Vittime di reati intenzionali violenti: la Corte di giustizia precisa la nozione di vittima e “boccia” il sistema a cascata automatico previsto dall’ordinamento italiano

Corte giust., 7 novembre 2024, causa C-126/23, Burdene

Les victimes de la criminalité intentionnelle violente: la Cour de justice précise la notion de victime et « écarte » le système de cascade automatique prévu par la loi italienne

Victims of Intentional Violent Crime: the Court of Justice Clarifies the Notion of Victim and ‘Sets aside’ the Automatic Cascade System Established by the Italian Law

Introduzione

I limiti di carattere soggettivo, applicati in modo automatico e introdotti dall’Italia nei casi di indennizzo alle vittime di reati intenzionali violenti, non sono compatibili con la direttiva 2004/80/CE del Consiglio del 29 aprile 2004 relativa all’indennizzo delle vittime di reato. Pertanto, una normativa nazionale come quella italiana, che esclude in modo automatico il versamento degli indennizzi ad alcuni familiari della vittima basandosi su un ordine di priorità ispirato al diritto successorio, risulta in contrasto con il diritto dell’Unione.

È stata la Corte di giustizia dell’Unione europea ad affermarlo, in via di fatto, con la sentenza depositata il 7 novembre 2024 nella causa “italiana” C-126/23, Burdene, destinata ad avere un sicuro effetto (è per il momento una speranza) sulla legislazione esistente che richiede un restyling per evitare all’Italia nuove procedure d’infrazione che, come vedremo, già in passato hanno portato la Corte di giustizia a “condannare” l’Italia per l’inadempimento dovuto al ritardo e alla non corretta trasposizione dell’atto UE. Non è l’unico aspetto rilevante perché la sentenza permette, a nostro avviso, di arrivare a una nozione di vittima comune nello spazio europeo, pur in mancanza di un’espressa definizione nella stessa direttiva, su cui torneremo nel prosieguo (cfr., sulla direttiva 2004/80/CE, L. O’Driscoll, Towards a rights-based approach: victims of violent crime, State-funded compensation and the European Union, in New Journal of European Criminal Law, 2023, p. 303 ss.).

La ricostruzione della vicenda al centro del procedimento interno

È stato il Tribunale ordinario di Venezia a sottoporre alla Corte di giustizia una domanda pregiudiziale su due questioni riguardanti la direttiva 2004/80/CE sull’indennizzo delle vittime di reato, accompagnata, poi, dalla decisione della Commissione 2006/337/CE del 19 aprile 2006 che adotta un formulario tipo per la trasmissione delle domande e delle decisioni conformemente alla direttiva indicata.

Il giudice nazionale aveva chiesto alla Corte UE di chiarire la portata dell’art. 12 della direttiva dedicato ai sistemi di indennizzo nazionali che, in materia di accesso all’indennizzo nelle situazioni transfrontaliere, prevede che le disposizioni dell’atto UE si applichino «sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia di indennizzo delle vittime intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori», richiedendo che ogni Stato membro assicuri un «indennizzo equo ed adeguato alle vittime». Nel caso in esame, la richiesta di indennizzo dei genitori, della sorella e dei figli della vittima di un femmicidio, uccisa dell’ex compagno, era stata accolta e, in base alla legge italiana, l’uomo, a cui era stata inflitta la pena di 30 anni di carcere, era stato condannato a versare un indennizzo di 400.000 a ciascuno dei figli, 120.000 euro al padre, alla madre e alla sorella e 30.000 euro al coniuge superstite dal quale la donna era separata ma non ancora divorziata. In uno scenario tipico, poiché l’autore dell’omicidio era privo di beni, lo Stato italiano aveva corrisposto ai figli, sulla base della normativa di cui infra, una cifra molto bassa pari a 20.000 euro ciascuno, al coniuge separato circa 16.000 euro, escludendo gli altri familiari che pure si erano costituiti parti civili. Così, questi ultimi si erano rivolti al Tribunale ordinario di Venezia che, prima di decidere, ha chiesto l’intervento della Corte di giustizia (si veda, per un primo commento, J. Burchet, 2024).

