Judicial Statistics 2023: Prospects of European Litigation

Statistiche giudiziarie 2023: prospettive future del contenzioso europeo

Statistiques judiciaires 2023 : Perspectives d’avenir du contentieux européen

1. Il 22 marzo 2024 sono state rese pubbliche le statistiche giudiziarie relative all’attività della Corte di giustizia nell’anno 2023, che evidenziano un aumento strutturale sia dei ricorsi diretti (in particolare quelli in annullamento e di inadempimento) sia delle domande pregiudiziali. Si tratta di un incremento che riguarda tanto la Corte (da 806 nuove cause nel 2022 a 821 nel 2023), quanto e soprattutto il Tribunale (da 904 nuove cause del 2022 a 1271 nel 2023).

L’aumento significativo del numero di cause (soprattutto dinnanzi al Tribunale) e dei tempi di trattazione di queste ultime hanno rappresentato alcuni dei motivi per modificare il Protocollo n. 3 dello Statuto della Corte di giustizia, dapprima per raddoppiare il numero dei giudici del Tribunale (C. Amalfitano, M. Condinanzi, 2022; C. Amalfitano, 2018) e poi – tra le altre modifiche – per trasferire le questioni pregiudiziali in alcune precise materie dalla Corte al Tribunale (A. Tizzano, 2023; D. Domenicucci, 2024). Questa ultima riforma, proposta il 30 novembre 2022 dalla Corte al Parlamento europeo e al Consiglio, sulla base dell’art. 281, comma 2, TFUE, è stata approvata dal Consiglio il 19 marzo 2024.

Alla luce di tale premessa, i paragrafi che seguono hanno ad oggetto un’analisi sintetica di alcuni dei principali ambiti che hanno registrato un aumento del contenzioso sia alla Corte di giustizia che al Tribunale. L’obiettivo è evidenziare le questioni processuali più significative in queste materie, offrendo una panoramica sulle tendenze future del contenzioso della Corte di giustizia dell’Unione europea.

2. Come afferma il Presidente Lenaerts, il trasferimento di competenze dovrebbe consentire alla Corte di occuparsi sempre di più di “questioni costituzionali”, una tra tutte, quella concernente il rispetto dei valori fondativi dell’Unione (K. Lenaerts, 2023).

Come noto, il malfunzionamento della procedura politica ai sensi dell’art. 7 TUE (S. Greer A. Williams, 2009), causato dall’inazione del Consiglio e del Consiglio europeo all’utilizzo del citato strumento (S. Priebus, 2022), ha “costretto” le istituzioni europee e, altresì, gli stessi giudici nazionali a usare – e in alcuni casi a “piegare” – gli strumenti processuali ordinari (A. Circolo, 2023). Si pensi alle questioni pregiudiziali in materia di indipendenza della magistratura sollevate dai giudici comuni – in particolare polacchi e rumeni – che hanno consentito alla Corte di giustizia di conoscere e avere “voce in capitolo” sulle carenze sistemiche dei valori ex art. 2 TUE (v. per tutti L. Pech, 2023; L. Pech, D. Kochenov, 2021). In altre parole, mediante il meccanismo di cui all’art. 267 TUE, il giudice comune – la cui indipendenza viene minata attraverso leggi nazionali che riformano l’intero sistema giudiziario – si fa garante dell’indipendenza strutturale dell’ordinamento giudiziario in cui è incardinato. Così emerge che il rinvio pregiudiziale diviene il mezzo attraverso cui il giudice nazionale, bersaglio e presidio del deterioramento dei valori, permette alla Corte di dettare standard di indipendenza più elevati valevoli per tutti (benché diversi) gli ordinamenti (A. Adinolfi, 2008; C. Amalfitano, 2018).

