Un avvio turbolento della stagione estiva: la sentenza Alace e Canpelli della Corte di giustizia sulla nozione di Paese di origine sicuro
Corte giust., 1° agosto 2025, cause riunite C-758/24 e C-759/24, Alace e Canpelli
Un début de saison estivale mouvementé : l’arrêt Alace et Canpelli de la Cour de justice sur la notion de Pays d’origine sûr
A Turbulent Start to the Summer Season: the Alace and Canpelli Judgment of the Court of Justice on the Notion of a Safe Country of Origin
1. È noto che durante l’estate si rafforza l’afflusso alle frontiere dei Paesi europei (e innanzitutto italiane) di richiedenti protezione internazionale provenienti da Paesi terzi. Quest’anno, la tragica situazione di fatto non è disgiunta da una almeno turbolenta situazione giuridica. Gli ultimi mesi hanno, infatti, visto il dibattito migratorio, tanto legislativo quanto giurisprudenziale, polarizzarsi attorno all’interpretazione della nozione di Paese terzo di origine sicuro. In Italia, si è assistito a un singolare (ma non certo inedito) “confronto-scontro” tra potere politico (legislatore e governo) e magistratura (specie di merito), la cui soluzione è stata demandata al giudice dell’Unione a mezzo di due rinvii pregiudiziali interpretativi ex art. 267 TFUE1. Governo e giudice a quo hanno altresì cercato di incidere sull’iter processuale dinanzi alla Corte di giustizia, l’uno chiedendo (e, de jure, ottenendo ai sensi dell’art. 16 Statuto della Corte di giustizia) che a decidere fosse la Grande Sezione della Corte; l’altro instando per la procedura pregiudiziale d’urgenza di cui all’art. 23 bis Statuto: difettandone i presupposti, la delicatezza (anche istituzionale) dei casi è stata riconosciuta dal Presidente della Corte di giustizia, che, con ordinanza del 29 novembre 20242, li ha sottoposti al regime del procedimento pregiudiziale accelerato di cui all’art. 105, par. 1, del regolamento di procedura della Corte. Hanno presentato osservazioni, per iscritto o all’udienza del 25 febbraio 2025, oltre alle parti del procedimento dinanzi al giudice a quo, al Governo e alla Commissione europea, ben sedici Stati membri. Questo dato è sufficiente per evidenziare la delicatezza e l’ampia risonanza in tutta Europa del problema sollevato dinanzi al giudice dell’Unione.
2. La Corte di giustizia si è pronunciata il 1° agosto u.s. decidendo in ordine ai due rinvii pregiudiziali promossi dal Tribunale di Roma, che ha interrogato la Corte in ordine alla nozione di Paese di origine sicuro (“Paese sicuro”) e alla portata del sindacato giurisdizionale sulla designazione di Paese sicuro da parte dell’autorità nazionale competente. La sentenza era attesa; tuttavia, tale attesa non riflette pienamente la campagna mediatica che si è sviluppata in concomitanza con i rinvii pregiudiziali (e le decine di altri rinvii provenienti da altri giudici nazionali3), campagna che dava conto del già ricordato elevato grado di tensione tra Governo e magistratura italiani, i quali si posizionavano su poli opposti quanto all’interpretazione della nozione di Paese sicuro di cui agli artt. 36 e 37 della c.d. direttiva procedure4 (in prosieguo: la “direttiva”). Il Governo (come la larga maggioranza dei Governi intervenuti nel giudizio dinanzi alla Corte) riteneva compatibile con il diritto dell’Unione europea considerare sicuro un Paese d’origine anche se tale Paese non lo sia per una o più categorie di persone definite a cui il richiedente protezione internazionale non appartiene; i giudici rinvianti manifestavano, invece, nelle loro ordinanze una (netta) preferenza per la valutazione di incompatibilità della c.d. eccezione personale, in particolare alla luce di una precedente pronuncia della Corte di giustizia, resa sempre in Grande Sezione, del 4 ottobre 20245, che aveva mostrato di non condividere la c.d. eccezione territoriale, interpretando l’art. 37 della direttiva nel senso che un Paese terzo non può essere considerato come Paese sicuro qualora talune parti del suo territorio non soddisfino le condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all’allegato I della direttiva. Va peraltro segnalato come il caso CV, deciso con la sentenza da ultimo richiamata, fosse assai particolare, concernendo la designazione (da parte della Repubblica ceca) della Moldavia come Paese sicuro, ad eccezione della Transnistria, territorio le cui vicende storiche e politiche lo connotano, come noto, in modo peculiare: forse ciò avrebbe potuto giustificare un approccio da parte della Corte di giustizia più attento alle specificità del caso. Anche per tale ragione, quella decisione non poteva costituire il precedente su cui fondare ogni successiva interpretazione della nozione di Paese di origine sicuro nel senso di precludere qualsiasi interpretazione, per così dire, selettiva (almeno ratione personae, se non più ratione loci). E, come si subito si vedrà, la Corte giustamente non ha seguito tale approccio.
