Giorno dopo giorno: ulteriori sviluppi su mandato d’arresto europeo e tutela dei diritti fondamentali nella sentenza Breian della Corte di giustizia
Corte giust., 29 luglio 2024, causa C-318/24 PPU, Breian
Jour après jour : nouveaux développements sur le mandat d’arrêt européen et la protection des droits fondamentaux dans l’arrêt Breian de la CJUE
Day After Day: Further Developments on the European Arrest Warrant and the Protection of Fundamental Rights in the CJEU’s Breian Judgment
1. Quanto sostenuto dalla Corte di giustizia nel parere 2/13 sull’adesione dell’Unione europea alla Convenzione europea sui diritti dell’uomo (CEDU) con riferimento alla fiducia reciproca è cosa nota: si tratta di un principio di importanza fondamentale poiché consente la creazione e il mantenimento di uno spazio senza frontiere interne e che impone a ogni Stato membro «segnatamente per quanto riguarda lo spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia, di ritenere, tranne in circostanze eccezionali, che tutti gli altri Stati membri rispettano il diritto dell’Unione e, più in particolare, i diritti fondamentali riconosciuti da quest’ultimo» (punto 191).
A partire dalla sentenza Aranyosi e Căldăraru del 2016, i giudici di Lussemburgo hanno dato rilievo all’inciso concernente le circostanze eccezionali per assicurare tutela ai diritti fondamentali nell’ambito della procedura di consegna disciplinata dalla decisione quadro 2002/584/GAI sul mandato d’arresto europeo (MAE), posto che tale atto non prevede un motivo di rifiuto del riconoscimento e dell’esecuzione relativo a questo aspetto (per un commento alla sentenza, G. Anagnostaras, 2016; N. Lazzerini, 2016; S. Gáspár-Szilágyi, 2016; per un’introduzione alla situazione anteriore, C. Amalfitano, 2013).
Con riferimento al divieto di trattamenti inumani o degradanti (art. 4 della Carta dei diritti fondamentali) e, in particolare, alla questione del sovraffollamento carcerario, la Corte ha sostenuto che, se l’autorità giudiziaria di esecuzione identifica un rischio di violazione a opera dello Stato membro di emissione, quel rischio deve costituire oggetto di una valutazione fondata su un esame in due fasi.
In primo luogo, devono essere presi in considerazione elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati sulle condizioni di detenzione negli istituti di pena dello Stato membro di emissione, che permettano di ritenere dimostrate carenze sistemiche, generalizzate, che colpiscono determinati gruppi di persone o determinati centri di detenzione. Gli elementi in parola possono identificarsi in decisioni rese da Corti internazionali, in primis dalla Corte di Strasburgo, e da autorità giudiziarie dello Stato membro di emissione, nonché in atti e documenti di organizzazioni internazionali, quali il Consiglio d’Europa o le Nazioni Unite.
Ove le carenze non siano dimostrate, l’autorità giudiziaria di esecuzione deve riconoscere ed eseguire il MAE, procedendo poi alla consegna. In caso contrario, si tratta di verificare, in modo concreto e preciso, se sussistano motivi gravi e comprovati che inducono a reputare che il destinatario del MAE corra il rischio di vedere violato il suo diritto perché esposto a quelle carenze. A tal fine, è necessario uno scambio di informazioni con l’autorità giudiziaria di emissione ai sensi dell’art. 15, par. 2, della decisione quadro. Se, grazie alle informazioni in tal modo conseguite, è possibile escludere il rischio, il MAE deve essere eseguito; altrimenti, l’autorità giudiziaria di esecuzione decide se terminare la procedura di consegna.
È stata così delineata una forma di controllo decentrato a livello degli Stati membri quanto alla protezione dei diritti (S. Montaldo, 2016), che ha in seguito trovato conferma nella giurisprudenza della Corte di giustizia non solamente per quanto attiene al divieto di trattamenti inumani o degradanti (sentenze ML e Dorobantu; su questi aspetti A. Gaudieri, 2020), ma anche al diritto a un giudice indipendente (sentenze LM e L e P; per un commento, T. Kostadinides, 2019 e A. Frackowiak-Adamska, 2022) e costituito per legge (sentenza Openbaar Ministerie (Tribunal établi par la loi dans l’État membre d’émission) e ordinanza Minister for Justice and Equality (Tribunal établi par la loi dans l’État membre d’émission – II), al diritto a essere giudicato da un giudice non manifestamente incompetente (sentenza Puig Gordi; per un commento, J. Solanes Mullor, 2023) e al diritto al rispetto della vita privata e familiare e all’interesse superiore del minore (sentenza GN (Motif de refus fondé sur l’intérêt supérieur de l’enfant); per un commento, A. Rosanò, 2024). Inoltre, la Corte ha riconosciuto, procedendo per via analogica, che l’esame in due fasi trova applicazione anche in relazione alla decisione quadro 2008/909/GAI sul trasferimento dei detenuti (sentenza Staatsanwaltschaft Aachen).
