Subsidiarity Control of European Rules also Open to Minorities in (Some) National Parliaments: What Consequences?

Action brought on 14 August 2024, Case C-553/24, Assemblée nationale de la République française v. European Parliament, Council of the European Union

Il controllo di sussidiarietà delle norme europee aperto anche alle minoranze di (alcuni) parlamenti nazionali: quali conseguenze?

Contrôle de subsidiarité des actes législatifs de l’UE ouvert aussi aux minorités dans (certains) parlements nationaux : quelles conséquences ?

 

1. Il 30 settembre scorso è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale UE il ricorso dell’Assemblea francese contro il nuovo regolamento di Dublino che costituisce la chiave di volta del nuovo “Patto Migrazione e Asilo”. Il regolamento in questione é il regolamento (UE) 2024/1351 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 maggio 2024, sulla gestione dell’asilo e della migrazione, che modifica i regolamenti (UE) 2021/1147 e (UE) 2021/1060 e che abroga il regolamento (UE) n. 604/2013. Il ricorso é stato presentato ai sensi dell’art. 8, primo comma del Protocollo n.2 sull’applicazione dei principi dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. Secondo tale articolo: «La Corte di giustizia dell’Unione europea è competente a pronunciarsi sui ricorsi per violazione, mediante un atto legislativo, del principio di sussidiarietà proposti secondo le modalità previste all’articolo 263 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea da uno Stato membro, o trasmessi da quest’ultimo in conformità con il rispettivo ordinamento giuridico interno a nome del suo parlamento nazionale o di una camera di detto parlamento nazionale» (corsivo aggiunto).

Secondo le informazioni contenute in Gazzetta la ricorrente, ha chiesto, in via principale l’annullamento dell’intero regolamento o, in subordine, l’annullamento della sua parte IV «Solidarietà» sulla base delle seguenti motivazioni: essa, in sostanza, «sostiene che il regolamento impugnato esorbiterebbe dalle competenze delle istituzioni dell’Unione europea e violerebbe il principio di sussidiarietà, quale definito e garantito dagli articoli 4 e 5 TUE. Secondo la ricorrente detto regolamento istituirebbe, in particolare con i suoi articoli 56, paragrafo 2, 63, paragrafo 5, 67 e 68, un regime di «ricollocazione» delle persone richiedenti protezione internazionale a danno della sovranità, dell’identità nazionale, dell’integrità delle strutture costituzionali e della sicurezza degli Stati membri, i quali si troverebbero obbligati ad accogliere sul loro territorio i cittadini di paesi terzi oggetto delle misure di «ricollocazione». Sempre secondo la ricorrente, l’articolo 72 TFUE consacrerebbe una «riserva in nome della sicurezza nazionale», che costituirebbe una componente essenziale del principio di sussidiarietà. Qualunque violazione di questa clausola costituirebbe quindi una violazione del principio di sussidiarietà. La procedura di «ricollocazione» istituita dal regolamento impugnato impedirebbe agli Stati membri di garantire le loro funzioni essenziali ai sensi dell’articolo 4 TUE, in particolare il mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza nazionale. Gli Stati membri rischierebbero di trovarsi de facto in una situazione che impedirebbe loro di invocare utilmente la «clausola di sicurezza nazionale». Quanto al metodo di calcolo del contributo finanziario, quest’ultimo non terrebbe conto della capacità di accoglienza, della politica sociale, dell’identità dei popoli e delle condizioni di sicurezza del paese. Tale dispositivo pregiudicherebbe l’obbligo lato sensu di politica sociale ai sensi dell’articolo 151 TFUE».

2. Per quanto riguarda i contenuti del ricorso, gli argomenti sollevati dall’Assemblea francese in materia di ricollocazione dei richiedenti asilo sembrano ricalcare quelli già affrontati dalla Corte (Grande Sezione) nel caso C-643/15, del 6 settembre 2017, Repubblica slovacca e Ungheria contro Consiglio dell’Unione europea e nei casi C-715/17, C-718/17 e C-719/17, del 2 aprile 2020, Commissione europea contro Repubblica di Polonia e a. Anche in quelle occasioni erano state contestate delle decisioni di ricollocazione adottate dal Consiglio dell’Unione europea (decisione UE 2015/1523 del Consiglio, del 14 settembre 2015 e decisione UE 2015/1601 del Consiglio, del 22 settembre 2015) quali misure provvisorie in materia di protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia.