3. Per quanto possibile annotare ad una primissima lettura della sentenza, la Corte risponde ai quesiti posti dal giudice italiano ammettendo che la designazione del Paese sicuro compete allo Stato membro, il quale può ben provvedervi anche attraverso la legge6, senza che però da ciò possa derivare una qualche limitazione al sindacato giurisdizionale del giudice interno che viene chiamato a verificare pienamente se la designazione di Paese sicuro risponde, in effetti, ai requisiti previsti dalla direttiva, la cui presenza deve essere verificata ex nunc. Ove tale corrispondenza manchi, e quindi il Paese terzo non sia suscettibile di essere considerato sicuro alla stregua dei criteri posti dalla direttiva, pur essendo considerato sicuro dalla legge domestica, il giudice nazionale ben potrà procedere in omaggio al celebre insegnamento Simmenthal7, e pertanto disapplicare all’occorrenza di propria iniziativa qualsiasi disposizione del diritto nazionale (e quindi anche la legge), anche posteriore, che sia contraria a una disposizione di tale direttiva produttiva di effetti diretti, senza dover chiedere o attendere la previa rimozione di tale disposizione dal diritto nazionale in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale (v. punto 63 della sentenza). Nella prospettiva interna, è interessante notare come la sentenza della Corte di giustizia sembri ignorare i richiami compiuti in udienza dai rappresentanti del Governo italiano, che, a fronte di siffatta ipotesi, senza menzionare l’istituto della disapplicazione, si erano limitati a ricordare il solo rimedio del giudizio di costituzionalità8, sulla scia (è dato presumere) della più recente giurisprudenza della nostra Corte costituzionale, che, a partire dalla sentenza n. 181/2024, sembra considerare la rimessione alla Consulta come rimedio equivalente – ed anzi preferibile qualora la denunciata conflittualità evidenzi l’ormai ben noto “tono costituzionale” – alla disapplicazione previo rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia9. Di questa lettura innovativa rispetto al tradizionale impianto Granital10, la nostra Corte costituzionale ha ravvisato la compatibilità con la giurisprudenza “comunitaria” anche invocando il noto precedente Melki11, che oggi la Corte di giustizia, forse non a caso, non richiama.
4. La Corte di giustizia risolve la quarta questione pregiudiziale, quella centrale per il merito del caso, rinviando, in sostanza, al rispetto delle scelte compiute dal legislatore unionale con la direttiva, il cui tenore letterale secondo la Corte non consente l’introduzione di eccezioni per categorie di persone alla nozione di Paese sicuro. Ciò benché questa non fosse, probabilmente, la sola lettura possibile e di diverso avviso sono, infatti le conclusioni dell’avvocato generale12. Tale soluzione condivide con la sentenza CV la conclusione della non frammentarietà del Paese di origine sicuro. Quest’ultima pronuncia, però, sul punto in questione, non viene mai neppure citata, quasi a non voler rendere comune la ratio delle due pronunce e a sottolineare che questa nuova decisione non discende dall’applicazione automatica al caso di specie della soluzione già raggiunta nella sentenza precedente: e ciò nonostante gli ampi richiami proprio a quella pronuncia da parte degli intervenuti nel procedimento pregiudiziale. Evidentemente la Corte ha inteso implicitamente ammettere che le due negazioni (quella delle eccezioni territoriali e quella delle eccezioni personali) non hanno una stessa ratio di fondo, semplicemente discendendo dal tenore letterale della direttiva, il quale merita di essere rispettato trattandosi della norma applicabile, ratione temporis, ai casi di specie.
