Interest in bringing proceedings as a logical prius in the admissibility examination? A brief commentary on judgment of 15 June 2023, Silver and Others v Council, C-499/21 P
Interesse ad agire prius logico nell’esame della ricevibilità? Brevi note a margine della sentenza del 15 giugno 2023, Silver e a./Consiglio, C-499/21 P
Intérêt à agir prius logique dans l’examen de la recevabilité? Note brève sur l’arrêt du 15 juin 2023, Silver e.a./Conseil, C-499/21 P
Con sentenza del 15 giugno 2023 (causa C‑499/21 P, Silver e a. c. Consiglio, EU:C:2023:479, in prosieguo la “sentenza”), la Corte di giustizia (in prosieguo la “Corte”) ha rigettato l’impugnazione avverso l’ordinanza dell’8 giugno 2021 (causa T‑252/20, Silver e a. c. Consiglio, EU:T:2021:347, in prosieguo l’“ordinanza impugnata”), con la quale il Tribunale aveva respinto il ricorso di alcuni cittadini britannici diretto all’annullamento parziale della decisione (UE) 2020/135 del Consiglio, del 30 gennaio 2020, relativa alla conclusione dell’accordo sul recesso del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord dall’Unione europea e dalla Comunità europea dell’energia atomica in GUUE 2020, L 29, p. 1 (in prosieguo la “decisione controversa”), nella parte in cui li privava del loro status di cittadino dell’Unione e dei diritti inerenti a tale status.
Come noto, l’art. 263, 4° c., TFUE prevede due ipotesi in cui la legittimazione ad agire viene riconosciuta a una persona fisica o giuridica per proporre un ricorso contro un atto dell’Unione di cui essa non è destinataria. In primo luogo, tale ricorso può essere proposto a condizione che l’atto la riguardi direttamente ed individualmente (v. art. 263, 4° c., seconda parte di frase). In secondo luogo, la suddetta persona può proporre ricorso contro un atto regolamentare che non comporti misure di esecuzione se esso la riguarda direttamente (v. art. 263, 4° c., terza parte di frase).
Nella causa sfociata nell’ordinanza impugnata, il Tribunale ha, in un primo momento, deciso di riunire al merito l’eccezione di irricevibilità sollevata dal Consiglio ex art. 130, par. 1, del regolamento di procedura del Tribunale (in prosieguo “RP Trib.”), per poi respingere il ricorso per carenza di legittimazione ad agire dei ricorrenti (rammentando, in proposito, che tale opzione non era stata inficiata dalla previa riunione al merito; v. punti 28 e 29 dell’ordinanza). Il Tribunale ha infatti ritenuto, rispettivamente, che i ricorrenti non fossero individualmente interessati dalla decisione controversa, ai sensi della seconda parte di frase dell’art. 263, 4° c., TFUE, e che tale decisione non potesse essere qualificata come atto regolamentare, ai sensi della terza parte di frase della disposizione in parola.
Più in particolare, nel ricordare il carattere cumulativo dei due requisiti previsti dall’art. 263, 4° c., seconda parte di frase, TFUE, il Tribunale, in ossequio verosimilmente al medesimo paradigma dell’eccezione di irricevibilità (v. punto 30 dell’ordinanza), esamina dapprima il requisito relativo all’incidenza individuale sui ricorrenti della decisione controversa (v. punti 38-67 dell’ordinanza), pervenendo alla conclusione che tale requisito non sia soddisfatto nel caso di specie, senza verificare la sussistenza del requisito dell’incidenza diretta, sebbene sia l’unico in comune tra le ipotesi di legittimazione ad agire previste alla seconda e alla terza parte di frase dell’art. 263, 4° c., TFUE. Il Tribunale continua poi il vaglio della ricevibilità del ricorso alla luce dell’art. 263, 4° c., terza parte di frase, TFUE, ritenendo che la decisione controversa non possa essere qualificata come atto regolamentare ai sensi di tale disposizione (v. punti 68-97 dell’ordinanza). Di conseguenza, accoglie l’eccezione di irricevibilità e respinge il ricorso in quanto irricevibile.
La Corte, come detto, rigetta l’impugnazione e conferma l’irricevibilità del ricorso, avvalendosi però del filtro, relativamente meno complesso, del difetto di interesse (e non della legittimazione) ad agire dei ricorrenti. È appena il caso di precisare che, nelle more dell’impugnazione, in risposta ad alcune questioni pregiudiziali poste dal Tribunale di Auch (Francia), la Corte ha avuto modo di confermare la validità della decisione controversa (v. Corte giust. 9 giugno 2022, causa C‑673/20, Préfet du Gers e Institut national de la statistique et des études économiques, EU:C:2022:449, punti 84-102) e ha infatti interrogato le parti circa l’incidenza di tale sentenza sulla ricevibilità del ricorso dinanzi al Tribunale (v. punto 25 della sentenza).
