Divieto di circolazione sull’autostrada del Brennero: l’Italia presenta ricorso in Corte di giustizia e la Commissione interviene a sostegno

Interdiction de circulation sur l’autoroute du Brennero : l’Italie présente un appel à la Cour de Justice et la Commission intervient à l’appui

Traffic Ban on the Brennero Motorway: Italy Files Appeal to the Court of Justice and the Commission Intervenes in Support

Con istanza depositata presso la cancelleria della Corte di giustizia il 29 ottobre 2024, la Commissione europea ha presentato richiesta di intervento nel giudizio instaurato dall’Italia contro l’Austria in relazione all’ormai nota vicenda inerente alle restrizioni imposte da quest’ultimo Stato al transito dei veicoli pesanti sull’asse del Brennero (causa C-524/24).

La procedura di infrazione è stata avviata dall’Italia il febbraio scorso, quando quest’ultima ha richiesto ex art. 259, co. 2, TFUE il parere della Commissione circa la compatibilità con il diritto dell’Unione europea di alcuni “provvedimenti” austriaci limitativi del transito di veicoli pesanti nel corridoio del Brennero (come segnalato in questa Rivista).

La Commissione si è espressa con parere positivo in data 14 maggio 2024, pronunciandosi nel senso della sussistenza di un contrasto tra la normativa austriaca e, in particolare, il principio di libera circolazione delle merci di cui agli artt. 34 e 35 TFUE (in proposito v. G. Agrati, 2024; C. Sanna, 2024).

Da ultimo, il 30 luglio 2024 l’Italia ha proposto ricorso dinanzi alla Corte di giustizia, così aprendo ufficialmente la fase contenziosa della procedura (per un commento, v. C. Sanna, 2024). Il ricorso si compone di quattro motivi, rispettivamente dedicati alla contestazione della compatibilità con il diritto dell’Unione dei quattro “provvedimenti” già oggetto di censura da parte dell’Italia in sede di richiesta del parere alla Commissione, consistenti nel divieto di transito notturno, nel divieto settoriale di circolazione, nel divieto di circolazione invernale e nel sistema di “dosaggio” del traffico.

Si tratta della prima procedura di infrazione introdotta per iniziativa dell’Italia ai sensi dell’art. 259 TFUE e, in termini generali, di uno dei pochi utilizzi di questo strumento di contenzioso interstatale (per un approfondimento sulla procedura di infrazione ex art. 259 TFUE, v. G. Agrati, 2022; M. Condinanzi, C. Amalfitano, 2020). Dall’entrata in vigore dei trattati di Roma nel 1958 (che già contemplavano tale procedura all’art. 170 TCEE), sono state, infatti, soltanto dieci le pronunce della Corte di giustizia nell’ambito di giudizi per inadempimento a iniziativa statale: tre ordinanze di cancellazione della causa dal ruolo (v. ordinanza del 15 febbraio 1978, causa 58/77, Irlanda c. Francia; ordinanza del 27 novembre 1992, causa C-349/92, Spagna c. Regno Unito e ordinanza del 4 febbraio 2022, causa C-121/21, Repubblica ceca c. Polonia) e sette sentenze (v. sentenza di accoglimento del 4 ottobre 1979, causa 141/78, Francia c. Regno Unito; sentenza di rigetto del 16 maggio 2000, causa C-388/95, Belgio c. Spagna; sentenza di rigetto del 12 settembre 2006, causa C-145/04, Spagna c. Regno Unito; sentenza di rigetto del 16 ottobre 2012, causa C-364/10, Ungheria c. Slovacchia; sentenza di accoglimento parziale del 18 giugno 2019, causa C-591/17, Austria c. Germania; sentenza di incompetenza del 31 gennaio 2020, causa C-457/18, Slovenia c. Croazia e sentenza di accoglimento parziale del 30 aprile 2024, causa C-822/21, Lettonia c. Svezia).

Posto il tenore del parere motivato, non stupisce affatto che la Commissione abbia proposto istanza di intervento a sostegno della posizione del governo italiano. Già lo scorso maggio la Commissione si era infatti pronunciata nel senso della fondatezza delle censure proposte dall’Italia. Se da un lato, quindi, la Commissione ha ritenuto di non avviare essa stessa una procedura ex art. 258 TFUE, dall’altro lato, coerentemente con il proprio ruolo di “guardiana dei trattati”, ha comunque deciso di intervenire nel giudizio a sostegno dell’Italia (sulla prassi di intervento della Commissione nei giudizi per inadempimento introdotti da uno Stato membro v. infra).

Avendo al momento la Commissione (solo) proposto istanza di intervento nel giudizio pendente dinanzi alla Corte, essa non ha ancora esposto le proprie argomentazioni a fondamento dell’intervento a sostegno dell’Italia.