In questa prospettiva, la Corte ricorda, infatti, che il legislatore unionale ben può orientarsi diversamente, avvalendosi della propria prerogativa di compiere un diverso bilanciamento degli interessi in gioco, che rimarrebbe agli occhi del giudice dell’Unione altrettanto legittimo. E infatti, la sentenza ricorda l’adozione del nuovo regolamento (UE) 2024/134813, il cui art. 61 dispone che la designazione di un Paese terzo come Paese di origine sicuro possa essere effettuata «con eccezioni per determinate parti del suo territorio o categorie di persone chiaramente identificabili»; e altresì evidenzia il potere del legislatore di stabilire la data alla quale il nuovo regime diventerà applicabile, così come anche di anticipare tale data dopo averla fissata, come ha suggerito (del resto) di fare la Commissione con l’adozione della proposta del 16 aprile 202514. Rispetto allo jus novum, che risponde evidentemente ad una mutata sensibilità verso gli strumenti a disposizione degli Stati membri per esercitare il controllo alle loro frontiere esterne, anche la sentenza del 4 ottobre 2024, CV, riconosceva le prerogative del legislatore di ritornare sulle proprie scelte, tuttavia ancorando queste ultime alla necessità del rispetto delle prescrizioni derivanti in particolare dalla Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati15 e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (v. punto 82): questa sorta di “cautela preventiva”, comprensibile trattandosi di parametri di diritto primario, è nella decisione Alace e Canpelli venuta meno (v. punti 106 e 107), così sottolineando ancor di più il margine di discrezionalità che si riconosce al legislatore derivato nel compiere un diverso bilanciamento dei contrapposti interessi.
5. Il concetto di Paese terzo sicuro è oggi una nozione chiave per un efficace controllo dei flussi di persone richiedenti lo status di beneficiari della protezione internazionale, prerogativa che non pare possibile negare agli Stati membri. La previsione di un elenco di Paesi sicuri elaborato a livello di Unione, che potrà essere integrato a livello nazionale e che consentirà la previsione di eccezioni su base territoriale ovvero personale, potrà forse consentire una gestione meno incerta e meno conflittuale (e quindi più efficace) di questa sensibile materia, nel rispetto dei diritti fondamentali, tra i quali, innanzitutto, il diritto ad un effettivo ricorso giurisdizionale che anche il nuovo regolamento si premura di tutelare. Su quest’ultimo punto, le indicazioni che la Corte di giustizia ha fornito nel caso in esame, lungi dal risultare presto superate dalla modifica legislativa (come accadrà per il profilo delle eccezioni su base personale e territoriale), continueranno a rappresentare un’utile guida interpretativa.
1 I rinvii pregiudiziali sono, in realtà, molti di più. Per una prima rassegna, ormai superata dal tempo trascorso, v. P. Iannuccelli, “Paesi d’origine sicuri”: la situazione processuale delle cause pendenti davanti alla Corte di giustizia, in questa Rivista, 11 dicembre 2024. La Corte ha sospeso tutte le cause promosse con l’evidente intento di decidere la causa C-758/24 (Alace) e la causa C-759/24 (Canpelli), riunite, come casi sostanzialmente “pilota”. Seguirà la richiesta alle giurisdizioni nazionali che hanno rinviato altri casi se, dopo la sentenza qui oggetto di segnalazione, intendono mantenere i quesiti formulati oppure no e, quand’anche la risposta fosse positiva, la Corte potrebbe decidere di statuire con ordinanza motivata ex art. 99 del suo regolamento di procedura, laddove ritenesse che la soluzione dei quesiti posti nelle altre ordinanze di rinvio pregiudiziale sia rinvenibile già nella sentenza emessa nelle due cause riunite.
2 Ordinanza del Presidente della Corte, 29 novembre 2024, cause riunite C‑758/24 e C‑759/24, LC e CP c. Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Roma – sezione procedure alla frontiera II, ECLI:EU:C:2024:1012.
3 V. supra, nota 1.
4Si tratta della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, in GUUE L 180 del 29 giugno 2013.
5 V. Corte giust., 4 ottobre 2024, causa C-406/22, CV, ECLI:EU:C:2024:841.
6 Come si ricorderà, per effetto della modifica legislativa introdotta con decreto-legge 23 ottobre 2024, n. 158 (poi convertito in legge 9 dicembre 2024, n. 187), la determinazione dell’elenco dei Paesi di origine sicuri spetta al legislatore, non più all’autorità amministrativa. La compatibilità unionale del ricorso alla fonte primaria era messa in dubbio dai giudici del rinvio.
