The obligation to make a preliminary reference in the procedural rules specificities of the Member States: the case of the Slovenian review mechanism in the Opinion of Advocate General Emiliou in case C-144/23, KUBERA

Opinion of Advocate General Emiliou, 18 June 2024, case C-144/23, KUBERA

 L’obbligo del rinvio pregiudiziale nelle specificità processuali degli Stati membri: il caso della revisione slovena nelle conclusioni dell’Avvocato generale Emiliou nella causa C-144723, KUBERA
L’obligation du renvoi préjudiciel dans les spécificités procédurales des États membres: le cas de la révision slovène dans les conclusions de l’avocat général Emiliou dans l’affaire C-144/23, KUBERA
 

Il 18 giugno 2024 l’avvocato generale Emiliou ha presentato le proprie conclusioni nella causa C-144/23, KUBERA (KUBERA, trgovanje s hrano in pijačo, d.o.o.c. Repubblica di Slovenia), incardinata su domanda di rinvio pregiudiziale della Corte suprema slovena (Vrhovno sodišče Republike Slovenije) del 7 marzo 2023. Quest’ultima aveva sollevato alcuni dubbi interpretativi circa la compatibilità con il diritto dell’Unione, in specie l’art. 267, comma 3, TFUE – norma che notoriamente sancisce l’obbligo di rinvio pregiudiziale in capo al giudice nazionale cd. di ultima istanza («giurisdizione nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno») – del meccanismo processuale sloveno di autorizzazione al ricorso per revisione delle sentenze definitive, che, per come disciplinato dal codice di procedura civile nazionale (lo Zakon o pravdnem postopku, in proseguo «ZPP») non permetterebbe al giudice supremo, nella fase di valutazione di ammissibilità del ricorso, di esaminare se dall’istanza di parte a che venga adita in via pregiudiziale la Corte di giustizia dell’Unione europea derivi l’obbligo del giudice supremo di deferire una questione pregiudiziale alla Corte.

Il Vrhovno sodišče aveva altresì chiesto al giudice del Kirchberg se l’art. 47 CdFUE, con specifico riguardo all’obbligo di motivazione delle decisioni giurisdizionali, debba essere interpretato nel senso che la decisione di rigetto della richiesta di parte volta ad ottenere l’autorizzazione a proporre un ricorso per revisione costituisce una “decisione giudiziaria”, che per ciò stesso deve indicare i motivi perché la richiesta di parte al giudice di esperire il rinvio pregiudiziale non è da accogliersi nella causa di revisione.

Le questioni pregiudiziali descritte traggono origine da una vicenda processuale che aveva visto la KUBERA, parte del procedimento a quo, giungere sino alla Corte suprema per ottenere l’autorizzazione a proporre ricorso per revisione in relazione a due sentenze rese dal Tribunale amministrativo sloveno e ormai divenute definitive, che avevano essenzialmente confermato il sequestro di merci acquistate in Turchia dall’azienda e trasportate per mare in Slovenia (si trattava di lattine della bevanda Red Bull prodotte in Austria), operato dalle autorità tributarie del paese in conformità a quanto dispone il regolamento (UE) n. 608/2013 per il caso del sospetto di una violazione di un diritto di proprietà intellettuale. Tuttavia, la KUBERA aveva sottoposto al Vrhovno sodišče la questione per cui non era affatto chiaro se, per il caso che la concerneva direttamente, si dovesse per forza fare applicazione delle disposizioni del regolamento, dato che la soluzione di un simile caso non si rinveniva né nella giurisprudenza dei giudici dell’Unione né in quella nazionale, chiedendo alla stessa Corte suprema pertanto di sollecitare l’ausilio interpretativo della Corte di giustizia qualora non avesse ritenuto di percorrere la via interpretativa da essa avanzata.

