The non application of the sanction in Italian law after the NE judgement: a new case of double preliminary question?

Corte di cassazione, V sez. penale, ordinanza 27 febbraio 2024, n. 8612

La disapplicazione della sanzione nell’ordinamento italiano dopo la sentenza NE: una nuova questione di doppia pregiudiziale?

La désapplication de la sanction en droit italien après l’arret NE: une nouvelle question doublement préalable?

Introduzione

All’indomani della pronuncia della Corte di giustizia nella causa NE1, autorevole dottrina aveva sottolineato come l’applicazione di questa sentenza nell’ordinamento italiano non sarebbe stata agevole e avrebbe sollevato profili problematici2.

Si ricordi che i giudici di Lussemburgo con la citata sentenza, compiendo un overruling3, hanno statuito che il principio di proporzionalità della sanzione ai sensi dell’ art. 20 della direttiva 2014/67/UE – che sostanzialmente ricalca quanto sancito dall’art. 49, par. 3, CdFUE – ha carattere imperativo, è dotato di effetto diretto e, pertanto, consente al giudice nazionale di disapplicare la parte della normativa interna dalla quale deriva il carattere sproporzionato della pena4.

Sennonché, era stato osservato che la messa in pratica di tale approdo giurisprudenziale avrebbe comportato, almeno nel contesto italiano: a) la lesione del principio di riserva di legge, sotto il profilo della determinatezza della legge penale; b) la violazione del principio di separazione dei poteri nella misura in cui il giudice nazionale, disapplicando la norma che prevede l’an e il quantum della sanzione, di fatto si sostituisce al legislatore decidendo arbitrariamente la pena da irrogare5.

Entrambi questi punti costituiscono i motivi su cui la Corte di cassazione fonda la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2641, comma secondo, c.c. (di recente disapplicato – come meglio si vedrà infra – dalla Corte di appello di Venezia) in relazione ai parametri di cui agli artt. 3 e 27 Cost., 42, 117, primo comma con riferimento all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU), 11 e 117, primo comma, Cost. in riferimento agli artt. 17 e 49 della CdFUE.

I paragrafi che seguono hanno l’obiettivo di comprendere meglio i termini della questione posta alla Corte costituzionale, che invero sottende – sempre che ci si trovi nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione europea – un problema di rapporti tra ordinamenti, e provare ad ipotizzare le possibili strade che la Corte costituzionale potrebbe percorrere.

La vicenda da cui trae origine la questione di legittimità costituzionale: due prospettive diverse.

La vicenda processuale che si commenta prende le mosse dall’attività ispettiva (della Banca d’Italia e dalla BCE) svolta presso un istituto di credito all’esito della quale è stato instaurato un processo penale per la commissione dei reati di aggiotaggio manipolativo ed informativo e di ostacolo alla funzione di vigilanza.

Il Tribunale di Vicenza accertava la responsabilità penale dei reati ascritti agli imputati e li condannava ad una pena detentiva e alla confisca per equivalente dei mezzi impiegati per commettere i reati.

Sennonché, in sede di impugnazione della sentenza di primo grado la Corte di appello di Venezia ha disposto la revoca della confisca per equivalente disapplicando, in virtù dell’effetto diretto del principio di proporzionalità ex art. 49, par. 3, CdFUE, l’art. 2641 c.c.6. La Corte di appello ha motivato questa scelta sostenendo che l’apparato sanzionatorio detentivo per i reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza bancaria è già di per sé sufficiente a sanzionare anche una condotta che provoca un’offesa grave. Da ciò consegue, secondo il giudice del gravame, che, in generale, il provvedimento ablatorio è connotato da una manifesta sproporzione «oltre che disancorato dal disvalore dell’illecito e dai singoli contributi concorsuali a causa dell’ automaticità del criterio di commisurazione, in aperto contrasto con i principi 3 e 27, comma primo, Costituzione». Inoltre, la Corte di appello aggiunge che, nel caso di specie, gli imputati non avevano tratto alcun profitto economicamente valutabile dalla commissione dei reati, avendo operato mediante l’utilizzazione di risorse dell’istituto di credito e nell’interesse esclusivo dello stesso, ancorché radicalmente contrario alle regole di sana e prudente gestione.

