“Constitutional Tone”: formally conciliatory, substantially worrying. Brief reflections starting from Constitutional Judgment No. 31/2025

Corte Cost., 20 March 2025, no. 31

“Tono costituzionale”: formalmente conciliante, sostanzialmente preoccupante. Brevi riflessioni a partire dalla sentenza costituzionale n. 31/2025

Ton constitutionnel” : formellement conciliant, substantiellement inquiétant. Brèves réflexions à partir de l’arrêt constitutionnel n° 31/2025

1. Anche nella più recente sentenza del 20 marzo 2025, n. 31, la Corte costituzionale giustifica l’ammissibilità della questione sollevata dal giudice a quo in considerazione del suo “tono costituzionale”, ravvisandosi violazione, per il tramite degli artt. 11 e 117 Cost., degli artt. 21 e 34 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CdFUE), dell’art. 24, par. 1, della direttiva 2004/38/CE e dell’art. 7, par. 2, del regolamento n. 2011/492/UE, e, al contempo, dell’art. 3 Cost., ovvero del «principio di eguaglianza, che ha valore fondante nel disegno costituzionale»1. L’antinomia non è soltanto con una norma della CdfUE e con altra norma (di direttiva) UE che della prima condivide la stessa “impronta costituzionale”, secondo lo schema della “269 temperata” (e così della stessa sentenza n. 19 novembre 2024, n. 181, che la formula in esame ha coniato2 o, per meglio dire, mutuato dai giudizi sui conflitti di attribuzione3), ma anche con un regolamento UE, secondo lo schema, più estremo, sotteso all’ordinanza n. 21/2025, dove, pur sempre in presenza del “tono costituzionale”, l’ammissibilità della questione di costituzionalità si riscontra a fronte della (presunta4) incompatibilità di una norma interna con (solamente) un regolamento (direttamente applicabile ex art. 288 TFUE) e ci si allontana, pertanto, definitivamente dall’impianto concettuale di Granital5.

Certo è difficile immaginare, nel momento in cui si rinviene un conflitto tra norma nazionale e norma UE, che tale conflitto non sia delineabile anche rispetto alla Costituzione: in altre parole, è difficile che una questione di “comunitarietà” non ponga anche una qualche connessione con diritti, interessi o principi di rilievo costituzionale, e che, quindi, i soli parametri rilevanti nell’apprezzamento del grado di lesività della norma interna siano gli artt. 11 e 117 Cost. e non anche, pur magari in via secondaria, comunque altri parametri costituzionali, così da consentire di intercettare il “tono costituzionale” nella stragrande maggioranza delle controversie. La sussistenza di tale condizione implica – secondo la nuova impostazione della Consulta – che, se il giudice comune solleva questione di legittimità costituzionale, essa può trattenerla per l’esame del merito, vagliandola sulla base del parametro (i.e., «secondo l’ordine») che, di volta in volta, risulti maggiormente appropriato.

La Consulta non esclude che il giudice comune, in presenza di un dubbio sulla compatibilità di una norma interna con quella UE, resti libero di sollevare un rinvio pregiudiziale, senza peraltro ricordare che il “giudice di ultima istanza”, in assenza delle condizioni Cilfit6, ha l’obbligo di rivolgersi alla Corte di giustizia e, in ogni caso, facendo apertamente opera di moral suasion nei confronti dei giudici comuni (tutti) circa la preferibilità di una questione di legittimità costituzionale (se rinvenibile il menzionato “tono”), specie in una serie di casi esemplificativamente elencati7.

Così, la Consulta non esclude – una volta investita della questione – la possibilità di un rinvio pregiudiziale, rinvio che anche per essa dovrebbe essere obbligatorio, essendo senz’altro “giudice di ultima istanza” nella “controversia” rappresentata dalla questione di legittimità costituzionale. Eppure, proprio nel caso deciso con sentenza n. 31/2025, il giudice delle leggi, discostandosi da una sentenza che la Corte di giustizia aveva già reso sulla stessa tematica8 – o comunque rileggendola in funzione del risultato che vuole perseguire a livello nazionale9 – statuisce in autonomia, senza nuovamente coinvolgere il giudice del Kirchberg, come sarebbe stato quantomeno opportuno; e, in linea presumibilmente con tale scelta, giudica sulla base dei soli parametri interni, ritenendo in parte inammissibili e in parte assorbiti quelli “comunitari”.

