Procedural Law in Times of Streaming: The (not so) “Twin” Decisions of the Court of Justice and the General Court on the Broadcasting of some Activities
La procedura ai tempi dello streaming: le decisioni (non così) “gemelle” di Corte e Tribunale sulla trasmissione di alcune attività
La procédure au temps du streaming : les décisions (pas vraiment) « jumelles » de la Cour et du Tribunal sur la retransmission de certaines activités
Se è vero che l’incombere della modernità, in particolare l’avvento di tecnologie via via più raffinate, è un fenomeno inarrestabile e a cui è sterile opporsi tout court, è altrettanto vero che l’attività giudiziaria è denotata da vitali specificità. Pertanto, quando si è confrontati con il diritto processuale, l’approccio migliore non sembra essere quello di uno slancio verso il moderno, ma quello di un ponderato bilanciamento tra quest’ultimo e le suddette specificità. È probabilmente in questo senso che devono essere lette le due decisioni con cui Corte di giustizia (di seguito, anche la “Corte”) e Tribunale dell’Unione hanno recentemente disciplinato le modalità di trasmissione, sul sito internet dell’istituzione, di alcuni momenti significativi della procedura.
In particolare, il Tribunale è intervenuto con la propria decisione 2025/436, del 5 febbraio scorso, in merito alla trasmissione delle udienze di lettura di sentenze e conclusioni (in seguito, anche la “decisione Trib”)1. Dal canto suo, la Corte ha adottato la decisione 2025/857, del 1° aprile scorso, sulla trasmissione delle udienze generalmente intese (nel prosieguo, anche la “decisione CG”)2. Come è subito evidente, sebbene le due decisioni si rispecchino in una certa misura, esse dimostrano altresì una sensibile differenza di approccio e alcune discrepanze, che meritano di essere sottolineate.
Anzitutto, è d’uopo notare che le decisioni di entrambe le giurisdizioni si pongono come atti di attuazione delle rispettive discipline processuali. Da un lato, la decisione della Corte rinvia all’art. 80 bis del pertinente regolamento di procedura (“RPCG”), quale norma comune a tutto il contenzioso ivi celebrato. Tale norma statuisce che le «udienze della Corte poss[a]no essere oggetto di trasmissione», disciplinando poi le condizioni necessarie a tali fini nei paragrafi successivi e, in particolare, richiedendo che la Corte «stabilisc[a], mediante decisione, le norme e le modalità di attuazione» necessarie. Dall’altro lato, la decisione del Tribunale si richiama agli artt. 110 bis (per i ricorsi diretti) e 219 (per i rinvii pregiudiziali) del rispettivo regolamento di procedura (“RPT”), che riflettono in maniera sostanzialmente identica quanto detto per la Corte.
Il più evidente elemento di distanza tra le due decisioni in esame emerge chiaramente tanto dai considerando, quanto dai rispettivi ambiti di applicazione.
La decisione della Corte, a norma del suo art. 1, «si applica [alle] udienze di pronuncia delle sentenze [e] di lettura delle conclusioni degli avvocati generali», nonché alle «udienze di discussione, purché siano soddisfatte le condizioni di cui [all’art. 80 bis RPCG]»3. Tale decisione coinvolge, quindi, ogni tipo di udienza che si celebri dinanzi alla Corte di giustizia, creando due regimi distinti e paralleli. In caso di un’udienza di lettura di sentenze o di conclusioni degli avvocati generali (art. 2 decisione CG), la trasmissione avviene in diretta e la registrazione rimane indefinitamente disponibile sul sito dell’istituzione. Nell’eventualità di un’udienza di discussione – per cui è più pressante l’esigenza di «garantire la serenità del dibattimento», come ricorda il considerando 3 – la trasmissione avviene in differita e la registrazione resta disponibile alla consultazione per un mese a partire dalla chiusura dell’udienza stessa, successivamente venendo conservata solo “internamente”, negli archivi dell’istituzione (art. 3 decisione CG).
Il Tribunale, dal canto suo, ha invece optato per un approccio differente, in base al quale la trasmissione è prevista per la sola «pronuncia di sentenze o [per la] lettura di conclusioni», escludendo in toto le udienze di discussione (art. 1 decisione Trib). Questa scelta deve essere letta in parallelo con il considerando 4 della decisione in esame, ove si richiama l’art. 246, par. 5, RPT. In virtù di quest’ultimo, gli artt. 110 bis e 219 RPT (già citati supra) «si applicano solo a decorrere dall’entrata in vigore» della decisione attuativa in commento. Il risultato del combinato disposto tra queste previsioni è, quindi, che le udienze di pronuncia di sentenze o di lettura di conclusioni sono, ad oggi, oggetto di trasmissione; invece, la trasmissione delle udienze di discussione, pur astrattamente disciplinata dal regolamento di procedura, resta (per ora) inoperante. Nel perimetro così delineato, la decisione del Tribunale struttura, infine, un regime attuativo secondo cui la trasmissione delle attività prescelte avviene in diretta (art. 2 decisione Trib) e la registrazione resta disponibile agli utenti per tre mesi a partire dalla data dell’udienza stessa (art. 4 decisione Trib).