Il quadro normativo europeo e l’attuazione in Italia

Per dare esecuzione alla direttiva 2004/80/CE, l’Italia, con ritardo (il termine di recepimento era il 1° gennaio 2006), aveva adottato il Decreto legislativo 9 novembre 2007 n. 204 che non aveva impedito alla Corte di giustizia, con la sentenza del 29 novembre 2007, causa C-112/07, di censurare l’Italia per il ritardo nell’attuazione.

Con la legge del 7 luglio 2016 n. 122 «Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2015-2016» l’Italia era intervenuta a recepire in modo più adeguato la direttiva, con ulteriori modifiche apportate dalla legge 20 novembre 2017 n. 167. La legge n. 122 del 2016, all’art. 11, ha disposto il meccanismo per l’indennizzo a carico dello Stato «alla vittima di un reato doloso commesso con violenza alla persona e comunque del reato di cui all’art. 630-bis del codice penale, ad eccezione di taluni reati indicati dagli artt. 581 e 582 a meno che non siano presenti circostanze aggravanti ex art. 583 c.p.». Inoltre, nel caso di morte della vittima è previsto «l’indennizzo al coniuge superstite e ai figli e solo in mancanza ai genitori e di seguito ai fratelli e alle sorelle conviventi e a carico al momento della commissione del delitto». Nei casi di concorso degli aventi diritto, l’indennizzo è ripartito in base alle norme del codice civile che disciplinano le successioni (libro secondo del titolo II), secondo un sistema di indennizzo a cascata. Con successivo decreto ministeriale del 22 novembre 2019 sono state fissate le norme di attuazione per la determinazione degli importi, con la previsione di un importo, nel caso di omicidio commesso dal coniuge, anche se separato o divorziato, pari a 60.000 euro ed esclusivamente in favore dei figli della vittima. È opportuno segnalare che tale limitazione non è presente in Francia, in Grecia, in Spagna, mentre vi sono alcuni limiti in Germania e in Danimarca (si veda il sito e-justice.europa.eu, nonché lo studio della Camera dei deputati «Il recepimento nei principali paesi europei della Direttiva 2004/80/CE relativa all’indennizzo delle vittime di reato», aggiornato ad aprile 2017).

In ogni caso, anche il quadro normativo come modificato nel 2016 è stato oggetto di una nuova sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea che, con con la pronuncia dell’11 ottobre 2016, nella causa C-601/14, ha constatato il non corretto recepimento della direttiva 2004/80 a causa delle limitazioni nell’applicazione della direttiva non contemplate dall’atto UE, questione che si è riproposta nella nuova sentenza (resa, però, in via pregiudiziale) del 7 novembre 2024.

La nozione di vittima e il divieto di limitazioni indirette all’applicazione della direttiva 2004/80/CE

Prima di affrontare la questione delle limitazioni soggettive rispetto all’art. 12 della direttiva, la Corte di Lussemburgo ha dichiarato irricevibile la seconda questione sollevata dal Tribunale di Venezia, relativa alla fissazione di limiti alla corresponsione dell’indennizzo in base a un massimale dovuto alla dotazione finanziaria assegnata dall’Italia al Fondo speciale, istituito per corrispondere l’indennizzo in caso di impossibilità per l’autore del reato di versare alle parti civili quanto stabilito in sede giudiziaria. La Corte ha ritenuto che il giudice nazionale non avesse chiarito quale incidenza avesse la determinazione del massimale sull’importo concesso ai familiari delle vittime nel caso in esame e, quindi, in ragione della non rilevanza ai fini della controversia principale, considerando la questione come ipotetica, la Corte ha affermato l’irricevibilità di tale quesito.