2. Si tratta di soluzione particolare (specie, ma non solo, perché siamo nell’ambito di applicazione del diritto UE), che viene accompagnata da una affermazione che potrebbe apparire innocua, ma che – letta alla luce di precedenti statuizioni della Corte costituzionale – non può che destare qualche preoccupazione. Già nella sentenza n. 181/2024, infatti, la Corte costituzionale ha affermato che ove «sussista un dubbio sull’attribuzione di efficacia diretta al diritto dell’Unione e la decisione di non applicare il diritto nazionale risulti opinabile e soggetta a contestazioni, la via della questione di legittimità costituzionale consente di fugare ogni incertezza. Questa Corte potrà dichiarare fondata la questione di legittimità costituzionale, se accerta l’esistenza del conflitto tra la normativa nazionale e le norme dell’Unione, indipendentemente dalla circostanza che queste siano dotate di efficacia diretta»10. Siffatta affermazione è ripresa nella sentenza n. 1/2025 – dove si afferma che «[l]’interlocuzione con questa Corte si dimostra […] particolarmente proficua, in ragione delle divergenze sull’efficacia diretta della normativa europea, che sono emerse nei diversi gradi di giudizio»11 – ma fortunatamente non ribadita in altre pronunce, quasi a far ben sperare sul fatto che il giudice delle leggi si fosse reso conto di essere andato un po’ troppo oltre, dal momento che l’interprete qualificato ed esclusivo del diritto UE e, quindi, dell’effetto diretto è – non può che essere – il giudice del Kirchberg.

Tuttavia, nella sentenza n. 31/2025, si fa riferimento alla competenza della Corte di giustizia a interpretare il diritto UE e alla competenza esclusiva della Consulta a interpretare la Costituzione12, venendo quindi meno il riconoscimento del giudice del Kirchberg come giudice esclusivo dell’interpretazione del diritto UE (ancora, giustamente, ribadito, nelle sentenze n. 67/2022 e n. 15/202413), e altresì riservandosi al giudice delle leggi l’interpretazione della Costituzione. Formalmente quest’ultima affermazione potrebbe considerarsi ineccepibile, ma in un sistema integrato, se portata alle sue estreme conseguenze, potrebbe significare la negazione in capo alla Corte di giustizia di ogni competenza a conoscere della norma costituzionale nell’ambito della valutazione di compatibilità tipica del rinvio pregiudiziale interpretativo14. Certo è che, una siffatta impostazione, in uno con quella per cui il giudice delle leggi è giudice pure dell’effetto diretto, accompagnata dal fatto che la Consulta (anche là dove doveroso) omette il rinvio pregiudiziale, implicherebbe uno scenario dove il dialogo e la collaborazione tra Corte costituzionale e Corte di giustizia sarebbero sostanzialmente negati.

Per allontanare siffatte preoccupazioni, l’auspicio è che la Consulta, oltre a non riprendere né sviluppare i ragionamenti testé riportati, altresì temperi, come in passato ha temperato l’obiter dictum di cui alla sentenza 14 dicembre 2017, n. 269, il più recente orientamento giurisprudenziale, riducendo la “pressione” sui giudici comuni – affinché non si sentano in qualche modo tenuti a rimettere la questione ad essa anziché alla Corte di giustizia15, così pure finendo per non disapplicare la norma interna ritenuta contrastante con norma UE direttamente applicabile e/o dotata di effetto diretto – ed evitando, quindi, il consolidamento di quella che è stata efficacemente qualificata come «marginalizzazione del percorso europeo»16.

