Again on Cilfit: the “dialogue” goes on
ECJ, order of 15 December 2022, case C-597/21, Centro Petroli Roma and causa C-144/22, Società Eredi Raimondo Bufarini; of 27 Aprile 2023, case C-482/22, Associazione Raggio Verde and case C-495/22, Ministero della Giustizia (concours de notaire); judgment of 25 January 2024, case C-389/22, CG e a. contro Croce Rossa Italiana e a.
Ancora su Cilfit: il “dialogo” continua
Encore sur Cilfit : le “dialogue” continue
Introduzione
Con una serie di pronunce rese su rinvii pregiudiziali proposti dal Consiglio di Stato italiano (ordinanze del 15 dicembre 2022, cause C-597/21, Centro Petroli Roma, ECLI:EU:C:2022:1010 e C-144/22, Società Eredi Raimondo Bufarini, ECLI:EU:C:2022:1013; ordinanze del 27 aprile 2023, cause C-482/22, Associazione Raggio Verde, ECLI:EU:C:2023:404 e C-495/22, Ministero della Giustizia (Concours de notaire), ECLI:EU:C:2023:405; sentenza del 25 gennaio 2024, causa C-389/22, GC e a. contro Croce Rossa Italiana e a., ECLI:EU:C:2024:77), la Corte di giustizia dell’Unione europea (in prosieguo, la “Corte”) si è pronunciata sull’obbligo, gravante sui giudici nazionali le cui decisioni siano insuscettibili di ricorso giurisdizionale nell’ambito del diritto interno, di proporre rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE.
Ai sensi dell’art. 267, comma 3, TFUE, tali giurisdizioni sono tenute a rivolgersi alla Corte quando siano chiamate a pronunciarsi su una questione di interpretazione o di validità del diritto dell’Unione, a meno che, per quanto riguarda in particolare l’obbligo di rinvio pregiudiziale interpretativo, non sussista una delle cause di esenzione previste dalla c.d. giurisprudenza Cilfit (per approfondimenti sul tema si v., ex multis, K. Lenaerts, La modulation de l’obligation de renvoi préjudiciel, in Cah. Droit. Eur., 1983, p. 471 ss.; J.C. Masclet, Vers la fin d’une controverse? La Cour de justice tempère l’obligation de renvoi préjudiciel faite aux juridictions suprêmes (art. 177, alinéa 3, CEE), in Rev. Mar. Com., 1983, p. 363 ss.; H. Rasmussen, The European Court’s Acte Clair Strategy in C.I.L.F.I.T. Or: Acte Clair, of Course! But What does it Mean?, in EL Rev., 1984, p. 242 ss.; M.P Broberg, Acte clair revisited: adapting clair criteria to the demands of time, in CMLR, 2008, p. 383 ss.; M. Condinanzi, I giudici italiani “avverso le cui decisioni non possa porsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno” e il rinvio pregiudiziale, in Dir. Unione eur., 2010, p. 295 ss.; S. Fortunato, L’obbligo di rinvio pregiudiziale ex art. 267, par. 3: una disciplina in continua evoluzione, in Liber amicorum Antonio Tizzano: de la Cour CECA à la Cour de l’Union: le long parcours de la justice européenne, Torino, 2018, p. 351 ss.; F. Spitaleri, Facoltà e obbligo di rinvio, in F. Ferraro, C. Iannone (a cura di), Il rinvio pregiudiziale, Torino, 2020, p. 113 ss.; L.S. Rossi, 2022).
Come è noto, tale giurisprudenza, ribadita e precisata dalla Corte nella sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi (causa C-561/19, ECLI:EU:C:2021:799, in prosieguo “Cilfit II”; sulla quale si v. L. Daniele, 2022; P. De Pasquale, 2021; F. Ferraro, 2021; F. Spitaleri, 2022), esenta i giudici di ultima istanza dall’obbligo di rinvio quando: i) la questione sollevata non sia rilevante; ii) la disposizione di diritto dell’Unione di cui trattasi sia già stata interpretata dalla Corte (c.d. acte éclairé); iii) la corretta applicazione del diritto dell’Unione si imponga con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi (c.d. acte claire). La corretta interpretazione dell’art. 267, comma 3, TFUE continua, peraltro, a suscitare talune perplessità applicative in capo ai giudici degli Stati membri (a titolo esemplificativo può citarsi la causa C-144/23 attualmente pendente dinanzi alla Corte di giustizia, nell’ambito della quale l’avvocato generale Emiliou ha recentemente rassegnato le proprie conclusioni, 18 giugno 2024, Kubera, ECLI:EU:C:2024:522).