Come è noto si trattava allora di bilanciare l’onere della gestione di un imponente flusso di richiedenti asilo in particolare siriani tra gli Stati membri. Anche in quella occasione era stato invocato l’art. 72 TFUE secondo il quale le disposizioni del trattato relative allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, di cui fa parte la politica di asilo, non pregiudicano l’esercizio delle responsabilità incombenti agli Stati membri per il mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna. Nel respingere tale giustificazione, la Corte aveva però affermato che, l’art. 72 TFUE costituisce una disposizione di deroga alle norme generali del diritto dell’Unione, e come tale deve essere interpretato in senso restrittivo e non può giustificare una generica deroga alle disposizioni del diritto dell’Unione in nome del mantenimento dell’ordine pubblico e della salvaguardia della sicurezza interna. La Corte ha in particolare precisato che se, da un lato, gli Stati membri dispongono di un ampio margine di discrezionalità nel determinare se vi siano ragionevoli motivi per ritenere che un cittadino di un Paese terzo da ricollocare costituisca un pericolo per la sicurezza nazionale, dall’altro lato essi devono procedere a un esame caso per caso e basarsi su elementi di prova concordanti, oggettivi e specifici che facciano ritenere che il ricollodando in questione rappresenti un pericolo reale o potenziale.

3. Il ricorso dell’Assemblea francese tocca anche altri aspetti la cui ammissibilità e fondatezza sarà valutata dal Parlamento europeo e dal Consiglio che, chiamati in causa, li esamineranno probabilmente in dettaglio a sostegno della legittimità dell’atto impugnato. Ciò che fin da ora importa segnalare in questa sede è il fatto che questo sia il primo ricorso presentato da un Parlamento nazionale ai sensi dell’art. 8 del Protocollo “Sussidiarietà”. È poi interessante notare che la Cancelleria della Corte ha registrato come ricorrente direttamente l’Assemblea francese mentre il Governo di quel Paese si sarebbe limitato a trasmettere la richiesta. La Cancelleria della Corte sembra aver ritenuto che ricorressero le condizioni previste dall’art. 8 del Protocollo secondo il quale i ricorsi possono essere «proposti secondo le modalità previste all’articolo 263 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea da uno Stato membro, o trasmessi da quest’ultimo in conformità con il rispettivo ordinamento giuridico interno a nome del suo parlamento nazionale o di una camera di detto parlamento nazionale» (corsivo aggiunto).

Infatti, secondo l’art. 88.6 della Costituzione Francese, come modificata dall’art. 47 della l. costituzionale n. 2008-724 in vista dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona «Chaque assemblée peut former un recours devant la Cour de justice de l’Union européenne contre un acte législatif européen pour violation du principe de subsidiarité. Ce recours est transmis à la Cour de justice de l’Union européenne par le Gouvernement. À cette fin, des résolutions peuvent être adoptées, le cas échéant en dehors des sessions, selon des modalités d’initiative et de discussion fixées par le règlement de chaque assemblée. À la demande de soixante députés ou de soixante sénateurs, le recours est de droit».

