Lego Bricks in the Court of Justice: Designation of Safe Countries of Origin. Grand Chamber Hearing of 25 February 2025, Joined Cases C-758/24 Alace and C-759/24 Canpelli

Mattoncini di Lego in Corte di giustizia: la designazione dei Paesi di origine sicuri. Udienza di Grande Chambre del 25 febbraio 2025, cause riunite C-758/24 Alace e C-759/24 Canpelli

Lego bricks devant la Cour de justice : désignation des pays d’origine sûrs. Audience de la Grande chambre du 25 février 2025, affaires jointes C-758/24 Alace et C-759/24 Canpelli

Introduzione

È una mattina nebbiosa di fine febbraio in Lussemburgo, la grande salle della Corte di giustizia è gremita di persone per assistere all’udienza fissata nella procedura accelerata per le cause riunite C-758/24 e C-759/241, promosse da due rinvii pregiudiziali dal Tribunale di Roma in materia di asilo, più precisamente sulla applicazione del concetto di Paese di origine sicuro alle procedure accelerate in frontiera durante l’esame di una domanda di protezione internazionale. Prendendo in prestito una efficace metafora utilizzata dall’avvocato Martin Smolek, presente in aula per il Governo della Repubblica Ceca, la vicenda si può paragonare a un intricato Lego, costruito con diversi mattoncini a incastro, di colori e forme diverse, la cui combinazione non è facile da immaginare2.

La causa è oggetto di grande attenzione da parte dei media italiani e non solo, poiché destinata ad avere conseguenze significative sulla buona riuscita del Protocollo Italia-Albania: le persone destinatarie del trasferimento nelle aree individuate dalla legge di ratifica del 21 febbraio 2024, n. 14, infatti, sono richiedenti asilo sottoposte a trattenimento in procedura accelerata di frontiera, applicata nei loro confronti proprio in conseguenza della loro provenienza da Paesi considerati di origine sicuri. Non c’è ragione di omettere che, a fronte di un informale benestare da parte della Commissione europea, molte sono state le criticità rilevate dagli osservatori nazionali in relazione all’esperimento di “esternalizzazione”: lacune normative, controversa compatibilità dell’accordo con il sistema comune di asilo europeo, dubbi sull’effettiva tutela dei diritti umani delle persone trasferite, ambiguità nell’individuazione delle persone vulnerabili da escludere dalla misura e sulle modalità previste per il trattenimento e l’eventuale rimpatrio, a carico delle autorità italiane, nonché timori in merito al diritto di difesa3. Tutti mattoncini di un Lego che, a ben guardare, compongono lo stesso risultato, ma che non sono stati posti tutti all’attenzione del giudice europeo.

Infatti, il vaglio giurisdizionale italiano ha lasciato in secondo piano tali criticità, per concentrarsi su un concetto di derivazione del tutto europea: si è messa in discussione la stessa designazione di un Paese di origine come “sicuro”, ai sensi dell’Allegato I della Direttiva 2013/32/UE4, primo e fondamentale passaggio per costruire tutto il sistema di esternalizzazione su modello italiano.

Il contesto giuridico-politico e la pioggia di rinvii pregiudiziali

Era il 18 ottobre 2024 quando il Tribunale di Roma5 non convalidò il trattenimento dei primi richiedenti asilo trasferiti nelle aree albanesi, dichiarando inapplicabile al caso di specie la procedura di frontiera, accertando il diritto dei soggetti coinvolti di essere condotti in Italia. Il diniego della convalida venne allora giustificato dalla impossibilità di riconoscere come «Paesi sicuri» gli Stati di provenienza delle persone trattenute, con la conseguenza dell’inapplicabilità della procedura di frontiera e del trasferimento delle persone migranti. Fu l’inizio della crisi istituzionale tra Governo e magistratura in cui la Corte di giustizia, suo malgrado, è chiamata a intervenire.

La questione di fondo riguarda l’ analisi dei criteri di valutazione della designazione dei Paesi come sicuri: un Paese sicuro nella sua interezza, ma dove avvengono violazioni di diritti umani in una parte circoscritta di territorio o per una minoranza di persone, è comunque da considerarsi “generalmente e costantemente sicuro” 6? E a chi spetta tale valutazione, su quali precisi parametri7?

