The Court of Justice reminds the Consiglio di Stato (and other national courts) of some of the main cases of inadmissibility of references for a preliminary ruling: the Viagogo judgment
Corte giust., sentenza del 27 aprile 2023, causa C-70/22, Viagogo
La Corte di giustizia ricorda al Consiglio di Stato (e alle altre giurisdizioni nazionali) alcuni dei principali casi di irricevibilità del rinvio pregiudiziale: la sentenza Viagogo
La Cour de justice rappelle au Consiglio di Stato (et aux autres juridictions nationales) les cas principaux d’irrecevabilité des demandes de décision préjudicielle : l’arrêt Viagogo
Con sentenza del 27 aprile 2023 (resa nella causa C-70/22, Viagogo) la Corte di giustizia ha dichiarato irricevibile la domanda di pronuncia pregiudiziale sottopostale dal Consiglio di Stato italiano con ordinanza del 27 gennaio 2022, evitando, quindi, di dare risposta ai tre quesiti pregiudiziali formulati dal Consiglio di Stato. La Corte ha, infatti, individuato, nelle questioni enucleate dal giudice italiano, ben tre differenti cause di irricevibilità, cogliendo l’occasione per ribadire taluni requisiti il cui rispetto è necessario affinché un rinvio pregiudiziale possa superare il vaglio di ricevibilità e concludersi, quindi, con una risposta alle questioni sottoposte alla Corte da parte del giudice del rinvio.
I quesiti rimasti dunque “irrisolti” avanzati dal giudice a quo erano tre, tutti inerenti all’interpretazione di alcune disposizioni della direttiva 2000/31, c.d. direttiva sul commercio elettronico, adottata – come esplicitato all’art. 1 della medesima – con il fine di «contribuire al buon funzionamento del mercato garantendo la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione tra Stati membri». Il fine del Consiglio di Stato era, infatti, quello di procedere, poi, alla valutazione della compatibilità con detta direttiva della norma italiana – segnatamente l’art. 1, comma 545, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017/2019 (in GIURI n. 297, 21.12.2016) – che prevede che «la vendita o qualsiasi altra forma di collocamento di titoli di accesso ad attività di spettacolo effettuata da soggetto diverso dai titolari […] dei sistemi per la loro emissione è punita, salvo che il fatto non costituisca reato, con l’inibizione della condotta e con sanzioni amministrative pecuniarie da 5.000 euro a 180.000 euro».
Il procedimento principale era, invero, scaturito proprio dall’applicazione della citata disposizione nei confronti di Viagogo, società con sede in Svizzera che si occupa della gestione di siti internet destinati alla rivendita di biglietti per spettacoli o eventi sportivi di seconda mano (c.d. «mercato secondario», opposto al «mercato primario», ovvero la vendita di biglietti di prima mano presso l’organizzatore dell’evento o un distributore autorizzato). Dal momento che tale attività rientra nella fattispecie di cui al citato art. 1, comma 545, legge n. 232/2016, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM), con delibera del 16 marzo 2020, accertava la violazione di tale previsione, da parte di Viagogo, con riferimento alla vendita di biglietti relativi a ben 37 eventi e, conseguentemente, irrogava alla società una sanzione amministrativa pecuniaria pari a Euro 3.700.000. Avverso tale delibera, Viagogo aveva, poi, proposto ricorso per annullamento dinanzi al Tar Lazio e – in seguito al respingimento dello stesso – appello dinanzi al Consiglio di Stato.
Quest’ultimo, come anticipato, ha ritenuto necessario sospendere il procedimento e sottoporre, tramite rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE, tre quesiti alla Corte di giustizia.
Nel dettaglio, con il primo quesito pregiudiziale il Consiglio di Stato ha chiesto alla Corte di giustizia se la direttiva 2000/31, letta in combinato disposto con l’art. 56 TFUE – che vieta le limitazioni alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione – osti ad una normativa nazionale che «abbia l’effetto di precludere ad un gestore di una piattaforma di hosting, operante nella UE, quale è la ricorrente nel presente procedimento, di fornire a terzi utenti servizi di annunci di vendita di biglietti per eventi sul mercato secondario, riservando tale attività ai soli venditori, organizzatori di eventi o altri soggetti autorizzati» (Cons. Stato, sez. VI, 27 gennaio 2022 n. 592, punto 7, lettera a).