 Ora, la particolarità del ricorso non è solo che esso sia stato proposto dall’Assemblea francese ma che sia stato sufficiente il voto di 60 deputati dei 577 che compongono l’Assemblea quindi poco più di un decimo. Questa soglia è persino inferiore rispetto a quella fissata dal Bundesverfassungsgericht nella Repubblica federale tedesca con il paragrafo 89 del “Lisbon Urteil” secondo il quale un ricorso in Corte di giustizia per violazione del principio di sussidiarietà deve essere sostenuto da almeno un quarto dei membri del Bundestag o del Bundesrat: «[l]’articolo 1, comma 3, della legge di proroga regola la procedura dell’azione di sussidiarietà. Il Bundestag è obbligato, in particolare ai sensi del comma 2, in analogia con l’articolo 44, comma 1, frase 1, e con l’articolo 93, comma 1, n. 2, della legge fondamentale, nuova versione, a promuovere un’azione su richiesta di un quarto dei suoi membri; ai sensi del comma 3, il Bundesrat può disciplinare nel suo regolamento interno le modalità di adozione di una decisione su un’azione di sussidiarietà. Ai sensi del paragrafo 4, il Governo federale invia l’azione a nome dell’organo che ha adottato la decisione di proporre tale azione “senza indugio” alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea».

La situazione è ben diversa nel caso italiano dove l’art. 42, co. 4, della l. n. 234/2012 non riconosce a una soglia minima di parlamentari il diritto di obbligare il Governo a presentare il ricorso, rimettendosi implicitamente alle regole interne sulle maggioranze delle due Camere. Quel che è certo, però, che se si ottiene il voto favorevole alla Camera dei deputati o al Senato della Repubblica, tale voto anche solo di una delle due camere obbliga il Governo a presentare il ricorso, anche se per ipotesi questi fosse contrario nel merito ai rilievi sollevati dall’assemblea parlamentare. Esso infatti recita: «Il Governo presenta senza ritardo alla Corte di giustizia dell’Unione europea i ricorsi deliberati dal Senato della Repubblica o dalla Camera dei deputati avverso un atto legislativo dell’Unione europea per violazione del principio di sussidiarietà, conformemente all’articolo 8 del Protocollo n. 2 sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, allegato al Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. La Camera che ha deliberato il ricorso sta in giudizio per mezzo di chi ne ha la rappresentanza». Da notare che nelle materie di competenza regionale il Governo non è obbligato a ricorrere alla Corte nel caso la richiesta venga dalle Regioni o dalle Province autonome, mentre lo è in presenza di una richiesta della Conferenza Stato-Regioni a maggioranza assoluta delle Regioni e delle Province autonome. Recita, infatti, l’art. 5, comma 2, della l. 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla l. costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3) che «Nelle materie di competenza legislativa delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, il Governo può proporre ricorso dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunità europee avverso gli atti normativi comunitari ritenuti illegittimi anche su richiesta di una delle Regioni o delle Province autonome. Il Governo è tenuto a proporre tale ricorso qualora esso sia richiesto dalla Conferenza Stato-Regioni a maggioranza assoluta delle Regioni e delle Province autonome» (corsivi aggiunti).

La situazione, invece, come visto, è ben diversa in Francia dove, in base al citato art. 88.6 della Costituzione, l’Assemblea francese ha previsto all’articolo 151-11 del proprio regolamento interno che «Le Président de l’Assemblée transmet au Gouvernement, aux fins de saisine de la Cour de justice de l’Union européenne, tout recours contre un acte législatif européen pour violation du principe de subsidiarité formé, dans les deux mois qui suivent la publication de l’acte, par au moins soixante députés. Le cas échéant, l’examen des propositions de résolution portant sur le même acte législatif est interrompu».

È quindi sulla base di questo quadro giuridico che, il 5 maggio 2024, più di sessanta deputati del Partito d’opposizione “Rassemblement National” di Marine Le Pen hanno deciso di depositare una richiesta di ricorso in Corte di giustizia contro il regolamento (UE) 2024/1351 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 maggio 2024, sulla gestione dell’asilo e della migrazione.

