Social rehabilitation’s guarantees for third-country nationals staying or residing in Italy: the Italian Constitutional Court follows up on the decision of the ECJ
Constitutional Court, judgment of 28 July 2023, No. 178, O.G.
Garanzie di risocializzazione anche per l’extracomunitario radicato in Italia: la Consulta dà seguito alla decisione della Corte di giustizia
Garanties de réinsertion sociale pour les ressortissants de pays tiers demeurant ou résidant en Italie : la Cour Constitutionnel italienne donne suite à la décision de la de la Cour de justice
Con la sentenza n. 178, depositata il 28 luglio 2023, la Corte costituzionale ha chiuso finalmente il cerchio relativo ai dubbi interpretativi (e conseguente non corretta trasposizione nell’ordinamento italiano) dell’art. 4, n. 6, della decisione-quadro 2002/584/GAI (DQ sul mandato di arresto europeo, MAE), allineandosi alle indicazioni contenute nella sentenza del 6 giugno 2023 della Corte di giustizia, in causa C-700/21, O.G., che era stata chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale proprio dalla Consulta con l’ordinanza n. 217/2021.
Senza ripercorrere le tappe del tappe di un “percorso tormentato”, sul fronte sia degli interventi normativi che si sono succeduti nel tempo, sia della giurisprudenza tanto di Lussemburgo quanto nazionale (per i quali sia consentito rinviare a C. Amalfitano, 2023), ci si limita qui a ricordare che i giudici del Kirchberg, con la menzionata decisione di inizio giugno, sostanzialmente confermando le conclusioni dell’avvocato generale Campos Sánchez-Bordona del 15 dicembre 2022, hanno stabilito che il citato art. 4, n. 6, della DQ MAE «in combinato disposto con il principio di uguaglianza davanti alla legge sancito all’articolo 20 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea [CdfUE], dev’essere interpretato nel senso che […] osta a una normativa di uno Stato membro volta a trasporre tale articolo [in modo da escludere] in maniera assoluta e automatica dal beneficio del motivo di non esecuzione facoltativa del mandato d’arresto europeo previsto da tale disposizione qualsiasi cittadino di un paese terzo che dimori o risieda nel territorio di tale Stato membro, senza che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione possa valutare i legami di tale cittadino con detto Stato membro» (punto 58, corsivo aggiunto. In particolare sull’impiego dell’art. 20 CdfUE nella pronuncia v. F. Gatta, 2023). Essi hanno, quindi, chiarito che, al fine di verificare se possa operare, (anche) nei confronti del cittadino di un Paese terzo che dimori o risieda nel territorio dello Stato membro di esecuzione, il motivo facoltativo di non esecuzione in esame (e, dunque, possa esserne rifiutata la consegna a condizione di eseguire la pena nello Stato membro di esecuzione, così da assicurare la risocializzazione del condannato) «l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve procedere a una valutazione complessiva di tutti gli elementi concreti caratterizzanti la situazione di tale cittadino, idonei a indicare se esistano, tra quest’ultimo e lo Stato membro di esecuzione, legami che dimostrino che egli è sufficientemente integrato in tale Stato e che, pertanto, l’esecuzione, in detto Stato membro, della pena o della misura di sicurezza privative della libertà pronunciata nei suoi confronti nello Stato membro emittente contribuirà ad aumentare le sue possibilità di reinserimento sociale dopo che tale pena o misura di sicurezza sia stata eseguita. Tra tali elementi vanno annoverati i legami familiari, linguistici, culturali, sociali o economici che il cittadino del paese terzo intrattiene con lo Stato membro di esecuzione, nonché la natura, la durata e le condizioni del suo soggiorno in tale Stato membro» (punto 68, corsivi aggiunti).
Recependo, come anticipato, i dicta della Corte di giustizia, la Corte costituzionale ha così statuito nel senso della illegittimità costituzionale dell’art. 18-bis, comma 1, lettera c), della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla DQ MAE), come introdotto dall’art. 6, comma 5, lettera b), della legge 4 ottobre 2019, n. 117 (Legge di delegazione europea 2018), «nella parte in cui non prevede che la corte d’appello possa rifiutare la consegna di una persona ricercata cittadina di uno Stato terzo, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano e sia sufficientemente integrata in Italia, nei sensi precisati in motivazione [si v. in particolare il punto 5 del considerato in diritto, dove si elencano i criteri di cui dovrà tener conto l’autorità giudiziaria per decidere se dare o meno esecuzione al MAE], sempre che la corte d’appello disponga che la pena o la misura di sicurezza sia eseguita in Italia».
