Il controllo giurisdizionale degli «atti procedurali dell’EPPO destinati a produrre effetti giuridici nei confronti dei terzi»
Corte giust., 8 aprile 2025, causa C-292/23, I.R.O., F.J.L.R.
Le Contrôle juridictionnel sur «Les actes de procédure du Parquet européen qui sont destinés à produire des effets juridiques à l’égard de tiers»
Judicial Review of «Procedural acts of the EPPO that are Intended to Produce Legal Effects Vis-à-vis Third Parties»
Introduzione
Come noto, la Procura europea, soggetto senza dubbio sui generis nel panorama degli organi e agenzie dell’Unione europea1, è investita del compito di individuare, perseguire e rinviare a giudizio gli autori di reato che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, svolgendo, dinanzi alle giurisdizioni degli Stati, le funzioni di pubblico ministero fino alla definizione del procedimento penale. Ne consegue che proprio l’esercizio di attività di indagine, che implica l’utilizzo di strumenti investigativi tali da avere una incidenza significativa sulla sfera dei destinatari, impone di prestare particolare attenzione al tema della tutela dei diritti, non solo degli indagati e imputati, ma di tutti i soggetti a diverso titolo coinvolti nel procedimento penale, nel costante tentativo di bilanciare l’esigenza di repressione dei reati e la salvaguardia delle garanzie dei singoli.
La sentenza in commento si inserisce proprio nel solco di tale esigenza, contribuendo a integrare il filone giurisprudenziale, inaugurato dalla Corte nel dicembre 20232, dedicato all’interpretazione del regolamento 2017/1939, istitutivo della Procura europea (nel prosieguo: regolamento EPPO)3.
La pronuncia trae origine da un rinvio pregiudiziale sollevato dallo Juzgado Central de de Instrucción no 6 de Madrid nell’ambito di un procedimento penale avviato nei confronti di I.R.O. e F.J.L.R., direttori di una società spagnola indagata per frode in materia di sovvenzioni europee e falsa documentazione.
Con decisione del 26 luglio 2022, i procuratori europei delegati spagnoli hanno esercitato il diritto di avocazione delle indagini e, nel corso dell’attività investigativa, hanno emesso una decisione con la quale citavano a comparire due soggetti per assumerne la testimonianza. I difensori degli indagati, in forza dell’art. 90 della LO 9/2021, ovvero la legge che dà “attuazione” al regolamento EPPO nell’ordinamento spagnolo4, hanno impugnato la predetta decisione dinanzi al giudice del rinvio, ritenendola non necessaria, tenuto conto del fatto che uno dei due testimoni era già stato sentito dal giudice di primo grado prima che l’indagine fosse avocata dall’EPPO.
Il giudice del rinvio così adito ha dunque sottoposto quattro questioni pregiudiziali alla Corte, ritenendo, in sintesi, l’esistenza di un contrasto tra l’art. 42, par. 1, del regolamento EPPO e l’art. 90 della LO 9/2021. Infatti, l’art. 42, par. 1, prevede che «gli atti procedurali dell’EPPO destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi sono soggetti al controllo degli organi giurisdizionali nazionali» e, secondo la valutazione del giudice del rinvio, la decisione di citare un testimone dovrebbe rientrare in tale disposizione. Tuttavia, il citato art. 90 della LO 9/2021 prevede un elenco tassativo di atti di indagine che possono formare oggetto di impugnazione, tra i quali non figura l’ipotesi, che interessa il caso di specie, della citazione di un testimone.
L’irricevibilità della seconda questione pregiudiziale
Sotto un profilo di ordine strettamente “processuale”, di particolare interesse è innanzitutto la valutazione della Corte sulla ricevibilità della seconda questione pregiudiziale.
Il giudice del rinvio ha domandato alla Corte se le norme della Carta dei diritti fondamentali, in particolare gli artt. 6 e 48 sul diritto alla libertà e alla sicurezza e sulla presunzione di innocenza e il diritto di difesa, e l’art. 7 della direttiva 2016/343 siano in contrasto con la norma nazionale, l’art. 90 della LO 9/2021, che non prevede la possibilità per soggetti terzi, diversi dall’indagato, di impugnare la decisione con la quale vengono chiamati a comparire in qualità di testimoni da parte della Procura europea. Secondo il giudice spagnolo, tali terzi soggetti potrebbero subire una compressione dei propri diritti fondamentali consistente, segnatamente, nella limitazione della loro libertà di circolazione e dalla possibilità che nel rendere la deposizione emergano a loro carico indizi di reità senza tuttavia che essi siano assistiti, in quella sede, da un difensore.