Sulla questione principale, anche ai fini della tenuta della stessa legge interna di “attuazione” dell’atto UE, la Corte ha precisato che la direttiva impone agli Stati membri interventi volti ad assicurare un sistema di indennizzo delle vittime «a prescindere dal fatto che tali vittime si trovino o meno in una situazione transfrontaliera». Una questione che già in passato è arrivata nelle aule di Lussemburgo, dando vita a una giurisprudenza per certi aspetti contraddittoria. In ogni caso, nella pronuncia del 7 novembre, la Corte segue quanto stabilito dalla Grande Sezione nella sentenza del 16 luglio 2020, BV, causa C-129/19, nella quale era stato precisato che l’art. 12 riguarda gli indennizzi alle vittime di reati intenzionali violenti che si trovino sia in situazioni transfrontaliere sia in situazioni puramente interne, come risulta chiaro dalla circostanza che l’art. 12 è collocato nella parte della direttiva rivolta ai sistemi di indennizzo nazionali (cfr. C. Amalfitano, 2020, n. 7-8, p. 227 ss.; A. Arena, 2020; G. Vitale, La Grande Sezione della Corte di giustizia sulle vittime dei reati intenzionali violenti. Qualche breve considerazione, in Il Diritto dell’Unione europea, 2020, n. 2, p. 447 ss.; R.G. Conti, Il contenzioso sul risarcimento dello Stato dalle vittime di reato, in Riv. dir. Comp. 2019, 1, p. ss.; R. Mastroianni, La responsabilità patrimoniale dello Stato italiano per la violazione del diritto dell’Unione: il caso della direttiva sull’indennizzo delle vittime di reati, in Giustizia civile, 2014, n. 1, p. 312 ss.). D’altra parte, come stabilito nella sentenza del 7 novembre 2024, le regole sull’indennizzo in una situazione transfrontaliera si applicano «sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori», con ciò chiarendo l’ampia portata sotto il profilo oggettivo della direttiva.

Risolta questa prima questione e rinviando al testo della sentenza per le ulteriori obiezioni poste dall’Italia, tutte respinte dalla Corte, appare utile soffermarsi sulle motivazioni che sono state alla base della pronuncia della Corte con riguardo alla nozione di vittima, propria della direttiva, che continua a presentare problemi interpretativi. Come sostenuto dalla consulente speciale dell’allora Presidente della Commissione europea Juncker, Jöelle Milquet nel rapporto intitolato «Strengthening victims’ rights: from compensation to reparation» (Rafforzare i diritti delle vittime: dall’indennizzo alla riparazione, marzo 2019) è necessario fare chiarezza sulla nozione di vittima e procedere a un recepimento completo anche con riguardo alla definizione di vittima che è cruciale nell’assicurare effettività all’atto UE.

In particolare, la questione centrale è se essa includa solo le vittime dirette o anche quelle indirette, inclusi i familiari che, a seguito della morte della vittima diretta, subiscano le conseguenze del reato.

Sul punto, la Corte, ai sensi dell’art. 12, par. 2, della direttiva ha affermato che la nozione di vittima è propria del diritto dell’Unione con la conseguenza che non è possibile fare riferimento agli ordinamenti nazionali. La nozione è quindi uniforme e va interpretata in tutto lo spazio europeo considerando il significato abituale nel suo linguaggio corrente e tenendo conto – come precisato dalla Corte – «degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui esso fa parte e del contesto in cui è utilizzato».