Nei casi oggetto delle decisioni in commento, i rinvii pregiudiziali del Consiglio di Stato hanno chiamato la Corte a soffermarsi nuovamente sui criteri che le giurisdizioni di ultima istanza degli Stati membri devono accertare per identificare un acte claire. Sebbene ciascuna decisione presenti uno specifico quadro normativo e fattuale suo proprio, la presente segnalazione si soffermerà sulle questioni interpretative indirizzate alla Corte e sulle risposte fornite (o meno) dalla Corte alle problematiche propostele.
Prima di procedere all’analisi di tali questioni, occorre effettuare due importanti precisazioni.
Innanzitutto, è da rilevarsi come i suddetti rinvii pregiudiziali si inseriscano nello specifico contesto della giurisprudenza amministrativa italiana ove sono da considerare alcuni peculiari aspetti – comuni peraltro alle giurisdizioni di ultima istanza di tutti gli Stati membri – del meccanismo del rinvio pregiudiziale obbligatorio ex art. 267, comma 3, TFUE. In particolare, nel definire le ipotesi di responsabilità del giudice per violazione del diritto dell’Unione europea, la normativa nazionale sulla responsabilità civile dei magistrati (legge 13 aprile 1988, n. 117, così come modificata dalla legge 27 febbraio 2015, n. 18) prevede che «in caso di violazione manifesta del diritto dell’Unione europea si deve tener conto anche della mancata osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267, terzo comma TFUE» (art. 2, comma 3 bis). Da tale normativa consegue il timore dei supremi giudici amministrativi di essere soggetti alle conseguenze derivanti dalla predetta responsabilità qualora, in presenza di un acte claire, si astengano dal proporre rinvio pregiudiziale non conformandosi all’obbligo di cui all’art. 267, comma 3, TFUE. Ciò ha così generato una prassi – osservabile nei rinvii pregiudiziali qui in esame – secondo cui i giudici del Consiglio di Stato, al fine di prevenire ogni loro possibile forma di responsabilità, effettuano rinvii anche in fattispecie ove abbiano l’intimo convincimento di essere in presenza di un caso di acte claire. Diversamente, qualora ricorra l’ipotesi dell’acte claire, al giudice di ultima istanza è richiesto, in conformità con la giurisprudenza della Corte, di trarre direttamente e immediatamente le conseguenze dell’atto chiaro nel caso di specie. E ciò significa, in linea generale, procedere a interpretazione conforme del diritto nazionale, ovvero disapplicarlo ove ciò non sia possibile e la norma UE sia dotata di effetto diretto.
In secondo luogo, va evidenziato come la Corte nelle cause C-597/21, C-144/22, C-482/22 e C-495/22 abbia scelto, significativamente, di pronunciarsi mediante ordinanze adottate ai sensi dell’art. 53, par. 2, RP CG – che consente alla Corte di statuire con ordinanza motivata quando una domanda sia manifestatamente irricevibile – e dell’art. 99 RP CG – secondo cui la Corte può pronunciarsi con ordinanza motivata quando la risposta alla questione pregiudiziale possa essere chiaramente desunta dalla sua giurisprudenza – del suo regolamento di procedura. Diversamente, nella causa C-389/22 l’adozione di una sentenza è stata resa necessaria dalla presenza di altre questioni giuridiche.
Acte clair e interpretazione soggettiva
La prima questione pregiudiziale sollevata dal Consiglio di Stato nelle diverse cause in commento verte sull’obbligo in capo al giudice nazionale di ultima istanza di operare rinvio pregiudiziale, anche qualora possa in maniera oggettiva escludersi un dubbio interpretativo sul significato da attribuire alla pertinente disposizione del diritto dell’Unione, ma non sia possibile provare in maniera circostanziata, sotto un profilo soggettivo, avuto riguardo alla condotta di altri organi giurisdizionali, che l’interpretazione fornita dal giudice a quo sia la medesima di quella suscettibile di essere adottata dai giudici degli altri Stati membri e dalla Corte nel caso in cui siano investiti di identica questione.
Dalle decisioni di rinvio emerge, soprattutto, la preoccupazione rappresentata dal Consiglio di Stato con riferimento alla difficoltà per il giudice procedente, quando debba individuare un acte claire, di dimostrare con certezza il requisito soggettivo che gli richiede di motivare circa le possibili interpretazioni del diritto dell’Unione che potrebbero provenire dagli organi giurisdizionali degli altri Stati membri ovvero dalla Corte di giustizia (si veda in tal senso Corte giust., 6 ottobre 1982, causa C-283/81, Srl CILFIT e Lanificio di Gavardo SpA contro Ministero della sanità, ECLI:EU:C:1982:335, punto 16; Corte giust., 6 ottobre 2021, causa C-561/19, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, punto 40).