Sul punto, la Procura europea, la Commissione e i governi spagnolo, francese e olandese hanno contestato la ricevibilità della domanda, affermandone la natura puramente ipotetica.
La Corte, in linea con le conclusioni dell’avvocato generale Collins5, ha ritenuto irricevibile la domanda. In particolare, a conferma della propria costante giurisprudenza, è stato ribadito che le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevate dal giudice nazionale, nel contesto di fatto e di diritto che egli individua sotto la propria responsabilità, e del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza, godono di una presunzione di rilevanza». Tuttavia, viene precisato, la Corte può rifiutare di statuire su una domanda quando questa, in modo manifesto appaia di tipo meramente ipotetico6. Infatti, è ormai pacifico che lo strumento del rinvio pregiudiziale non ha, e non può avere, lo scopo di fornire un parere consultivo alle giurisdizioni nazionali ma si propone di fornire una soluzione che possa ritenersi in concreto necessaria a dirimere una controversia realmente esistente7.
Ciò premesso, ad avviso dei giudici, il secondo quesito pregiudiziale è irricevibile, atteso che il giudice del rinvio non ha indicato le ragioni dalle quali possa desumersi la necessità della sua soluzione. La questione, infatti, riguarda la tutela dei diritti del soggetto chiamato a testimoniare, ma la decisione di citare i testimoni è stata impugnata, nel procedimento principale, dai difensori degli indagati.
La scelta della Corte appare condivisibile, considerato che una questione che attiene alla tutela dei diritti fondamentali di terzi soggetti – estranei alla pretesa punitiva che forma oggetto del procedimento penale e che non hanno provveduto ad autonoma impugnazione – non può in ogni caso considerarsi necessaria alla definizione del procedimento.
Nel merito: la nozione di «atti procedurali dell’EPPO destinati a produrre effetti giuridici nei confronti dei terzi» e l’esigenza di una tutela giurisdizionale effettiva
Quanto, invece, alla prima, terza e quarta questione, la Corte ha valutato opportuno esaminarle congiuntamente, ritenendo che, in sostanza, il giudice del rinvio abbia voluto domandare se l’art. 42, par. 1 del regolamento 2017/1939, letto alla luce degli artt. 19, par. 1, co. 2, TUE, 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali, oltre che dei principi di equivalenza ed effettività, osti a una normativa nazionale che non consente di impugnare direttamente davanti all’organo giurisdizionale competente una decisione con la quale il procuratore europeo delegato cita a comparire testimoni.
Per fornire una soluzione alla questione così riformulata, sulla scia delle conclusioni dell’avvocato generale, la Corte ha seguito un percorso logico argomentativo articolato in quattro diversi passaggi.
Innanzitutto, la Corte ha chiarito, per la prima volta, che cosa debba intendersi, per «atti procedurali dell’EPPO destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi»8. Di tale espressione si è ritenuto di dover sviluppare una nozione autonoma e uniforme del diritto dell’Unione, atteso che trattasi di una disposizione priva di rinvii espressi al diritto degli Stati membri per la determinazione del suo significato e della sua portata; l’art. 42, par. 1, del regolamento, infatti, richiama il diritto degli Stati membri al solo scopo di disciplinare il controllo giurisdizionale9.
Da una analisi complessiva dell’art. 42 del regolamento EPPO, tenuto conto del contesto e degli obiettivi della normativa, la Corte ritiene che per «atti procedurali» debbano intendersi tutti gli atti predisposti dalla Procura europea nel corso delle indagini, che, in linea di principio, sono sottoposto al controllo di legittimità da parte degli organi giurisdizionali nazionali (ad eccezione di quelli previsti all’art. 42, par. 3 del regolamento EPPO che riguardano le decisioni di archiviazione di un caso, che, quando sono contestate sulla base del diritto dell’Unione, sono sottoposte al controllo della Corte di giustizia)10.
Ciò posto, la Corte chiarisce poi cosa debba intendersi con atto «destinato a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi» attraverso un interessante parallelismo con l’art. 263, co. 1, TFUE.
Assumendo, dunque, come base di partenza il criterio utilizzato all’art. 263, co. 1, TFUE per definire gli atti impugnabili nel ricorso per annullamento11, la Corte ha ritenuto che il legislatore dell’Unione, con la previsione dell’art. 42, par. 1, del regolamento EPPO, abbia inteso estendere il controllo da parte degli organi nazionali a «qualsiasi atto di natura procedurale volto a produrre effetti giuridici vincolanti tali da incidere sugli interessi di terzi, modificando in misura rilevante la loro situazione giuridica, in particolare a quelli adottati nell’ambito di un procedimento di indagine penale12. Il riferimento a “terzi”, peraltro, è tale da consentire di fare ricomprendere nella categoria non soltanto i soggetti indagati e le vittime di reato ma altresì tutti i soggetti che possano essere pregiudicati da tali atti.