Tali standard, inoltre, sono serviti alla Commissione europea come “base di lavoro” per avviare le procedure di infrazione (in particolare nei confronti della Polonia) che, non vi è dubbio, rappresentano almeno in potenza un valido strumento per risolvere – anche solo in parte – i problemi sistemici legati all’indipendenza (K. Scheppele, 2023). Ciò è ancora più vero nell’ipotesi in cui il mancato rispetto della sentenza ex art. 258 TFUE può condurre, in virtù dell’art. 260 TFUE, all’irrogazione di sanzioni pecuniarie (L. Prete, 2023). A ciò si aggiunga – e di questo se ne deve dare pregio – che la Commissione ha fatto uso anche dello strumento del contenzioso in via cautelare (ai sensi dell’art. 279 TFUE e dell’art. 160, par. 2 e 7, RP CG, si v. M. Condinanzi, C. Amalfitano, 2020) che sebbene sia stato da sempre poco utilizzato, merita di essere valorizzato (M. Condinanzi, 2018) soprattutto se si considera che tra le misure provvisorie adottabili, proprio perché atipiche, vi è anche il pagamento di una penalità di mora (G. Gentile, D. Sartori, 2023; M. Lanotte, 2023).

Pur senza menzionare l’azione di annullamento che, tra l’altro, è stata utilizzata da Polonia e Ungheria per richiedere la validità – confermata dalla Corte di giustizia (J. Alberti, 2022) – del “regolamento condizionalità” (B. Nascimbene, 2021; A. Circolo, 2022), si desume agevolmente la quantità e l’importanza del lavoro della Corte di giustizia che, a ben vedere, attraverso i diversi rimedi di tutela giurisdizionale assolve al mandato costituzionale di promozione e di protezione dei valori previsto dall’art. 3 TUE (W. Schroeder, 2022).

2.1. Il ruolo della Corte di giustizia si è distinto anche rispetto ad un’altra questione costituzionale delicata: quella ambientale (oltre che energetica e climatica), in relazione alla quale il documento statistico segnala una consistente crescita del numero dei ricorsi diretti.

In siffatto ambito, e per quello che riguarda l’azione di annullamento, la Corte ha manifestato una particolare ritrosia a riconoscere ai singoli la qualifica di legittimati ad agire (I. Anrò, 2022; G. Agrati, 2021; S. Villani, 2023), trincerandosi dietro al discutibile “dogma” della complementarietà tra il ricorso diretto ex art. 263, comma 4, TFUE e il rinvio pregiudiziale di validità ai sensi dell’art. 267 TFUE (B. Cortese, 2020; M. Eliantonio, 2020), e dovrà rispondere ai numerosi ricorsi provenienti da diversi Stati membri (primo tra tutti la Polonia) riguardanti la legittimità della legislazione ambientale dell’Unione (si v. le cause pendenti C-442/23, Polonia c. Parlamento e Consiglio; C-444/23, Polonia c. Parlamento e Consiglio; C-445/23, Polonia c. Parlamento e Consiglio; C-451/23, Polonia c. Parlamento e Consiglio; C-505/23, Polonia c. Parlamento e Consiglio).

Per quanto attiene, invece, la procedura d’infrazione, i giudici di Lussemburgo, già negli anni precedenti e in plurime occasioni, non hanno mancato di dichiarare l’inadempimento di alcuni Stati membri rispetto agli obblighi ambientali (v., tra le ultime, le cause, C-683/20, Commissione c. Repubblica slovacca; C-687/20, Commissione c. Portogallo; C-510/20 Commissione c. Bulgaria; C-286/21 Commissione c. Francia; C-730/19 Commissione c. Bulgaria; C-573/19 Commissione c. Italia; C-661/20 Commissione c. Repubblica slovacca), seppure recentemente escludendo la ricevibilità del ricorso di “doppia condanna” ai sensi dell’art. 260, par. 2, TFUE (C. Amalfitano, 2012; P. Wennerås, 2017; C. Burelli, 2023) in un’ipotesi in cui la Commissione non aveva adeguatamente dimostrato che lo Stato inadempiente non avesse dato esecuzione alla sentenza ex art. 258 TFUE (causa C-174/21, Commissione c. Bulgaria, sul punto, v. M. Patrin, 2023). L’attenzione e l’approccio sistemico con cui la Commissione ha annunciato di trattare gli inadempimenti nazionali in questa materia (si v. Strategic Plan 2020-2024) lasciano presagire che il contenzioso in questo settore – come anche in quello in materia di energia – costituirà una importante fetta del lavoro della Corte. Infatti, la Commissione, consapevole del fatto che, spesso, le violazioni delle norme ambientali non rappresentano casi isolati, ma possono essere sintomatiche di carenze sistemiche (M. Eliantonio, 2023), ha avviato – come si evince dall’ultimo rapporto – una serie di procedure di infrazione su vari aspetti generali e persistenti che coinvolgono diversi Stati membri. In questo senso, seppure degna di nota è la considerazione in virtù della quale il Tribunale sarebbe più incline della Corte di giustizia ad addentrarsi in questioni che richiedono conoscenze specialistiche in materia ambientale (M. Eliantonio, cit.), si può condividere la riflessione di coloro che sostengono che lo strumento di cui all’art. 258 TFUE potrà costituire una risposta efficace nella misura in cui permette di esercitare una pressione significativa sugli Stati membri. Questi ultimi, non solo, dovranno adottare misure atte a conformarsi agli obblighi ambientali dell’UE, ma dovranno, altresì, garantire che le violazioni non saranno più ripetute (L. Prete, B. Smulders, 2021).