Ebbene, il giudice supremo sloveno riteneva che le regole processuali del diritto nazionale potessero essere di ostacolo all’accoglimento di una siffatta richiesta. Da un lato, infatti, non erano soddisfatti nel caso di specie i requisiti stabiliti dal «ZPP» per ammettere la proposizione e l’esame nel merito del ricorso di parte («La giurisdizione autorizza un ricorso per revisione nel caso in cui la decisione della Corte suprema possa dirimere una questione di diritto importante per garantire la certezza del diritto, l’applicazione uniforme della legge o lo sviluppo della legge attraverso la giurisprudenza», art. 367a «ZPP»); dall’altro lato, proprio l’assenza delle condizioni per autorizzare il ricorso non avrebbe consentito alla Corte suprema di entrare anche nel merito della questione interpretativa di diritto dell’Unione e valutare se fosse o meno obbligata ad effettuare sul punto un rinvio pregiudiziale, nonostante la presenza di una richiesta di parte in tal senso.

Benché il Vrhovno sodišče rilevasse che tanto il ricorso per revisione quanto l’obbligo di rinvio pregiudiziale non si discostassero tra loro poi molto nei fini, specialmente avuto riguardo all’obbiettivo di unificare la giurisprudenza guidandola attraverso i precedenti giurisprudenziali, europei e nazionali, e che quindi non fosse escluso che l’ “importanza oggettiva” della causa fosse legata, alla luce delle disposizioni processuali nazionali, alla necessità di attribuire un’univoca interpretazione anche con riferimento a questioni di diritto dell’Unione (v. sintesi domanda di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 98, par. 1, RP CG), nondimeno il giudice del rinvio prendeva atto che, negando la prassi giurisprudenziale della Corte suprema la verifica della presenza dell’obbligo di esperire il rinvio nelle more della fase preliminare per quei punti di diritto trattabili solo nella successiva fase di merito e, di conseguenza, negando il potenziale controllo di un organo giurisdizionale di ultima istanza sulla soluzione interpretativa data alla questione europea nei gradi inferiori di giudizio, vi potesse essere il rischio di una violazione dell’art. 267, comma 3, TFUE per il tramite del consolidamento di una giurisprudenza difforme non revisionata dal Vrhovno sodišče. Da qui il rinvio pregiudiziale.

Le risposte che l’avvocato generale suggerisce di dare al primo quesito pregiudiziale sono, in via di principio, per un’inconciliabilità in senso lato con la natura e la ratio dell’obbligo di rinvio di cui all’art. 267, comma 3, TFUE dei meccanismi di filtraggio delle impugnazioni, tra cui quello di cui si discute in questa sede, che, quando applicati a questioni di diritto dell’Unione, lasciano comunque impregiudicata una certa discrezionalità dei giudici nazionali di ultima istanza nello scegliere quali cause verranno poi analizzate nella fase di cognizione per così dire “piena” e successiva al filtraggio, seppur confinata ai motivi di ricorso delineati dalle parti secondo quanto previsto dal diritto processuale interno. Allo stesso tempo, però, l’avvocato generale non chiude la strada ad un possibile superamento degli «attriti» tra i due sistemi prospettando un’interpretazione delle disposizioni processuali nazionali confliggenti con il diritto dell’Unione che sia conforme ai principi pretori europei formulati intorno alla portata dell’obbligo di rinvio e delle sue eccezioni (come da ultimo puntualizzate nella sentenza Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi).

L’avvocato generale rammenta, preliminarmente, che per giurisprudenza costante della Corte di giustizia il diritto dell’Unione assume una posizione di neutralità di fronte all’assai vasto e multiforme panorama degli ordinamenti processuali statali (par. 25), ciò traducendosi nel rispetto della competenza “in casa” degli Stati membri ad organizzare l’ordinamento della giustizia, nonché dell’autonomia procedurale di cui godono quest’ultimi, in mancanza di una disciplina armonizzata processuale, nell’approntare ed organizzare i rimedi processuali destinati ad assicurare la tutela effettiva dei diritti dei singoli spettanti in forza del diritto dell’Unione (art. 19 TUE).