Il procedimento per intervenire nei giudizi dinanzi al giudice dell’Unione (per un approfondimento v. D. Domenicucci, 2023) si compone infatti di due fasi. Una prima fase, preliminare, in cui l’interessato chiede – nel caso in cui si tratti di giudizi dinanzi alla Corte di giustizia, al Presidente della Corte (art. 131 RP CG) – di essere ammesso a intervenire a sostegno (necessariamente) di una delle parti principali (art. 130 RP CG): l’intervento ha infatti natura meramente adesiva rispetto alle conclusioni già formulate da una di tali parti (art. 40, co. 4, Statuto e art. 129, co. 1, RP CG). Sull’istanza di intervento sono chiamate a esprimersi le parti principali del procedimento (art. 131, co. 1, RP CG).

Una seconda fase, in caso di accoglimento dell’istanza di intervento, nella quale l’interveniente può presentare le proprie argomentazioni in una memoria di intervento (art. 132 RP CG), cui seguono eventuali memorie delle parti principali (art. 132, co. 3, RP CG).

Ai sensi dell’art. 40, co. 1, Statuto, la Commissione (al pari delle altre istituzioni e degli Stati membri) – agendo nell’interesse della legalità dell’ordinamento – è legittimata a intervenire in qualsiasi giudizio introdotto mediante ricorso diretto dinanzi al giudice dell’Unione senza dover dimostrare alcun interesse (ciò diversamente dagli altri soggetti menzionati all’art. 40, co. 1, Statuto che devono dimostrare, per poter partecipare al giudizio già instaurato, un interesse alla soluzione della controversia nella quale chiedono di poter intervenire).

Posta la configurabilità della Commissione quale soggetto privilegiato ai sensi dell’art. 40, co. 1, Statuto, pochi dubbi si pongono circa l’accoglimento dell’istanza di intervento nel giudizio di specie. In effetti, una volta verificata la conformità processuale dell’istanza di intervento – in particolare, l’espressa dichiarazione dell’interessato di voler intervenire “a sostegno” di una delle parti principali – l’accoglimento della medesima istanza pare pressoché automatico.

In termini realistici, i prossimi passi della vicenda saranno, quindi, sentite le parti principali sull’istanza di intervento, la decisione di accoglimento dell’istanza da parte del Presidente della Corte, la successiva comunicazione alla Commissione di tutti gli atti processuali notificati alle parti (salve le eccezioni di cui all’art. 131, co. 2. RP CG) e, nel termine di un mese da tale comunicazione, il deposito da parte della Commissione della memoria di intervento, cui seguiranno presumibilmente le memorie di Italia e Austria (art. 132, co. 3, RP CG).

In attesa della pronuncia del Presidente della Corte sull’istanza di intervento della Commissione, il deposito della memoria di intervento, le eventuali memorie delle parti principali e la prosecuzione “naturale” del procedimento (comprensivo presumibilmente dell’udienza di discussione e delle conclusioni da parte dell’avvocato generale), che porterà la Corte ad accogliere o rigettare la fondatezza delle contestazioni mosse dal governo italiano a quello austriaco, pare interessante qualche cenno sulla prassi di intervento della “guardiana dei trattati” nei giudizi per inadempimento ex art. 259 TFUE.

Essa si è, tendenzialmente, mossa in maniera coerente nella fase giudiziale rispetto al comportamento tenuto nella fase pre-giudiziale. Ogniqualvolta la Commissione ha espresso parere, positivo o negativo, in fase precontenziosa è sempre intervenuta, successivamente, a sostegno dell’una o dell’altra parte, nella fase giudiziale, allo scopo ultimo di garantire l’effettività del diritto dell’Unione e la sua corretta applicazione negli ordinamenti nazionali.

Circa le cause 58/77, Irlanda c. Francia e C-349/92, Spagna c. Regno Unito, cancellate dal ruolo con ordinanze, rispettivamente del 15 febbraio 1978 e del 27 novembre 1992, non è stato possibile recuperare informazioni in merito all’eventuale intervento della Commissione. Per quanto concerne, invece, la causa C-121/21, Repubblica ceca c. Polonia, sempre cancellata dal ruolo con ordinanza del 4 febbraio 2022, la Commissione è intervenuta, a seguito di parere positivo, a sostegno della Repubblica ceca.

Analogamente a quest’ultimo caso, anche nelle cause 141/78, Francia c. Regno Unito, conclusa con sentenza del 4 ottobre 1979 e C-822/21, Lettonia c. Svezia, conclusa con sentenza del 30 aprile 2024, la Commissione, dopo aver espresso parere positivo in fase precontenziosa, è intervenuta a sostegno del ricorrente dinanzi alla Corte di giustizia. In tutti i casi in cui ha espresso parere positivo, la Commissione non ha mai ritenuto opportuno “avocare” a sé la procedura di infrazione, ma ha pur sempre deciso di intervenire in giudizio a sostegno dello Stato ricorrente, similmente a quanto sta accadendo nel caso in esame.