La motivazione del Tribunale di Roma si fondava sulla sentenza della Corte di giustizia C-406/22 emessa appena sedici giorni prima, il 4 ottobre 2024, citata ancor prima della sua traduzione ufficiale in italiano8. Prima sentenza della Corte in merito, essa dispone, tra le altre cose, il dovere per il giudice nazionale di controllare la perdurante validità delle condizioni materiali di designazione del Paese di origine come sicuro, e nel caso di contrasto con il diritto dell’Unione, percorrere la via della disapplicazione9. In breve, secondo il provvedimento dei giudici romani, sia in Egitto sia in Bangladesh, sulla base delle stesse fonti del Ministero degli Esteri (“Schede Paese” richiamate dal decreto ministeriale come fonti di Country of Origin Information – COI e rese pubbliche tramite accesso civico di ASGI), sono presenti violazioni sistematiche dei diritti umani per alcuni gruppi di persone, che ne precludono la rilevanza ai fini della procedura accelerata di frontiera. Per l’Egitto, sono esclusi dalla valutazione di sicurezza gli oppositori politici, i dissidenti, gli attivisti e i difensori dei diritti umani; per il Bangladesh, la comunità LGBTQ+, le vittime di violenza di genere, incluse le mutilazioni genitali femminili, le minoranze etniche e religiose, le persone accusate di crimini di natura politica, i condannati a morte, e gli sfollati “climatici”. Di conseguenza, la designazione di sicurezza per questi Paesi è stata ritenuta in contrasto con i criteri dettati dalla normativa europea, che prescrive che i Paesi di origine siano “generalmente e costantemente” considerati sicuri. Invero, il caso di specie analizzato dalla Corte di Lussemburgo nella sentenza del 4 ottobre u.s. si riferiva alla invalidità di eccezioni alla sicurezza concernente alcune porzioni del territorio di uno Stato membro. Rispetto al caso oggetto del rinvio dei giudici romani, dunque, i mattoncini Lego appaiono forse di colore uguale, ma – probabilmente – di forma diversa.

Da allora il dibattito politico-giuridico non ha fatto che crescere. Nei fatti, e in breve: i Tribunali di merito hanno sommerso la Corte di giustizia di rinvii pregiudiziali (primi Bologna e Firenze, poi Palermo10); l’esecutivo italiano ha modificato la normativa in merito alla designazione dei Paesi di origine sicuri, con legge del 9 dicembre n. 187, inserendone l’elenco direttamente all’interno del decreto legislativo c.d. procedure n. 25 del 2008 e in tale modo assicurandone rango di legge primaria. La stessa competenza a decidere sulla convalida del trattenimento è stata trasferita dal Tribunale alla Corte di Appello, con la conseguenza che la Corte di Appello di Roma ha proposto ben quarantatré ulteriori rinvii pregiudiziali, che, quanto meno, faranno “schizzare” la posizione del nostro Paese quanto a numero di rinvii proposti alla Corte dell’Unione. Infine, la stessa Corte di Cassazione con due ordinanze del 19 e 30 dicembre11 ha alimentato l’attesa sulle cause pendenti dinanzi alla Corte di giustizia, sospendendo i casi dinanzi a sé pendenti e, di fatto, rimettendo a quest’ultima la decisione finale sul punto, proponendo solo una “ipotesi di lavoro” che tenesse in conto di eventuali persecuzioni costanti, endemiche o generalizzate le quali porrebbero il limite alla valutazione generale di sicurezza di un Paese terzo.

I quattro quesiti pregiudiziali delle cause riunite e l’udienza

La pioggia di rinvii pregiudiziali, come prevedibile, ha indotto la Corte di giustizia a prendere in considerazione la «grave crisi istituzionale provocata in Italia dalle prime decisioni dei Tribunali di non convalidare provvedimenti di trattenimento nelle procedure di frontiera»12, al punto da concedere il trattamento “accelerato” ai rinvii dei giudici romani ai sensi dell’art. 105 del proprio regolamento di procedura. Le due cause riunite, generate dai due rinvii pregiudiziali del 4 e 5 novembre, sono state scelte come “cause pilota” e auspicabilmente risolutive dell’intera tematica. La corte capitolina sottopone infatti alla Corte, oltre a un quesito simile a quelli posti dai tribunali di Firenze e di Bologna in merito alle eccezioni personali, altri tre quesiti inerenti alle modalità di individuazione dei Paesi sicuri e al controllo giurisdizionale che, in materia, è attribuito al giudice nazionale.