D’altra parte, gli Stati membri possono legittimamente esercitare la suddetta competenza fin tanto che rispettino gli obblighi derivanti dal far parte di quella Unione, che, con riguardo all’autonomia procedurale, equivale a garantire che le norme predisposte dal diritto processuale interno per la tutela delle posizioni soggettive di fonte europea non siano meno vantaggiose di quelle che tutelano situazionali comparabili di diritto interno e non rendano di fatto impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti soggetti conferiti dall’ordinamento europeo (sui ben noti principi di equivalenza ed effettività, v. in dottrina, ex multis: K. Lenaerts, The Decentralised Enforcement of EU Law: The Principles of Equivalence and Effectiveness, in AA.VV., Scritti in onore di Giuseppe Tesauro, Editoriale scientifica, 2014, p. 1057 ss. e, recentemente, C. Iannone, 2023).

L’avvocato generale, trasponendo i principi menzionati al caso del meccanismo di filtro dei ricorsi per revisione previsto dall’ordinamento sloveno, osserva che esso difetterebbe precisamente del requisito dell’effettività di tale strumento processuale sotto due rilevanti profili, quello dell’effetto utile dell’art. 267, comma 3, TFUE, e quello, non meno importante, di apprestare un’adeguata tutela dei diritti degli individui che sono parte del procedimento principale (par. 34).

Le argomentazioni a sostegno di tale assunto muovono, in primo luogo, dalla disciplina inerente all’obbligo di rinvio pregiudiziale come sviluppatasi nel tempo grazie all’opera interpretativa della Corte di giustizia che a partire dalla celebre sentenza CILFIT ne ha definito la portata e i contorni, sebbene, come è noto, la disposizione testuale del terzo comma dell’art. 267 preveda sostanzialmente un obbligo in termini assoluti del rinvio pregiudiziale nei confronti degli organi giurisdizionali di ultima istanza.

Le conclusioni, a tal proposito, ricordano che, fatte salve le deroghe espressamente riconosciute dalla Corte – le cd. eccezioni CILFIT, ossia la non pertinenza della questione pregiudiziale (sul punto v. però infra nel testo), l’acte éclairé (norma costituente oggetto di una giurisprudenza consolidata) e l’acte clair (questione di interpretazione che non lascia adito ad alcun ragionevole dubbio) – non possono essere introdotti ulteriori limiti da parte del diritto nazionale all’obbligo di rinvio interpretativo, né nel senso di impedire ad un giudice nazionale di conformarsi al suo potere-dovere di deferire delle questioni pregiudiziali, né nel senso di dissuadere i giudici statali dal disporre del rinvio pregiudiziale, ledendo così lo stretto rapporto di cooperazione esistente tra le giurisdizioni nazionali e la Corte di giustizia. Si pensi anche solo, per quanto riguarda l’ordinamento italiano, alle precisazioni offerte dalla Corte nei casi Puligienica (sull’obbligo di rinvio in capo alle singole sezioni del Consiglio di Stato) e Global Starnet (sui rapporti tra la doppia pregiudiziale italiana e la portata dell’obbligo di rinvio).

A prima vista, dunque, l’autorizzazione preliminare dei ricorsi per revisione disciplinata dal «ZPP», che è essenzialmente concessa su un giudizio di “valore” della causa, o più precisamente, su una valutazione preventiva dell’importanza che la causa potrà rivestire per l’assetto generale dell’ordinamento interno, non potrebbe dirsi compatibile con il diritto dell’Unione laddove il diritto processuale nazionale restituirebbe un «potere discrezionale relativo» al giudice di ultima istanza di cui, secondo la disposizione pattizia, sarebbe invece privo (par. 41). Ciò anche tenendo a mente l’eventuale applicazione delle deroghe CILFIT all’obbligo di rinvio, dal momento che, affinché il giudice supremo nazionale possa verificare nel concreto se si possa o meno appellare a tali eccezioni nella causa dinanzi ad esso instaurata, tale giudice dovrebbe in una fase antecedente, ovvero quella di ammissibilità del ricorso di impugnazione, aver già valutato importante dirimere la questione di diritto sottopostagli, venendo in questo modo a delinearsi nell’ordinamento interno processuale una diversa e aggiuntiva condizione per sollevare il rinvio pregiudiziale obbligatorio, che però non fa parte dell’impianto interpretativo costruito attorno al meccanismo pregiudiziale come finora conosciuto (tuttavia, per una proposta di modifica in tal senso, v., in passato, le conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nella causa Wiener SI).