2.2.Ulteriore settore sensibile che ha registrato il maggior numero di questioni pregiudiziali nel 2023 è stato quella dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia con riferimento, segnatamente, al diritto d’asilo e alla protezione internazionale (s. v. rapporti quadrimestrali EUAA).

Si tratta di una materia nella quale la collaborazione fra i giudici nazionali e la Corte di giustizia si è fatta sempre più fitta soprattutto a causa della frammentarietà e disorganicità delle legislazioni nazionali. Da qui, se ne deduce che lo strumento del rinvio pregiudiziale risulta fondamentale per “ricomporre” e condurre ad unità la materia della migrazione e dell’asilo, a maggior ragione se si tengono in debita considerazione tre fattori eterogeni.

In primo luogo, ad eccezione della procedura di infrazione nei confronti dell’Ungheria (causa C-823/21, Ungheria c. Commissione; v. K. Galicz, 2023), la “riluttanza” della Commissione a vigilare adeguatamente sugli inadempimenti degli Stati membri in questo settore – nonostante si tratti in molti casi di violazioni sistemiche (E. Tsourdi, C. Costello, 2023) – rende il rinvio pregiudiziale un “mezzo alternativo” rispetto ai ricorsi diretti, in ossequio a quel ruolo di “chiave di volta” del sistema di tutela giurisdizionale che da sempre esso incarna (M. Cometti, 2022; V. Passalacqua, 2021).

In secondo luogo, l’approvazione del Nuovo patto sulla migrazione e l’asilo, sebbene vantato come “historic agreement” solleva numerose perplessità circa l’aumento del rischio di violazione dei diritti umani (P. De Pasquale, 2020; C. Favilli, 2020; S. Peers, 2024), che a loro volta fanno presagire un aumento della frequenza del dialogo con la Corte di giustizia.

Da ultimo, la trasformazione dell’EASO (Ufficio europeo per l’asilo) nella nuova Agenzia dell’UE per l’asilo (EUAA) e le nuove funzioni a quest’ultima conferite – di sostegno e assistenza delle autorità nazionali, oltre che di elaborazione di norme operative e migliori prassi sull’attuazione del diritto dell’Unione relativi all’asilo (M. Cometti, 2021) –potranno porre, in un futuro non lontano, questioni circa l’impatto di tali attività sulle amministrazioni nazionali, oltre che questioni relative al valore giuridico e alla possibilità di interpretare (E. Tsourdi, 2020; K. Galicz, 2023) e contestare attraverso il rinvio pregiudiziale di validità (G. Lisi, M. Eliantonio, 2019) gli atti predisposti da EUUA.

