La richiesta (negata) delle associazioni dei giudici rumeni ad ottenere la legittimazione ad agire dinnanzi alle autorità nazionali in forza del diritto UE
Corte giust., 8 maggio 2024, causa C-53/23, Forumul Judecătorilor din România (Associations de magistrats)
La demande (refusée) des associations de juges roumains d’obtenir la qualité pour agir en vertu du droit communautaire devant les autorités nationales
The (denied) request of the Romanian judges’ associations to obtain legal standing under EU law before the national authorities
1. Nella causa C-53/23 la Corte di giustizia è stata chiamata a pronunciarsi sulla seguente questione: se le associazioni di giudici e procuratori rumeni (rispettivamente l’Asociaţia «Forumul Judecătorilor din România» e l’Asociația «Mișcarea pentru Apărarea Statutului Procurorilor»), istituite allo scopo di promuovere l’indipendenza, l’imparzialità e l’efficienza del sistema giudiziario, possono fondarsi sugli artt. 2 e 19, par. 1, TUE, interpretati alla luce degli artt. 12 e 47 CdFUE. Siffatta domanda è funzionale a dimostrare la legittimazione delle associazioni citate a proporre un ricorso dinanzi a un giudice nazionale per il perseguimento degli obiettivi suddetti.
La questione riguarda, dunque, il rapporto tra il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva dinanzi ai giudici nazionali in forza del diritto dell’Unione e le norme nazionali in materia di legittimazione ad agire.
Si comprende immediatamente che la domanda pregiudiziale è inedita in quanto nel contesto della Rule of Law il tema della legittimazione ad agire delle associazioni si è posto in relazione all’art. 263, comma 4, TFUE. In particolare, la questione giuridica preliminare che la Corte di giustizia si è trovata di recente (e si troverà ancora) ad affrontare – nel caso Mendel (di cui si dirà) – aveva ad oggetto l’integrazione o meno da parte delle associazioni dei giudici delle condizioni per poter impugnare un atto di diritto dell’Unione al fine di chiederne l’annullamento (sul tema del locus standi A. Pezza, R. Mastroianni, 2015; C. Amalfitano, 2021; e in materia ambientale dove il tema si è particolarmente sviluppato si v. G. Contaldi, 2022; I. Anrò, 2022; I. Hadjiyianni, 2021). In questo caso, invece, il problema della legittimazione ad agire si pone in relazione alle norme processuali interne, la cui portata limitata, secondo le ricorrenti, confliggerebbe con le norme di diritto dell’Unione.
Invero, il ragionamento sottostante al rinvio di cui si discute è il seguente: posto che le associazioni dei giudici tutelano uno dei principi che concretizza i valori di cui all’art. 2 TUE, ovverosia l’indipendenza della magistratura, è necessario, affinché gli Stati rispettino l’obbligo di garantire una tutela giurisdizionale effettiva, che queste possano contestare davanti ad un giudice nazionale provvedimenti/atti legislativi nazionali che violano il diritto dell’Unione (soprattutto a fronte di modifiche legislative e sentenze della Corte costituzionale rumena “preoccupanti”, si v. per una panoramica D. Călin, 2024). Pertanto, la scelta dell’ordinamento interno di limitare la legittimazione ad agire delle associazioni, ammettendola solo nei casi in cui la tutela di un interesse pubblico sia strettamente connessa all’esistenza di un interesse privato(art. 8, par. 11, della Legea nr. 554/2004) non dovrebbe considerarsi in linea con le citate disposizioni europee.
La trattazione che segue ha ad oggetto, in primo luogo, la spiegazione del contesto nazionale dal quale origina la domanda pregiudiziale circa la legittimazione ad agire delle associazioni dinnanzi alle autorità nazionali (v. infra par. 2); in secondo luogo, una sintesi accurata delle argomentazioni della Corte che ha negato che la legittimazione ad agire delle associazioni possa fondarsi sul diritto dell’Unione europea, e in particolare sugli artt. 2, 19, TUE e 12 e 47 CdfUE (v. infra par. 3); e, da ultimo, l’impatto di sistema che la pronuncia genera, tenendo in considerazione anche la sentenza relativa al caso Medel in cui il Tribunale ha affrontato il tema della legittimazione ad agire delle associazioni dei giudici in un ricorso per annullamento dinnanzi alla Corte di giustizia (v. infra par. 4).
2.Il contesto nazionale da cui origina la domanda pregiudiziale può essere sintetizzato nei termini che seguono.