Ad avviso dei supremi giudici amministrativi, al fine di escludere dubbi circa la non sussistenza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale, sarebbe piuttosto opportuno privilegiare un approccio che tenga conto di elementi oggettivi, quali la terminologia e il significato propri del diritto dell’Unione attribuibili alle parole componenti la relativa disposizione, il contesto normativo europeo in cui la stessa è inserita e gli obiettivi di tutela sottesi alla sua previsione; tutto ciò in considerazione dello stadio di evoluzione del diritto dell’Unione europea al momento in cui va data applicazione alla disposizione rilevante nell’ambito del giudizio nazionale. In forza di tale sua valutazione, il Consiglio di Stato domandava chiarimenti circa la portata dell’obbligo di rinvio pregiudiziale per i giudici di ultima istanza, auspicando un nuovo e decisivo intervento della Corte volto a rivedere le indicazioni provenienti dalla sua giurisprudenza consolidata in materia.
In risposta a tale quesito, la Corte ha confermato, senza in alcun modo rivisitarli, i criteri già individuati nella sentenza Cilfit II.
La Corte ha infatti ribadito che un giudice nazionale di ultima istanza potrà esimersi dal proporre rinvio pregiudiziale soltanto qualora concluda «per l’assenza di elementi atti a far sorgere un dubbio ragionevole quanto all’interpretazione corretta del diritto dell’Unione» (Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, punto 47).
A tal fine, l’organo remittente deve valutare l’esigenza del rinvio in base alle caratteristiche proprie del diritto dell’Unione, alle difficoltà particolari che la sua interpretazione presenta e al rischio di divergenze giurisprudenziali in seno agli Stati membri. Nel compiere tale operazione interpretativa, sono da impiegarsi criteri linguistici, terminologici e sistemici.
In primo luogo, occorre tenere conto del fatto che le disposizioni del diritto dell’Unione sono redatte in diverse lingue e che le varie versioni linguistiche fanno fede nella stessa misura senza che nessuna abbia carattere prioritario. È, tuttavia, da rilevarsi il caveat secondo cui le divergenze tra le differenti versioni linguistiche vanno tenute in considerazione dal magistrato giudicante che ne sia a conoscenza, soprattutto ove siano le parti a portarle alla sua attenzione.
Per di più, l’opportunità del rinvio pregiudiziale è da determinarsi con riferimento alla circostanza che si prospettino in maniera sufficientemente plausibile diverse possibili letture della norma di diritto dell’Unione oggetto di interpretazione. Tutto ciò, beninteso, alla luce del contesto e della finalità della suddetta disposizione, nonché del sistema normativo in cui questa si inserisce,
È altresì da esaminarsi con particolare attenzione l’eventuale esistenza di orientamenti giurisprudenziali divergenti in seno alla giurisprudenza nazionale o di altri Stati membri, qualora ciò venga portato a conoscenza della giurisdizione remittente.
In tali circostanze, il giudice del rinvio non può, peraltro, esimersi dal dare rilevanza alla terminologia autonoma e alle disposizioni di diritto UE che vanno collocate nel loro contesto e interpretate alla luce dell’insieme delle norme del diritto dell’Unione, delle sue finalità e dello stadio della sua evoluzione al momento in cui le va data applicazione. Nel caso di specie, è, pertanto, necessario tenere a mente l’obiettivo perseguito dall’istituto del rinvio pregiudiziale, ossia quello di assicurare l’interpretazione uniforme del diritto dell’Unione.
In ragione di ciò, al fine di potersi astenere dal proporre rinvio pregiudiziale e decidere la controversia sotto la propria responsabilità, il giudice a quo deve maturare, in maniera indipendente e con tutta la dovuta cautela, la convinzione che, anche ad avviso dei giudici di ultima istanza degli altri Stati membri e della Corte, la corretta interpretazione del diritto dell’Unione si imporrebbe con un’evidenza tale da non lasciare adito a ragionevole dubbio.