Il secondo passaggio argomentativo seguito dalla Corte riguarda l’applicazione della nozione così individuata alla decisione di citare i testimoni oggetto del caso di specie.
Viene precisato che per valutare, in concreto, se un atto produce effetti giuridici vincolanti occorre, in primo luogo, valutare la sostanza dell’atto alla luce di criteri obiettivi, tenuto poi conto, eventualmente, del contesto in cui è stato adottato e dei poteri dell’istituzione, organo o organismo da cui promana. Ciò premesso, la valutazione sulla capacità di produrre effetti giuridici nei confronti di terzi di una decisione di citazione dei testimoni a comparire, non può, secondo la Corte, essere effettuata in modo generale e astratto. È necessaria, infatti, una valutazione in concreto dell’atto di cui si tratta, tenuto conto soprattutto della qualità di “terzi” che contestano l’atto.
La Corte, in questo senso, evidenzia che il regolamento – sulla base di una lettura combinata dei considerando 83, 85, 86 e 87 e degli artt. 42, par. 1, e 41 del regolamento – impone che il controllo giurisdizionale degli atti procedurali riguardi il rispetto delle garanzie procedurali previste non solo a favore di indagati e imputati, ma anche di tutte le altre persone coinvolte nel procedimento. Tuttavia, le garanzie procedurali non hanno formato oggetto di armonizzazione da parte del legislatore dell’Unione e ciò implica che «il perimetro degli atti procedurali che tali persone sono legittimate a contestare dinanzi agli organi giurisdizionali nazionali parimenti può, di conseguenza, variare a seconda del diritto nazionale applicabile» 13.
Alla luce delle considerazioni che precedono, dunque, secondo la Corte spetta all’organo giurisdizionale nazionale competente valutare, tenuto conto delle norme procedurali nazionali e del contesto dell’indagine in corso, se la decisione di un procuratore europeo delegato possa ritenersi produttiva di effetti giuridici vincolanti tali da incidere sui diritti delle persone che contestino la decisione medesima – quali, nel caso che forma oggetto di esame, gli indagati nel procedimento – modificandone la situazione giuridica14.
La Corte affronta poi il tema della tipologia del controllo giurisdizionale necessario per il controllo di legittimità degli atti procedurali di EPPO, e, segnatamente, sulla necessità, o meno, che gli Stati prevedano una forma di impugnazione diretta dell’atto.
Sulla base della lettura dell’art. 42, par. 1, alla luce del considerando 88 del regolamento EPPO risulta che gli Stati sono tenuti a assicurare una tutela giurisdizionale effettiva rispetto agli atti procedurali adottati dall’EPPO, in conformità a quanto previsto dall’art. 19, par. 1, co. 2 TUE15. Ciò significa che gli Stati sono tenuti a garantire il diritto a un ricorso effettivo nel caso di violazione di diritti o libertà riconosciuti dal diritto dell’Unione. Tale obbligo si concretizza tramite il riconoscimento al singolo del diritto di esperire un rimedio giurisdizionale avverso l’atto lesivo, che in tal senso non deve necessariamente essere configurato quale ricorso diretto, proponibile in via principale, ma gli Stati sono legittimati anche a prevedere forme di ricorso in via incidentale purché il giudice investito del ricorso sia competente a esaminare tutte le questioni di diritto e di fatto rilevanti.
Sulla scorta di quanto premesso, la Corte ha poi precisato che l’art. 42, par. 1 del regolamento EPPO deve comunque essere interpretato alla luce del principio dell’autonomia procedurale degli Stati membri che presuppone pur sempre il rispetto dei principi di equivalenza e effettività. Pertanto, quanto al principio di equivalenza, la Corte ha affermato che spetta al giudice verificare se i ricorsi basati sul diritto interno siano o meno trattati in modo più favorevole di quelli aventi ad oggetto la tutela dei diritti conferiti ai singoli dal diritto dell’Unione, sulla base di una valutazione complessiva del ruolo delle norme interessate nel procedimento e delle loro peculiarità. Quanto, invece, al principio di effettività, come già precisato, la Corte chiarisce che è sufficiente che venga rispettato il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva nel caso concreto.