Quanto detto non sarebbe poi sconfessato dal fatto che l’obbligo di rinvio previsto dall’art. 267, comma 3, TFUE sarebbe limitato ai (o meglio, sorgerebbe soltanto nei) casi in cui il giudice nazionale ritenga necessario ottenere una decisione da parte della Corte di giustizia al fine di emanare la sentenza che chiuderà il processo principale (art. 267, comma 2, TFUE; per la definizione del requisito della pertinenza della questione pregiudiziale alla controversia principale come presupposto affinché sorga il dovere di effettuare il rinvio pregiudiziale, v., per tutti, M. Condinanzi, I giudici italiani «avverso le cui decisioni non possa porsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno» e il rinvio pregiudiziale, in Dir. Unione eur., 2009, p. 295 ss.). L’avvocato generale infatti precisa che, per un verso, anche nel contesto di un giudizio in cui si discute preliminarmente delle condizioni di accesso ad un determinato mezzo di impugnazione e che quindi non si è ancora entrati nel merito della causa, la nozione della frase «emanare la […]sentenza» ai sensi del secondo comma dell’art. 267 deve essere interpretata in modo ampio, così da permettere rispettivamente al giudice nazionale di rinviare, e alla Corte di giustizia di decidere, le questioni interpretative procedurali la cui soluzione serve per risolvere quanto sollevato dalle parti nel processo a quo “in punto” di procedura, non rilevando che in concreto la decisione del giudice non assuma le forme di una sentenza (par. 43 e ss.). Per altro verso, la necessità che la Corte di giustizia si pronunci in via pregiudiziale dovrebbe essere intesa come l’attitudine del responso alla questione interpretativa pregiudiziale di condizionare in un senso o in un altro l’esito della causa (v., in tal senso, sentenza CILFIT, punto 10) e non come la circostanza per cui il giudice nazionale ritenga sufficientemente importante, a norma del proprio codice di procedura, una particolare questione di diritto dell’Unione. Infatti, in quest’ultimo caso si otterrebbe il risultato, alquanto dubbio, di considerare irrilevante, poiché non importante (alla stregua di criteri nazionali), la questione interpretativa europea, anche nel caso in cui potenzialmente incidesse in qualche misura sulla soluzione finale della controversia nazionale.

Similmente, non trovano sostegno nelle riflessioni dell’avvocato Emiliou neanche quelle obiezioni sollevate da alcuni Stati che hanno presentato osservazioni nel procedimento pregiudiziale circa l’applicazione al caso in esame delle indicazioni fornite dalla Corte di giustizia nella sentenza Aquino in virtù delle quali il giudice di ultima istanza non è tenuto ad esperire un rinvio pregiudiziale qualora le questioni di diritto europeo siano irricevibili nel giudizio principale in base alle regole processuali interne. È da notare che l’argomento principale svolto dai governi che hanno sostenuto la compatibilità dei meccanismi di filtraggio delle impugnazioni con il diritto dell’Unione (difesa sostenuta, oltre da quello sloveno, anche dai governi lettone, olandese e finlandese) ruota intorno alla considerazione per cui, qualora un giudice di ultima istanza decida, conformemente ai criteri processuali nazionali, per il non accoglimento di un ricorso, non sia stata effettivamente sollevata una questione di diritto dell’Unione, essendosi il giudice limitato a respingere il ricorso per motivi procedurali e non di merito, trovando questo precisamente conferma nella sentenza Aquino.