Dal momento che la normativa oggetto di questione di legittimità costituzionale (ovvero il citato art. 18-bis, comma 1, lettera c) è stata modificata dall’art. 15, comma 1, del d. lgs. 2 febbraio 2021, n. 10 (adottato in esecuzione della menzionata legge di delegazione europea 2018), ed anche la nuova disposizione (l’art. 18-bis, comma 2, della legge n. 69/2005) continua(va) ad escludere i cittadini di Stati terzi legittimamente ed effettivamente residenti in Italia dal beneficio dell’esecuzione nel territorio nazionale, la Consulta (come auspicato: C. Amalfitano, 2023, p. 121 s.) ha optato anche per una pronuncia di illegittimità costituzionale consequenziale (ex art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87), dichiarando l’incostituzionalità del citato art. 18-bis, comma 2, della legge n. 69/2005 «nella parte in cui non prevede che la corte d’appello possa rifiutare la consegna di una persona ricercata cittadina di uno Stato terzo, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano da almeno cinque anni e sia sufficientemente integrata in Italia, nei sensi precisati in motivazione, sempre che la corte d’appello disponga che la pena o la misura di sicurezza sia eseguita in Italia» (corsivo aggiunto – per evidenziare la differenza sostanziale tra la normativa modificata dalla legge di delegazione 2018 e dal successivo decreto legislativo del 2021).
Non può, peraltro, non segnalarsi che anche il legislatore è intervenuto ad allineare la (più recente) normativa “controversa” con le indicazioni della Corte di giustizia dello scorso giugno, con lo scopo precipuo di chiudere la procedura di infrazione (n. 2020/2078) relativa al non corretta recepimento in Italia della DQ MAE. Infatti, (anche in questo caso come auspicato: v. C. Amalfitano, 2023, p. 122 s.) in sede di conversione del d.l. “salva infrazioni” (v. decreto-legge 13 giugno 2023, n. 69), con l’art. 18-bis del d.l. convertito in legge (v. legge 10 agosto 2023, n. 103) sono state apportate modifiche al citato art. 18-bis, comma 2, della legge n. 69/2005, che oggi (la legge di conversione è in vigore dall’11 agosto 2023) risulta pertanto formulato come segue: «Quando il mandato di arresto europeo è stato emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale, la corte di appello può rifiutare la consegna del cittadino italiano o di persona che legittimamente ed effettivamente risieda o dimori in via continuativa da almeno cinque anni sul territorio italiano, sempre che disponga che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno» (corsivo aggiunto). E sempre alla luce delle indicazioni contenute nella sentenza della Corte di giustizia del 6 giugno 2023, in sede di conversione del d.l. salva infrazioni si è altresì deciso di inserire un ulteriore comma all’art. 18-bis in parola, al fine di fornire indicazioni all’autorità procedente su come poter verificare l’effettivo radicamento della persona da consegnare con il territorio dello Stato. Tale nuovo comma 2-bis recita: «Ai fini della verifica della legittima ed effettiva residenza o dimora sul territorio italiano della persona richiesta in consegna, la corte di appello accerta se l’esecuzione della pena o della misura di sicurezza sul territorio sia in concreto idonea ad accrescerne le opportunità di reinserimento sociale, tenendo conto della durata, della natura e delle modalità della residenza o della dimora, del tempo intercorso tra la commissione del reato in base al quale il mandato d’arresto europeo è stato emesso e l’inizio del periodo di residenza o di dimora, della commissione di reati e del regolare adempimento degli obblighi contributivi e fiscali durante tale periodo, del rispetto delle norme nazionali in materia di ingresso e soggiorno degli stranieri, dei legami familiari, linguistici, culturali, sociali, economici o di altra natura che la persona intrattiene sul territorio italiano e di ogni altro elemento rilevante. La sentenza è nulla se non contiene la specifica indicazione degli elementi di cui al primo periodo e dei relativi criteri di valutazione» (corsivi aggiunti).
Altresì, per completezza pare opportuno evidenziare che, sempre in sede di conversione del d.l. “salva infrazioni”, si è intervenuti ad allineare alle indicazioni del giudice del Kirchberg anche il successivo art. 19, comma 2, della legge n. 69/2005, che – in attuazione dell’art. 5, n. 3, DQ MAE – prevede una garanzia per il consegnando nel caso di MAE processuale analoga a quella disposta nel caso di MAE esecutivo. Anche in questo caso si sono così (finalmente) posti sullo stesso piano dei cittadini italiani e di quelli di altri Stati membri anche i cittadini di Stati terzi, prevedendosi che «[s]e il mandato di arresto europeo è stato emesso ai fini di un’azione penale nei confronti di cittadino italiano o di persona legittimamente ed effettivamente residente in via continuativa da almeno cinque anni sul territorio italiano, l’esecuzione del mandato può essere subordinata alla condizione che la persona, dopo essere stata sottoposta al processo, sia rinviata nello Stato italiano per scontarvi la pena o la misura di sicurezza privative della libertà personale eventualmente applicate nei suoi confronti nello Stato membro di emissione. Si applicano le disposizioni dell’articolo 18-bis, comma 2-bis» (corsivo aggiunto). Per tale via si prevengono, in quale modo, i rilievi che senz’altro la Corte di giustizia avrebbe riservato al previgente art. 19, comma 2, della legge n. 69/2005 – che contemplava il beneficio in parola solo per cittadini italiani e di altri Stati membri – nell’ambito della causa C-636/22 (instaurata su rinvio pregiudiziale della Corte d’appello di Lecce, che potrebbe ora decidere di ritirare i quesiti interpretativi).