In sintesi, i quattro quesiti pregiudiziali riguardano la compatibilità del diritto dell’Unione europea13 con: la designazione da parte del legislatore nazionale di un Paese terzo come sicuro direttamente con norma primaria; l’inaccessibilità e non verificabilità delle fonti utilizzate per la designazione (con conseguente impossibilità di sindacato da parte di richiedente asilo e del giudice competente all’esame delle condizioni materiali di designazione); l’utilizzo da parte del giudice nazionale, adito nel corso di una procedura accelerata di frontiera, di ulteriori fonti informative oltre a quelle previste dalla Direttiva; infine, la designazione di un Paese di origine sicuro in presenza di categorie di persone per le quali non sono soddisfatte le condizioni di sicurezza (clausola di standstill presente nella precedente direttiva procedure14). Quest’ultima questione, in particolare, concerne la corretta interpretazione della locuzione “generalmente e costantemente”, e in particolare se essa voglia significare che i requisiti debbano essere rispettati in via generale e dunque per l’intero territorio del Paese terzo (come statuito dalla C-406/22) e/o per l’intera popolazione o se, invece, sia possibile una diversa lettura, che consenta eccezioni personali, senza far venir meno la qualifica di paese di origine sicuro.

La vicenda giudiziaria italiana ha attirato l’attenzione di numerosi Stati membri15, alle prese con eventuali modifiche delle liste di Paesi di origine sicuri dopo la sentenza C-406/22, nonché con l’avvicinamento delle normative al nuovo Regolamento procedure16, già in vigore, che si applicherà da giugno 2026, e interessati, con tutta probabilità, anche al destino dell’esperimento italiano di esternalizzazione in Albania. I giudici della Grande Sezione della Corte (a cui la causa è stata attribuita ai sensi dell’art 16, terzo comma dello Statuto, a seguito di richiesta del Governo italiano) hanno posto alle parti, alla Commissione europea e agli Stati membri intervenuti cinque quesiti, guidando la discussione in udienza per circa quattro ore17. Prima la parola agli avvocati delle parti, poi a quelli dell’Avvocatura dello Stato italiano, come prevedibile su posizioni diametralmente opposte su tutte le questioni. Poi, a turno, gli Stati membri intervenuti in fase orale (Bulgaria, Repubblica Ceca, Germania, Lettonia, Lituania, Ungheria e Svezia), infine, la Commissione europea. Le posizioni espresse dagli Stati membri sono tutte sostanzialmente a sostegno del governo italiano, con l’eccezione della Germania, la quale ha presentato una posizione rigorosa – molto tipica dell’approccio tedesco – in merito al possibile controllo costituzionale ed europeo da parte del giudice nazionale.

Le previsioni di esclusioni soggettive nella designazione del Paese di origine come sicuro

Un inaspettato coup de théâtre ha generato grande stupore tra gli osservatori, senza sfuggire allo stesso Presidente Koen Lenaerts: la Commissione europea ha esplicitamente modificato la posizione sostenuta nelle proprie osservazioni scritte, affermando che “alla luce delle osservazioni presentate dagli Stati membri e considerati i quesiti posti da questa Corte in particolare sulla clausola di standstill e la sua soppressione, la Commissione è disposta ad accettare che la direttiva procedure consente agli Stati membri di disegnare Paesi di origine come sicuri prevedendo delle eccezioni per categorie di persone”.