Per l’avvocato generale è tuttavia imprescindibile fare al riguardo un doveroso distinguo. Egli, lucidamente, osserva che vi è una differenza fondamentale tra il background processuale della causa Aquino, come del resto anche del caso Consorzio in cui la Corte ha ripreso di quella pronuncia alcuni punti chiave (sulla risposta del giudice europeo del 6 ottobre 2021 ai dubbi del Consiglio di Stato italiano di natura processuale con riguardo al rapporto che insiste tra l’obbligo di rinvio e le regole del processo nazionale, v., in particolare, M. Lipari, 2021; L. Daniele, 2022) e quello del caso KUBERA: se nei primi si è trattato di accertare la compatibilità con i principi di equivalenza ed effettività delle condizioni di ricevibilità dei motivi in giudizio di natura tipicamente formale (tardività della domanda, presunzione legale di rinuncia agli atti in un caso, proposizione di motivi nuovi dopo l’instaurazione del processo nell’altro), che solitamente determinano l’impossibilità in toto per il giudice di esaminare la questione di diritto dell’Unione posta alla sua attenzione dalle parti, nella seconda invece sono attualmente da valutare dei requisiti di procedura “sostanziali” (l’importanza che deve rivestire la causa), che, al contrario, lasciano un considerevole spazio di manovra alla Corte suprema nazionale, implicando un pur sommario esame nel merito della questione.

Ma il meccanismo di filtraggio delle impugnazioni come quello previsto dall’ordinamento processuale sloveno presenterebbe delle criticità con riguardo al principio di effettività anche alla luce della tutela giurisdizionale effettiva delle posizioni giuridiche soggettive degli individui.

L’avvocato generale, sul punto, evidenzia che se è vero che il rinvio pregiudiziale è un meccanismo di dialogo tra giudici nazionali e Corte di giustizia, avente il preminente scopo di assicurare l’unitarietà dell’interpretazione del diritto dell’Unione, garantendo così la coerenza, la piena efficacia e l’autonomia proprie di tale diritto, e, in definitiva, il carattere peculiare dell’ordinamento europeo come istituito dai Trattati (v. parere 2/13, Adesione dell’Unione alla Cedu, punto 176), è altrettanto vero che l’istituto di cui all’art. 267 TFUE costituisce «parte integrante del sistema dei mezzi di ricorsi di tutela giurisdizionale del sistema di mezzi di ricorso istituito dai redattori dei Trattati per assicurare che, come previsto dall’articolo 19, paragrafo 1, del TUE e dall’articolo 47 della Carta, ogni persona i cui diritti garantiti dal diritto dell’Unione siano violati da un’azione (o da un’inazione) delle istituzioni dell’Unione o delle autorità nazionali, possa ottenere una tutela giurisdizionale effettiva» (par. 76).

Non volendo trarre da ciò il significato che lo strumento del rinvio debba essere considerato un rimedio giuridico “a disposizione” delle parti del procedimento a quo, cosa che non sarebbe compatibile con la natura intrinseca del meccanismo (v., per tutte, sentenza Consorzio, punto 54; in dottrina, M. Condinanzi, R. Mastroianni, Il contenzioso dell’Unione europea, Torino, 2009, p. 190), purtuttavia – agli occhi dell’avvocato generale – dalla lettura dell’art. 267, comma 3, TFUE alla luce del disposto dell’art. 19, par. 1, TUE e dell’art 47 CdFUE risulta che, in qualsiasi caso, un organo giurisdizionale nazionale di ultima istanza dovrebbe essere a priori identificabile dalle parti del giudizio principale, assicurando a quest’ultime che questioni di diritto dell’Unione debitamente sollevate abbiano la possibilità di essere vagliate dalla Corte di giustizia, interprete ultimo/qualificato di quel diritto. Pertanto, deve sempre essere correttamente individuabile un organo giurisdizionale di ultima istanza all’interno di un sistema giurisdizionale nazionale, dato che, per costante insegnamento della Corte (v. sentenza Köbler, punto 34), tale giudice rappresenta l’ultima occasione utile affinché le parti del processo ottengano una corretta interpretazione del diritto dell’Unione a tutela dei propri diritti di derivazione dell’ordinamento dell’Unione,  avendo dunque tale giudice di ultima istanza la speciale responsabilità di verificare che un rinvio pregiudiziale sia in effetti disponibile, praticabile e , anzi, dovuto nella causa innanzi a sé discussa.