Alcune considerazioni conclusive
A questo punto, è opportuno interrogarsi sulla scelta della Corte di non qualificare ex ante la citazione di un testimone come «atto procedurale idoneo a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi» e valutare se tale impostazione sia realmente coerente con l’obiettivo di garantire un’effettiva tutela dei diritti fondamentali nell’ambito dell’attività investigativa di EPPO.
A parere di chi scrive, tale soluzione non è del tutto soddisfacente. Come osservato in dottrina, nell’ambito del processo penale, rimettere al giudice del caso concreto una valutazione discrezionale circa la natura giuridica di un atto può sollevare rilevanti criticità in relazione al principio di legalità, specie per quanto concerne la certezza del diritto e la prevedibilità delle decisioni giudiziarie16. Tenuto conto del peculiare contesto processuale in cui si inserisce la questione, sarebbe stata preferibile una presa di posizione chiara e definitiva da parte della Corte sulla possibilità di ricondurre l’atto di citazione del testimone tra quelli idonei a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi. In tale prospettiva, la soluzione che sembra più coerente con i principi del diritto processuale penale sarebbe stata quella negativa.
Appare complesso sostenere la tesi secondo cui il mero atto di citare un testimone possa, di per sé, produrre effetti giuridici nei confronti di terzi, come sostenuto dal giudice del rinvio. Questi, in particolare, ha fondato la propria argomentazione sul presupposto che tale atto, da un lato, inciderebbe sul diritto della persona a circolare liberamente nel territorio dell’Unione, e, dall’altro, potrebbe potenzialmente ledere il diritto di difesa, nella misura in cui dalla testimonianza possano emergere elementi di reità a carico del soggetto convocato. Innanzitutto, sotto il primo profilo, affermare che la convocazione a testimoniare impedirebbe al soggetto di entrare e uscire liberamente dal territorio dell’Unione appare una forzatura interpretativa priva di reale fondamento normativo o fattuale. La citazione a comparire non si traduce in un divieto di espatrio, né comporta una restrizione giuridica della libertà personale o di movimento: essa rappresenta, piuttosto, un ordinario adempimento processuale, il cui eventuale inadempimento può essere disciplinato secondo le regole comuni del procedimento, ma che non determina di per sé alcuna limitazione sostanziale alla libertà di circolazione.
Inoltre, occorre considerare che l’assunzione della testimonianza, specie nella fase delle indagini preliminari, costituisce un momento istruttorio che si inserisce nel più ampio procedimento penale. Tale atto viene valutato congiuntamente ad altri elementi di prova ai fini della decisione sull’esercizio dell’azione penale e, nel modello processuale accusatorio, è comunque destinato a essere rinnovato nel contraddittorio dinanzi al giudice, che lo valuterà secondo il suo libero apprezzamento. L’eventuale emersione, nel corso della testimonianza, di elementi a carico del soggetto ascoltato non rappresenta una violazione in sé del diritto di difesa, ma un’evenienza processuale fisiologica, alla quale il sistema reagisce attraverso le garanzie previste per l’indagato e la successiva rivalutazione delle prove nel giudizio. Sostenere il contrario equivarrebbe ad attribuire all’atto di citazione un effetto giuridico che eccede la sua effettiva portata, finendo per amplificare in modo ingiustificato il potenziale lesivo dell’attività istruttoria. Inoltre, va ricordato che i sistemi processuali degli Stati membri sono già strutturati per far fronte a simili fattispecie. In tali casi, il soggetto deve essere immediatamente informato dei propri diritti, con l’eventuale mutamento della sua posizione da testimone a indagato. Pretendere, in astratto, che ogni rischio potenziale giustifichi una qualificazione tout courtdell’atto come lesivo equivale a svuotare di contenuto la funzione istruttoria dell’intero procedimento penale.
Per tali ragioni, nel caso di specie, l’interesse investigativo deve prevalere nel bilanciamento degli interessi coinvolti, poiché i diritti invocati dal giudice del rinvio potrebbero essere potenzialmente lesi ogni qualvolta si proceda all’escussione di un testimone, senza che ciò comporti automaticamente un vulnus. Un’assoluta e indiscriminata protezione di tali diritti, a scapito della funzionalità delle indagini, rischierebbe di compromettere in modo sistematico l’effettività dell’azione penale. Tale conclusione risulta ulteriormente rafforzata dal disposto dell’art. 6 del Regolamento EPPO, che impone alla Procura europea di agire con imparzialità. Ciò implica, in modo vincolante, che l’assunzione della testimonianza non debba essere orientata esclusivamente all’emersione di elementi di accusa, ma anche – e necessariamente – all’acquisizione di elementi favorevoli alla posizione dell’indagato, ponendosi dunque come uno strumento essenziale per l’accertamento della verità e non come un atto lesivo in sé.