È dunque emerso un orientamento giurisprudenziale significativo, funzionale a garantire un bilanciamento tra fiducia reciproca e tutela dei diritti fondamentali (per una ricostruzione di tale orientamento, S. Marino, 2018 e A. Rosanò, 2024; in generale, sulle garanzie nell’ambito della cooperazione giudiziaria, G. Biagioni, 2024), il quale, il 29 luglio 2024, si è arricchito di un ulteriore tassello, offerto dalla sentenza Breian (causa C-318/24 PPU). Con tale pronuncia la Corte di giustizia ha risposto a numerose questioni pregiudiziali su profili di ordine sia sostanziale, sia procedurale, relativi, da un lato, al diritto a un giudice costituito per legge e alle condizioni di detenzione, e, dall’altro, alla valutazione che deve essere condotta dall’autorità giudiziaria di esecuzione, al rifiuto di eseguire opposto dall’autorità giudiziaria di uno Stato membro e agli effetti da ricollegare a tale decisione, nonché all’eventuale partecipazione dell’autorità giudiziaria di emissione al procedimento dinanzi a quella di esecuzione.
La trattazione che segue intende dare conto di questi nuovi sviluppi nella giurisprudenza della Corte, chiarendo quanto risultante dai fatti di causa e dalle conclusioni dell’Avvocato generale (v. infra par. 2), per poi illustrare la pronuncia dei giudici di Lussemburgo (v. infra par. 3). Viene infine offerto qualche spunto sugli effetti da ricondurre a una decisione definitiva con cui l’autorità giudiziaria di esecuzione rifiuta di eseguire un MAE e sul principio di proporzionalità in relazione al mantenimento del MAE da parte dell’autorità giudiziaria di emissione a seguito della decisione, emessa dall’autorità di esecuzione, di rifiutare la consegna (v. infra par. 4).
2. La causa trae origine da un MAE in executivis emesso nel 2020 dalla Corte d’appello di Brasov (Romania) nei confronti di P.R.R., poi arrestato in Francia nel 2022. La Corte d’appello di Parigi rifiuta la consegna alle autorità rumene, rilevando che il sistema giudiziario dello Stato membro richiedente sarebbe affetto da carenze sistemiche, da ricondursi al fatto che, dei tre giudici dell’Alta Corte di cassazione e di giustizia rumena coinvolti nella pronuncia definitiva di condanna, uno avrebbe sicuramente giurato come pubblico ministero, ma non si trova il verbale attestante il suo giuramento come giudice, e di un altro non si ravvisa prova della prestazione del giuramento. Ciò porrebbe dunque un problema quanto al rispetto del diritto a un giudice indipendente e imparziale costituito per legge ex art. 47, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali. Ulteriormente, la Corte d’appello di Parigi considera che, in relazione al caso di P.R.R., la Commissione per il controllo dei fascicoli dell’Interpol (CCF) ha assunto una decisione con cui i dati del soggetto in questione sono stati cancellati dai fascicoli dell’organizzazione a causa di preoccupazioni riguardanti la connotazione politica del procedimento penale a carico di P.R.R. e il rispetto dei suoi diritti fondamentali.
Nell’aprile 2024, P.R.R. viene tratto in arresto a Malta in esecuzione del MAE rumeno. Tuttavia, prima di procedere all’esecuzione, l’autorità giudiziaria maltese chiede informazioni supplementari all’autorità giudiziaria di emissione, mettendo in evidenza che il destinatario del MAE, per sostenere le proprie ragioni e non essere consegnato, ha richiamato la decisione di rifiuto emessa dalla Corte d’appello di Parigi (sui fatti, v. ordinanza di rinvio).
Alla luce di tale situazione, la Corte d’appello di Brasov pone sette questioni pregiudiziali alla Corte di giustizia.