La seconda questione pregiudiziale verte anch’essa sull’interpretazione della direttiva 2000/31, letta – in questo caso – alla luce degli artt. 102 e 106 TFUE, i quali, com’è noto, hanno ad oggetto, rispettivamente, il divieto di abuso di posizione dominante e il trattamento da riservarsi ai servizi di interesse economico generale (SIEG). Il Consiglio di Stato ha chiesto, infatti, se il combinato disposto delle due norme del TFUE sopra citate osti ad una normativa di uno Stato membro che, riservando «tutti i servizi inerenti il mercato secondario dei biglietti (e in particolare l’intermediazione) ai soli venditori, organizzatori di eventi o altri soggetti autorizzati», e precludendo, quindi, lo svolgimento di tale attività ai soggetti che intendano prestare servizi in qualità di hosting provider ai sensi degli artt. 14 e 15 della direttiva 2000/31, «abbia l’effetto di consentire ad un operatore dominante sul mercato primario della distribuzione di biglietti di estendere la propria dominanza sui servizi di intermediazione del mercato secondario» (ivi, lettera b).
Infine, con il terzo e ultimo quesito pregiudiziale, il giudice a quo ha posto una questione squisitamente teorica, chiedendo come debba intendersi la nozione di “hosting provider passivo” impiegata dalla direttiva 2000/31 (ivi, lettera c).
La Corte di giustizia ha anzitutto ricordato che, affinché una domanda di pronuncia pregiudiziale sia ricevibile, occorre che essa sia necessaria ai fini della risoluzione della controversia sottoposta al giudice del rinvio, il che presuppone l’applicabilità a tale controversia delle disposizioni del diritto dell’Unione oggetto della domanda in questione (sentenza Viagogo, cit., punto 23). La Corte ha quindi individuato come prima causa di irricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale l’inapplicabilità ratione personae nella controversia principale – ovvero quella pendente dinanzi al giudice del rinvio – della disposizione di diritto dell’Unione di cui si chiede l’interpretazione ai giudici di Lussemburgo (ivi, punto 24).
Infatti, come espressamente previsto dall’art. 267, comma 2, TFUE – riguardante la facoltà di rinvio per le giurisdizioni nazionali che non sono di ultima istanza, ma comunque rilevante nell’ambito di un’interpretazione sistematica della citata previsione del Trattato nel suo complesso («Quando una questione del genere è sollevata dinanzi ad un organo giurisdizionale di uno degli Stati membri, tale organo giurisdizionale può, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto, domandare alla Corte di pronunciarsi sulla questione», [enfasi aggiunta]) – nonché come più volte ribadito dagli stessi giudici di Lussemburgo nella loro giurisprudenza (v., per tutte, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, punto 30), la Corte di giustizia ha ricordato che «per essere ricevibile, una domanda di pronuncia pregiudiziale deve essere necessaria ai fini della soluzione della controversia che il giudice del rinvio è chiamato a dirimere» (sentenza Viagogo, cit., punto 23; per un’approfondita analisi di tale requisito di ricevibilità, v. M. Broberg, N. Fenger, 2021, pp. 141-200). Ciò presuppone che la disposizione del diritto dell’Unione oggetto di una richiesta di interpretazione alla Corte di giustizia sia concretamente applicabile al procedimento principale incardinato dinanzi alla giurisdizione nazionale del rinvio. Ebbene, i giudici del Kirchberg hanno rilevato che nel caso di specie questo presupposto non risultava soddisfatto.
La direttiva 2000/21, infatti – ha osservato la Corte – tutela esclusivamente il mercato interno e la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione tra Stati membri (sentenza Viagogo, punto 25, enfasi aggiunta). Tuttavia, è fatto non contestato che la Viagogo sia una società stabilita in Svizzera, avendo sede a Ginevra, e che in tale Stato essa ha centralizzato la propria attività economica (ivi, punto 30), non essendo quindi applicabile la direttiva 2000/21 nel procedimento pendente dinanzi al Consiglio di Stato. Altrimenti detto, dal momento che i servizi di intermediazione per la vendita oggetto della controversia vengono forniti a partire da uno Stato terzo, eventuali restrizioni all’offerta degli stessi non sono suscettibili di incidere sul corretto funzionamento del mercato interno, con la conseguenza che la direttiva 2000/21 non è invocabile da Viagogo.