Si tratta, in ogni caso, di una nozione che fa riferimento sia alle persone direttamente colpite dal reato intenzionale violento sia ai loro familiari «quando subiscono, di riflesso, le conseguenze di tali reati, in qualità di vittime indirette». Gli Stati, infatti, hanno un margine di intervento nella definizione di «reati intenzionali violenti», ma non hanno la possibilità di limitare i soggetti che devono essere considerati come vittime perché, in caso contrario, la direttiva, nel suo complesso, sarebbe privata del suo effetto utile. La Corte non ha difficoltà a respingere la tesi del Governo italiano – che da anni persiste nel provare ad affermare un’interpretazione riduttiva della nozione di vittime – secondo il quale in detta nozione dovrebbero rientrare solo «le vittime dirette dei reati intenzionali violenti». Quest’esclusione, se fosse stata ammessa, avrebbe avuto l’effetto di restringere l’ambito di applicazione ratione personae della direttiva e sarebbe stata in contrasto con l’obiettivo perseguito. Inoltre, ad aderire alla tesi del Governo italiano, si avrebbe un effetto paradossale perché proprio nei casi di reati più gravi come l’omicidio, la morte della vittima libererebbe gli Stati membri dall’applicazione del sistema nazionale di indennizzo per i reati intenzionali violenti, con ciò portando alla concessione dell’indennizzo solo nei casi in cui la persona vittima del reato sopravviva.

Non del tutto lineare appare la ricostruzione della Corte per arrivare a tale conclusione. Ed invero, i giudici del Kirchberg richiamano la proposta di direttiva sul risarcimento delle vittime di reato (COM(2002) 562 final) la quale, però, indicava espressamente i parenti stretti e le persone a carico delle vittime come soggetti destinatari dell’indennizzo. Tale riferimento espresso è venuto meno nel testo finale e, quindi, non è ben chiaro il richiamo effettuato dalla Corte che ha dato rilievo anche alla proposta di compromesso presentata dalla Presidenza del Consiglio del 26 marzo 2004 (Doc. 7752/04) sottolineando che l’eliminazione del richiamo ai parenti stretti era dovuta unicamente alla volontà di non stabilire norme minime in materia di indennizzo delle vittime di reato, limitandosi così a facilitare l’accesso all’indennizzo, senza che ciò equivalesse alla volontà di «escludere completamente dall’ambito di applicazione ratione personae di tale direttiva i familiari stretti della persona deceduta» per un reato intenzionale violento. È invece più condivisibile il legame prospettato dalla Corte tra la direttiva 2004/80/CE e la direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI. L’art. 2 della direttiva 2012/29 (recepita in Italia con decreto legislativo 15 dicembre 2015 n. 212), infatti, include, oltre alle persone che hanno subito un danno causato direttamente da un reato, i familiari della vittima che hanno subito un danno in conseguenza del reato, per poi indicare anche i familiari che subiscono un danno e che «in caso di morte della vittima, sono spesso considerati come suoi rappresentanti» (punto 47). Così, la Corte, in ragione del comune obiettivo di assicurare la protezione delle vittime di reato, evidenzia una sovrapposizione degli ambiti di applicazione.

In questa direzione ci sembra vada anche la proposta di modifica della direttiva 2012/29/UE, presentata dalla Commissione il 12 luglio 2023, che non ha modificato la nozione di vittima e nella quale la Commissione ha rilevato che la direttiva è «lo strumento orizzontale principale in materia di diritti delle vittime». Si veda anche il documento “Study to support the evaluation of Directive 2012/29/EU establishing minimum standards on the rights, support and protection of victims of crime). Sul punto, vale la pena sottolineare quanto affermato dall’Avvocato generale Richard de la Tour, nelle conclusioni presentate l’8 maggio 2024, secondo il quale la direttiva 2004/80, deve essere interpretata «alla luce della direttiva 2012/29, che ha fissato un quadro generale, ‘orizzontale’, per riprendere l’espressione della Commissione, ancorché quest’ultima direttiva abbia una diversa base giuridica, ossia l’art. 82, paragrafo 2, TFUE, mentre la direttiva 2004/80 aveva come base giuridica l’art. 308 CE, divenuto art. 352 TFUE».