Con la prima viene chiesto se l’autorità giudiziaria di esecuzione debba rifiutare la consegna perché l’autorità giudiziaria di esecuzione di un altro Stato membro ha reso una sentenza definitiva con la quale ha stabilito di non procedere a eseguire il medesimo mandato. Secondo l’avvocato generale Kokott, ferma la rilevanza che il principio di res judicata ha nell’ordinamento dell’Unione europea e in quegli degli Stati membri, la decisione quadro 2002/584/GAI non prevede che il rifiuto di eseguire un MAE in uno Stato membro ne impedisca l’esecuzione in altri Stati membri (punti 30, 32). In particolar modo, viene rilevato che né la fiducia reciproca, né il reciproco riconoscimento permettono di giungere a una conclusione differente, visto che l’autorità giudiziaria di esecuzione è tenuta a eseguire un MAE e ciò integra una regola generale, derogabile solamente in casi eccezionali, che devono costituire oggetto di interpretazione restrittiva (punto 40). Tutt’al più, in ragione del principio di fiducia reciproca, si deve riconoscere che l’autorità giudiziaria di esecuzione deve prendere debitamente in considerazione la sentenza resa da un’altra autorità e passata in giudicato, soprattutto se teme una violazione dei diritti fondamentali della persona richiesta, mentre l’autorità di emissione deve valutare se mantenere o revocare il MAE (punti 42-43).
Direttamente connessa a tale prima questione è la quarta, con la quale si cerca di stabilire se l’autorità giudiziaria di emissione possa verificare la compatibilità del rifiuto di consegnare con il diritto dell’Unione o debba porre una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia. Da giurisprudenza costante di quest’ultima risulta che un obbligo di rinvio sussiste solamente in presenza di un rischio per l’uniforme applicazione del diritto dell’Unione, che si verifica quando a pronunciarsi sulla controversia sia un giudice di ultima istanza (punto 51). Dunque, ferma tale ipotesi, l’autorità giudiziaria di emissione è legittimata a controllare se il rifiuto definitivo di consegna sia compatibile con il diritto dell’Unione senza ricorrere allo strumento del rinvio pregiudiziale di interpretazione, purché contro la sua decisione possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno (punto 54).
La seconda questione riguarda la possibilità di non eseguire un MAE quando siano constatate irregolarità nella prestazione del giuramento dei membri del collegio giudicante dell’organo giurisdizionale che ha pronunciato la sentenza di condanna, tenuto conto di quanto dispone l’art. 47, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali quanto al diritto a un giudice costituito per legge. Al riguardo, l’Avvocato generale richiama non soltanto la giurisprudenza Aranyosi e Căldăraru sull’esame in due fasi (punto 57), ma anche altre pronunce con cui la Corte di giustizia ha riconosciuto che non qualsiasi irregolarità è idonea a determinare un dubbio legittimo circa la qualità di organo giurisdizionale indipendente e imparziale, costituito per legge, dovendosi invece considerare la natura e la gravità dell’irregolarità in questione e se assumano rilievo norme fondamentali che costituiscono parte integrante dell’istituzione e del funzionamento del sistema giudiziario (punto 63; v. sentenze Réexamen Simpson / Consiglio e Getin Noble Bank). Inoltre, viene fatto riferimento all’orientamento della Corte di Strasburgo secondo cui solo le violazioni manifeste delle norme nazionali possono determinare una lesione dell’art. 6 CEDU (punto 64; v. sentenza Guðmundur Andri Ástráðsson c. Islanda). Per quel che attiene al giuramento dei giudici, il rifiuto di provvedervi potrebbe configurare una violazione sufficientemente grave (punto 67), ma, nella fattispecie concreta, il problema pare riguardare più che altro la difficoltà di reperire prova del giuramento, ossia il verbale. Infatti, nel caso di uno dei membri dell’Alta Corte di cassazione e di giustizia che hanno condannato in via definitiva P.R.R., tale documento non è rintracciabile mentre, con riferimento a un altro membro, è disponibile il verbale del giuramento da pubblico ministero, ma manca quello del giuramento da giudice (punti 68-69, 78). Pertanto, non pare sussistere un rischio che il soggetto condannato debba scontare una pena resa da un giudice non costituito per legge (punto 82).
La terza questione concerne la rilevanza da attribuire a una decisione della CFF dell’Interpol. Secondo l’Avvocato generale, essa non è vincolante per l’autorità giudiziaria di esecuzione, però può comunque essere presa in considerazione per verificare se nello Stato membro di emissione siano in atto carenze sistemiche o generalizzate e se il destinatario del MAE debba temere una violazione concreta dei suoi diritti (punti 90-91).