Vieppiù, la Corte sarà chiamata, in sede di impugnazione, a riesaminare le sentenze del Tribunale che hanno avuto ad oggetto la responsabilità extracontrattuale (ex art. 340, par. 2, TFUE) di Frontex per le violazioni dei diritti fondamentali causate dalle sue operazioni. Infatti, il Tribunale nella causa WS c. Frontex (F. Passarini, 2023), per la prima volta, si è pronunciato sul punto ritenendo il ricorso ammissibile e autonomo rispetto all’azione di annullamento, ma rigettando la domanda nel merito per insufficienza di prova del nesso di causalità diretto tra condotta illecito e danno, senza accertare l’illiceità della comportamento di Frontex. Non dissimile il risultato a cui il medesimo giudice è giunto nella sentenza Hamoudi c. Frontex, in cui il ricorso è stato dichiarato manifestamente infondato in diritto poiché il ricorrente non aveva dimostrato l’effettiva sussistenza del danno lamentato (J. De Conick, 2024).

Ne consegue che lo strumento del ricorso per responsabilità extracontrattuale, sebbene considerato potenzialmente quello più valido, posti gli infruttuosi tentativi di far valere la responsabilità di Frontex attraverso i ricorsi per annullamento e per carenza (S. Nicolosi, 2022) si è dimostrato comunque – almeno per ora – un rimedio inefficace (D. Vitiello, 2023). Spetterà, dunque, alla Corte di giustizia, magari, “modellare” le condizioni di tale strumento processuale al fine di garantire una tutela giurisdizionale effettiva e di “responsabilizzare” Frontex rispetto alle violazioni di diritti fondamentali commesse (A. Pirrello, M. Eliantonio, 2024), soprattutto alla luce dei nuovi poteri da quest’ultima assunti con l’entrata in vigore del Regolamento n. 2019/1896 (D. Vitiello, 2020).

3. Per quanto riguarda il Tribunale, le statistiche giudiziarie fotografano lo stato dell’arte alla vigilia “dell’ascesa di un mondo nuovo” (J. Alberti, 2024), ossia prima che l’accordo sul trasferimento della competenza in materia pregiudiziale dalla Corte di giustizia al Tribunale diventi operativo (dal 1° settembre 2024). Pertanto, come afferma il Presidente van der Woude, nel corso del 2023, il Tribunale ha continuato il suo processo di modernizzazione al fine di migliorare il trattamento delle cause più voluminose, complesse e dall’alto grado di tecnicismo.

Tra i settori che hanno maggiormente interessato l’attività del Tribunale vi è quello finanziario e bancario, il cui quadro normativo, a seguito della crisi finanziaria del 2008, è stato completamente ristrutturato, comportando una significativa trasformazione della struttura amministrativa (E. Chiti, 2015).

In estrema sintesi, tra le modifiche, vale la pena di ricordare, da un lato, l’introduzione, nel 2010, del Sistema europeo di vigilanza finanziaria (ESFS), che stabilisce una vigilanza macroprudenziale (di cui si occupa il CERS) e micro-prudenziale (di cui si occupano le ESAs); dall’altro lato, nel 2013, la creazione del Meccanismo di vigilanza Unico (MCV) volto a rafforzare la vigilanza bancaria e aumentare la resilienza del settore bancario, e, nel 2014, l’instaurazione del Meccanismo di risoluzione unico (MRU) per garantire un approccio comune al problema delle banche in dissesto.

Nell’impossibilità di ricostruire le singole vicende, sia per complessità che per quantità (si v. per l’anno 2023 R. D’ambrosio, F. Chirico, L. Droghini, G. Pala, 2024), merita in questa sede ricordare che la maggior parte del contenzioso attiene all’ambito bancario e ha ad oggetto azioni di annullamento contro le decisioni di vigilanza della BCE. Degna di nota è la vicenda del banco Carige, in relazione alla quale, a seguito dell’annullamento della decisione della BCE di assoggettare l’istituto di credito all’amministrazione straordinaria (causa T-502/19, Corneli c. BCE, v. S. Amorosino, 2022), alcuni azionisti hanno proposto un’azione risarcitoria ex artt. 268 e 340 TFUE per i danni (patrimoniali e non) subiti durante il regime di “commissariamento” (tra i ricorsi pendenti si v. causa T-134/21, Malacalza Investimenti e Malacalza c. BCE; causa T-1192/23, Alessio e a. c. BCE).