È interessante notare come questa generale discrepanza tra le scelte delle due giurisdizioni del Kirchberg sembri dettata (per quanto possibile ipotizzare) da un differente bilanciamento degli interessi in gioco e, in definitiva, da una “autopercezione” parzialmente diversa delle proprie funzioni.
I considerando della decisione della Corte, in particolar modo il considerando 1, appaiono relativamente più estesi nel ricordare che «la Corte di giustizia è investita di un numero crescente di cause ed è chiamata ad adottare decisioni che hanno sovente un impatto concreto sulla vita quotidiana dei cittadini dell’Unione». Ne discende che «è essenziale promuovere una migliore comprensione del ruolo della Corte […] e garantire un accesso più ampio [anche] ai motivi, agli argomenti e alle osservazioni presentati dalle parti». Del resto, è evidente la crescente attenzione della Corte per simili esigenze, che si trovano rispecchiate anche in altre soluzioni: dalla pubblicazione delle osservazioni degli «interessati» nei procedimenti pregiudiziali (salvo richiesta in senso contrario)4, al recentissimo esperimento dei debriefing, con cui il Presidente dell’istituzione offre una spiegazione “in pillole” di sentenze giudicate particolarmente significative5. D’altro canto, il considerando 1 della decisione del Tribunale, pur mostrando di condividere simili premesse, è ben più cauto nel sottolineare che, vista la «necessità di ravvicinare ulteriormente la giustizia europea ai cittadini dell’Unione, [è] opportuno trasmettere talune delle […] attività giurisdizionali» (corsivo aggiunto).
La diversità d’approccio appare, in tutta onestà, ben giustificata dalle differenze (qualitative e quantitative) del contenzioso tipico di una giurisdizione e dell’altra. La Corte di giustizia trova gran parte della propria attività concentrata, ad oggi, nei procedimenti pregiudiziali e nelle impugnazioni6. I primi hanno spesso, per loro natura, una tendenza a far emergere questioni di diritto di portata generale, rilevanti per lo sviluppo dell’intero ordinamento “comunitario”; le seconde, pur riguardando ricorsi diretti, richiedono alla Corte di concentrare il proprio scrutinio (salvo casi eccezionali) su punti riguardanti la corretta interpretazione e applicazione del diritto UE effettuate in prima istanza. Il Tribunale, al contrario, è senz’altro connotato da una larga prevalenza del contenzioso diretto7 il quale, in una gran parte dei casi, coinvolge le istituzioni e agenzie dell’Unione in qualità di defendant o intervenienti; e ciò sembra destinato a rimanere immutato, almeno al momento, anche a valle dell’attribuzione di competenza su alcuni (marginali, a dire il vero) rinvii pregiudiziali8. Insomma: il contenzioso geneticamente più “costituzionale” della Corte di giustizia sembra offrire più occasioni in cui, nell’ambito di un’udienza di discussione, gli argomenti dei soggetti coinvolti (talvolta, anche Stati membri) meritino una pubblica diffusione, capace di accrescere il dibattito e, auspicabilmente, la migliore comprensione delle pronunce. I casi dibattuti dinanzi al Tribunale, dal canto loro, sono talvolta suscettibili di presentare maggiore interesse per le parti coinvolte che per la società europea in generale. Le udienze di discussione celebrate dinanzi a tale giurisdizione, infatti, potrebbero spesso toccare argomenti e informazioni assai delicati, ove non confidenziali, e riguardanti in maniera diretta le parti che in quell’udienza si confrontano. Si comprende, pertanto, la decisione (almeno momentanea) di escludere tali udienze dal meccanismo di trasmissione cui, pure, si desidera dare una coerente implementazione.
Appare allora giustificata, allo stesso modo, anche la parziale discrepanza nelle regole di “protezione” della privacy di chi prende parte a un’udienza. La disciplina applicabile dinanzi alla Corte si spinge più nel dettaglio, fino a stabilire che «all’interno dell’aula d’udienza […] veng[a]no adottate misure al fine di ridurre al minimo la raccolta delle immagini e dei dati personali», e che «[d]eterminati posti a sedere, debitamente individuati, [siano] esclusi dal campo visivo delle telecamere» (art. 4 decisione CG). Il regime operante dinanzi al Tribunale, invece, si richiama a un più generale proposito di «vigila[re] sul rispetto dei dati personali», prevedendo l’applicabilità di preesistenti «meccanismi interni di controllo in materia di trattamento dei dati personali» (art. 5 decisione Trib). E in effetti, viste le considerazioni avanzate poco sopra, le udienze oggetto del campo di applicazione della decisione del Tribunale dovrebbero essere sufficientemente protette dalle garanzie generali, mentre è più probabile che la decisione della Corte crei, talvolta, esigenze di protezione più specifiche.