Tali considerazioni dimostrano che il problema sottostante alla disapplicazione dell’art. 2641, comma secondo, cc. non era un problema di proporzionalità in concreto, ma di proporzionalità in astratto. In altri termini, secondo la Corte di appello di Venezia, la confisca ai sensi dell’art. 2641, comma secondo, c.c. rappresenta, sempre e in ogni caso, una misura sanzionatoria «sovrabbondante» rispetto all’apparato sanzionatorio detentivo, anche nell’ipotesi di applicazione del minimo edittale. E allora, proprio per questo motivo sarebbe stato più opportuno e corretto giuridicamente – come osserva la stessa Corte di cassazione – sollevare l’incidente di costituzionalità della confisca, piuttosto che disapplicarla.

Sennonché la soluzione della disapplicazione, come evidenziato dal Procuratore generale che ha impugnato la sentenza del giudice di secondo grado, ha posto ulteriori profili problematici di non poco momento. In particolare, il ricorrente ha sostenuto che disapplicare l’art. 2641 c.c. non sarebbe consentito per una serie di motivi derivanti sia dalla stessa disposizione che prevede la confisca, sia dalla Carta costituzionale.

Rispetto al primo punto, il Procuratore ha sottolineato che l’art. 2641 c.c. non poteva essere disapplicato in quanto: a) prevede la confisca come misura obbligatoria; b) non introduce correttivi di tipo quantitativo correlati alle peculiarità del caso concreto; c) non consente – come invece argomentato dal giudice di appello – di valorizzare il fattore dell’assenza di un profitto individuale posto che ciò introdurrebbe un parametro normativo non previsto dal legislatore.

Rispetto al secondo ordine di motivi, invece, il nodo problematico riguarda la possibilità di disapplicare la normativa nazionale anche quando tale soluzione sia priva di una base sufficientemente determinata. Specificatamente, il Procuratore lamenta che la Corte di appello di Venezia nel caso di specie (ma evidentemente qualsiasi giudice che dovesse dare seguito alla sentenza NE nell’ordinamento italiano), disapplicando la confisca, abbia violato gli artt. 101, secondo comma, e 25, secondo comma, della Costituzione, con riguardo ai principi di legalità della pena e di separazione dei poteri.

Tra l’altro, anche a voler immaginare la possibilità di una disapplicazione parziale dell’art. 2641 c.c. con il conseguente risultato per il giudice di irrogare una confisca per equivalente di un quantum inferiore rispetto a quello stabilito dalla disposizione interna – ovverosia l’intero ammontare delle somme di denaro utilizzate per commettere i reati –, il giudice non avrebbe comunque alcun criterio per stabilire il quantum inferiore, perché tale decisione spetta al legislatore quando pone in essere decisioni di politica criminale.

Sulla base di tali considerazioni il Procuratore generale nel suo ricorso ha sollecitato il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia al fine di ottenere una interpretazione delle ricadute della sentenza NE rispetto all’ordinamento italiano.

La parola alla Corte costituzionale: verso l’apertura (auspicata) di un nuovo dialogo con Lussemburgo?

Secondo la Corte di cassazione le critiche esposte del Procuratore generale risultano fondate non solo perché la Corte di appello non avrebbe esposto a sufficienza le ragioni per cui la confisca, nel caso di specie, era una sanzione sproporzionata, ma soprattutto perché tutt’altro che peregrino risulta il contrasto tra la soluzione dettata dalla Corte di giustizia nel caso NE e i principi costituzionali di legalità e separazione dei poteri. Infatti, nell’ordinanza di rimessione si legge che la disapplicazione della sanzione sarebbe foriera di violare: a) il principio di legalità nella parte in cui esige che le norme penali siano determinate e formulate in termini chiari, precisi e stringenti; b) il principio di certezza del diritto che consente alle persone di comprendere quali possono essere le conseguenze della propria condotta sul piano penale; c) il principio di separazione dei poteri che impedisce l’arbitrio applicativo del giudice.