Altra parte rilevante del contenzioso riguarda la complessa procedura prevista dal MRU che si attiva quando: i) una banca è (o rischia di essere) in dissesto; ii) non vi sono misure che consentano di evitarlo; e iii) la risoluzione è necessaria per l’interesse pubblico (art. 18 regolamento citato). In relazione a questo meccanismo, il Tribunale spesso viene investito di ricorsi volti all’annullamento delle decisioni di risoluzione del Comitato di risoluzione unico (SRB). Una delle vicende più note è quella legata al Banco Popular Espagnol, che, a causa del dissesto, è stato sottoposto dal SRB ad un programma di risoluzione. Rispetto alle “sorti” degli azionisti e creditori, il regolamento prevede che se essi hanno sostenuto perdite maggiori rispetto a quelle che avrebbero sofferto in caso di liquidazione della banca con procedura ordinaria di insolvenza, il SRB può ricorrere al Fondo di risoluzione (SRF) per indennizzarli. Tale ipotesi, secondo un perito indipendente e il SBR non si è verificata nel caso di specie. Sicché, diversi azionisti e creditori interessati hanno contestato tale ultima decisione, ai sensi dell’art. 263, comma 4 , TFUE dinanzi al Tribunale, che però ha respinto i ricorsi, ritendo indipendente il perito che ha operato la valutazione e corretta la metodologia utilizzata da quest’ultimo (cause riunite T-302/20, T-303/20 e T-307/20, Del Valle Ruíz e a. c. SRB; causa T-304/20, Molina Fernández c. SRB; T-330/20, ACMO e a. c. SRB; causa T-340/20, Galván Fernández-Guillén c. SRB).

Tra l’altro, proprio con riferimento alle decisioni del SRB sui contributi ex ante al SFR, sono stati sollevati una serie di ricorsi ai sensi dell’art. 263 TFUE. Come noto, SFR è finanziato dai contributi ex ante versati dagli enti dei 21 paesi che fanno parte dell’Unione bancaria. L’importo di tali contributi è stabilito dal SRB in funzione di una componente legata alle dimensioni e al rischio. Nel 2021, taluni enti creditizi stabiliti in Francia e in Germania hanno contestano l’importo di tali contributi, chiedendo e ottenendo l’annullamento della decisione del SRB (cause T-383/21, Banque postale c. SRB; T-384/21, Confédération nationale du Crédit mutuel e a. c. SRB; T-385/21, BPCE e a. c. SRB; T-387/21, Société générale e a. c. SRB; T-388/21, Crédit agricole e a. c. SRB; T-389/21, Landesbank Baden-Württemberg c. SRB; T-397/21, BNP Paribas c. SRB).

Occorre, a questo punto, sottolineare che, se il legislatore europeo avesse adottato una soluzione più lungimirante, ovvero attribuire alla commissione di ricorso interna al SRB la competenza per pronunciarsi in primo grado sulle questioni finora descritte, il contenzioso in questa materia si sarebbe ridotto notevolmente. In particolare, le cause sarebbero arrivate al Tribunale solo dopo che una commissione specializzata come l’appeal panel del SRB si fosse già espressa in primo grado, alleggerendo la complessità tecnica, e alla Corte di giustizia solo nel caso in cui fossero stati soddisfatti i requisiti dell’art. 58 bis dello Statuto della Corte.

Si comprende come la regolamentazione complessa e articolata nel settore finanziario e bancario – oggetto, tra l’altro, di continui interventi e revisioni e sottoposta a nuove sfide derivanti, oltre che dal contesto geopolitico, dall’avanzamento della tecnologia – comporta l’ampliamento del ricorso all’“agentificazione” (M. Chamon, 2016; J. Alberti, 2018; C. Tovo, 2016; D. Vese, 2023), la proliferazione di procedure composite – che, essendo caratterizzate da processi decisionali che coinvolgono le amministrazioni nazionali e dell’Unione sollevano molteplici questioni (si v. R. D’Ambrosio, C. Eckes, 2020) – e, di conseguenza, anche l’aumento del contenzioso dinnanzi al Tribunale, che necessita sempre di più importanti competenze tecniche.