Ordunque, un meccanismo processuale di ammissibilità preventiva dei ricorsi per revisione che lascia considerevoli spazi di discrezionalità al giudice nel distinguere le cause non davvero importanti da quelle che rivestono un valore rilevante nell’ottica (nazionale) di garantire una coerenza sistemica dell’amministrazione della giustizia, potrebbe nei fatti ostacolare gli obbiettivi perseguiti dal rinvio pregiudiziale, non soltanto quello di evitare che si consolidino negli ordinamenti degli Stati facenti parte dell’Unione divergenze giurisprudenziali difformi, ma anche quello, strettamente connesso al primo, di offrire una protezione effettiva alle parti private che invochino in giudizio la tutela dei diritti a loro derivanti dal diritto dell’Unione.

Quanto osservato fino adesso non impedisce comunque all’avvocato generale di cercare una via per i giudici nazionali di interpretare le disposizioni nazionali pertinenti in conformità con i principi ermeneutici della Corte di giustizia, applicando i criteri nazionali di autorizzazione all’esame del ricorso a mente delle specificità del diritto dell’Unione.

È interessante infatti notare che nell’opinione dell’avvocato generale Emiliou si prospetterebbe nella realtà un vero contrasto tra il meccanismo di filtraggio e la norma di cui all’art. 267 TFUE solo quando nelle proprie domande di accesso al mezzo di ricorso la parte abbia correttamente sollevato un’autentica questione di interpretazione, motivando in modo argomentato e non generico le ragioni per cui ritiene che il giudice della controversia debba effettuare un rinvio pregiudiziale. A tale conclusione si perviene svolgendo in particolare una certa interpretazione delle precisazioni contenute in Consorzio circa la portata dell’obbligo di rinvio. Più precisamente, l’avvocato generale ritiene che, essendo stato rafforzato da quella pronuncia il ruolo delle parti nell’ambito del meccanismo di rinvio pregiudiziale, che sarebbero ora tenute ad indicare puntualmente le diverse interpretazioni plausibili della medesima norma europea al giudice nazionale, le parti non potrebbero però più allo stesso tempo aspettarsi che il giudice nazionale disponga per il rinvio pregiudiziale ex officio su questioni che loro stesse non hanno sollevato, o che hanno sollevato in termini poco chiari o senza alcun fondamento.

Allo stesso modo il giudice nazionale potrebbe invero non dare seguito alle questioni di diritto dell’Unione avanzate dalle parti in maniera del tutto abusiva, oppure che siano connesse a problematiche di applicazione del diritto e non di stretta interpretazione. Qui le riflessioni dell’avvocato riverberano quelle già effettuate dall’avvocato generale Bobek nelle sue conclusioni nella causa Consorzio (e di recente riproposte, v. M. Bobek, 2023 nella sua veste accademica). Tuttavia, secondo le conclusioni dell’avvocato generale Emiliou sempre da quella pronuncia sembrerebbe emerso un ripensamento delle finalità del rinvio pregiudiziale, avendo la Corte di giustizia spostato il fulcro oggetto del rinvio dall’applicazione uniforme del diritto dell’Unione all’interpretazione uniforme (in dottrina, v. M. Broberg, N. Fenger, 2022), per cui, nella collaborazione tra la Corte e giudici nazionali nell’utilizzare tale meccanismo, l’una chiamata ad interpretare le norme europee, gli altri chiamati ad applicare al caso concreto i dicta recepiti dalla Corte, non sarebbe richiesto al giudice di ultima istanza di rinviare ogni qual volta siano discussi “solo” gli elementi connessi ai dettagli applicativi di una norma, né alla Corte di effettuare una «micro-sorveglianza» dell’applicazione diritto dell’Unione fattane dai giudici nazionali (par. 104).

