Référé, pourvoi et opposition à l’arrêt par défaut, entre l’autonomie des procédures et les influences mutuelles
Tutela cautelare, pourvoi e opposizione del contumace, tra autonomia processuale e reciproche influenze
Interim protection, appeal procedure, and opposition to the default judgment, between autonomy of different actions and mutual influences
Recentemente, la Corte di giustizia e il Tribunale dell’Unione si sono pronunciati, quasi “in parallelo”, su una controversia che apre a interessanti riflessioni sui rapporti tra diversi meccanismi di tutela giurisdizionale attivabili dal giudice “comunitario”: in particolare, la tutela cautelare, il pourvoi e l’opposizione del contumace.
Il caso di specie gemma dal rapporto di lavoro intercorso, tra il 2014 e il 2016, tra la ricorrente (“SC”, negli atti di causa) e il suo datore di lavoro, la missione Eulex Kosovo, mediante la quale l’Unione europea monitora e assiste la tutela dello Stato di diritto nel piccolo Paese balcanico. In seguito al mancato rinnovo del proprio contratto di lavoro, la ricorrente ha introdotto un’azione ex art. 263 TFUE, volta a richiedere l’annullamento di tale decisione, azione che il Tribunale ha rigettato come in parte manifestamente irricevibile e in parte manifestamente infondata. Tale ordinanza è stata oggetto di impugnazione dinanzi alla Corte, la quale ha annullato – con rinvio – la decisione del giudice di prime cure. Di nuovo investito della controversia, il Tribunale ha, dapprima, impartito un nuovo termine alla convenuta (Eulex Kosovo) per la presentazione della propria défense; in seguito, constatata l’inutile decorrenza di tale termine, ha emesso una sentenza in contumacia ex art. 123 del proprio regolamento di procedura, con la quale ha accolto le ragioni della ricorrente, condannando inoltre la convenuta al ristoro delle mancate mensilità di retribuzione e al risarcimento dei danni provocati. Nei confronti di quest’ultima pronuncia, Eulex Kosovo ha però reagito, contemporaneamente, con tre strumenti processuali diversi: i) un nuovo pourvoi dinanzi alla Corte, chiedendo l’annullamento della sentenza emessa in contumacia; ii) un ricorso cautelare, ancillare al pourvoi, volto a sospendere gli effetti (soprattutto pecuniari) della stessa; iii) un’opposizione, introdotta dinanzi al Tribunale ex art. 166 del suo regolamento di procedura, avverso la sentenza in contumacia. Ciò che risulta particolarmente interessante, da questa complessa scansione della vicenda processuale, è che Corte e Tribunale si sono trovati investiti della medesima controversia, dovendo a questo punto disciplinare i rapporti tra i differenti meccanismi attivati e le forme di tutela a questi riconnesse.
Il primo a pronunciarsi, con ordinanza del 28 marzo 2023, è stato il vicepresidente della Corte in veste di giudice della tutela cautelare. Dal punto di vista processuale, la questione maggiormente rilevante emergeva dalle argomentazioni della ricorrente in punto di ricevibilità: in particolare, si sosteneva che, essendo pendente il giudizio di opposizione del contumace dinanzi al Tribunale, con la possibilità, per quest’ultimo, di sospendere gli effetti della sentenza contestata (ex art. 123, par. 4, RP Trib.), la competenza cautelare della Corte sarebbe dovuta venire meno, in considerazione del fatto che quest’ultima non avrebbe assicurato a Eulex Kosovo alcun beneficio che non potesse già essere garantito dal Tribunale, mediante la citata sospensione.
A siffatti rilievi, la Corte ha risposto attraverso un’analisi coordinata dei due strumenti di tutela provvisoria che insistevano sulla controversia. Secondo il vicepresidente, tali rimedi perseguono finalità diverse (punti 18-26 dell’ordinanza). Da un lato, il référé ex art. 278 TFUE, ove “accoppiato” a un giudizio di impugnazione avverso una decisione del Tribunale, è volto ad assicurare efficacia alla pronuncia che definirà il giudizio in sede di pourvoi, tanto che quest’ultima pronuncia rappresenta il limite ultimo di validità temporale della tutela cautelare eventualmente concessa. Dall’altro lato, la sospensione ex art. 123, par. 4, RP Trib. assolve la medesima funzione, ma con riferimento alla sentenza che dovrà definire il giudizio di opposizione del contumace, così che è quest’ultima a fissarne la massima estensione nel tempo (punti 22-23). Ne consegue, nell’apprezzamento del vicepresidente, che la competenza sospensiva esercitabile dal Tribunale non può avere, in alcun modo, l’effetto di inibire la sua competenza in sede cautelare (punto 24).