3. Vero è che ci sono casi in cui può risultare utile un intervento della Corte costituzionale17. Vero altresì che, per come attualmente delineato dal giudice delle leggi, il rapporto del giudice comune con la Corte costituzionale e con la Corte di giustizia è formalmente rispettoso della giurisprudenza Melki e Abdeli18, potendo comunque il giudice comune anche procedere alla disapplicazione della norma interna confliggente con la norma UE (direttamente applicabile/dotata di effetto diretto) e la rimessione alla Consulta ponendosi come strumento complementare e non antitetico alla prima e finalizzato, come la prima, alla costruzione di tutele sempre più integrate19. Vero anche che l’intervento della Consulta, con una sentenza che ha efficacia erga omnes, consente di eliminare definitivamente dall’ordinamento la norma interna incompatibile con il diritto UE.

Eppure, se nella prospettiva della Corte costituzionale, una sua pronuncia siffatta offre, addirittura, «un surplus di garanzia al primato del diritto dell’Unione europea, sotto il profilo della certezza e della sua uniforme applicazione»20, un tale approccio – oltre che in contraddizione con la stessa ratio sottesa a Granital, dove proprio la certezza del diritto (in uno con l’uguaglianza e l’uniformità applicativa) veniva impiegata per giustificare la disapplicazione a valle di un rinvio pregiudiziale21 – non pare coerente con la giurisprudenza di Lussemburgo. La pronuncia della Corte costituzionale assicura certezza nell’ordinamento nazionale, ma – oltre al fatto che, in presenza di dubbi ermeneutici concernenti il diritto UE e salve le richiamate ipotesi Cilfit, essa dovrebbe essere sempre assunta in dialogo con la Corte di giustizia, che di tale diritto è interprete, come detto, qualificato ed esclusivo – solo la Corte di giustizia, con una pronuncia egualmente dotata di efficacia erga omnes, assicura certezza, uguaglianza e uniformità interpretativa negli ordinamenti di ventisette Stati membri. E, ancora, la giurisprudenza del Kirchberg impone l’obbligo di disapplicazione22, ricorrendone i presupposti, mentre la Corte costituzionale ribadisce il mero “potere” del giudice di disapplicare (prefigurando quindi la mera eventualità della disapplicazione; ed altrimenti non potrebbe essere se essa diviene alternativa, di fatto, alla rimessione di costituzionalità)23.

4. Il futuro dei rapporti tra corti e ordinamenti dipenderà certamente in larga misura dall’atteggiamento dei giudici comuni24. Desta preoccupazione un coinvolgimento del giudice delle leggi che dovesse divenire “regolare”, marginalizzando il giudice di Lussemburgo e altresì il legislatore nazionale, che per il tramite della legge europea25 – lo si ricordi – dovrebbe restare l’attore principale deputato all’eliminazione dall’ordinamento nazionale di norme incompatibili con il diritto UE. Un sistematico “ricorso” alla Consulta rischia, infatti, di negare la specificità e l’autonomia dell’ordinamento dell’Unione, il cui nocciolo duro è rappresentato, come noto, da primato/ effetto diretto/ rinvio pregiudiziale26, mettendo in discussione, come testé ricordato, la garanzia della uniforme applicazione del diritto UE in tutti gli Stati membri, per il tramite di una pronuncia erga omnes della Corte di giustizia, e altresì della immediatezza della tutela delle posizioni giuridiche dei singoli di derivazione “comunitaria”, per il tramite della disapplicazione27.

Non ci si vuole addentrare sulle possibili reazioni della Commissione europea o della Corte di giustizia ove il nuovo orientamento del giudice delle leggi finisse per apparire capace di condurre ad un disconoscimento del ruolo della Corte di giustizia ex art. 19 TUE e ad un diniego sistematico della disapplicazione e, quindi, dello stesso tenore letterale dell’art. 288 TFUE28 e della diretta applicabilità/effetto diretto di norme con tali caratteristiche29. Ci si limita a evidenziare che – per assicurare realmente (e non solo formalmente) il rispetto del principio del primato e (soprattutto) non un primato che rischia di essere (secondo le statuizioni della Consulta) à la carte30 è senz’altro preferibile che il giudice comune continui a privilegiare il dialogo con la Corte di giustizia (e a rinviare pregiudizialmente ad essa, ove obbligato) e, secondo l’impostazione Granital, a disapplicare (piuttosto che a sollevare questione di legittimità costituzionale, se non in casi eccezionali, come quelli sopra ricordati) se la norma interna confligge con norma UE direttamente applicabile e/o dotata di effetto diretto, così anche assicurando, rispettivamente, il principio di leale cooperazione e quello di uguaglianza degli Stati membri dinanzi ai trattati, a cui il primato è funzionale31.