Tale conclusione, ha rilevato la Corte, non è smentita né dall’accordo sullo Spazio economico europeo, né dall’accordo CE-Svizzera. Infatti, da un lato, l’estensione dell’ambito di applicazione della direttiva 2000/21 allo Spazio economico europeo (SEE) non riguarda la Svizzera che, come noto, non figura tra gli Stati che fanno parte di tale Spazio in quanto parti dell’Accordo SEE; dall’altro lato, il Comitato misto UE-Svizzera, istituito in applicazione dell’Accordo CE-Svizzera, non ha mai adottato alcuna decisione diretta ad estendere l’applicazione della predetta direttiva alla Svizzera (sentenza Viagogo, cit., punto 29) (per un’analisi del rapporto tra Accordo CE-Svizzera e diritto UE della concorrenza come risultante dalla pronuncia de qua, v. C. Bovet, 2023, p. 407).
Sebbene tali constatazioni fossero di per sé sufficienti a sancire l’irricevibilità dell’intera domanda di pronuncia pregiudiziale, giacché, come anticipato, tutti e tre i quesiti avanzati dal giudice a quo riguardavano proprio l’interpretazione della direttiva 2000/21 (sentenza Viagogo, cit., punto 31), la Corte di giustizia non si è fermata a tali rilievi, bensì ha proceduto a sottolineare ulteriori criticità della domanda di pronuncia pregiudiziale, cogliendo l’occasione, come anticipato, di reiterare – seppur indirettamente – le condizioni da doversi osservare per formulare correttamente un rinvio pregiudiziale (come rilevato anche da D. Bouvier, Champ d’application de la directive “commerce electronique”, in Europe, 2023, 6, comm. 225).
Invero, nell’analisi della prima quesitone, i giudici del Kirchberg hanno ravvisato un’ulteriore ipotesi di inapplicabilità ratione personae, questa volta in relazione all’art. 56 TFUE (sentenza Viagogo, punto 32). Infatti, tale norma, nel vietare restrizioni alla libera prestazione dei servizi, lo fa esclusivamente con riferimento all’Unione e prevede che l’estensione del «beneficio delle disposizioni […] ai prestatori di servizi, cittadini di un paese terzo e stabiliti all’interno dell’Unione» sia possibile solo per effetto di una delibera in tal senso di Parlamento europeo e Consiglio secondo la procedura legislativa ordinaria. Ebbene, la Corte, da un lato, ha osservato come sia sì stata attuata, tramite l’accordo CE-Svizzera, una liberalizzazione della prestazione di servizi da parte di soggetti svizzeri; dall’altro lato, ha preso atto del fatto che questa sia solo parziale, interessando esclusivamente attività di breve durata, ovvero non superiori a 90 giorni di lavoro effettivo per anno civile (ivi, punto 35). Dal momento che risulta dalle circostanze di fatto che la Viagogo ha prestato i propri servizi per un arco di tempo superiore a quello summenzionato (ivi, punti 37-39), è sicuramente da escludersi che essa possa invocare a proprio vantaggio l’art. 56 TFUE.
È in riferimento alla seconda questione, poi, che la Corte di giustizia ha individuato un’ulteriore ipotesi di irricevibilità del rinvio pregiudiziale, ovvero la mancata indicazione, da parte del giudice del rinvio, degli «elementi di fatto e di diritto necessari per permetter[le] di rispondere in maniera utile» (ivi, punto 41). Nel caso di specie, infatti, il Consiglio di Stato ha mancato di indicare «le ragioni che lo hanno portato a interrogarsi in merito all’interpretazione degli articoli 102 e 106 TFUE, né il nesso che esso stabilisce tra gli articoli e, in particolare, la legge del 2016» (ivi, punto 42). Ciò, tuttavia, risulta in contrasto con l’art. 94 del regolamento di procedura della Corte. Come noto, esso sancisce che la domanda di rinvio pregiudiziale, per essere ricevibile, debba contenere – fra l’altro – «l’illustrazione dei motivi che hanno indotto il giudice del rinvio a interrogarsi sull’interpretazione o sulla validità di determinate disposizioni del diritto dell’Unione, nonché il collegamento che esso stabilisce tra dette disposizioni e la normativa nazionale applicabile alla causa principale» (art. 94 cit., lett. c): per un commento alla disposizione v. G. Grasso, in C. Amalfitano, M. Condinanzi, P. Iannuccelli, 2017, p. 586 ss.), elementi del tutto assenti – ad avviso della Corte – nell’ordinanza di rinvio.