In particolare, la Commissione ha rilevato che l’abrogazione della clausola di standstill, prevista dalla prima direttiva procedure, non rappresenta un elemento determinante nel senso della inammissibilità delle eccezioni per categorie di persone. Dai lavori preparatori della vigente direttiva, risulta che l’eliminazione delle clausole di standstill fosse stata proposta al fine di assicurare una maggiore armonizzazione. Ciò, tuttavia, ad avviso della Commissione, non può essere interpretato come espressione di una chiara intenzione del legislatore di vietare agli Stati membri di designare Paesi di origine sicuri prevendendo delle eccezioni per categorie di persone. Al riguardo, “non necessariamente i termini di cui all’allegato I impediscono di designare un Paese come sicuro quando la sicurezza non è garantita per determinate categorie di persone”.

E ancora, la Commissione ha precisato che non si dovrebbe applicare alla questione un criterio quantitativo, ovvero escludere che tali categorie possano riguardare anche un numero considerevole di persone. In considerazione del fatto che l’obiettivo di tali eccezioni è quello di evitare che le regole sui Paesi di origine sicuri siano applicate alle persone per le quali la presunzione di sicurezza non è giustificata, è nell’interesse di queste persone che le eccezioni introdotte coprano l’insieme della popolazione a rischio, anche quando essa dovesse risultare numerosa. Ne consegue che il fatto di prevedere, per esempio, un’eccezione per gli uomini o per le donne di un determinato Paese non rappresenta di per sé un problema rispetto alla qualificazione del paese come sicuro. Ciò che conta è che la categoria cui si applica l’eccezione sia chiaramente identificabile poiché “in caso contrario, si rischierebbe di applicare il concetto di Paese di origine sicuro nei confronti delle persone sbagliate; inoltre, le autorità nazionali dovrebbero poter determinare in tempi brevi se una persona appartiene o meno a una delle categorie per cui è prevista l’eccezione”.

La tesi dell’ammissibilità delle eccezioni personali è stata sostenuta dal Governo italiano secondo cui dai termini “generalmente” e “costantemente” utilizzati dalla direttiva (peraltro con differenze terminologiche significative in alcune versioni linguistiche) non si può trarre la conseguenza che le condizioni di sicurezza devono riguardare tutti gli individui. La circostanza che ci si debba riferire a un concetto di sicurezza prevalente e non assoluto è giustificata dal Governo – nonché da altri Stati intervenuti – richiamando la circostanza che il richiedente può ribaltare la presunzione generale di sicurezza nei suoi confronti (secondo l’art. 36, par. 1, direttiva procedure). Questo sarebbe di per sé sufficiente ad ammettere che un concetto di sicurezza relativo sia compatibile con la direttiva. In posizione diversa, si è invece collocato il Governo tedesco, il quale ha evidenziato la necessità di distinguere tra valutazione generale di sicurezza del Paese terzo (art. 37) e sicurezza individuale del Paese per il singolo richiedente (art. 36). Anche la Commissione, peraltro, ha rilevato che l’art. 36 della direttiva procedure non riguarda la designazione di Paese di origine sicuro, bensì l’applicazione di tale nozione a un richiedente protezione in un momento successivo alla designazione di tale Paese come sicuro. Pertanto, l’art. 36, par. 2 non è pertinente per valutare se gli Stati membri abbiano la facoltà di designare Paesi di origine sicuri introducendo delle eccezioni per categorie di persone, ma solo in tema di superamento della presunzione in ottica individuale.

La percezione è che con riguardo all’ammissibilità delle esclusioni soggettive, dopo aver constatato la nuova posizione assunta dalla Commissione, né l’avvocato generale né i giudici abbiano inteso utile ulteriormente indagare la questione. Si tratta, peraltro, di questione che non potrà rimanere priva di conseguenza nell’elaborazione delle conclusioni e della successiva sentenza. Nonostante l’evidente distinguishing a cui così si perverrebbe rispetto a quanto statuito per le eccezioni territoriali nel caso C-406/22 in merito all’interpretazione dell’abrogazione della clausola di standstill, sembra proprio che la maggioranza delle opinioni in aula sia per considerare le eccezioni territoriali e le eccezioni per categorie come due mattoncini sì dello stesso colore, ma di forme diverse, dunque da incastrare – e valutare – in maniera differente.