Con la quinta questione si mira a stabilire se i principi di riconoscimento reciproco, fiducia reciproca e leale cooperazione, in combinato disposto con la necessità di garantire una tutela giurisdizionale effettiva, in relazione anche alla disciplina sul MAE, permettano alle autorità giudiziarie di emissione di partecipare direttamente al procedimento di esecuzione e di utilizzare un mezzo di ricorso contro la decisione relativa al rifiuto della consegna. Sul punto, l’Avvocato generale rileva che la decisione quadro 2002/584/GAI non vieta tale forma di partecipazione, ma neppure la impone (punto 97). Quindi, la possibilità che ciò si verifichi è rimessa all’autonomia processuale degli Stati membri (punto 98).
La sesta questione intende stabilire se l’autorità giudiziaria di emissione possa adire la Commissione europea ove ritenga che il rifiuto di consegna opposto da un’autorità giudiziaria dell’esecuzione pregiudichi gravemente i principi di fiducia reciproca e leale cooperazione. Secondo l’Avvocato generale, posto che l’esecutivo europeo può avviare una procedura d’infrazione anche ove reputi che uno Stato membro abbia violato il diritto dell’Unione tramite i suoi organi giudiziari, il quesito non è rilevante ai fini del caso e, perciò, dovrebbe essere reputato irricevibile (punti 104, 106).
Infine, la settima questione mira a stabilire se sia possibile non eseguire un MAE sulla base di informazioni, ottenute autonomamente, relative alle condizioni di detenzione nello Stato membro di emissione sulle quali l’autorità giudiziaria di emissione non ha potuto esprimersi e se l’autorità giudiziaria di esecuzione possa applicare uno standard più elevato di quello risultante dal diritto dell’Unione in materia di detenzione. Circa il primo aspetto, l’Avvocato generale ricorda che l’autorità giudiziaria di esecuzione non può procedere a constatazioni basate su un’analisi del diritto dello Stato membro di emissione senza avere prima chiesto alla competente autorità di quello Stato informazioni supplementari. Dunque, l’autorità giudiziaria di esecuzione può utilizzare i risultati delle proprie ricerche e gli argomenti addotti dalla persona ricercata solo dopo avere dato all’autorità giudiziaria di emissione la possibilità di prendere posizione. Nell’interesse di una decisione rapida, può fissare termini brevi affinché l’autorità giudiziaria di emissione provveda (punti 113-114; v. la già citata sentenza Puig Gordi). Relativamente al secondo aspetto, l’Avvocato generale richiama la giurisprudenza della Corte che nega che uno Stato membro possa esigere da un altro Stato membro un livello di tutela nazionale dei diritti fondamentali più elevato di quello garantito dal diritto dell’Unione (punto 122; v. per esempio il parere 2/13 sopra ricordato).
3. Nella propria sentenza, la Corte risponde alla prima questione pregiudiziale evidenziando che, tra i motivi che permettono di non riconoscere ed eseguire un MAE tipizzati nella decisione quadro, non ne rientra uno relativo a un’eventuale decisione di rifiuto pronunciata dall’autorità giudiziaria di esecuzione di uno Stato membro e poi passata in giudicato (punto 39). Di tale decisione deve però tenersi debitamente conto nell’ambito dell’ulteriore valutazione svolta dall’autorità giudiziaria di esecuzione di un altro Stato membro, perché così impone il principio di fiducia reciproca (punto 46). Da parte sua, l’autorità giudiziaria di emissione deve essere indotta alla vigilanza dalla suddetta decisione e, in particolare, non può, in assenza di un mutamento delle circostanze, mantenere un MAE quando un’autorità giudiziaria di esecuzione abbia legittimamente rifiutato di darvi seguito a causa di un rischio concreto di violazione di un diritto fondamentale. Al contrario, in assenza di un rischio del genere, a seguito in particolare di un mutamento della situazione nello Stato membro di emissione, la sola circostanza del rifiuto non può ostare al mantenimento del MAE (punti 49, 53). In tale ipotesi, comunque, «spetta all’autorità giudiziaria emittente esaminare la proporzionalità del mantenimento di cui si tratta, alla luce delle peculiarità di ciascun caso di specie. Nell’ambito di un siffatto esame, spetta in particolare all’autorità in parola tenere conto della natura e della gravità del reato per il quale la persona ricercata è perseguita, delle conseguenze su tale persona del mantenimento del mandato d’arresto europeo emesso nei suoi confronti o, ancora, delle prospettive di esecuzione di detto mandato d’arresto» (punto 54; la Corte riprende qui quanto già affermato nella sentenza Puig Gordi in relazione all’emissione di più MAE successivi nei confronti della medesima persona).