1 V. punto 4.1 cons. in dir.

2 V. Corte cost. n. 181/2024, punto 6.3 cons. in dir., ove si afferma che «[p]erché questa Corte scrutini nel merito le censure di violazione di una normativa di diritto dell’Unione direttamente applicabile, è necessario che la questione posta dal rimettente presenti un “tono costituzionale”, per il nesso con interessi o princìpi di rilievo costituzionale» (corsivo aggiunto). La formula in parola, come proposta di estensione del parametro interno che consente alla Consulta di trattenere la questione di legittimità e statuire nel merito, è anticipata, come noto, da uno scritto del giudice costituzionale G. Pitruzzella (redattore della sentenza n. 181/2024 e delle successive sentenze 19 dicembre 2024, n. 210 e 3 gennaio 2025, n. 1, nonché dell’ordinanza 10 febbraio 2025, n. 21, insieme con il giudice Antonini), La costruzione dello spazio costituzionale europeo nel “dialogo” tra Corte di giustizia e Corti costituzionali, consultabile all’indirizzo https://www.cortecostituzionale.it/documenti/comunicatistampa/CC_CS_20240930100542.pdf. Sulla locuzione “tono costituzionale”, v., in particolare, F. Ferraro, La Consulta si affida al “tono costituzionale” per estendere il suo controllo (anche) sulle norme dell’Unione provviste di effetto diretto, in Eurojus, 2024, n. 4, p. 160 ss., spec. p. 166 s.; R. Mastroianni, , La sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 2024 in tema di rapporti tra ordinamenti, ovvero la scomparsa dell’articolo 11 della Costituzione, in Quaderni AISDUE, 2025, p. 1 ss., spec. p. 14 ss.; S. Barbieri, La sentenza n. 181 del 2024 della Corte costituzionale: una svolta nei rapporti tra ordinamento italiano e diritto dell’Unione europea?, in Rivista del Contenzioso Europeo, 23 novembre 2024.

3 V., in particolare, P. De Pasquale, O. Pallotta, In tempi di sovranismo la Consulta difende il primato del diritto dell’Unione europea (e l’autonomia dei giudici), in Eurojus, 2024, n. 4, p. 174 ss., spec. p. 177 e p. 183 ss., anche per riferimenti bibliografici che esaminano la giurisprudenza nazionale rilevante.

4 Come evidenziato dalla stessa Corte costituzionale nell’ordinanza di rinvio pregiudiziale, uno dei giudici rimettenti e l’avvocatura dello Stato nei giudizi a quibus si sono espressi nel senso della manifesta incompatibilità della normativa nazionale con il diritto UE che – secondo l’impostazione Granital – avrebbe dovuto condurre alla disapplicazione e non a sollevare questione di legittimità costituzionale, per la quale si è infine optato, probabilmente in considerazione delle ricadute sul piano degli oneri finanziari per il bilancio statale che una decisione di “incompatibilità comunitaria” avrebbe.

5 V. Corte cost., sentenza 8 giugno 1984, n. 170. Amplius, sul tema, sia consentito rinviare a C. Amalfitano, Tanto tuonò che piovve. Abbandonare Granital: cui prodest?, in corso di pubblicazione in Giurisprudenza costituzionale (fasc. spec. “A quarant’anni della sentenza La Pergola, n. 170 del 1984. Paradigma sempre valido, o simbolo di un assetto ormai superato dei rapporti tra ordinamento interno e dell’Unione?”), 2025.

6 V. Corte giust., 6 ottobre 1982, causa 283/81, CILFIT, ECLI:EU:C:1982:335, come chiarita da Corte giust., 6 ottobre 2021, causa C-561/19, Consorzio Italian Management, ECLI:EU:C:2021:799.