A questo punto la Corte di cassazione avrebbe potuto rinviare la questione alla Corte di giustizia come suggerito dal ricorrente, ma sceglie, invece, «in un quadro di costruttiva e leale cooperazione fra i diversi sistemi di garanzia»7, di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2641 c.c., secondo comma, in virtù del “modello 269 temperato”8.

Si tratta, come motiva l’ordinanza di rimessione, di una questione di doppia pregiudiziale9, che però, a ben vedere, si differenzia dalle altre sinora giunte alla Consulta. Essa non costituisce solo un caso in cui i diritti e i principi enunciati dalla CdFUE intersecano quelli stabiliti dalla Costituzione, ma solleva una questione – probabilmente inquadrabile in quelle dal “tono costituzionale”10 – che rivela un conflitto tra ordinamenti che potrebbe sfociare persino nell’applicazione dei controlimiti e necessita, pertanto, di essere disinnescato, o meglio, affrontato a livello costituzionale. In altre parole, si ritiene che la Corte di cassazione privilegi la via della Corte costituzionale perché comprende che il nodo cruciale sia delicato e attenga, in particolare, all’impossibilità di accogliere nell’ordinamento italiano la regola NE, similmente a quanto era accaduto con la regola Taricco (e non a caso, nell’ordinanza di rimessione, viene citata più volte l’ordinanza n. 24 del 2017).

Al fine di esplorare, come anticipato, le strade che potrebbero essere percorse dalla Corte costituzionale è opportuno sottolineare che queste sono evidentemente condizionate dalla risposta che si fornirà ad una questione preliminare: ovverosia se il caso di specie rientri nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione europea. Infatti, la risposta non è affatto pacifica, sebbene la Corte di cassazione dia quasi per scontato la rilevanza di tale diritto – probabilmente perché la Corte di appello di Venezia ha proceduto, senza porsi alcun dubbio, con la disapplicazione dell’art. 2641, comma secondo c.c. – e citi atti UE che sembrano aver poco a che vedere con il caso di specie11.

Qualora la Corte costituzionale dovesse offrire riscontro negativo a questo primo interrogativo, una delle soluzioni che si ritiene più probabile potrebbe essere quella di una dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 2641, comma secondo c.c. in relazione alle sole disposizioni costituzionali nazionali.

Diversamente, presupponendo che la Corte costituzionale dovesse ritenere che si sia nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, le (o almeno quelle principali) strade percorribili potrebbero essere di due tipi.

La prima strada è quella del rinvio pregiudiziale.

Nell’esplorare questa soluzione, pare assolutamente da escludere la possibilità che la Corte costituzionale si rivolga alla Corte di giustizia con una ordinanza di “chiusura e salvaguardia dell’ordinamento” alla stregua della n. 24/201712. Infatti, sebbene il comune punto problematico in Taricco e in NE sia la disapplicazione in materia penale con conseguente arbitrio del giudice nazionale e ridimensionamento del sindacato accentrato di costituzionalità, il fatto che la sentenza NE produca effetti più favorevoli all’imputato (diversamente da Taricco) porta a dubitare – e certamente a non auspicare – che la Consulta apra un “duro confronto” con la Corte di giustizia come era successo nella saga Taricco13.

Piuttosto, si presume che la Corte costituzionale possa impiegare la «chiave di volta» di cui all’art. 267 TFUE con un atteggiamento di apertura e di “dialogo costruttivo”. Gli eventuali vantaggi di aprire siffatto dialogo con i giudici del Kirchberg sul principio della proporzionalità potrebbero essere almeno due. In primo luogo, il rinvio pregiudiziale potrebbe rappresentare un modo per conciliare il “dissidio genetico” tra la disapplicazione della sanzione in ambito penale e i principi costituzionali nazionali, circoscrivendo l’applicazione della sentenza NE solo laddove, come stabilito dall’art. 51, par. 1, CdFUE, la Carta risulti applicabile14.