L’inclusione della nozione di vittima propria del diritto dell’Unione nel senso di comprendere le vittime dirette e indirette è analoga a quella presente nella Convenzione relativa al risarcimento delle vittime di reati violenti (n. 116), adottata dal Consiglio d’Europa il 24 novembre 1983, in vigore sul piano internazionale dal 1° febbraio 1988 (non ratificata dall’Italia) che, all’art. 2, nel prevedere l’obbligo dello Stato di contribuire al risarcimento se la riparazione non può essere interamente garantita da altre fonti, considera tali coloro che hanno subito gravi pregiudizi al corpo o alla salute causati direttamente da un reato violento intenzionale, nonché «coloro che erano a carico della persona deceduta in seguito a un tale atto», con ciò includendo vittime dirette e indirette.

Il sistema italiano a cascata e il contrasto, nel suo concreto operare, con l’obbligo di corrispondere un indennizzo equo e adeguato

In ultimo, è opportuno un breve cenno alla classificazione dell’equità dell’indennizzo. Pur riconoscendo il margine di discrezionalità che la direttiva attribuisce agli Stati membri per stabilire il «carattere equo ed adeguato dell’importo dell’indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti» che, quindi, permette agli Stati di calibrare gli interventi anche ai fini di garantire la sostenibilità finanziaria dei sistemi nazionali di indennizzo, la Corte evidenzia che non può ritenersi compatibile con la direttiva un sistema nazionale che assicuri un indennizzo «puramente simbolico o manifestamente insufficiente alla luce della gravità delle conseguenze del reato per tali vittime». Su tale punto, la Corte riprende quanto affermato nella citata pronuncia BV, C-129/19, nella quale la Grande Sezione aveva riconosciuto il margine di discrezionalità attribuito agli Stati tenendo conto che nella stessa direttiva manca un’indicazione sulla quantificazione dell’indennizzo e sulle modalità di determinazione, sottolineando, però, l’incompatibilità con la direttiva nel caso di indennizzi simbolici o manifestamente insuffienti alla luce della gravità delle conseguenze del reato.

Se è vero che la direttiva nel prevedere l’obbligo di indennizzo non richiede che l’importo sia corrispondente al risarcimento dei danni né che sia assicurato «un ristoro completo del danno materiale e morale subito dalla vittima», risulta incompatibile con la direttiva un indennizzo che non compensi «in misura appropriata, le sofferenze alle quali esse [n.d.r. le vittime] sono state esposte» (punto 60). Un sistema forfettario non è in astratto incompatibile con il diritto UE, ma deve tenere conto, come detto, della gravità delle conseguenze del reato per le vittime (dirette e indirette) perché solo in questo modo è possibile corrispondere un ristoro al danno materiale e morale subito.

Per la Corte, quindi, che ha aderito alle conclusioni dell’Avvocato generale, l’approccio a cascata seguito dall’Italia, nella parte in cui limita il numero di familiari che beneficiano dell’indennizzo ed esclude automaticamente i genitori della vittima in presenza del coniuge e dei figli nonché i fratelli e le sorelle se sono presenti i genitori, è in astratto compatibile con la direttiva, ma solo a condizione che non escluda «automaticamente taluni familiari dal beneficio di qualsiasi indennizzo per il solo fatto che siano presenti altri familiari» (punto 65). Al tal proposito, nel guidare il legislatore e il giudice nazionale, la Corte richiede che siano considerate, al di là dell’ordine di devoluzione, le conseguenze materiali che gravano sui superstiti familiari, valutando in particolare la circostanza che i familiari siano a carico o conviventi con la persona deceduta. La privazione dell’indennizzo ai familiari disposta in modo automatico dal legislatore che ha inserito un ordine di priorità predefinito tra le vittime non è così compatibile con la direttiva, con la conseguenza che la normativa italiana e in particolare il rinvio alle regole sulla devoluzione successoria deve essere modificato, risultando in contrasto con il diritto dell’Unione. Intanto, però, la parola spetta ai giudici nazionali ma, in ogni caso, l’intervento del legislatore è indispensabile sia per evitare una nuova procedura d’infrazione che, restando immutato il quadro normativo, potrebbe essere alle porte e sia per evitare approcci differenziati dei giudici nazionali con conseguenze negative sulle vittime e sulla certezza del diritto.