Ciò che in ogni caso più preme sottolineare in questa sede è il buon funzionamento del meccanismo di dialogo tra Corte costituzionale e Corte di giustizia. La citata ordinanza n. 217/2021 rappresenta la sesta occasione di confronto diretto tra il nostro giudice delle leggi e il giudice dell’Unione deputato ad assicurare la nomofilachia nell’ordinamento sovranazionale (in tema v. C. Amalfitano, M. Aranci, 2022). La Consulta era ben consapevole che – pur essendo ormai relativamente cospicua la giurisprudenza della Corte di giustizia sull’art. 4, n. 6, della DQ MAE e il beneficio da esso previsto in relazione ai cittadini “comunitari” – mancava una qualsiasi pronuncia del giudice di Lussemburgo in relazione alla tutela da assicurare ai cittadini di Stati terzi.
Essa – anche e più semplicemente sulla base del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., della finalità rieducativa della pena di cui all’art. 27, comma 3, Cost. e del diritto alla vita familiare dell’interessato, tutelato dall’art. 2 Cost. e dall’art. 117, primo comma, Cost. in relazione agli artt. 8 CEDU e 17, paragrafo 1, PIDCP, nonché dagli artt. 11 e ancora 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 7 CdfUE – avrebbe probabilmente potuto dichiarare l’illegittimità costiuzionale della normativa italiana controversa.
Tuttavia, e più correttamente, in quel «quadro di costruttiva e leale cooperazione tra i diversi sistemi di garanzia» (v. sentenza n. 269/2017; ordinanze n. 182/2020 e n. 117/2019, nonché, sempre in materia di MAE, l’ordinanza n. 216/2021 – dove anche gli ottimi risultati del dialogo si rinvengono nella sentenza della Corte di giustizia, 18 aprile 2023, causa C-699/21, EDL, su cui v. M. Aranci, 2023, e nella successiva sentenza della Corte costituzionale n. 177/2023), la Consulta ha preferito interpellare la Corte di giustizia, suggerendole in buona sostanza la lettura possibile dell’art. 4, n. 6, della DQ.
E come il giudice delle leggi evidenzia nel punto 4.6 del considerato in diritto della sentenza in commento «[i] chiarimenti interpretativi forniti dalla Corte di giustizia in seguito al rinvio pregiudiziale operato da questa Corte con l’ordinanza n. 217 del 2021 confermano […] i dubbi di incompatibilità con lo stesso diritto dell’Unione – oltre che con la Costituzione italiana – della disciplina censurata».
La risposta della Corte di giustizia consente certamente di innalzare il livello di tutela dei diritti assicurati al cittadino extracomunitario nel territorio dello Stato italiano. Ma, a differenza di una pronuncia della sola Corte costituzionale, siffatto innalzamento ed una applicazione uniforme dei criteri valutativi del radicamento legittimo ed effettivo dell’extracomunitario nello Stato di esecuzione vengono assicurati – per il tramite della decisione del giudice del Kirchberg – in tutto lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, o, quantomeno, in tutti gli Stati membri che abbiano deciso di trasporre nella legislazione interna il motivo ostativo facoltativo di cui all’art. 4, n. 6, DQ MAE. Quand’anche, infatti, essi avessero previsto il beneficio in esame soltanto a favore dei propri cittadini e dei cittadini di altri Stati membri (a fronte di quanto già sancito dalla Corte di giustizia in particolare in Kozłowski, Wolzenburg e Lopes Da Silva Jorge), sulla base della sentenza del 6 giugno 2023 saranno tenuti ad estenderlo anche ai cittadini di Paesi terzi. Ciò a meno di volerlo escludere per tutti i possibili beneficiari – decidendo di eliminare tout court dalla normativa di recepimento della DQ MAE il motivo facoltativo in parola – e, dunque, di non assicurarlo più neppure per i propri cittadini. Ma si tratta senza dubbio di scelta non scontata, in quanto tutt’altro che facile da giustificare politicamente.