Sotto il profilo prettamente procedurale, la sentenza presenta dunque un certo interesse nella misura in cui ribadisce ed esalta la distinzione tra l’interesse ad agire, da una parte, e la legittimazione ad agire, dall’altra, e sembra suggerire un preciso ordine logico nell’esame di tali condizioni di ricevibilità, sebbene solo la seconda sia formalmente prevista dal trattato, la condizione dell’interesse ad agire essendo, come noto, una nozione di creazione giurisprudenziale.
In via preliminare, dopo aver rilevato incidentalmente che, per ragioni di economia processuale, il Tribunale è partito dalla premessa secondo cui la «perdita» o la «privazione» dello status di cittadino dell’Unione e dei diritti ad esso connessi sarebbero una conseguenza dell’adozione della decisione controversa, la Corte precisa che qualsiasi circostanza relativa alla ricevibilità del ricorso di annullamento in primo grado può costituire un motivo di ordine pubblico rilevabile d’ufficio in sede di impugnazione (v. punti 37-38 della sentenza). Prosegue poi il ragionamento ricordando le due condizioni che le persone fisiche o giuridiche non destinatarie di un atto devono soddisfare, ai sensi dell’art. 263, 4° c., TFUE, per essere legittimate ad agire contro lo stesso, nonché la necessità, sempre ai fini della ricevibilità del ricorso, di dimostrare di avere un interesse ad ottenere l’annullamento dell’atto contestato (v. punti 39-40 della sentenza). Infine, riferendosi alla propria giurisprudenza, ormai consolidata (v., inter alia, Corte giust., 17 settembre 2015, causa C‑33/14 P, Mory e a. c. Commissione, EU:C:2015:609, punto 62), la Corte ribadisce che l’interesse ad agire e la legittimazione ad agire costituiscono condizioni di ricevibilità distinte che una persona fisica o giuridica deve soddisfare cumulativamente per essere legittimata a proporre un ricorso di annullamento ai sensi dell’art. 263, 4° c., TFUE (in precedenza, v. tuttavia Corte giust., 13 ottobre 2011, cause riunite C‑463/10 P e C‑475/10 P, Deutsche Post e Germania c. Commissione, EU:C:2011:656, punto 38, in cui la Corte aveva precisato che il requisito secondo cui gli effetti giuridici vincolanti del provvedimento impugnato devono essere tali da incidere sugli interessi del ricorrente si sovrappone alle condizioni di cui all’art. 263, 4° c., TFUE).
Senza rivelarne esplicitamente le ragioni, la Corte solleva quindi d’ufficio la questione della sussistenza dell’interesse ad agire in capo ai ricorrenti, ritenendo, di conseguenza, superfluo lo scrutinio degli errori di diritto eventualmente commessi dal Tribunale nel ritenere i ricorrenti privi di legittimazione ad agire (v. punto 42 della sentenza).
Come noto, l’interesse ad agire, la cui sussistenza deve essere dimostrata dal ricorrente, presuppone che l’annullamento dell’atto impugnato possa produrre di per sé conseguenze giuridiche e che il ricorso possa pertanto, con il suo esito, procurare un beneficio alla parte che lo ha proposto. Tale interesse, che deve sussistere, alla luce dell’oggetto del ricorso, al momento della sua presentazione, a pena di irricevibilità, e perdurare fino alla pronuncia del giudice, pena il non luogo a statuire, deve essere concreto ed attuale e non può quindi riguardare una situazione futura ed ipotetica. Come è stato precisato più volte in giurisprudenza, l’interesse ad agire costituisce dunque il presupposto essenziale e preliminare di qualsiasi azione giurisdizionale (v. Corte giust., 17 settembre 2015, causa C 33/14 P, Mory e a. c. Commissione, cit., punti 55-58).
La differenza tra le due condizioni dell’interesse ad agire e della legittimazione ad agire si manifesta soprattutto al momento della loro disamina. Se la legittimazione ad agire rappresenta, per lo più, il legame giuridico tra il ricorrente e l’atto impugnato, l’interesse ad agire dipende essenzialmente da una valutazione di tipo fattuale, poiché presuppone che il ricorrente dimostri quale sia l’effetto utile che conseguirebbe a seguito dell’annullamento richiesto.