Nel 2022 il legislatore rumeno ha adottato la legge n. 49/2022 che ha soppresso la Secția pentru investigarea infracțiunilor din justiție (Sezione per le indagini sui reati commessi all’interno del sistema giudiziario; d’ora in poi SIIJ) e trasferito la competenza (per tutti i reati asseritamente commessi da giudici e procuratori, compreso il reato di corruzione) alla sezione per le indagini penali e criminologiche del PÎCCJ (procura presso l’Alta Corte di cassazione e di giustizia) e alle procure presso le Corti d’appello.
La designazione dei componenti della citata sezione avviene da parte del Parchetul de pe lângă Înalta Curte de Casaţie şi Justiţie – Procurorul General al României (Procuratore generale della Romania), su proposta dell’assemblea plenaria del Consiliul Superior al Magistraturii (Consiglio superiore della magistratura, d’ora in poi CSM).
Nel giugno 2022 il Procuratore generale della Romania ha adottato, su proposta dell’assemblea plenaria del CSM, l’ordinanza n. 108/2022 con la quale ha designato i procuratori incaricati dell’esercizio dell’azione penale. Siffatta ordinanza veniva impugnata dalle associazioni dei giudici presso la Curtea de Apel Pitești (Corte d’appello di Pitești) al fine di ottenerne l’annullamento parziale. In dettaglio, le ricorrenti sostenevano che la legge n. 49/2022, che costituisce la base giuridica dell’ordinanza controversa, fosse in contrasto con gli artt. 2, 4, par. 3, e 19, par. 1, comma 2, TUE, e altresì con l’allegato IX all’Atto relativo alle condizioni di adesione e con la decisione 2006/928/CE della Commissione (d’ora in poi la decisione MCV). Sennonché, prima delle questioni di merito citate, è stato necessario affrontare un ulteriore profilo preliminare problematico: la legittimazione delle associazioni a livello interno a chiedere l’annullamento di una ordinanza di designazione dei procuratori.
Infatti, da una parte, il Procuratore generale, contestando la ricevibilità del ricorso, ha argomentato che le ricorrenti non sarebbero legittimate a chiedere il controllo giurisdizionale dell’ordinanza, posto che il ricorso si fondava su un legittimo interesse pubblico e non su un diritto soggettivo o su un legittimo interesse privato, come richiesto dal diritto nazionale. In dettaglio, l’ordinanza controversa, secondo il Procuratore, non inciderebbe sulle ricorrenti o sui loro obiettivi, bensì sui procuratori da essa designati. In questa stessa direzione si attesta anche la sentenza n. 8 dell’Inalata Curte de Casație sì Justiție (Alta Corte di cassazione e di giustizia) nella quale si è statuito che «ai fini del controllo di legittimità di un atto amministrativo su richiesta di un’associazione, in qualità di organismo sociale interessato, un legittimo interesse pubblico può essere invocato soltanto in via subordinata a un legittimo interesse privato, derivante da un collegamento diretto tra l’atto amministrativo sottoposto a controllo di legittimità e lo scopo e gli obiettivi diretti dell’associazione, alla luce del suo statuto».
A contrario, le ricorrenti hanno sostenuto la loro legittimazione ad agire sulla base del fatto che la loro attività principale consiste nel difendere lo status dei giudici e dei procuratori, nel promuovere i diritti e i valori di tali professioni e nel tutelare l’indipendenza del potere giudiziario in uno Stato di diritto. Al fine di dimostrare la loro legittimazione ad agire, le ricorrenti: a) hanno invocato, in via analogica, il diritto di ricorso attribuito dal diritto derivato dell’Unione ad associazioni per la tutela dell’ambiente (sul punto si v. la dottrina precedente e in aggiunta G. Contaldi, 2023; L. Di Anselmo, 2022; L. Di Anselmo, 2023); b) hanno sostenuto che la giurisprudenza della Corte stabilisce che deve essere disponibile un ricorso a livello nazionale ai fini della tutela dello Stato di diritto e dell’indipendenza dei giudici; c) hanno affermato di disporre di un diritto di ricorso fondato, oltre che sull’art. 47 CdfUE, anche in virtù dell’art. 12 CdfUE.
Su questo conflitto il giudice del rinvio ha deciso di sospendere il procedimento, sottoponendo alla Corte la seguente questione pregiudiziale: se gli artt. 2 e 19, par. 1, comma 2, TUE, in combinato disposto con gli artt. 12 e 47 CdfUE ostino ad una norma nazionale che limita le associazioni professionali dei magistrati a presentare azioni giudiziarie solo qualora sussista un legittimo interesse privato.