Parere negativo è stato invece espresso nella causa C-364/10, Ungheria c. Slovacchia, conclusa con sentenza del 16 ottobre 2012; conseguentemente, la Commissione è intervenuta in giudizio a sostegno della Slovacchia.

Nei quattro rimanenti casi, la Commissione non ha espresso alcun parere in fase pre-contenziosa. In due di questi, ossia nella causa C-591/17, Austria c. Germania, conclusa con sentenza del 18 giugno 2019, e nella causa C-457/18, Slovenia c. Croazia, conclusa con sentenza del 31 gennaio 2020, la Commissione ha deciso parallelamente di non intervenire nella fase contenziosa, mentre negli altri due casi ha adottato un differente approccio (v. infra causa C-388/95, Belgio c. Spagna, conclusa con sentenza del 16 maggio 2000, e causa C-145/04, Spagna c. Regno Unito, conclusa con sentenza del 12 settembre 2006).

Con riferimento ad Austria c. Germania si deve segnalare che, poco prima che venisse avviata dall’Austria la procedura ex art. 259 TFUE, la Commissione stessa aveva aperto una procedura di infrazione ex art. 258 TFUE nei confronti della Germania per le medesime violazioni del diritto dell’Unione addotte dall’Austria nel ricorso ex art. 259 TFUE (in particolare, si trattava della presunta incompatibilità della disciplina tedesca del canone per l’uso delle infrastrutture federali da parte degli automobilisti). Dopo che la Germania aveva apportato alcune modifiche normative alla disciplina in questione, la Commissione aveva deciso di “abbandonare” la procedura ex art. 258 TFUE, cui è seguito un approccio “neutrale” nell’ambito della procedura instaurata dall’Austria.

Nella causa Slovenia c. Croazia – che aveva, invece, ad oggetto una disputa sui confini terrestri e marittimi tra i due Stati, quindi un tema di particolare sensibilità politica – la Commissione ha presumibilmente ritenuto non opportuno pronunciarsi. Inoltre, trattandosi, nello specifico, della presunta violazione di obblighi discendenti dall’esecuzione di una sentenza arbitrale, neppure la competenza stessa del giudice dell’Unione era pacifica, tanto che il giudizio si è concluso infine con la dichiarazione di incompetenza della Corte.

Un differente approccio è stato adottato dalla Commissione nelle cause C-388/95, Belgio c. Spagna, conclusa con sentenza del 16 maggio 2000, e C-145/04, Spagna c. Regno Unito, conclusa con sentenza del 12 settembre 2006. In entrambi i casi la Commissione, pur non avendo presentato alcun parere motivato, è successivamente intervenuta in fase giudiziale a sostegno degli Stati convenuti, quindi della Spagna, nel primo caso, e del Regno Unito nel secondo.

In quest’ultimo caso più semplice è comprendere le motivazioni dell’intervento della Commissione, a fronte di una prima inerzia in fase precontenziosa: la causa aveva infatti ad oggetto un tema delicato quale la presunta contrarietà con il diritto dell’Unione della disciplina britannica che regola l’elettorato attivo e passivo nelle elezioni europee dei cittadini del Commonwealth residenti a Gibilterra (quindi di soggetti privi della cittadinanza “comunitaria”, ma residenti in un territorio britannico d’oltremare). Pur scegliendo di non adottare un parere in merito, a causa della sensibilità politica del tema, la Commissione si era tuttavia espressa tramite un comunicato stampa nel senso dell’insussistenza, a suo avviso, delle violazioni censurate dalla Spagna e, coerentemente, aveva poi deciso di intervenire in giudizio a sostegno del Regno Unito.

Resta da comprendere, invece, quali fossero le motivazioni del comportamento adottato dalla Commissione in Belgio c. Spagna, trattandosi di causa in materia di mercato interno (avente ad oggetto la disciplina spagnola sull’attribuzione della “denominazione di origine qualificata” al vino prodotto nella regione della Rioja) e, dunque, di un tema non particolarmente delicato o sensibile politicamente e “classico” di diritto dell’Unione. Altre ragioni di opportunità potrebbero comunque aver convinto la Commissione ad astenersi dal pronunciarsi nella fase precontenziosa, rimandando alla (successiva ed eventuale) fase giudiziale la propria valutazione sulla sussistenza o meno di una violazione del diritto dell’Unione.

Tornando e chiudendo sull’istanza di intervento della Commissione nella causa in esame, essa risulta coerente con la precedente prassi della Commissione nei giudizi per inadempimento instaurati per iniziativa statale.