Il sindacato giurisdizionale sulla designazione dei Paesi di origine sicuri e l’effettività del ricorso

La seconda e significativa questione profusamente trattata in aula, su cui invece i giudici si sono soffermati con diverse domande, è quella relativa al sindacato giurisdizionale e al rispetto del diritto al ricorso effettivo. D’altra parte, trattasi di questione centrale, sulla quale potere esecutivo e giudiziario in Italia hanno manifestato profonde divergenze.

La questione sul tipo di fonte (primaria o secondaria) a cui il Governo si è affidato per normare la questione dei Paesi di origine sicuri è apparsa di interesse secondario. Che sia una legge, o una fonte secondaria, essa deve comunque sottostare ai principi dell’Unione, e, anche in virtù di tali principi, essere soggetta a vaglio giurisdizionale.

La Commissione ha precisato che ai sensi dell’art. 46, par. 3, della direttiva procedure, come interpretato dalla Corte nella sentenza C-406/22, il giudice adito è tenuto a rilevare una eventuale violazione delle condizioni sostanziali di cui all’allegato I. Tuttavia, a parere della Commissione, il diritto nazionale può prevedere che, qualora il giudice nazionale riscontri una violazione dei requisiti sostanziali previsti dal diritto UE ai fini della designazione di un Paese terzo come sicuro, debba rinviare la questione a un organo giurisdizionale definito ovvero un organo incaricato del controllo giurisdizionale della designazione dei Paesi di origine sicuri. Rispondendo poi al secondo quesito posto dalla Corte, la Commissione ha sostenuto il dovere del giudice nazionale, qualora constati l’assenza delle condizioni previste dalla direttiva procedure per la designazione di un Paese di origine come sicuro, di dichiarare l’inapplicabilità della designazione nel caso di specie al richiedente interessato.

La tesi del Governo italiano al riguardo è che rientra nel margine di discrezionalità degli Stati membri rimettere a un solo organo giurisdizionale, quale la Corte costituzionale, il sindacato circa la compatibilità della lista Paesi sicuri con i criteri definiti dall’Unione. Più specificamente, ad avviso del Governo, fatte salve le ipotesi limite individuate dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza del 30 dicembre 2024 in cui la designazione ministeriale (o legislativa) sia stata esercitata in modo manifestamente arbitrario o risulti non più rispondente alla situazione reale, il giudice ordinario deve rimettere la questione alla Corte costituzionale che valuterà, eventualmente sollevando un rinvio pregiudiziale, la compatibilità della lista contenuta in norma primaria con i criteri di diritto dell’Unione. Rimane salvo il potere del giudice di accertare se, nel singolo caso di specie, il Paese non risulti sicuro per il singolo richiedente conformemente all’art. 36, par. 1, della direttiva. Ad avviso del Governo, questa interpretazione si impone al fine di assicurare i principi di certezza del diritto e parità di trattamento ed evitare valutazioni “autonome” e differenziate da parte dei singoli giudici di merito.

Grande assente, nelle risposte del Governo, e in verità anche (e sorprendentemente) nelle repliche di parte ricorrente, è il tema della disapplicazione della norma nazionale da parte del singolo giudice della convalida. La circostanza è parsa suscitare qualche perplessità sia nell’avvocato generale, sia in alcuni giudici, che, non persuasi dalle argomentazioni del Governo italiano, hanno fatto notare che l’assetto che così sembrava derivarne non pareva in linea con la tradizionale giurisprudenza Simmenthal, poi precisata sul punto da Melki e Abdeli, circa i poteri del giudice ordinario di valutare direttamente, senza la necessità di attendere l’intervento della Corte costituzionale, l’incompatibilità tra il diritto UE e il diritto nazionale, disapplicando quest’ultimo. Il punto sarà certamente oggetto di attenzione da parte dell’avvocato generale e della Corte, anche sotto il profilo della verifica del rispetto del diritto a un ricorso effettivo.

Le conclusioni dell’avvocato generale francese Jean Richard de la Tour sono previste per il 10 aprile 2025, data per altro in cui sono previste anche quelle sul caso C-136/24 P concernente la responsabilità dell’agenzia Frontex sui respingimenti Grecia-Turchia. Una primavera densa, dunque, si prospetta, per il diritto europeo dell’immigrazione e, più ampiamente, per i rapporti tra ordinamento nazionale e diritto dell’Unione.