In proposito, è da notare come la Corte si limiti a richiedere al giudice remittente una motivazione non qualificata, escludendo invece la necessità di una dimostrazione circostanziata riguardo a un’eventuale assenza di ragionevole dubbio, ipotesi che è da confinarsi a situazioni eccezionali – quale ad esempio il caso in cui ad un giudice nazionale sia consentito mantenere taluni effetti di un atto nazionale incompatibile con il diritto dell’Unione (si veda in tal senso Corte giust., 28 luglio 2016, causa 379/15, Association France Nature Environnement, ECLI:EU:C:2016:603) – non ivi integrate.
Da ultimo, peraltro, è da rilevarsi come la Corte con la sentenza pronunciata nella causa C-389/22 abbia fatto applicazione dei principi già enunciati nelle ordinanze in commento al fine di risolvere la questione – del medesimo tenore di quelle sopra menzionate – relativa all’interpretazione dell’art. 267, comma 3, TFUE.
Dalle pronunce in commento emerge la scelta della Corte di ribadire i criteri affermati nella propria giurisprudenza consolidata per l’individuazione di un acte claire, così come emergono dalla sentenza Cilfit II, senza accogliere il suggerimento del Consiglio di Stato di procedere a un parziale revirement di tale giurisprudenza.
In continuità con quanto deciso in tale sentenza, e diversamente da quanto auspicato nelle conclusioni dell’avvocato generale Bobek nella relativa causa (15 aprile 2021, causa C-561/19, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, ECLI:EU:C:2021:291; sulle quali si v. P. De Pasquale, 2021; R. Torresan, 2021; F. Liguori, 2021), la Corte ha così respinto le critiche del Consiglio di Stato quanto all’inidoneità di detti criteri a guidare efficacemente i giudici di ultima istanza nel valutare la sussistenza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale e ai conseguenti rischi di responsabilità civile e disciplinare che tali giudici potrebbero correre nel caso di violazioni di tale obbligo.
In tale contesto, la Corte ha, nondimeno, apportato una significativa precisazione, esplicitando la precedente sentenza Cilfit II sotto questo profilo. Come si è anticipato, la Corte ha, infatti, sottolineato che il giudice nazionale di ultima istanza che si astenga dal sollevare un rinvio pregiudiziale trovandosi in presenza di un acte claire, non è tenuto a dimostrare, in modo circostanziato, il fatto che i giudici di altri Stati membri e la Corte di giustizia adotterebbero la medesima interpretazione del diritto dell’Unione, ma può limitarsi a fornire un’adeguata motivazione circa l’assenza di ragionevole dubbio relativamente alla suddetta interpretazione (in proposito si v. F. Grisostolo, 2023).
La Corte pare dunque aver optato, in contrasto con quanto richiesto dal Consiglio di Stato, per una risposta compromissoria, che non privilegia in maniera netta un approccio, né oggettivo, né soggettivo, con riferimento all’accertamento della circostanza secondo cui la corretta interpretazione del diritto dell’Unione si impone con un’evidenza tale da non lasciare adito a ragionevole dubbio. In tal senso, può rilevarsi come la risposta della Corte contemperi l’esigenza di far fronte alle due opposte tendenze – sia di proliferazione che di astensione dai rinvii pregiudiziali – e si indirizzi, non solo al supremo organo amministrativo italiano, bensì a tutti i giudici di ultima istanza degli Stati membri.
Facendo seguito ai dicta enunciati dalla menzionata giurisprudenza, il Consiglio di Stato con ordinanza n. 2789, del 21 marzo 2024 ha recepito quanto deciso nelle pronunce in commento e ha apparentemente “accettato” la risposta della Corte, senza sollecitare ancora una volta un revirement o una precisazione della giurisprudenza Cilfit.
La responsabilità dei giudici di ultima istanza da omesso rinvio
La seconda questione pregiudiziale sollevata dal Consiglio di Stato nelle cause in commento riguarda la delicata questione della responsabilità civile e disciplinare del giudice di ultima istanza che non adempia al proprio obbligo di rinvio pregiudiziale.
Come è noto, secondo la giurisprudenza costante della Corte (si vedano Corte giust., 30 settembre 2003, causa C‐224/01, Köbler, ECLI:EU:C:2003:513; 13 giugno 2006, causa C-173/03; Traghetti del Mediterraneo SpA contro Repubblica italiana, ECLI:EU:C:2006:391; 24 novembre 2011, causa C-379/10, Commissione europea contro Repubblica italiana, ECLI:EU:C:2011:775) i singoli che siano stati eventualmente lesi dalla violazione del loro diritto a un ricorso effettivo a causa di una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado, possono far valere la responsabilità di tale Stato membro per violazione del diritto UE, purché siano soddisfatte le condizioni relative al carattere sufficientemente qualificato della violazione e all’esistenza di un nesso causale diretto tra tale violazione e il danno subito dal soggetto leso. A tal proposito, qualora non ricorrano le condizioni dell’acte claire, la violazione dell’obbligo di rinvio da parte di un giudice di ultima istanza comporta inadempimento da parte dello Stato membro, determinandosi in tal modo una violazione manifestamente qualificata ai fini del risarcimento del danno (Corte giust., 4 ottobre 2018, causa C-416/17, Commissione europea contro Repubblica francese, ECLI:EU:C:2018:811; 18 gennaio 2020, causa C-261/20, Thelen Technopark Berlin GmbH contro MN, ECLI:EU:C:2022:33).