Infine, in merito al secondo quesito pregiudiziale, l’avvocato generale ritiene di poter rispondere nel senso che, qualora le parti sollevino correttamente questioni di diritto dell’Unione ma il giudice del procedimento di ammissibilità del ricorso per revisione non intenda effettuare il rinvio, la decisione di rifiuto di autorizzare il ricorso senza che siano state deferite le questioni interpretative, trattandosi di una decisione di natura giurisdizionale (v. art. 47, comma 2, CdFUE), deve necessariamente contenere l’esposizione dei motivi. Ciò è conforme a quanto già statuito dalla Corte di giustizia sull’obbligo di motivazione per mancato rinvio obbligatorio nella causa Consorzio, essendo necessario che il giudice nazionale chiarisca le ragioni per cui ha ritenuto non rilevante la questione e/o ha ritenuto applicabili alla fattispecie le eccezioni CILFIT. Ovviamente siffatto obbligo di motivazione sarà in concreto proporzionato al grado di complessità delle questioni proposte o al dettaglio con cui le parti hanno descritto la problematica concernente una norma di diritto dell’Unione (ad esempio raffigurando orientamenti della giurisprudenza confliggenti o diverse versioni linguistiche della stessa norma).

Le conclusioni presentate nella causa KUBERA si inseriscono in un quadro giurisprudenziale “copioso” circa il rapporto che il meccanismo di rinvio pregiudiziale, in particolare l’obbligo di rinvio, intrattiene con le regole processuali nazionali, in cui perdura la necessità, a fronte delle tensioni che da quello possono scaturire – e il caso di specie ne è un esempio –, di precisarne man mano i contorni anche alla luce delle specificità dei casi concreti che di volta in volta si presentano, adottando delle soluzioni dele quali forse non è ragionevole attendersi l’assoluta univocità negli sviluppi futuri.

È risaputo che l’art. 267 TFUE ha un impatto notevole sugli ordinamenti processuali degli Stati membri (per una riflessione sul punto v., per tutti, L. Daniele, 2001, p. 61 ss.). Ed è un principio di diritto consolidato della Corte di giustizia che le regole processuali nazionali «non possono ridurre la competenza e gli obblighi incombenti su di un giudice nazionale in quanto giudice di rinvio ai sensi dell’articolo 267 TFUE», dal momento che, essendo quello un giudice decentrato di diritto dell’Unione, è incaricato di garantire la piena efficacia delle norme dell’Unione «disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi contraria disposizione della legislazione nazionale, in particolare di procedura, senza doverne attendere la previa soppressione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale» (v., sentenza Consiglio Nazionale dei geologi, punto 33). Vi sarebbe pertanto in prima battuta un unico criterio di regolamentazione dei sistemi processuali rinvenibile nella “primazia” dell’art. 267 TFUE e dei suoi effetti, tra cui l’obbligo di effettuare il rinvio, sul diritto interno (in questo, G. Vitale, La logica del rinvio pregiudiziale tra obbligo di rinvio per i giudici di ultima istanza e responsabilità, in Riv. it. dir. Pubb. Com., 2013, p. 59 ss.).