1 Domande pregiudiziali in Corte giust., 4 novembre 2024, C-758/24, Alace, LC c. Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Roma – Sezione procedure alla frontiera II; 5 novembre 2024, C-759/24, Canpelli, CP c. Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Roma – Sezione procedure alla frontiera II.

2 Il paragone preciso, riportato nell’arringa dello Smolek, si riferiva al fatto che, ai fini della valutazione di un Paese di origine come sicuro, le eccezioni territoriali non possano essere trattate come le eccezioni per determinate categorie di persone.

3 Si veda tra gli altri, e da ultimo, C. Siccardi, Le procedure Paesi sicuri e il Protocollo Italia-Albania alla luce della più recente giurisprudenza: profili di diritto costituzionale, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 2025.

4 Direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (rifusione), in GUUE L, 29 giugno 2013, p. 60 ss.

5 Trib. Roma, XVIII Sezione civile, Sezione specializzata in materia di diritti della persona e immigrazione, decreto del 18 ottobre 2024, R.G. 42256/2024. (in seguito Trib. Roma R.G. 42256/2024, cit.).

6 Ai sensi del primo paragrafo dell’Allegato I alla Direttiva 2013/32/UE, contenente indicazioni in merito alla designazione dei Paesi di origine sicuri ai fini dell’art. 37, par. 1.

7 Invero, il concetto di Paese di origine sicuro è stato grandemente criticato in dottrina, già dagli albori della sua formulazione. Tra i molti si veda C. Costello, Safe country? Says who?, in International Journal of Refugee Law, 2016, p. 601 e ss.

8 Corte giust., 4 ottobre 2024, causa C-406/22, Ministerstvo vnitra České republiky, Odbor azylové a migrační politiky, ECLI:EU:C:2024:841.

9 Si veda in merito, tra gli altri, l’analisi di M. Ferri, Le ricadute nell’ordinamento italiano della sentenza della Corte di giustizia sui Paesi sicuri: la via della disapplicazione, in questa Rivista, 2024.

10 Per una puntuale analisi delle pendenze all’11 dicembre si v. P. Iannuccelli, Paesi d’origine sicuri”: la situazione processuale delle cause pendenti davanti alla Corte di giustizia, in questa Rivista, 2024.

11 Cfr. M. Cometti, La Corte di Cassazione si pronuncia sul rinvio pregiudiziale, ex art. 363 bis c.p.c., in tema di Paesi di origine sicura, e G. Mentasti, Paesi sicuri, controllo giurisdizionale ed eccezioni: due pronunce della Cassazione in attesa della Corte di giustizia, entrambi in questa Rivista, 2025.

12 Corte giust., ordinanza del presidente, 29 novembre 2024, cause riunite C-758/24 e C-759/24, LC e CP, EU:C:2024:1012.

13 In particolare con gli artt. 36, 37 e 38 della direttiva 2013/32/UE, letti anche in combinazione con i suoi considerando 42, 46 e 48, ed interpretati alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (e degli artt. 6 e 13 della CEDU). Cfr. Domanda di pronuncia pregiudiziale, Causa C-759/24, cit.

14 Direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1° dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconosci. e della revoca dello status di rifugiato, in GUUE L 326, 13 dicembre 2005, p. 13 ss.

15 All’udienza hanno presentato osservazioni ben sette Stati membri oltre all’Italia, ma altri (Francia, Grecia, Cipro, Malta, Paesi Bassi, Austria, Polonia, Slovacchia e Finlandia) non hanno partecipato all’udienza, pur avendo depositato osservazioni scritte.

16 Regolamento (UE) 2024/1351 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 maggio 2024, sulla gestione dell’asilo e della migrazione, che modifica i regolamenti (UE) 2021/1147 e (UE) 2021/1060 e che abroga il regolamento (UE) n. 604/2013, in GUUE L, 2024/1351, 22 maggio 2024.

17 Sul sito ufficiale della Corte è presente la registrazione dell’udienza al link: https://curia.europa.eu/jcms/jcms/p1_1477137/it/.