Infine, l’ultima fattispecie di irricevibilità rilevante nella causa C-70/22 è stata enucleata dalla Corte di giustizia nella (brevissima) analisi del terzo quesito pregiudiziale. Segnatamente, quest’ultimo è stato dichiarato irricevibile in quanto avente carattere manifestamente ipotetico: la sua risoluzione da parte della Corte avrebbe comportato un abuso dello strumento del rinvio pregiudiziale, dal momento che la finalità di tale meccanismo, come risulta da una giurisprudenza consolidata, «non è la formulazione di opinioni a carattere consultivo su questioni generali o ipotetiche» (sentenza Viagogo, cit., punto 44).
La decisione della Corte risulta, quindi, un utile richiamo di alcune delle principali ipotesi di irricevibilità dei rinvii pregiudiziali.
Tuttavia, in relazione alla presa di posizione circa la prima domanda pregiudiziale, una declaratoria di irricevibilità così tranchant da parte della Corte di giustizia presta il fianco ad alcune critiche.
In particolare, i giudici di Lussemburgo, nella valutazione del soddisfacimento del requisito di cui all’art. 3 della direttiva sul commercio elettronico, ovvero nel determinare se il luogo di stabilimento del prestatore dei servizi – nel caso di specie la Viagogo – coincidesse effettivamente con uno Stato membro, hanno semplicemente osservato come «non è contestato che la Viagogo è stabilita a Ginevra, ivi ha la propria sede ed ivi centralizzala propria attività economica, malgrado il fatto che essa gestisca i propri siti Internet in versioni accessibili in vari Stati membri dell’Unione e, segnatamente, in Italia», traendone immediatamente la conclusione secondo cui «[l]e prestazioni di servizi di cui si tratta vengono dunque fornite a partire da uno Stato terzo ad opera di una società disciplinata dal diritto di tale Stato terzo» (sentenza Viagogo, cit., punto 30).
Ebbene, sarebbe certamente stato preferibile un modus operandi differente che si fosse preoccupato di enucleare in via specifica dei criteri cui fare concreto riferimento nella determinazione del luogo di stabilimento della Viagogo. La necessità di una soluzione maggiormente dettagliata emerge chiaramente non solo dal fatto che Corte di giustizia e Consiglio di Stato italiano siano giunti, al riguardo, a soluzioni diametralmente opposte, ma anche dalla circostanza per cui il Supremo giudice amministrativo italiano, nella sua ordinanza di rinvio, ha dato per scontato il soddisfacimento del predetto requisito, dedicando alla rilevazione del luogo di stabilimento un passaggio brevissimo. Segnatamente, il Consiglio di Stato ha affermato senza titubanze la natura non ostativa della «nazionalità extra Ue della società […] e [del]la circostanza che la piattaforma sia ospitata sui server Microsoft Azure negli Stati Uniti d’America», facendo prevalere su tali elementi «la piena operatività della società nell’ambito di paesi europei, attraverso lo svolgimento di servizi della società dell’informazione a favore di utenti e consumatori europei in relazione ad eventi che si svolgono nel territorio Ue» (Cons. Stato, cit., punto 6.3).
La stringatezza della pronuncia appare tanto più problematica se si prende in considerazione il fatto che la previsione del considerando 19 della direttiva sul commercio economico sancisce esplicitamente che «il luogo di stabilimento, per le società che forniscono servizi tramite siti Internet, non è là dove si trova la tecnologia del supporto del sito né là dove esso è accessibile, bensì il luogo in cui tali società esercitano la loro attività economica». Ebbene, giacché, per costante giurisprudenza della Corte, è da ritenersi che «il dispositivo di un atto è indissociabile dalla sua motivazione e va pertanto interpretato, se necessario, tenendo conto dei motivi che hanno portato alla sua adozione» (v., per tutte, TWD c. Commissione, punto 21), è possibile muovere alla Corte di giustizia una critica nel senso di non aver preso in debita considerazione, nella pronuncia in commento, la summenzionata indicazione del legislatore, o quantomeno di non avere fornito una motivazione dettagliata in ordine a tale profilo, decisivo ai fini dell’esito della causa pregiudiziale. La Corte, infatti, procede ad identificare il luogo di stabilimento della Viagogo con la sua sede sociale – nel caso di specie Ginevra – senza analizzare se e come essa offra i propri servizi anche al di fuori della Svizzera, nonostante il luogo di esercizio dell’attività economica sia individuato dal considerando 19 della predetta direttiva come elemento sostanziale per la determinazione del luogo di stabilimento.