In definitiva, sembra potersi considerare che le decisioni qui brevemente esaminate disegnino un equilibrio forse soddisfacente, ma destinato ad essere mutevole in corrispondenza dei cambiamenti delle funzioni delle due giurisdizioni di Lussemburgo, e della distribuzione delle stesse nel tempo. Mutevolezza che, in fin dei conti, pare comprensibile in un campo ove si confrontano l’avvento della modernità tecnologica, le esigenze di trasparenza nei confronti del pubblico e la fondamentale necessità di una buona amministrazione della giustizia.
1 Decisione del Tribunale 2025/436, del 5 febbraio 2025, sulla trasmissione della pronuncia di sentenze e della lettura di conclusioni ai sensi degli articoli 110 bis, paragrafo 8, e 219, paragrafo 8, del regolamento di procedura, in GUUE, L 2025/436 del 3 marzo 2025.
2 Decisione della Corte di giustizia 2025/857, del 1° aprile 2025, relativa alle norme e alle modalità di attuazione della trasmissione delle udienze, in GUUE, L 2025/857 del 12 maggio 2025.
3 Per completezza, si ricorda che l’art. 80 bis RPCG prescrive una serie di obblighi volti, essenzialmente, alla tempestiva e chiara informazione dei soggetti che parteciperanno all’udienza trasmessa (par. 2) e alla possibilità di richiedere che la trasmissione non abbia luogo (parr. 3-4) o che la registrazione sia rimossa dal sito dell’istituzione (parr. 6-7). Simili garanzie, come già accennato nel testo, si ritrovano in maniera corrispondente negli artt. 110 bis e 219 RPT.
4 All’esito della riforma giudiziaria del 2024 (su cui si veda anche infra, nota 8), l’art. 23, comma quarto, dello Statuto prevede infatti che tali osservazioni siano «pubblicate sul sito Internet [dell’istituzione] entro un termine ragionevole successivamente alla chiusura del caso, a meno che tale interessato non si opponga». Le modalità attuative di tale previsione sono disciplinate, in maniera speculare, dall’art. 96, par. 3, RPCG e dall’art. 202, par. 3, RPT.
5 Questi brevi video esplicativi, per ciascuna delle sentenze selezionate, sono pubblicamente consultabili sul sito della Corte di giustizia dell’Unione europea e vengono ivi conservati. Il primo esempio di questo strumento di natura spiccatamente “divulgativa” è relativo alla sentenza del 3 giugno 2025, causa C-460/23, Kinsa, ECLI:EU:C:2025:392 (tra l’altro, un rinvio pregiudiziale di provenienza italiana), ed è disponibile al seguente indirizzo internet: https://curia.europa.eu/jcms/jcms/p1_1477137/it/.
6 Le statistiche giudiziarie tratte dall’ultima relazione annuale della CGUE (disponibili all’indirizzo internet https://curia.europa.eu/jcms/jcms/Jo2_7000/) indicano che, nel corso del 2024, le cause introdotte dinanzi alla Corte sono state, per il 62,28%, domande di pronunce pregiudiziali e, per il 28,80%, impugnazioni. Dunque, queste due tipologie di cause ammontano, complessivamente, al 91,08% del contenzioso totale.
7 Per quanto attiene alle cause introdotte dinanzi al Tribunale nel corso del 2024, sempre sulla base delle statistiche richiamate nella nota precedente, i ricorsi diretti hanno ricoperto il 97,58% del contenzioso totale. Per quanto si debba senz’altro tener conto del fatto che l’attribuzione della competenza pregiudiziale sia ancora in fase di “decollo”, il dato è comunque indicativo di un’attività fortemente orientata.
8 Tale riforma è stata attuata con l’entrata in vigore, il 1° settembre 2024, del regolamento (UE, Euratom) 2024/2019 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 aprile 2024, che modifica il protocollo n. 3 sullo Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, in GUUE, L 2024/2019 del 12 agosto 2024. Nella vastità della dottrina che ha ormai commentato questa modifica normativa, si vedano su tutti, in questa Rivista, M. Condinanzi, C. Amalfitano, Il Tribunale oltre il pregiudizio: le pregiudiziali al Tribunale, in RCE, Fascicolo speciale 2024, p. 1 ss.; M. F. Orzan, Un’ulteriore applicazione della “legge di Hooke”? Riflessioni a margine dell’entrata in vigore della recente riforma dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, in RCE, Fascicolo speciale 2024, p. 30 ss.; D. Sarmiento, Gaps and “Known Unknowns” in the Transfer of Preliminary References to the General Court, in RCE, Fascicolo speciale 2024, p. 11 ss.