Alle questioni terza (rilevanza da attribuire a una decisione della CFF dell’Interpol), quarta (verifica da parte dell’autorità giudiziaria di emissione circa la compatibilità del rifiuto di consegnare con il diritto dell’Unione), quinta (partecipazione diretta dell’autorità giudiziaria di emissione al procedimento di esecuzione), sesta (possibilità che la Commissione europea adotti, su richiesta dell’autorità giudiziaria di emissione, le misure necessarie a seguito del rifiuto dell’autorità giudiziaria di esecuzione di eseguire un MAE) e settima (rifiuto di eseguire un MAE fondato su elementi relativi alle condizioni di detenzione negli istituti penitenziari dello Stato membro emittente sulla base di informazioni ottenute autonomamente, senza che siano state chieste informazioni complementari all’autorità giudiziaria emittente, e applicando uno standard di tutela più elevato rispetto a quello risultante dal diritto dell’Unione), la Corte risponde in maniera sostanzialmente analoga all’Avvocato generale (punti 61, 69, 96, 99, 122).
Lo stesso vale in generale per la seconda questione, inerente ai dubbi sul giuramento prestato dai giudici membri dell’Alta Corte di cassazione e di giustizia rumena. Infatti, anche secondo la Corte di giustizia un’incertezza sulla circostanza che tale giuramento sia stato prestato non costituisce una carenza sistemica o generalizzata per quanto riguarda l’indipendenza del potere giudiziario. Tuttavia, aggiunge la Corte di Lussemburgo, è necessario che il diritto interno preveda rimedi giurisdizionali efficaci che consentano di far valere un’eventuale omissione di prestazione del giuramento da parte dei giudici che hanno pronunciato una sentenza e di ottenere così l’annullamento di quella (punto 87).
4. Sono diversi i profili di interesse che possono identificarsi nella sentenza Breian. Per esempio, la Corte di giustizia ha ribadito che l’esame in due fasi si applica anche al diritto a un giudice costituito per legge, prendendo in esame la fattispecie del giuramento dei giudici su cui, in precedenza, non si era pronunciata nell’ambito dell’orientamento sulla tutela dei diritti fondamentali nel contesto del MAE. Inoltre, all’elenco delle fonti attraverso cui dimostrare la prima parte dell’esame è stato aggiunto un elemento (tra quelli espressamente richiamati dalla Corte), rappresentato dalle decisioni della CFF dell’Interpol.
In questa sede, si ritiene di concentrarsi su due aspetti riferibili alla prima questione pregiudiziale e relativi agli effetti scaturenti da una decisione definitiva con cui l’autorità giudiziaria di esecuzione abbia rifiutato di eseguire il MAE. Come detto in precedenza, la Corte reputa che l’autorità giudiziaria di esecuzione di uno Stato membro non possa rifiutare l’esecuzione di un MAE per il solo motivo che l’esecuzione è stata rifiutata in via definitiva dall’autorità di esecuzione di un altro Stato membro, senza procedere essa stessa alla verifica dell’esistenza di un motivo di rifiuto; al contempo, però, la prima autorità deve tenere debitamente conto delle ragioni che stanno alla base della decisione già resa.
È evidente che, nell’ambito di una procedura di consegna, la sentenza di rifiuto dell’esecuzione pronunciata in uno Stato membro e passata in giudicato non può vincolare l’autorità giudiziaria di un altro Stato membro (per considerazioni sul ne bis in idem e sul fatto che esso non trovi applicazione in un caso del genere, v. punti 40-42 della sentenza Breian).
Tuttavia, ci si può chiedere quali siano i margini affinché l’autorità giudiziaria di esecuzione di un altro Stato membro possa discostarsi dalla valutazione dell’autorità di esecuzione che per prima si è pronunciata. Quest’ultima ha proceduto all’applicazione dell’esame in due fasi, concludendo che lo standard di tutela dei diritti fondamentali risultante dal diritto dell’Unione europea non è rispettato nello Stato membro di emissione. Allora, i casi che possono verificarsi quando la seconda autorità di esecuzione è chiamata a rendere la sua decisione sono tre.
Nel primo caso, le carenze sistemiche o generalizzate sono venute meno. Pertanto, il MAE andrà eseguito.