3. La Corte di giustizia, come anche l’AG Collins nelle sue conclusioni, ha sostenuto che il diritto dell’Unione non osta a norme nazionali che, in materia di legittimazione ad agire, impongono alle associazioni di giudici e di procuratori di dimostrare un legittimo interesse privato (quale definito dal diritto nazionale) nel contesto di un ricorso di annullamento di atti asseritamente incompatibili con l’indipendenza dei giudici e con lo Stato di diritto.
In particolare, i giudici di Lussemburgo hanno proceduto all’analisi della questione utilizzando il principio di autonomia procedurale, temperato dai principi di equivalenza e di effettività (su questi principi D. U. Galetta, 2009; G. Vitale, 2010; B. Nascimbene e P. De Pasquale, 2023).
Come noto, in virtù del principio di autonomia procedurale spetta agli Stati membri determinare la legittimazione e l’interesse ad agire di un singolo, senza tuttavia ledere il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva di cui all’art. 47 CdfUE (A. M. Romito, 2015; G. Vitale, 2018). Infatti, le disposizioni procedurali nazionali, in virtù del principio di equivalenza, non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna e, in virtù del principio di effettività, non devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (causa C-199/82, San Giorgio, punto 18).
Applicando i suddetti principi al caso di specie, la Corte ha sostenuto che la disposizione nazionale rispetta il limite dell’equivalenza posto che si applica allo stesso modo sia ai ricorsi per la tutela dei diritti derivanti dal diritto dell’Unione che ai ricorsi analoghi di natura interna. In particolare, l’interesse ad agire dei soggetti di diritto privato e, segnatamente, delle associazioni, non è esaminato in modo diverso a seconda che esse intendano far valere un interesse pubblico fondato sul diritto dell’Unione, quale il principio di indipendenza dei giudici, o un interesse pubblico derivante dal diritto nazionale (punto 38). Inoltre, la normativa interna rispetta, altresì, il principio di effettività posto che consente a chiunque dimostri un legittimo interesse privato di impugnare un atto amministrativo anche invocando una conseguente lesione arrecata ad un interesse pubblico (punto 39).
La Corte, poi, spende buona parte delle sue argomentazioni al fine di chiarire che le associazioni dei giudici e dei procuratori non godono di una legittimazione ad agire dinnanzi ai giudici nazionali in forza del diritto dell’Unione.
In primo luogo, tale presunta legittimazione non è prevista da nessuna normativa europea. In altri termini, non esiste un obbligo per gli Stati membri di garantire alle associazioni professionali di magistrati diritti procedurali che consentano loro di impugnare ogni supposta incompatibilità con il diritto dell’Unione di una disposizione o di una misura nazionale connessa allo status dei giudici (punto 43).
In secondo luogo, l’obbligo di garantire la legittimazione ad agire alle citate associazioni non si può ricavare dagli artt. 19, par. 1, TUE e 47 CdfUE perché queste disposizioni stabiliscono l’obbligo di prevedere un sistema di rimedi giurisdizionali al fine di consentire ai singoli il rispetto del loro diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione e non al fine di assicurare a tali associazioni il diritto di proporre un ricorso fondato su una incompatibilità con il diritto dell’Unione che non lede il singolo (punto 44). Infatti, la Corte continua affermando che un diritto delle associazioni professionali di magistrati di stare in giudizio contro misure come quelle del procedimento principale non può nemmeno essere tratto dall’art. 47 CdfUE visto che, il riconoscimento del diritto a un ricorso effettivo, in un determinato caso di specie, presuppone che la persona (o meglio un giudice o un procuratore) che lo invoca si avvalga di diritti o di libertà garantiti dal diritto dell’Unione (punti 60-61).
In terzo luogo, la legittimazione ad agire delle associazioni dinnanzi al giudice nazionale non può nemmeno discendere dall’art. 12 CdfUE poiché esso si limita a sancire la libertà di associazione, senza esigere che le associazioni siano necessariamente autorizzate ad agire in giudizio per tutelare un obiettivo di interesse generale (punto 46).
Da ultimo, la Corte rileva che norme che escludono la possibilità per le associazioni professionali di magistrati di proporre un ricorso avverso decisioni relative alla nomina di procuratori non risultano tali da pregiudicare direttamente il requisito dell’indipendenza, dal momento che dette norme non possono, in quanto tali, ostacolare la capacità dei giudici di esercitare le loro funzioni in modo autonomo ed imparziale (punto 50). E tra l’altro, non si può ritenere che il solo fatto che una normativa nazionale non autorizzi le associazioni professionali di magistrati a proporre un ricorso di annullamento avverso le citate decisioni di nomina sia sufficiente a generare, nella mente dei singoli, dubbi legittimi quanto all’indipendenza dei giudici (punto 58).