3.1. Parte rilevante del contenzioso dinnanzi al Tribunale ha riguardato le misure restrittive adottate dall’Unione europea nei confronti delle persone fisiche e giuridiche nel contesto del conflitto russo-ucraino.

Come noto, dall’inizio della guerra il Consiglio dell’Unione, ai sensi degli artt. 29 TUE (per le decisioni) e 215 TFUE (per i regolamenti attuativi), ha adottato misure sanzionatorie restrittive che, come sottolineato dalla dottrina, presentano caratteristiche peculiari rispetto a quelle adottate in altre situazioni di conflitto (S. Poli, F. Finelli, 2023). Si tratta di una serie di misure quali: i) sanzioni rivolte nei confronti dell’economia russa in specifici settori; ii) sanzioni diplomatiche e in materia di visti; iii) restrizioni ai media russi (si v. causa T-125/22, RT France c. Consiglio, S. Poli, 2022) ; iv) sanzioni che hanno come destinatari le persone e le entità che sostengono, beneficiano o forniscono una fonte sostanziale di reddito al governo russo (C. Massa, 2021).

Queste ultime sanzioni, in particolare, hanno sortito l’effetto di aumentare esponenzialmente il contenzioso. Come noto, infatti, è possibile contestare le sanzioni sia – come riconosciuto nella storica causa Rosneft (P. Van Elsuwege, 2017; S. Poli, 2017) e, successivamente e con alcune differenze, in Bank Refah (M. E. Bartoloni, 2020; N. Bergamaschi, 2020) – indirettamente, attraverso una domanda di validità sollevata dal giudice nazionale in via pregiudiziale (P. Van Elsuwege, 2021), sia – e questa è sicuramente la parte la parte più cospicua dei ricorsi – presentando un ricorso in annullamento al Tribunale da parte delle persone fisiche e giuridiche, tra i quali rientrano anche gli Stati terzi (si v. la sentenza della Corte di giustizia Venezuela c. Consiglio, preceduta dalla pronuncia del Tribunale, v. A. Miglio, 2023).

Come segnalato dalla dottrina (L. Lonardo, 2023), l’aspetto più invocato è il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva ex art. 47 CdfUE (N. Lazzerini, 2009) in relazione alla motivazione dell’inserimento nell’elenco di persone fisiche o giuridiche sottoposte a misure restrittive. Tale scelta da parte del Consiglio dell’Unione deve essere presa – come già aveva avuto modo di statuire il Tribunale nel caso Mikhalchanka e di ribadire recentemente nella sentenza Prigozhina – su una base fattuale sufficientemente solida tale da essere idonea a fondare la decisione presa nei confronti dell’interessato.

L’art. 47 CdfUE è stato invocato anche per contestare un altro tipo di sanzioni, inserite nell’ottavo pacchetto, ovverosia quelle che vietano la fornitura di servizi (di architettura e ingegneria e di consulenza informatica e legale) al governo russo o a persone giuridiche, entità o organismi stabiliti in Russia. In relazione a tali misure sono stati presentati tre ricorsi di annullamento da parte di ordini e associazioni di avvocati (causa T-797/22, Ordre néerlandais des avocats du barreau de Bruxelles e a. c. Consiglio; T-798/22, Ordre des avocats à la Cour de Paris e Couturier c. Consiglio; T-828/22, ACE c. Consiglio) attraverso i quali è stata lamentata, anche, la violazione del principio di proporzionalità (in quanto l’introduzione del citato divieto non è considerata idonea a raggiungere gli obiettivi perseguiti dall’UE nel contesto del conflitto) e dell’obbligo di motivazione previsto dall’art. 296 TFUE (posto che secondo i ricorrenti il Consiglio non ha fornito alcuna spiegazione in merito alla ragione del divieto generale).

 Da ultimo, l’art. 47 CdfUE è stato utilizzato dalla difesa di Nikita Mazepin, che dopo aver proposto un’azione di annullamento avverso alcune misure restrittive adottate nei suoi confronti, ha richiesto la sospensione parziale dell’esecuzione delle stesse (ai sensi dell’art. 278 TFUE) e l’adozione di misure atipiche (in virtù dell’art. 279 TFUE), offrendo così l’opportunità alla Vicepresidenza della Corte di chiarire, in maniera inedita, aspetti di natura procedurale di particolare rilevanza (A. Pau, 2024).