Nel secondo caso, le carenze sistemiche o generalizzate permangono, ma si può escludere che il destinatario del MAE corra il rischio di vedere violati i suoi diritti in concreto. Anche in tale ipotesi il MAE andrà eseguito.
Nel terzo caso, la situazione in atto nello Stato membro di emissione non è mutata o, addirittura, è peggiorata. Quindi, la conclusione a cui l’autorità giudiziaria di esecuzione dovrà giungere non potrà discostarsi da quella della prima autorità di esecuzione. Infatti, in caso contrario e ove si procedesse alla consegna, la decisione dell’autorità giudiziaria di esecuzione sarebbe foriera di almeno due ordini di conseguenze nell’ordinamento dell’Unione. Applicando un differente – evidentemente, inferiore – standard di tutela e, dunque, integrando il mancato rispetto di un obbligo di diritto dell’Unione, potrebbe provocare l’avvio di una procedura d’infrazione da parte della Commissione europea nei confronti dello stesso Stato membro e, esponendo a una violazione dei suoi diritti fondamentali il destinatario del MAE, legittimerebbe quest’ultimo ad agire contro lo Stato membro di esecuzione facendone valere la responsabilità per violazione del diritto dell’Unione davanti alle competenti corti nazionali.
Per completezza, si consideri che il destinatario del MAE, ove le sue ragioni non venissero accolte dai giudici dello Stato membro di esecuzione, potrebbe proporre ricorso contro quello stesso Stato dinanzi alla Corte EDU, come già avvenuto in passato (v. sentenza Bivolaru e Moldovan c. Francia; per un commento, L. Mancano, 2022).
Perciò, in assenza di cambiamenti nello Stato membro di emissione, può ragionevolmente escludersi che l’autorità giudiziaria di esecuzione possa pronunciarsi in maniera differente da quanto fatto da un’altra autorità di esecuzione, fermo il fatto che il principio del giudicato non la vincola in questo caso.
Il secondo aspetto che preme porre in risalto concerne l’applicazione che la Corte ha fatto del principio di proporzionalità con riferimento al mantenimento del MAE da parte dell’autorità giudiziaria di emissione a seguito della decisione di rifiutare la consegna emessa dall’autorità di esecuzione.
Sul tema, va ricordato che la decisione quadro 2002/584/GAI non menziona expressis verbis il principio in parola quale canone di cui dovrebbe tenere conto l’autorità di emissione al fine di stabilire se ricorrere o meno allo strumento di consegna disciplinato dalla medesima (per un’introduzione al tema del rapporto tra principio di proporzionalità e MAE, T. Ostropolski, 2014 e E. Xanthopoulou, 2015). Le istituzioni europee sono comunque intervenute nel corso del tempo, sottolineando che tale principio dovrebbe in ogni caso orientare l’azione delle autorità giudiziarie di emissione, le quali dovrebbero concentrare la loro valutazione su di una serie di fattori, come la gravità del reato, la possibilità di arrestare la persona sospettata, la probabile sanzione imposta, l’effettiva protezione della collettività e gli interessi delle vittime del reato (Consiglio dell’Unione, 2010 e Commissione europea, 2023).
Da parte sua, la Corte di giustizia ha già avuto modo di sostenere che è ammessa l’emissione di diversi MAE successivi nei confronti di una stessa persona dopo che l’esecuzione di un primo MAE è stata negata, purché l’esecuzione di un nuovo MAE non comporti una violazione dei diritti fondamentali del destinatario del mandato e l’emissione abbia carattere proporzionato, tenuto conto delle peculiarità del caso considerato. In particolare, devono considerarsi la natura e la gravità del reato per il quale la persona ricercata è perseguita, le conseguenze su tale persona del mandato o le prospettive di esecuzione di un eventuale nuovo mandato (sentenza Puig Gordi, punti 144-146).
Tale impostazione è stata dunque confermata nella sentenza Breian con riferimento al caso del mantenimento di un MAE dopo che l’esecuzione dello stesso è stata rifiutata da uno Stato membro di esecuzione.
Alla luce di ciò, può affermarsi che la Corte ha valorizzato il principio di proporzionalità in relazione al caso prospettato, prescindendo dal silenzio della decisione quadro sul punto. Trattandosi di un principio generale di diritto dell’Unione, non sembra fosse possibile opinare diversamente e, dunque, può ritenersi che esso debba (e dovrà) orientare le scelte delle autorità giudiziarie di emissione sempre, e non solamente quando si tratta di emettere più MAE successivi o di stabilire se mantenere un MAE la cui esecuzione sia stata negata.