7 A partire dalla sentenza n. 181/2024, sviluppando quanto anticipato nella sentenza 12 febbraio 2024, n. 15, e poi confermato nelle sentenze n. 210/2024 e n. 1/2025, il coinvolgimento del giudice delle leggi è ritenuto oltremodo proficuo qualora (i) l’interpretazione della normativa vigente non sia scevra di incertezze o (ii) la pubblica amministrazione continui ad applicare la disciplina controversa o, ancora, (iii) le questioni interpretative siano foriere di un impatto sistemico, destinato a dispiegare i suoi effetti ben oltre il caso concreto, oppure (iv) occorra effettuare un bilanciamento tra princìpi di carattere costituzionale. Nella succesiva sentenza 4 febbraio 2025, n. 7, l’opportunità di una rimessione alla Consulta viene quindi delineata relativamente all’ipotesi di norme non rispettose del principio di proporzionalità della pena, anche al fine di assicurare – in un’ottica di non discriminazione – la posizione dei soggetti destinatari di una condanna definitiva.

8 V. Corte giust., 29 luglio 2024, cause riunite C-112/22 e C-223/22, C.U. e N.D., ECLI:EU:C:2024:636.

9  V. punti 7.2 e 7.3 cons. in dir.

10  V. punto 6.5 cons. in dir.

11 V. punto 3.4 cons. in dir.

12 V. punto 7.3 cons. in dir., dove si legge che «se è indiscutibile che alla Corte di giustizia spetta l’interpretazione dei trattati e del diritto derivato, al fine di assicurarne l’uniforme applicazione in tutti gli Stati membri, è parimenti indiscutibile che l’interpretazione della Costituzione è riservata a questa Corte, così come la funzione di nomofilachia del diritto nazionale lo è alla Corte di cassazione, essendo orientate ad assicurare anche la certezza del diritto» (corsivi aggiunti).

13 V., rispettivamente, sentenza 11 marzo 2022, n. 67, punto 10.2 cons. in dir. e sentenza n. 15/2024, punto 8.3 cons. in dir. In passato v., per tutte, Corte cost., sentenze 23 aprile 1985, n. 113, 11 luglio 1989, n. 389, e ordinanza 29 dicembre 1995, n. 536.

14 Con il rischio anche di soluzioni interpretative confliggenti e la lettura della Corte di giustizia che deve (dovrebbe) comunque considerarsi prevalente (v., per tutte, Corte giust., 22 febbraio 2022, causa C-430/21, RS, ECLI:EU:C:2022:99 e giurisprudenza ivi richiamata. Prima dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona v., per tutte, Corte giust., 19 novembre 2009, causa C-314/08, Filipiak, ECLI:EU:C:2009:719).

15 Che la stessa Consulta – come ricordato – dovrebbe interpellare in caso di dubbi sulla portata interpretativa della norma UE.

16 V. R. Mastroianni, La sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 2024, cit., p. 3.

17 Si pensi al caso di norma UE il cui significato sia chiaro o chiarito dalla Corte di giustizia, ma persista comunque una incertezza applicativa interna, con rischio di incorrere in una procedura di infrazione (o in un suo aggravamento); all’ipotesi di valutazione di proporzionalità della norma interna rimessa al giudice nazionale cui è lasciata eccessiva discrezionalità con rischio di soluzioni interne confliggenti; al caso in cui occorra bilanciare interessi contrapposti e sia preferibile una soluzione “unitaria” idonea ad evitare discriminazioni; o, ancora, al caso in cui, a valle della disapplicazione, manchi una vera “regola della specie” (come, peraltro, già è con Granital nel caso di conflitto con norma UE non direttamente applicabile/dotata di effetto diretto), la cui assenza è eventualmente rimediabile con una pronuncia additiva del giudice delle leggi.

18 V. Corte giust., 22 giugno 2010, cause riunite C-188/10 e C-189/10, Melki e Abdeli, ECLI:EU:C:2010:363, ai sensi della quale il previo coinvolgimento della Corte costituzionale è compatibile con l’art. 267 TFUE nella misura in cui gli organi giurisdizionali nazionali restano liberi «– di sottoporre alla Corte, in qualunque fase del procedimento che ritengano appropriata, ed anche al termine del procedimento incidentale di controllo della legittimità costituzionale, qualsiasi questione pregiudiziale che essi ritengano necessaria, – di adottare qualsiasi misura necessaria per garantire la tutela giurisdizionale provvisoria dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione, e – di disapplicare, al termine di siffatto procedimento incidentale, la disposizione legislativa nazionale in questione ove la ritengano contraria al diritto dell’Unione».