Ci si può, dunque, attendere in questo specifico settore un ricco contenzioso, che potrebbe con buone probabilità anche comportare nuove precisazioni da parte della Corte di giustizia in ordine alla sua competenza sui ricorsi per il risarcimento dei danni derivanti da decisioni in ambito PESC: una sorta di “era post Bank Refah Kargaran” (F. Bestagno, 2020; P. Van Elsuwegw, J. De Conick, 2020).

3.2. Il settore che ha riscontrato il più elevato numero di cause è stato quello relativo alla proprietà intellettuale. Esso ha registrato 310 cause per l’anno 2023 (rispetto alle 270 dell’anno precedente).

In questo ambito, sebbene il numero di cause sia particolarmente elevato, si può sostenere che il lavoro del Tribunale sia perlopiù standardizzato e non particolarmente impegnativo. Invece a fare da protagoniste sono le commissioni di ricorso in seno all’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) (P. Chirulli, L. De Lucia, 2018) in relazione alle quali, in ragione delle funzioni “ibride” che sono chiamate a svolgere, si pone l’ampio tema se esse siano da annoverarsi tra gli organi amministrativi o giudiziari dell’architettura dell’Unione (J. Alberti, 2022).

 In dettaglio, il sistema, come noto, è il seguente: l’EUIPO esamina le domande di registrazione dei marchi, disegni e modelli dell’Unione europea, decidendo – qualora essi soddisfino le condizioni stabilite – se possono o meno essere registrati. Siffatte decisioni, in deroga all’art. 263, comma 4, TFUE e in virtù del comma 5 della medesima disposizione, possono essere impugnate dinnanzi alle commissioni di ricorso incardinate nell’EUIPO (G. Greco, 2021). Le decisioni delle commissioni sono, a loro volta, suscettibili di impugnazione dinanzi al Tribunale. Ne deriva che le commissioni di ricorso esercitano un’attività (amministrativa) preventiva rispetto all’ordinaria tutela giurisdizionale insieme alla quale, costituiscono, nella materia dei marchi e brevetti, un sistema integrato di tutela. Esse svolgono, dunque, un ruolo di non poco momento all’interno del sistema e non si limitano ad operare come meri organi amministrativi.

Da qui, tra l’altro, ne consegue l’ulteriore questione di quale regime di garanzie deve essere applicato dinnanzi alle commissioni. Il problema è se si tratta di un procedimento amministrativo, in relazione al quale trova applicazione l’art. 41 CdfUE, o di un procedimento (para)giurisdizionale – accogliendo, pertanto, una definizione ampia di giurisdizione nella quale rientra anche la commissione di ricorso – in relazione alla quale si applicano le garanzie processuali di cui all’art. 47 CdfUE (J. Alberti, cit., 2022; G. Greco, cit., 2021).

Vieppiù, fino a poco tempo fa le sentenze emesse dal Tribunale potevano essere soggette al doppio grado di giurisdizione dinanzi alla Corte di giustizia per questioni di diritto. Sennonché la riforma dell’art. 58 bis dello Statuto della Corte, operata dal regolamento UE/Euratom 2019/629, ha previsto che «l’esame delle impugnazioni proposte contro le decisioni del Tribunale aventi ad oggetto una decisione di una commissione di ricorso indipendente di uno dei seguenti uffici e agenzie dell’Unione [EUIPO, UCVV, ECHA e AESA] è subordinato alla loro ammissione preventiva da parte della Corte di giustizia». In altri termini, si tratta di un filtro che ha ristretto a casi eccezionali il ricorso alla Corte e ha subordinato l’ammissibilità dell’impugnazione al requisito – che deve essere dimostrato dalla parte – che si tratti di una «questione importante per l’unità, la coerenza lo sviluppo del diritto dell’Unione» (sul punto, v. R. Torresan, 2024). Da qui si può desumere il maggiore ruolo “giurisdizionale” delle commissioni di ricorso come ulteriore tassello dell’architettura giudiziaria dell’Unione, dal quale deriva altresì la necessità di una maggiore riflessione, ad esempio, su taluni profili, come quello relativo allo standard di indipendenza che esse dovrebbero rispettare (J. Alberti, 2022).