In conclusione, la posizione assunta dalla Corte, pur comprensibile nella logica del caso concreto, appare insoddisfacente sotto il profilo sistematico. Una maggiore chiarezza sulla natura giuridica degli atti investigativi avrebbe giovato alla coerenza del sistema e alla tutela effettiva dei diritti fondamentali, evitando il rischio che la discrezionalità lasciata al giudice si trasformi, nei fatti, in fonte di incertezza e di potenziali disparità applicative.
1 V., sul punto, il considerando n. 86 del regolamento 2017/1939. Per un approfondimento sul tema: J. Alberti, Le agenzie dell’Unione europea, Milano, 2018.
2 Corte giust., 21 dicembre 2023, causa C-281/22, G.K. e a., ECLI:EU:C:2023:1018. Sul punto cfr. M. Caianiello, Sometimes The More is Less. Transnational Investigations in the EPPO System After the Judgment of the EU Court of Justice, in European Journal of Crime, Criminal Law and Criminal Justice, 2024, p. 87 ss; E. Sacchetto, La Corte di giustizia si pronuncia sul primo rinvio pregiudiziale in materia di indagini transfrontaliere condotte dalla procura europea: un passo avanti per la cooperazione giudiziaria in materia penale, in EJ, 2024, p. 158 ss.
3 Per alcune osservazioni sulla sentenza della Corte cfr. M. Ramat, Lo scrutinio giurisdizionale degli “atti procedurali dell’EPPO destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi”: La sentenza della CGUE nella causa EPPO (Contrôle juridictionnel des actes de procédure) (C-292/23), in STEPPO EU, 26 aprile 2025; B. Minucci, Verso un controllo uniforme degli atti procedurali della Procura europea: la prima parola della Corte di giustizia, in EJ, 5 maggio 2025; M. Lanotte, Il controllo giurisdizionale degli atti adottati dalla Procura europea al vaglio della Corte di giustizia: dalla sentenza G.K. e a. alla pronuncia EPPO c. I.R.O. e F.J.L.R., in UED, 2025, p. 1 ss.
4 In questo senso, è bene precisare che nonostante il regolamento, come fonte del diritto dell’Unione europea, è atto caratterizzato da diretta applicabilità e, come tale, non richiede (né tollera) atti di recepimento e trasposizione nell’ordinamento interno dello Stato, il contenuto del regolamento istitutivo della Procura europea ha richiesto una forma di “adeguamento” negli Stati membri, finalizzato a integrarne in modo coerente la disciplina nei sistemi giuridici nazionali.
5 Conclusioni dell’avvocato generale Collins del 4 ottobre 2024, causa C-292/23, ECLI:EU:C:2024:856, punti 30 ss.
6 Corte giust., 8 aprile 2025, causa C-292/23, cit., punto 36.
7 Cfr., tra le altre, Corte giust., 23 novembre 2023, causa C-614/22, ECLI:EU:C:2023:903.
8 Sulla possibilità di far rientrare gli atti nazionali emessi da una agenzia dell’Unione nella competenza della Corte di giustizia cfr. D. Sarmiento, Integrated Decision-Making in The EU and Judicial Review: Can The Puzzle be Fixed?, in EU Law Live, 2024.
9 Corte giust., 8 aprile 2025, causa C-292/23, cit., punti 51-53.
10 Ivi, punti 56 ss.
11 In tal senso, il ricorso per annullamento, secondo costante giurisprudenza della Corte, può essere proposto contro tutte le disposizioni o misure adottate dalle istituzioni, organi o organismi dell’Unione «volte a produrre effetti vincolanti tali da incidere sugli interessi di una persona fisica o giuridica, modificando in misura rilevante la situazione giuridica di quest’ultima», cfr. Corte giust., 22 settembre 2022, cause riunite C-619/20 e C-620/20 P, EU:C:2002:722, punto 98.
12 Corte giust., 8 aprile 2025, causa C-292/23, cit., punto 63.
13 Corte giust., 8 aprile 2025, causa C-292/23, cit., punto 72.
14 Ivi, punti 70-73.
15 Ivi, punto 78.
16 Sul punto si vedano le considerazioni critiche di M. Lanotte, Il controllo giurisdizionale degli atti adottati dalla Procura europea al vaglio della Corte di giustizia, cit., p. 30 ss.