Alla luce delle suesposte considerazioni la Corte ha stabilito che gli artt. 2 e 19, par. 1, TUE, in combinato disposto con gli articoli 12 e 47 della CdfUE, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che, subordinando all’esistenza di un legittimo interesse privato la ricevibilità di un ricorso di annullamento avverso la nomina di procuratori competenti ad esercitare l’azione penale nei confronti dei magistrati, esclude che un tale ricorso possa essere proposto da associazioni professionali di magistrati al fine di tutelare il principio dell’indipendenza dei giudici.
4. La conclusione a cui giunge la Corte risulta ineccepibile dal punto di vista giuridico.
Che la Corte non potesse far discendere dal combinato disposto degli artt. 2 e 19 TUE e 12 e 47 CdfUE la legittimazione ad agire dinnanzi ad un giudice nazionale era prevedibile se solo si pensa al fatto che nel diritto dell’Unione le associazioni, in quanto ricorrenti non privilegiati, per richiedere l’annullamento di un atto devono dimostrare i requisiti di cui all’art. 263, comma 4, TFUE. Si aggiunga che rispetto al requisito «dell’individualmente interessato» la Corte ha stabilito che nei casi in cui il ricorrente sia una associazione tale criterio sussiste quando si è in presenza di una di queste situazioni: a) una disposizione di legge concede all’associazione una serie di diritti procedurali; b) l’associazione rappresenta gli interessi dei suoi membri, che sarebbero a loro volta legittimati a intentare un’azione legale; c) gli interessi dell’associazione sono toccati, e in particolare per la sua posizione di negoziatore, dall’atto dell’UE in questione (causa T-122/96, Federolio c. Commissione). In altri termini, difficilmente la Corte avrebbe potuto sostenere che le norme procedurali rumene – che richiedono che un legittimo interesse pubblico può essere invocato dalle associazioni soltanto in via subordinata a un legittimo interesse privato (derivante da un collegamento diretto tra l’atto amministrativo sottoposto a controllo di legittimità e lo scopo e gli obiettivi diretti dell’associazione) – siano contrastanti con il diritto dell’Unione. L’effetto sarebbe stato quello di obbligare gli Stati membri ad una apertura eccessiva in tema di legittimazione ad agire che, invero, non è garantita neanche dall’ordinamento europeo.
Sebbene il giudice a quo abbia utilizzato come parametri interpretativi gli artt. 2, 19, par. 2, TUE e 47 CdfUE, tentando, così, di ampliare ulteriormente la portata della nota sentenza ASJP, in ragione della quale la Corte ha vagliato le legislazioni nazionali nella materia – di competenza degli Stati membri – dell’amministrazione della giustizia, in questa occasione il “grimaldello” dell’obbligo di garantire una tutela giurisdizionale effettiva ex artt. 19 TUE e 47 CdfUE non ha funzionato (si v. N. Lazzerini 2022). Come la dottrina ha avuto modo di chiarire (N. Lazzerini, cit.), l’utilizzo – che anche in questo caso se ne voleva fare – delle due ultime disposizioni citate ha avuto la scopo di “superare la normativa nazionale vigente laddove non consentisse di offrire, in una situazione disciplinata dal diritto dell’Unione, una tutela giurisdizionale effettiva”.
Tuttavia, nel caso di specie il tema che si pone non è quello di garantire una tutela giurisdizionale effettiva. Questo è un “falso” problema giuridico. Infatti, la tutela giurisdizionale effettiva, nel caso di specie, è garantita dalle norme nazionali sia in relazione alle associazioni, sia con riferimento alle parti interessate lese dalla misura nazionale (dunque giudici e procuratori) che hanno il diritto di far valere il rispetto dei requisiti di cui all’art. 19 TUE. La questione sottoposta alla Corte, invero, è volta a consentire alle associazioni dei giudici di ottenere una sorta di legittimazione costituzionale a proporre azioni giudiziarie a livello interno (e di conseguenza anche a livello UE) derivante dall’ordinamento europeo. In altri temini, se, da una parte, il quesito posto alla Corte di giustizia sembrava quasi ultroneo, nel senso che l’applicazione del principio di autonomia procedurale e dei limiti di equivalenza ed effettività avrebbero condotto inevitabilmente alla conclusione pronunciata dai giudici di Lussemburgo; dall’altra parte, la domanda del giudice a quo diviene comprensibile se si tiene conto della “ratio politica” della stessa. In particolare, nel contesto della Rule of Law Backsliding, il rinvio pregiudiziale di cui si discute ha costituito un tentativo di elevare le associazioni dei giudici e dei procuratori ad attori protagonisti – al pari del «giudice comune» il cui ruolo fondamentale si evince, tre le altre sentenze della Corte, in quella relativa al caso A.K. (M. Krajewski and M. Ziółkowski, 2020) – direttamente legittimati dal diritto UE a difendere l’indipendenza del giudice.