4. La sintetica panoramica offerta, sebbene non possa che limitarsi a tracciare le generali linee di tendenza che emergono dalle statistiche giudiziarie 2023, consente, però, di immaginare le prospettive future del contenzioso europeo.

Per un verso, la Corte di giustizia, attraverso la devoluzione di taluni rinvii pregiudiziali al Tribunale in materie specifiche avrà maggiore spazio per delineare, configurare e rafforzare il suo ruolo di “Corte costituzionale dell’Unione europea”, soprattutto in relazione alle questioni che ineriscono alle crisi sistemiche (ambientale, migratoria, dei valori) che affannano l’Europa.

Il fallimento del Trattato costituzionale nell’ormai lontano 2005 non è evidentemente più una ragione sufficiente per usare timidamente e in maniera parsimoniosa l’aggettivo “costituzionale”.

Sennonché, questa transizione del ruolo della Corte necessita anche dell’affinamento, almeno parziale, della tecnica redazionale dei giudici di Lussemburgo dal punto di vista qualitativo. Il ragionamento alla base delle pronunce deve essere maggiormente coltivato dalla Corte, non solo per chiarezza linguistica, ma anche per logicità e profondità dell’argomentazione giuridica. Non mancano casi in cui principi giuridici centrali vengano citati, ma non approfonditi e dettagliati; situazioni in cui nemmeno lo sforzo dottrinale consente di tracciare una coerenza nel ragionamento della Corte; casi in cui i passaggi giuridici vengono “copia-incollati” dalla giurisprudenza precedente – magari con la citazione di una delle ultime pronunce, quando, invero, sarebbe opportuno riportare i primi precedenti dove quella soluzione giuridica è stata elaborata –; ancora, sentenze nelle quali la Corte non considera le implicazioni più ampie delle sue sentenze, inclusi gli effetti sul sistema economico nazionale (M. Lanotte, 2024). Tale auspicato “cambio di passo”, allora, avrebbe il pregio di porsi in linea con il principio di certezza del diritto e con la necessità di costruire un sistema costituzionale europeo autonomo e solido nella sua tradizione (A. Tizzano, 2023).

Per altro verso, il Tribunale, oltre ad un aumento del contenzioso in materie tecniche ma anche politicamente sensibili – si pensi alle misure restrittive, e altresì, ai ricorsi in annullamento intentati dalle associazioni giudiziarie europee per l’annullamento della decisione del Consiglio di approvare il PNNR polacco (M. Lanotte, 2022), o quello che ha ad oggetto l’annullamento della decisione della Commissione di chiudere il Meccanismo per la cooperazione e verifica (MCV) per la Romania (A. Marini, 2024) – da settembre 2024 si troverà a dover svolgere anche una nuova “mansione”. Il trasferimento della competenza pregiudiziale in alcune precise materie è un importante banco di prova per il Tribunale che dovrà dimostrare di saper rispondere al meglio alla funzione di interprete del diritto dell’Unione e saper maneggiare con cura la «chiave di volta» del sistema (sul ruolo del rinvio pregiudiziale, v. S. Barbieri, 2023).

In attesa di verificare sul piano applicativo le conseguenze della nuova architettura, non si può non ricordare che, ad ogni modo, esiste un “paracadute” per assicurare che questa riforma non mini l’uniformità del diritto dell’Unione. Infatti, ai sensi dell’art. 256, par. 3, secondo e terzo periodo TFUE, , il Tribunale potrà rinviare la questione alla Corte qualora ritenga che la causa “richieda una decisione di principio che possa compromettere l’unità o la coerenza del diritto dell’Unione”, e la Corte di giustizia potrà sottoporre a riesame la decisione del Tribunale “ove sussistano gravi rischi che l’unità o la coerenza del diritto dell’Unione siano compromesse (A. Tizzano, 2023). Si auspica un uso saggio di siffatto strumento.