In ogni caso, nella presa di posizione della Corte di giustizia, si può leggere la volontà della stessa di rammentare a tutti i giudici nazionali che l’impiego dello strumento pregiudiziale non può in nessun caso passare per una forzatura delle condizioni poste dall’art. 267 TFUE e delle disposizioni del regolamento di procedura della Corte ad esso connesse.
Tale “richiamo all’ordine” può essere, in linea generale, utile, in particolare di fronte all’emersione, in taluni Stati membri – in particolare in quelli di più recente adesione – della prassi da parte dei giudici nazionali di esperire rinvii pregiudiziali in via “deresponsabilizzata”. Tali giudici nazionali, invero, cercano di evitare di effettuare una valutazione preventiva circa l’inammissibilità del rinvio troppo approfondita, in modo da rimettere la responsabilità di tale giudizio in capo ai giudici di Lussemburgo, finendo, tuttavia, così a dar corso a istanze delle parti pretestuose, finalizzate esclusivamente a ritardare la conclusione del procedimento principale (per tali rilievi, v. V. Negrut, I. A. Zorzoană, 2023, p. 246). Si può quindi ritenere che la Corte, nel rammentare le cause di irricevibilità dei rinvii pregiudiziali anche al di là di quanto strettamente necessario, intenda scoraggiare questo impiego temerario dello strumento di cui all’art. 267 TFUE.
Adottando, invece, un punto di vista “nazionale”, si osserva come questa risposta vada ad inserirsi in una (piuttosto folta) schiera di pronunce di inammissibilità o irricevibilità rese dalla Corte di giustizia nei confronti di rinvii pregiudiziali esperiti dal Consiglio di Stato (v. J. Alberti, 2022, p. 42). La numerosità di ordinanze di tal genere viene ricondotta ad un atteggiamento particolarmente cauto del Consiglio di Stato, che parrebbe formulare dei rinvii definibili “difensivi” (per tale qualifica, v. F. Grisostolo, 2023, p. 1443). Il fine di alcune domande di pronuncia pregiudiziale sottoposte alla Corte di giustizia parrebbe infatti talvolta essere non tanto (o non solo) quello di ottenere un chiarimento circa la corretta interpretazione del diritto dell’Unione, quanto quello di scongiurare il rischio di violazione dell’obbligo di rinvio pregiudiziale per gli organi giurisdizionali di ultima istanza di cui all’art. 267, comma 3, TFUE, da cui deriverebbe responsabilità civile del magistrato e, conseguentemente, responsabilità dello Stato membro (per l’analisi di tale problematica, v. ex multis M. Sandulli, 2022). Il Consiglio di Stato, invero, si è a più riprese mostrato critico nei confronti della portata del descritto obbligo, sottoponendo ai giudici di Lussemburgo – soprattutto nel corso degli ultimi anni – questi relativi proprio alle condizioni e caratteristiche del procedimento di rinvio pregiudiziale (cfr., ad esempio, le pronunce Consiglio nazionale dei geologi e AGCM, Global Starnet, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, F. Hoffmann-La Roche e a., Centro Petroli Roma, Airbnb Ireland e Airbnb Payments UK).
In ogni caso, l’auspicio è che la sentenza Viagogo – lungi dal comportare qualsiasi tipo di irrigidimento dei rapporti tra la Corte e il Supremo giudice amministrativo italiano, e al di là della lettura non univoca dei criteri relativi al luogo di stabilimento della società in un caso come quello de quo – possa rappresentare un utile contributo e richiamo delle condizioni necessarie ai fini del corretto utilizzo dello strumento del rinvio pregiudiziale da parte del giudice nazionale.