7 V. Corte giust., 9 marzo 1978, causa 106/77, Amministrazione delle finanze dello Stato c. Simmenthal, ECLI:EU:C:1978:49.
8 Per un resoconto dell’udienza, e di questo aspetto della difesa del Governo in particolare, v. S. Morlotti, Mattoncini di Lego in Corte di giustizia: la designazione dei Paesi di origine sicuri. Udienza di Grande Chambre del 25 febbraio 2025, cause riunite C-758/24 Alace e C-759/24 Canpelli, in questa Rivista, 11 marzo 2025.
9 Il dibattito sulla giurisprudenza costituzionale più recente è assai ampio e i contributi numerosi. Senza alcuna pretesa di esaustività e anche per ulteriori riferimenti bibliografici, v. F. Ferraro, La Consulta si affida al “tono costituzionale” per estendere il suo controllo (anche) sulle norme dell’Unione provviste di effetto diretto, in Eurojus, 2024, p. 160 ss.; P. De Pasquale, O Pallotta, In tempi di sovranismo la Consulta difende il primato del diritto dell’Unione europea (e l’autonomia dei giudici), ibidem; C. Amalfitano, Tanto tuonò che piovve. Abbandonare Granital: cui prodest?, in Giur. cost., 2024, p. 2633 ss.; R. Mastroianni, La sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 2024 in tema di rapporti tra ordinamenti ovvero la scomparsa dell’art. 11 della Costituzione, in Quaderni AISDUE, n. 1/2025, p. 1 ss.; D. Gallo, L’effetto diretto e il nodo (di quel che rimane) della dottrina della doppia pregiudizialità, in questa Rivista, 31 marzo 2025; A. Ruggeri, Rapporti tra diritto interno e diritto euro unitario in vista delle teoria della Costituzione e tecniche retorico- argomentative nella recente giurisprudenza costituzionale, in Diritti fondamentali, n. 1/2025, p. 134 ss.; L.S. Rossi, Il nuovo corso della Corte costituzionale italiana sui rapporti con l’ordinamento dell’Unione europea: è davvero una questione di “ tono”? in Federalismi, 21 maggio 2025.
10 V. Corte cost., 8 giugno 1984, n. 170.
11 V. Corte giust., 22 giugno 2010, cause riunite C-188/10 e C-189/10, Melki e Abdeli, ECLI:EU:C:2010:363, che ritenne sostanzialmente compatibile con l’art. 267 TFUE il sindacato prioritario di costituzionalità introdotto nell’ordinamento francese poco tempo prima, purché siano rispettate le tre condizioni fissate dalla Corte di giustizia (ovvero purché gli altri organi giurisdizionali nazionali restino liberi: (i) di sottoporre alla Corte, in qualunque fase del procedimento che ritengano appropriata, ed anche al termine del procedimento incidentale di controllo della legittimità costituzionale, qualsiasi questione pregiudiziale che essi ritengano necessaria; (ii) di adottare qualsiasi misura necessaria per garantire la tutela giurisdizionale provvisoria dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione, e (iii) di disapplicare, al termine di siffatto procedimento incidentale, la disposizione legislativa nazionale in questione ove la ritengano contraria al diritto dell’Unione). La sentenza n. 269/2017 della Corte costituzionale, nel proporre la soluzione della previa rimessione alla giudice delle leggi per il caso di contrasto tra norma UE e disposizione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione che coincida nel contenuto con norma della Costituzione, invocava (in verità in modo non pienamente pertinente) proprio la giurisprudenza Melki della Corte di giustizia.
12 Per un commento alle conclusioni dell’avvocato generale Richard de la Tour, v. M. Ferri, Le conclusioni dell’avvocato generale Richard de La Tour sui paesi di origine sicuri: qualche ombra e molte luci (pro-futuro), in questa Rivista, 19 maggio 2025.
13 V. regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 maggio 2024, che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nell’Unione e abroga la direttiva 2013/32/UE, in GUUE L 2024/1348 del 22 maggio 2024.
14 V. proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) 2024/1348 per quanto riguarda l’istituzione di un elenco di paesi di origine sicuri a livello dell’Unione, Bruxelles, 16 aprile 2025, COM (2025) 186 final.
15 Convenzione firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 ed entrata in vigore il 22 aprile 1954.