Sennonché, tale possibilità sembra essere (almeno per il momento) esclusa se si tengono in considerazione alcune delle argomentazioni tranchant compiute nell’ordinanza relativa al caso Medel et al., in cui il Tribunale ha dichiarato irricevibili i ricorsi delle quattro associazioni dei giudici che avevano avanzato un ricorso per annullamento relativo all’approvazione del PNRR polacco da parte del Consiglio (per la ricostruzione della vicenda M. Lanotte, 2022; M. Lanotte, 2022). In particolare, il Tribunale ha ritenuto che, nel caso di specie, le associazioni dei giudici europei non sono dotate di poteri procedurali perché non previsti né dalla decisione del Consiglio, né dal regolamento in base al quale tale decisione è stata adottata (punto 43). Il Tribunale si spinge oltre, facendo una considerazione più generale, e argomenta, in sostanza, che la legittimazione ad agire alle associazioni non è concessa nemmeno dall’art. 2 TUE. Ciò si ricava leggendo un passaggio dell’ordinanza in cui il Tribunale sostiene che l’argomento delle ricorrenti in virtù del quale «al fine di garantire una tutela giurisdizionale effettiva del potere giudiziario, in particolare alla luce del valore dello Stato di diritto, sancito all’articolo 2 TUE, occorrerebbe riconoscere loro talune prerogative procedurali, si deve constatare che nessuna disposizione di legge ha attribuito alle ricorrenti prerogative al fine di garantire una siffatta tutela nel contesto del dispositivo» (punto 43). Parimenti, il fatto che le associazioni dei giudici intervengano come interlocutori abituali delle istituzioni dell’Unione sulla questione dell’indipendenza della magistratura non fonda comunque la loro legittimazione ad agire (punti 41, 46-47).
Si aggiunga che il Tribunale ha riflettuto, inoltre, sui requisiti richiesti a norma dell’art. 263, comma 4, TFUE letti alla luce del diritto fondamentale a una tutela giurisdizionale effettiva, e ha affermato che: a) l’interpretazione non deve giungere ad escludere l’applicazione dei requisiti espressamente stabiliti dal Trattato (punto 113); b) la tutela conferita dall’art. 47 CdfUE non ha ad oggetto la modifica del sistema di controllo giurisdizionale previsto dai Trattati, ed in particolare le norme relative alla ricevibilità dei ricorsi proposti direttamente dinanzi ai giudici dell’Unione (punto 114); c) che la tutela conferita dall’art. 47 CdfUE non esige che un singolo possa, in modo incondizionato, proporre un ricorso di annullamento contro atti dell’Unione direttamente dinanzi al giudice dell’Unione (punto 115).
Ancora, e anche questa pare una riflessione che potrà valere pro futuro, il Tribunale spiega che le carenze sistemiche del sistema giudiziario in Polonia «non possono giustificare, in ogni caso, che il Tribunale deroghi al requisito dell’incidenza diretta che si applica ai ricorsi proposti da persone fisiche o giuridiche, conformemente all’articolo 263, quarto comma, TFUE» (punto 117, corsivo per enfatizzare).
È evidente, allora, che la lettura di entrambe le sentenze – seppure sintetica e nelle sue linee essenziali – faccia emergere da un lato, l’attivismo giudiziario delle associazioni di giudici e procuratori atto a tutelare l’indipendenza della magistratura (si legga sul tema del ruolo crescente dell’associazionismo giudiziario M. Frąckowiak, 2024); dall’altro lato, la cautela della Corte nel rinvio pregiudiziale nella causa C-53/23, a non oltrepassare la sua competenza imponendo agli Stati membri norme procedurali che consentono alle associazioni di impugnare atti dinnanzi al giudice nazionale che si sospettano in violazione del principio dell’indipendenza. Ciò vale, a fortiori, se si considera che il Tribunale ha stabilito chiaramente che, in assenza di una violazione della tutela giurisdizionale effettiva, la legittimazione ad agire delle associazioni non può discendere dall’art. 2 TUE e che le maglie del test Plaumann non possono essere allargate al fine di aumentare il numero degli strumenti volti a difendere l’indipendenza del giudici anche laddove si sia in presenza di carenze sistemiche e generalizzate (T. Boekestein, 2021).