria scritta della Commissione in cui essa affermava che le informazioni contenute nel registro di cui all’art. 39 del regolamento 2022/2065 dovessero già essere pubblicate in ragione di altri atti dell’Unione, e non fossero quindi informazioni riservate – abbia invitato ex art. 88 RP Amazon a prendere posizione su questo stesso rilievo, ed abbia poi fondato la propria decisione sugli elementi aggiuntivi forniti dal ricorrente nell’ulteriore risposta, senza tuttavia permettere alla Commissione di esprimersi al riguardo, non può che ritenersi un vizio di procedura determinante l’illegittimità della pronuncia.

E infatti, il vicepresidente della Corte identifica tanto una violazione del principio del contraddittorio integrata dal mancato invito nei confronti della Commissione a prendere posizione sulla risposta fornita da Amazon (punto 53 della pronuncia in commento), quanto una violazione dell’ulteriore garanzia della parità delle armi in ragione della mancata adozione di un’ulteriore misura di organizzazione a sua volta richiesta dalla Commissione (punto 54).

Il giudice del puorvoi ha dunque proceduto ad affermare l’illegittimità della pronuncia di primo grado e a sancirne il conseguente annullamento, seppur limitatamente alla parte in cui concede la sospensione dell’art. 39 del regolamento 2022/2065, non ritenendo che tale vizio di procedura inficiasse il diniego della sospensione dell’art. 38 del medesimo atto, fondato sulle motivazioni contenute nelle memorie delle parti, e non nella misura di organizzazione del procedimento (punto 59).

Ma il vicepresidente della Corte non si è fermato qui. Ritenuto, infatti, reinstaurato il contraddittorio giacché «la Commissione ha presentato dinanzi alla Corte gli argomenti che essa intendeva opporre agli elementi dedotti nella risposta di Amazon» (punto 65) cui la Guardiana dei Trattati non aveva potuto controbattere in primo grado, e vista la richiesta di quest’ultima a che la Corte si pronunci definitivamente sulla controversia, il giudice ha ritenuto di procedere in tal senso, avocando a sé la causa ex art. 61 dello Statuto della Corte.

Egli si è occupato, innanzitutto, di verificare la sussistenza degli elementi del fumus boni iuris e del periculum in mora, risolvendo tale questione in senso positivo secondo argomentazioni in parte coincidenti con quanto rilevato dal Tribunale.

Completamente opposto è risultato, invece, il giudizio relativo al bilanciamento degli interessi. Infatti, in primo grado il presidente del Tribunale aveva ritenuto che la pronuncia di definizione del procedimento principale sarebbe stata resa inutile dalla mancata adozione di provvedimenti provvisori, e che comunque questi ultimi non avrebbero fatto altro che mantenere invariato lo status quo. Al contrario, il vicepresidente della Corte ha sottolineato che, anche in caso di mancata concessione di misure cautelari, Amazon manterrà un certo interesse nei confronti della detta pronuncia, in grado di far cessare gli obblighi pro futuro, portando così al «ripristino di un ambiente commerciale più interessante» e alla possibilità di «sviluppare nuove strategie nella conduzione [dell’]attività pubblicitaria». Non solo, il giudice cautelare della Corte ha considerato che la tutela interinale determinerebbe un vantaggio per Amazon rispetto alle altre società designate dalla Commissione come piattaforme digitali di dimensioni molto grandi, poiché queste ultime rimarrebbero obbligate a dare attuazione all’art. 39 del regolamento 2022/2095, alterando significativamente lo statuts quo sussistente (punto 163). Vista, poi, l’importanza attribuita dal legislatore dell’Unione agli obiettivi perseguiti con il citato Regolamento, quali buon funzionamento del mercato interno e garanzia di un ambiente online sicuro, prevedibile e affidabile in cui siano tutelati i diritti fondamentali sanciti dalla Carta – rilevanza deducibile anche dal fatto che nei confronti di talune disposizioni delle stesse (tra cui proprio l’art. 39) viene prevista un’entrata in vigore anticipata – il vicepresidente della Corte  ha  ribaltato il bilanciamento precedentemente esperito, facendo prevalere gli interessi tutelati dal legislatore dell’Unione su quelli materiali vantanti da Amazon (punto 164).

La breve disamina relativa agli aspetti sostanziali della pronuncia a seguito dell’avocazione, e in particolare rispetto alla condizione relativa al bilanciamento degli interessi, è l’occasione per un’ultima osservazione di carattere procedurale. I requisiti previsti per la concessione di una misura cautelare, quali fumus boni iuris, periculum in mora e prevalenza degli interessi dell’istante su quelli dell’Unione, sono notoriamente condizioni fra loro cumulative, tali per cui il mancato soddisfacimento di anche solo una di esse osta all’adozione di qualsivoglia provvedimento interinale. Ebbene, tale elemento, coniugato con la piena discrezionalità attribuita al giudice cautelare riguardo alla scelta dell’ordine secondo cui procedere nell’analisi dei tre requisiti (su tali aspetti v. M. F. Orzan, 2023, cit., p. 64 ss.), attribuisce particolare significato al fatto che il vicepresidente della Corte abbia comunque deciso di valutare tutti e tre le condizioni, ponendo per ultimo il bilanciamento degli interessi. Siffatta scelta, invero, può essere letta come un ulteriore implicito contemperamento delle contrapposte esigenze derivanti dal principio di effettività della tutela. Infatti, qualora il giudice avesse preso in considerazione il solo elemento della tempestività della tutela cautelare al fine di garantire l’efficacia della pronuncia finale, aspetto che impone di procedere quanto più celermente possibile, egli avrebbe ben potuto (e forse dovuto) compiere immediatamente il bilanciamento degli interessi e – una volta preso atto del disfavore dello stesso nei confronti di Amazon – trascurare le altre due condizioni. Il fatto, invece, che l’analisi del fumus boni iuris e del periculum in mora non solo sia presente, ma sia stata addirittura anteposta al bilanciamento, ben può essere ricondotta alla volontà del giudice di garantire la piena effettività della tutela nella sua sub-componente della motivazione della decisione.

Anche da tale ulteriore aspetto può, dunque, dedursi la centralità assoluta dell’effettività della tutela e di tutti i suoi elementi, che non possono mai essere sacrificati tout court dal giudice, nemmeno gli uni in ragione degli altri, imponendo pertanto un obbligo di contemperamento degli stessi al fine di garantire il giusto equilibrio tra tutte le esigenze delle parti.