L’opacità dell’ambito di applicazione della Carta potrebbe non agevolare il giudice comune nella scelta di ricorrere (o meno) allo strumento della disapplicazione15. E del resto, il rinvio pregiudiziale potrebbe essere oltremodo utile proprio se la Corte costituzionale nutre/nutrisse dubbi sulla questione relativa all’ambito di applicazione del diritto UE e, quindi, della Carta. In secondo luogo, l’interlocuzione diretta con la Corte di giustizia potrebbe essere un primo step per la costruzione – di pari passo con l’edificazione di un sistema sanzionatorio sovranazionale – di un giudizio europeo di proporzionalità della sanzione, fornendo elementi più precisi che diano contenuto a siffatta valutazione16.

La seconda strada, invece, è che la Corte costituzionale ritenga applicabile il diritto dell’Unione, ma decida di non aprire il dialogo con la Corte di giustizia. In questa ipotesi, in virtù di quanto delineato con la sentenza n. 181/2024, la Corte potrebbe dichiariare l’incostituzionalità dell’art. 2641, comma secondo, c.c. in virtù dei parametri nazionali, rafforzati dal riferimento all’art. 49, par. 3, CdFUE – come aveva già fatto  nella sentenza n. 112/2019 con cui ha dichiarato costituzionalmente illegittima la confisca ex art. 187sexies TUF17 –, ma perderebbe l’occasione di affontare con la Corte di giustizia il problematico tema del rapporto tra la disapplicazione della sanzione in ambito penale e i principi costituzionali nazionali.

In entrambe le eventualità prospettate la Consulta giungerebbe comunque a dichiarare l’illegittimità costituzionale della disposizione sanzionatoria. Siffatto risultato, secondo attenta dottrina, parrebbe quello più appropriato (rispetto alla mera disapplicazione da parte dei giudici comuni) nella misura in cui l’intervento della Consulta, oltre ad essere utile per ragioni di certezza del diritto e di economia procedurale garantite da una sentenza erga omnes, consentirebbe il pieno rispetto del principio di legalità e di separazione dei poteri18, e nel caso di un rinvio pregiudiziale, come detto, produrrebbe una mutua fecondazione dei sistemi integrati di tutela dei diritti fondamentali19.


1 Corte giust., 8 marzo 2022, causa C- 205/20, NE, ECLI:EU:C:2022:168.

2 F. Viganò, La proporzionalità della pena tra diritto costituzionale italiano e diritto dell’Unione europea: sull’effetto diretto dell’art. 49, paragrafo 3, della Carta alla luce di una recentissima sentenza della Corte di giustizia, in Sistema penale, 22 aprile 2022.

3 Rispetto all’orientamento espresso dalla Corte giust., 4 ottobre 2018, causa C-384/17, Link Logistik N&N, ECLI:EU:C:2018:810.

4 Si veda sui rapporti tra effetto diretto e disapplicazione, D. Gallo, La disapplicazione è sempre figlia dell’effetto diretto, non del (solo) primato: Poplawski, in C. Caruso, F. Medico A., Morrone (a cura di), Granital Revisited? L’integrazione europea attraverso il diritto giurisprudenziale, Bologna, 2020, p. 81 ss.; L. S. Rossi, Effetti diretti delle norme dell’Unione europea e invocabilità di esclusione: i problemi aperti della seconda sentenza Poplawski, in Giustizia Insieme, 3 febbraio 2021, p. 1 ss; D. Gallo, Rethinking direct effect and its evolution: a proposal, in European Law Open, 2022, p. 576 ss.

5 Si consenta il rinvio per lo sviluppo di entrambi i profili problematici, M. Lanotte, La proporzionalità della sanzione: un principio ritrovato? Note a margine della sentenza NE, in Quaderni AISDUE, 2023, p. 341 ss.

6 Per una lettura pienamente positiva della sentenza NE, si v. P. F. Bresciani, Contro le pene eccessive: al rimedio costituzionale si aggiunge la disapplicazione europea, in Quaderni costituzionali, 2022, p. 637 ss.

7 Ordinanza n. 127 del 2024, considerando in diritto, punto 6.

8 C. Amalfitano, Il dialogo tra giudice comune, Corte di Giustizia e Corte costituzionale dopo l’obiter dictum della sentenza n. 269/2017, in Osservatorio sulle fonti, 2019, p. 1 ss.