Nella sentenza, la Corte ricorda, nell’ordine, che (i) ai sensi dell’art. 50, par. 1, TUE, la decisione di recedere dall’UE dipende dalla scelta sovrana dello Stato interessato (v. punto 44 della sentenza); (ii) in virtù degli artt. 9 e 20, par. 1, TUE, la perdita della cittadinanza di uno Stato membro comporta ipso iure, per la persona interessata, quella dello status di cittadino dell’Unione e dei diritti ad esso connessi (v. punto 45 della sentenza); (iii) nella fattispecie, la perdita di tale status è dunque una conseguenza automatica della sola decisione, adottata sovranamente dal Regno Unito, di recedere dall’Unione, e non dell’accordo di recesso o della decisione controversa (v. punto 46 della sentenza). Sicché, un eventuale annullamento della decisione controversa non avrebbe potuto procurare alcun beneficio ai ricorrenti suscettibile di fondare un loro interesse ad agire, poiché siffatta perdita non sarebbe stata, in ogni caso, rimessa in discussione da tale annullamento (v. punto 47 della sentenza).
Sebbene la Corte non abbia formalmente censurato l’ordinanza del Tribunale (v. punto 49 della sentenza), essa ne ha tuttavia sconfessato di fatto il ragionamento, peraltro assai articolato, che sottendeva il rigetto del ricorso in quanto irricevibile per carenza di legittimazione ad agire. È infatti evidente, considerato che il risultato finale è lo stesso, che, se avesse condiviso l’iter logico-argomentativo seguito dal Tribunale, la Corte avrebbe potuto agevolmente confermarlo nella sostanza invece di ricorrere ad un’altra condizione di ricevibilità, apparentemente nemmeno invocata dal Consiglio.
Seguendo una logica inversa rispetto alla sentenza 17 settembre 2015 (causa C-33/14 P, Mory e a. c. Commissione, cit., punto 85) – in cui aveva, da una parte, annullato l’ordinanza d’irricevibilità poiché il Tribunale aveva ritenuto erroneamente che le ricorrenti non avessero dimostrato il loro interesse ad agire e, dall’altra, respinto il ricorso davanti a quest’ultimo per difetto di legittimazione ad agire delle stesse –, nel caso in esame la Corte fa prevalere la constatazione fattuale, che presenta nondimeno degli elementi di valutazione che si sovrappongono a quelli propri dell’incidenza diretta (il cui esame, come detto, non è stato svolto dal Tribunale), secondo cui i ricorrenti erano privi di interesse ad ottenere l’annullamento degli atti impugnati, alla valutazione giuridica della loro legittimazione ad agire. Come rilevato in via incidentale, la Corte verosimilmente non condivideva la premessa da cui era partito il Tribunale secondo cui la privazione dello status di cittadino dell’Unione sarebbe stata una conseguenza dell’adozione della decisione controversa (v. punto 37 della sentenza) e, per questo, ha esaminato il prisma della ricevibilità da una diversa angolazione.
Se la natura di «presupposto essenziale e preliminare di qualsiasi azione giurisdizionale» che viene riconosciuta alla condizione dell’interesse ad agire lascia supporre che esso rappresenti un prius logico nell’esame della ricevibilità di un ricorso di annullamento proposto da una persona fisica o giuridica contro un atto di cui non è destinataria (v., in tal senso, Corte giust., 17 settembre 2015, causa C-33/14 P, Mory e a. c. Commissione, cit., punti 55 e 59), resta il fatto che tale condizione non solo non è indicata nel trattato, ma, qualora non ne sia espressamente eccepita l’insussistenza, essa imporrebbe al Tribunale una valutazione di carattere fattuale necessariamente preceduta da un inizio di attività istruttoria almeno per quanto attiene al rispetto del principio del contraddittorio (v. Corte giust. 17 dicembre 2009, causa C‑197/09 RX‑II, Réexamen M c. EMEA, EU:C:2009:804, punto 41), in ossequio all’art. 64 RP Trib., il che potrebbe, in taluni casi, velatamente collidere con le esigenze di economia processuale e di celerità del processo.
Per quanto la questione della ricevibilità dei ricorsi ex art. 263 TFUE continui ad essere uno degli argomenti più spinosi e aggrovigliati del diritto processuale dell’Unione, al punto che potrebbe apparire talvolta più agevole arrestare l’esame della stessa alla verifica della sussistenza dell’interesse ad agire del ricorrente, sembra arduo, allo stato, preconizzare un approccio del Tribunale volto ad esaminare sistematicamente, in via preliminare (in particolare ogni qualvolta vi sia un’eccezione di irricevibilità ai sensi dell’art. 130 RP Trib. che non si fondi su di esso), la sussistenza di tale interesse, ma forse non è necessariamente questo l’insegnamento da trarre dalla sentenza.