In questo contesto, la questione pregiudiziale sollevata dal Consiglio di Stato nei casi oggetto delle pronunce in commento era sostanzialmente diretta a verificare se possa escludersi che tale responsabilità si desuma automaticamente, ovvero a discrezione della sola parte che propone l’azione, nel caso in cui il giudice supremo nazionale abbia preso in considerazione e respinto la richiesta di rinvio pregiudiziale (in materia si v., da ultimo, G. Greco, 2024).
La questione è rimasta senza risposta da parte della Corte. I giudici del Kirchberg hanno, infatti, rilevato la sua manifesta irricevibilità constatando che la disciplina del regime di responsabilità dei magistrati non aveva alcun rapporto con la realtà effettiva e l’oggetto dei diversi procedimenti principali. La questione sarebbe stata eventualmente ricevibile nel caso in cui la responsabilità del Consiglio di Stato per violazione dell’obbligo di rinvio pregiudiziale fosse stata fatta valere in un procedimento dinanzi al giudice ordinario.
Permane, pertanto, la preoccupazione dei giudici del Consiglio di Stato rispetto alle possibili azioni di risarcimento del danno introdotte da parti che ritengano che non sussistano gli estremi dell’acte claire – e segnatamente il requisito soggettivo – e che imputino ai supremi giudici amministrativi di aver dunque violato il loro obbligo di rinvio pregiudiziale. Ed è proprio ciò che ha indotto i supremi giudici amministrativi a ritornare nuovamente sulla questione della responsabilità civile e disciplinare dei magistrati con un ulteriore rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, operato con la menzionata ordinanza n. 2789, del 21 marzo 2024.
Sebbene il Consiglio di Stato non formuli espressamente alcun quesito pregiudiziale sul punto (le questioni pregiudiziali sollevate hanno ad oggetto l’interpretazione della Direttiva 2012/18/UE sulle sostanze pericolose), nella sua decisione di rinvio chiede in sostanza alla Corte di avallare la propria interpretazione conforme della legislazione nazionale sulla responsabilità dei magistrati (per ulteriori dettagli G. Greco, 2024).
Più in particolare, i giudici di Palazzo Spada sostengono che la sentenza Cilfit II e le decisioni qui in commento possano essere interpretate nel senso che «in presenza di una richiesta di rinvio obbligatorio è configurabile, in capo al giudice, non un obbligo di rinvio automatico tout court, ma un obbligo di pronunciarsi sulla richiesta di rinvio e di motivare». In tal modo, la legislazione nazionale configurerebbe una responsabilità civile del giudice di ultima istanza, non per il mancato rinvio automatico tout court, ma per la mancanza di motivazione sulla richiesta di rinvio. Diversamente, si ammetterebbe, infatti, una forma di responsabilità ulteriore rispetto a quella consentita dal modello europeo e con questo del tutto incompatibile.
Concretamente, il Consiglio di Stato propone alla Corte di confermare, nella sua pronuncia, che non sussista la responsabilità risarcitoria dello Stato membro e/o disciplinare del giudice di ultima istanza qualora quest’ultimo, ritenendo di trovarsi in presenza di un acte claire, motivi espressamente l’omesso rinvio pregiudiziale. Secondo l’ordinanza di rinvio, un’opposta conclusione comporterebbe una lesione del principio dell’indipendenza della magistratura, elemento cardine della rule of law e dell’ordinamento dell’Unione, cui fa riferimento l’art. 19 par. 1, comma 2, TUE che richiede agli Stati membri di prevedere un sistema di rimedi giurisdizionali e di procedimenti che garantisca ai singoli il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione.
In tali circostanze, una conferma della Corte – ad esempio attraverso un obiter dictum – sarebbe opportuna al fine di risolvere una problematica di grande attualità che significativamente forma oggetto di dibattiti dottrinali e giurisprudenziali.