9 La dottrina è sconfinata, si v. per tutti, G. Tesauro, P. De Pasquale, La doppia pregiudizialità, in F. Ferraro, C. Iannone (a cura di), Il rinvio pregiudiziale, II ed., Torino, 2024, p. 341 ss.; D. Gallo, G. Piccirilli, Dual Preliminarity Through National, EU and Comparative Case Law, in The Italian Journal of Public Law, 2023, p. 1 ss.

10 L’espressione è usata dalla Corte Cost., sentenza n. 181 del 2024. Si v. F. Ferraro, La Consulta si affida al “tono costituzionale” per estendere il suo controllo (anche) sulle norme dell’Unione provviste di effetto diretto, in Eurojus, 2024, p. 160 ss; S. Barbieri, La sentenza n. 181 del 2024 della Corte costituzionale: una svolta nei rapporti tra ordinamento italiano e diritto dell’Unione europea?, in questa rivista, 2024; A. Ruggieri, La doppia pregiudizialità torna ancora una volta alla Consulta, in attesa di successive messe a punto (a prima lettura di Corte cost. n. 181 del 2024), in Consulta online, 2024, p. 1346 ss.

11 Per giustificare la rilevanza del diritto UE (e quindi il fatto che si rientra nel suo ambito di applicazione) si fa riferimento alla decisione quadro 2003/577/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003 relativa all’esecuzione nell’Unione europea dei provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro probatorio; alla decisione quadro 2006/783/GAI del Consiglio, del 6 ottobre 2006, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca; alla direttiva 2014/42/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 aprile 2014, relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell’Unione europea; al regolamento UE 2018/1805 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 novembre 2018, relativo al riconoscimento reciproco dei provvedimenti di congelamento e di confisca.

12 R. Mastroianni, La Corte costituzionale si rivolge alla Corte di giustizia in tema di ‘controlimiti’ costituzionali: è un vero dialogo?, in Federalismi, 2017, p. 1 ss.

13 Si ricordi che mentre nel caso Taricco la violazione del principio di determinatezza della legge penale nasceva dall’obbligo per il giudice nazionale di disapplicare l’istituto della prescrizione, in virtù dell’ effetto diretto dell’art. 325 TFUE, con conseguente effetto in malam partem per l’imputato, in questo caso il vulnus alla determinatezza deriva dall’obbligo di disapplicare, in virtù del principio di proporzionalità ex art. 49, par. 3, CdFUE, la normativa interna che statuisce la sanzione, con conseguente effetto in bonam partem per l’imputato.

14 N. Lazzerini, La carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea : i limiti di applicazione, Milano, 2018.

15 Sui limiti del dovere di disapplicare la legislazione nazionale in conflitto con il principio di proporzionalità, v. S. Montaldo, Handle with care! The direct effect of the requirement of proportionality of sanctions and the remedy of disapplication: NE v. Bezirkshauptmannschaft Hartberg-Fürstenfeld, in Common Market Law Review, 2023, p. 863 ss.

16 M. Lanotte, cit., p. 394 ; v. anche conclusioni dell’Avvocato generale Emiliou nella causa C- 40/21, Agenţia Naţionalà de Integritate, ECLI:EU:C:2022:873, par. 77: «[u]n siffatto «trilogo» (trialogue) in sede giurisdizionale, pur comportando certamente un dispendio di tempo e di risorse, può presentare una particolare utilità in alcune situazioni complesse dove occorre conciliare i principi costituzionali dell’Unione e i principi costituzionali nazionali».

17 Tale disposizione è stata dichiarata incostituzionale nella parte in cui prevedeva la confisca obbligatoria, diretta o per equivaIente, del prodotto dell’illecito e dei beni utilizzati per commetterlo, e non del solo profitto, riferita aIl’illecito amministrativo di aggiotaggio manipolativo.

18 C. Amalfitano, L.Cecchetti, The ECJ’s approach to dual preliminarity 5 years after the ITCC’s judgement No. 269/2017, in The Italian Journal of Public Law, 2023, p. 105 e 106.

19 F. Viganò, La tutela dei diritti fondamentali della persona tra corti europee e giudici nazionali, in Quaderni costituzionali, 2019, p. 481 ss.