4. Dal punto di vista sostanziale, l’iniziativa dell’Assemblea francese si presta a diverse osservazioni.

La principale, a parere di chi scrive, è che, la presentazione da parte di un Parlamento nzionale di un ricorso che contesti la violazione da parte di una norma europea del principio di sussidiarietà è una garanzia ulteriore del fatto che la legislazione europea sia conforme alla rule of law. Ciò a maggior ragione quando, come nel caso di Francia e Germania, il ricorso possa essere promosso anche da minoranze parlamentari. Queste hanno così la possibilità di rimettere in discussione anche eventuali accordi delle  maggioranze parlamentari con i rispettivi governi circa norme europee che, a parere delle minoranze, possano violare il principio di sussidiarietà. Le minoranze infatti, proprio perché tali, non sono in grado di contestarne la legittimità nella fase iniziale dei negoziati e sollevare i cosiddetti cartellini “gialli” ed “arancione” di cui al Protocollo n. 2. Il diritto delle minoranze di presentare ricorsi in Corte pone quindi i cittadini di quei Paesi che si riconoscono nei partiti di opposizione in una posizione privilegiata rispetto ai cittadini di altri Paesi che nelle stesse condizioni potrebbero non essere parimenti garantiti per un ricorso contro norme europee ptenzialmente illegittime. La questione non è di poco conto a fronte delle ben note difficoltà che incontrano i cittadini europei a contestare norme europee di portata generale (giurisprudenza Plaumann).

Sotto un secondo profilo questa situazione crea di fatto, però, anche una discriminazione tra assemblee parlamentari che tutte sono chiamate dall’art.12 TUE con pari responsabilità a contribuire alla costruzione europea (e ciò indipendentemente dalla relazione tra ciascuna assemblea e il rispettivo governo). Se la ratio delle costituzioni francese e tedesca è quella di tutelarsi in caso di derive dell’Unione non si vede perché questa possibilità non sia accordata da una norma del Protocollo a tutte le minoranze nelle assemblee parlamentari magari individuando una soglia ragionevole (un quarto, un terzo?) per promuovere il ricorso. Paradossalmente questo rafforzerebbe il coinvolgimento dei Parlamenti nazionali alla costruzione europea, e la loro informazione sui negoziati europei  che oggi avviene soprattutto attraverso i rispettivi Governi che tenderanno inevitabilmente a favorire le maggioranze sui cui si reggono. Per le minoranze non vi sono invece meccanismi alternativi di essere informate sull’andamento dei negoziati specie da quando, come denunciato dal Comitato Meijers negli scorsi mesi, le assemblee parlamentari sono state escluse dall’accesso alla piattaforma del Consiglio (“Delegates Portal”) che permette ad oltre 32000 utenti di seguire giorno per giorno i negoziati legislativi (riservati) nei gruppi di lavoro del Consiglio e del Coreper. Un canale diretto di accesso ai lavori preparatori assicurato dai co-legislatori,  Parlamento Europeo e Consiglio sarebbe invece più che auspicabile e avrebbe come ricaduta il rafforzamento della democrazia parlamentare, del ruolo dei partiti europei e della partecipazione degli stessi cittadini che potrebbero verificare se i propri rappresentanti sono coerenti nelle loro iniziative a livello europeo, nazionale e finanche regionale laddove le regioni abbiano competenze legislative.

Sotto un terzo profilo, la facoltà delle minoranze di promuovere un ricorso contro norme che i rispettivi Governi hanno approvato ne potrebbe rimettere in discussione la credibilità in seno al Consiglio e esporli al rischio di essere accusati dagli altri Governi di non rispettare il principio di leale cooperazione (art. 4 TUE) fra membri della stessa Istituzione.

Sotto un quarto profilo si potrebbero esacerbare le relazioni tra maggioranza e opposizione all’interno della stessa assemblea parlamentare e fra le due camere di uno stesso Parlamento. Basti pensare che nel caso del regolamento in questione il Parlamento francese non aveva adottato alcun parere motivato che sollevasse riserve nella fase iniziale del negoziato di questo regolamento.

Sotto un quinto e non meno rilevante profilo aprire anche alle minoranze parlamentari la possibilità di ricorrere contro norme europee rischierebbe di appesantire il carico di lavoro della Corte stessa, che si troverebbe spesso confrontata a ricorsi presentati più per ragioni politiche che come iniziative giuridicamente fondate. Questo sembrerebbe il caso di questa iniziativa dell’Assemblea francese dove una minoranza sovranista accetta il primato di una istituzione dell’Unione il cui ruolo ne uscirebbe rafforzato.

A’ suivre