19 V. Corte cost., sentenza n. 67/2022, punto 11 cons. in dir., seguita dalla sentenza 16 giugno 2022, n. 149, punto 2.2.2 cons. in dir., e poi dalle sentenze n. 15/2024, punto 8.2 cons. in dir. e n. 181/2024, punto 6.4 cons. in dir., dove si specifica altresì che ogni giudice (comune e costituzionale) agisce «con i propri strumenti e […] nell’ambito delle rispettive competenze». Si potrebbe sostenere che con questo nuovo approccio il meccanismo per assicurare il rispetto del diritto UE nei giudizi in via incidentale si allinea a quello da sempre impiegato nei giudizi in via principale, dove il solo giudice competente è il giudice delle leggi. Tuttavia, ciò dipende dalle specificità del giudizio in via principale, dove – diversamente da quello in via incidentale – non vi è una controversia su un bene della vita e un giudice comune deputato a garantirlo (immediatamente) per assicurare il rispetto e l’effettività del diritto UE, ma un meccanismo specifico di rispetto della legalità costituzionale violata dalla norma regionale che occupa tutto lo spettro dell’indagine giudiziaria. In quest’ultimo caso, la dichiarazione di illegittimità costituzionale persegue perfettamente il risultato voluto da entrambi i sistemi (nazionale e UE), senza causare un minus di tutela della posizione “comunitaria”; ed il meccanismo è assimilabile all’intervento del legislatore e, infatti, è rimesso ad un procedimento di cui sono parti solo organi “pubblici”.

20 V., rispettivamente, sentenza n. 15/2024, punto 2 cons. in dir. e sentenza n. 181/2024, punto 10.2 cons. in dir.

21 V. punto 6 cons. in dir., dove si legge che «[i]l regolamento comunitario va, dunque, sempre applicato, sia che segua, sia che preceda nel tempo le leggi ordinarie con esso incompatibili: e il giudice nazionale investito della relativa applicazione potrà giovarsi dell’ausilio che gli offre lo strumento della questione pregiudiziale di interpretazione, ai sensi dell’art. 177 del Trattato. Solo così è soddisfatta la fondamentale esigenza di certezza giuridica, sempre avvertita nella giurisprudenza di questo Collegio, che impone eguaglianza e uniformità di criteri applicativi del regolamento comunitario per tutta l’area della Comunità Europea». Tale profilo è correttamente evidenziato, da ultimo, da S. Barbieri, I tre passi (decisi e decisivi) del 2024 nel “cammino comunitario” della Corte costituzionale, in Quaderni AISDUE, 2025, p. 1 ss., spec. p. 26.

22 V. per tutte, sentenze 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal, ECLI:EU:C:1978:49, punto 24; 24 ottobre 2018, causa C-234/17, XC e a., ECLI:EU:C:2018:853, punto 44; 24 giugno 2019, causa C‑573/17, Popławski, ECLI:EU:C:2019:530, punti 61 e 62; 21 dicembre 2021, cause riunite C‑357/19, C‑379/19, C‑547/19, C‑811/19 e C‑840/19, Euro Box Promotion e a., ECLI:EU:C:2021:1034, punto 252; 22 febbraio 2022, causa C-430/21, RS, cit., punto 53.

23 Il riferimento al “dovere” di disapplicazione si trova soltanto nell’ordinanza 10 maggio 2019, n. 117, punto 8.2 cons. in dir.; nella sentenza n. 67/2022, punto 6.5 cons. in dir. e nella ordinanza 9 aprile 2024, n. 100, punto 5.2.1 cons. in dir.

24 Anche a seguito della riforma dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione (con il regolamento 2024/2019, in GUUE, L del 12 agosto 2024) che ha trasferito in alcune materie la competenza pregiudiziale al Tribunale.