Il giudice di ultima istanza, anche quando debba giudicare sommariamente di questioni procedurali, non potrebbe dunque astenersi dall’adempiere al proprio dovere di sollevare il rinvio qualora vi siano le condizioni previste dall’art. 267 TFUE. Tale soluzione, invero, era già stata indicata dalla Corte di giustizia nella causa Lyckeskog. Senza entrare nei dettagli fattuali di quella vicenda, è utile soltanto ricordare che la causa presentava alcune similitudini con il caso di cui ora si discute. Si trattava infatti di valutare se un filtro di ammissione delle impugnazioni alla Corte suprema svedese avrebbe reso per questo solo motivo la corte di appello di grado inferiore un giudice di ultima istanza, non potendo essere certo che le questioni di diritto dell’Unione sarebbero state ammesse e successivamente esaminate presso il giudice di ultimo grado.

Come è noto, la Corte rispose che l’eventuale declaratoria di ammissibilità di un ricorso nel merito non aveva l’effetto di privare i ricorrenti del rimedio giurisdizionale, con tuttavia la precisazione che la Corte suprema, quale vera giurisdizione di ultima istanza, fosse tenuta non di meno a adire in via pregiudiziale la Corte di giustizia sia nella fase dell’esame dell’ammissibilità sia in una fase successiva (punto 18). Infatti, il problema sostanziale che si poneva anche in quel caso non era tanto individuare da un punto di vista formale chi rivestisse la nozione di giudice di ultima istanza in un dato procedimento, quanto quello di evitare che, qualificando come giurisdizione in ultima istanza la Corte competente del giudizio di ammissibilità che avrebbe potuto chiudere anzitempo il procedimento senza consentire alla Corte di giustizia di pronunciarsi sulla questione, non venisse messo a rischio il perseguimento della finalità dell’obbligo di rinvio pregiudiziale di evitare il consolidarsi di giurisprudenze contrarie al diritto (allora) comunitario, (oggi) dell’Unione (v. conclusioni avvocato generale Tizzano).

Certamente, sempre con riguardo all’estensione della portata dell’obbligo di rinvio pregiudiziale, il principio di autonomia processuale ha portato la Corte di giustizia ad ammettere che non vi è alcun obbligo di rinvio se le questioni di diritto dell’Unione non sono pertinenti in quanto considerate irricevibili in giudizio dall’ordinamento nazionale processuale (v. sentenza Aquino). Ma ciò può accadere fintanto che quell’ordinamento rispetti i principi di equivalenza ed effettività nella prospettiva di assicurare che il diritto dell’Unione esplichi tutti i propri effetti.

Per saggiare la misura nazionale applicando il test dell’effettività in ordine all’obbligo di rinvio, non si può allora prescindere dal considerare che l’obbligo di rinvio deve perseguire utilmente i propri scopi: assicurare l’unità di interpretazione del diritto dell’Unione presso i plessi giurisdizionali nazionali e, specialmente dopo Consorzio, garantire che i singoli godano di una tutela giurisdizionale effettiva nei settori della vita regolati dal diritto dell’Unione (sull’obbligo di rinvio come strumento indiretto alla tutela giurisdizionale effettiva che deve essere soppesato alla luce di tale principio v. F. Spitaleri, 2022; C. Lacchi, 2016).

La decisione della Corte di giustizia nel caso KUBERA contribuirà a chiarire, o almeno a meglio definire, il complesso profilo dell’organo giurisdizionale avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso di diritto interno, nella prospettiva di assicurare l’effettività della tutela giurisdizionale delle parti in un delicato equilibrio con le esigenze di funzionalità del sistema, alle quali anche il recente trasferimento della competenza pregiudiziale al Tribunale dell’Unione europea è servente (v. il regolamento che modifica il protocollo n. 3 sullo statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, in attesa di essere pubblicato in GUUE). Il caso oggetto di attenzione in queste note si colloca in quel filone di riflessione giurisprudenziale sulla natura dell’art. 267 TFUE, oscillante (e ambivalente) tra strumento a tutela delle parti e istituto per il dialogo tra giudici nell’interesse esclusivo del sistema, nella consapevolezza che il rinvio pregiudiziale non può che condividere tanto l’una, quanto l’altra finalità.