25 Di cui agli artt. 29 e 30 della legge 24 dicembre 2012, n. 234.

26 V. D. Gallo, Challenging EU Constitutional Law. The Italian Constitutional Court’s New Stance on Direct Effect and the Preliminary Reference Procedure, in European Law Journal, 2019, p. 434 ss., spec. p. 439 e la dottrina ivi richiamata.

27 Nel senso che, pur essendo opportune ipotesi di rimessione alla Corte costituzionale, il suo sistematico coinvolgimento rischia di porsi in contrasto con il diritto UE e a favore, dunque, di una delimitazione dell’ambito applicativo e dei presupposti operativi del nuovo indirizzo giurisprudenziale della Consulta v. D. Gallo, L’effetto diretto e il nodo (di quel che rimane) della dottrina della doppia pregiudizialità, in questa Rivista, 31 marzo 2025. Le criticità della «marginalizzazione del percorso europeo» sono state evidenziate anche da M. Condinanzi nella relazione al convegno Primato, effetto diretto e disapplicazione, organizzato dall’Università degli Studi di Milano il 14 marzo 2025.

28 Certo – ma non è una novità – la ratio sottesa a Granital era quella di assicurare il primato senza mettere in discussione il dualismo. La soluzione elaborata fu il c.d. dualismo temperato e, in base ad essa, l’ordinamento nazionale e quello “comunitario” sono “separati e distinti, ancorché coordinati”: tale formula – nell’ambito di operatività del diritto sovranazionale – consentiva alla norma interna di non venire in rilievo e al giudice di dare quindi applicazione a quella “comunitaria”. La separatezza era un po’ artificiosa, ma funzionale all’obiettivo richiamato. Se non c’è separatezza, la sola soluzione resta –per come formulato l’art. 288 TFUE (già art. 189 CEE) – la sovraordinazione gerarchica del regolamento sulla norma interna contrastante, che deve considerarsi implicitamente abrogata. La diretta applicabilità implica, infatti, che la norma produca effetti senza misure nazionali di attuazione, che sono illegittime, anche (del resto) secondo la nostra Corte costituzionale (v., per tutte, sentenza 30 ottobre 1975, n. 232). Sulla base della nuova impostazione, la Consulta – superando Granital – abbandona la ratio ad essa sottesa, quindi supera la separatezza, ma poi “pretende” comunque di assicurare la coerenza del sistema.

29 Ci si può interrogare anche sulla esperibilità di azioni di responsabilità dello Stato per fatto del suo giudice a fronte di una rimessione alla Corte costituzionale che non assicura (a meno dell’adozione, ove possibile, di misure cautelari) l’immediatezza della tutela della posizione giuridica di derivazione “comunitaria”.

30 Per una differente impostazione capace di combinare l’approccio Simmenthal/ Granital, assicurando dunque la disapplicazione, previo eventuale rinvio pregiudiziale, e il ruolo che ormai la Consulta si è (ri)disegnata, mediante una sua diversa interazione con il giudice comune, ovvero una impostazione che consenta la disapplicazione definitiva in uno con la proposizione della questione di legittimità costituzionale (impostazione che richiede una modifica del requisito della “rilevanza” della questione di legittimità costituzionale, che dovrebbe presumibilmente passare per una modifica della legge 11 marzo 1953, n. 87 e che forse sarebbe idonea – questa sì – ad assicurare davvero un surplus di garanzia del principio del primato) sia consentito rinviare a C. Amalfitano, Il dialogo tra giudice comune, Corte di Giustizia e Corte costituzionale dopo l’obiter dictum della sentenza n. 269/2017, in Osservatorio sulle fonti, n. 2/2019.

31 Per un’ottima ricostruzione, da parte della Consulta, della rilevante giurisprudenza della Corte di giustizia sul legame tra rinvio pregiudiziale, disapplicazione e primato (in funzione dell’uguaglianza tra Stati membri e del principio di leale cooperazione) v. Corte cost. n. 67/2022, punti 10.2 e 11 cons. in dir. Nella giurisprudenza “comunitaria” v., per tutte, Corte giust., 22 febbraio 2022, causa C-430/21, RS, cit., punto 55.