Sembra dunque interessante notare, prima facie, come il vicepresidente della Corte consideri le due tutele provvisorie venute in rilievo come del tutto autonome, almeno per quanto riguarda “in astratto” la sussistenza della competenza delle due istanze giurisdizionali a conoscere del ricorso cautelare (o della richiesta di sospensione). Ciò non cambia, evidentemente, anche ove i due rimedi provvisori si instaurino sulla medesima controversia e perseguano, come nel caso di specie, il medesimo risultato sostanziale (evitare i pagamenti a titolo restitutorio e risarcitorio).
A fronte di questo quadro apparentemente lineare, tuttavia, è quantomeno peculiare che, il giorno dopo la pronuncia appena richiamata, il Tribunale si sia espresso, con ordinanza del 29 marzo 2023, concedendo a Eulex Kosovo (molto succintamente, vista l’assenza di obiezioni da parte della ricorrente) la sospensione provvisoria fino alla sentenza che definirà il giudizio di opposizione del contumace, «aux fins de la bonne administration de la justice» (punto 7 dell’ordinanza in esame).
A titolo preliminare, due ordini di considerazioni si impongono all’interprete.
In primis, è importante segnalare come, in due cause precedentemente decise, il Tribunale avesse concesso la sospensione in parola mediante decisioni di natura diversa: una prima volta, nel 2017, con sentenza interlocutoria e una seconda, nel 2020, con ordinanza, in un approccio forse più condivisibile data la natura provvisoria del rimedio. L’ordinanza del 29 marzo 2023, dunque, merita di essere favorevolmente accolta, anzitutto poiché contribuisce a stabilizzare una prassi giurisprudenziale ancora fluttuante tra due alternative, pur entrambe legittime – nel silenzio del regolamento di procedura, che non prende posizione sul tipo di atto con cui esercitare tale competenza – ma forse non ugualmente adatte al tipo di tutela erogata.
Secondariamente, la decisione del Tribunale qui commentata invita a riflettere sul fatto che i due rimedi provvisori in esame risultino forse sovrapponibili quanto al risultato finale, ma non quanto alle condizioni che ne fondano la concessione. Da un lato, l’erogazione della tutela cautelare ex art. 278 TFUE – la cui competenza è assegnata al solo vicepresidente della Corte – deve necessariamente passare attraverso la valutazione dei classici requisiti di tale strumento (l’urgenza, il fumus boni juris e il bilanciamento degli interessi delle parti, ma sul punto v. amplius K. Lenaerts, I. Maselis, K. Gutman, 2014; M. Condinanzi, 2018; M. F. Orzan, 2018); dall’altro lato, la sospensione che il Tribunale può applicare alla propria pronuncia contumaciale è sottratta alla tipica competenza cautelare del presidente di quest’ultima istanza (v. questa ordinanza del presidente del Tribunale), potendo essere concessa dalla sezione giudicante (ovviamente diversa da quella che si è espressa in contumacia) e, quanto di più importante, sulla base di una valutazione che – come ben evidenzia la formula riportata supra – non è vincolata ai requisiti appena visti per la Corte.
Tutto ciò premesso, il caso in esame porta a interrogarsi su come diversi scenari processuali possano sovrapporsi, in base a quale delle due istanze giurisdizionali di Lussemburgo si pronunci per prima.
Ove sia la Corte a disciplinare per prima il proprio référé rigettandone la richiesta (come accaduto nel caso di specie), l’assoluta autonomia di natura e di condizioni sopra evidenziata sembra lasciare ampio spazio di manovra al Tribunale, nel concedere o meno la sospensione degli effetti della sentenza resa in contumacia; tuttavia, una pronuncia della Corte che eroghi la tutela prevista dall’art. 278 TFUE, al contrario, renderebbe sostanzialmente inutile (e, quindi, impedirebbe) l’applicazione del rimedio sospensivo del Tribunale. Specularmente, ove sia il Tribunale a pronunciarsi per primo concedendo la sospensione ex art. 123 RP Trib., il ricorso cautelare dinanzi alla Corte potrebbe venirne influenzato rimanendo, sostanzialmente, privo di oggetto. Sul punto, infatti, la giurisprudenza della Corte è particolarmente chiara nel ritenere che una sopravvenuta modifica della situazione fattuale (e, in modo particolare, il ritiro o la perdita di effetti della decisione contestata), anche ove lasci intatto l’interesse ad agire del ricorrente con riguardo alla domanda di annullamento, «ne saurait […] justifier l’examen d’une demande en référé […], dans la mesure où la procédure de référé a pour objet non pas de constater l’illégalité d’un acte de l’Union, mais de garantir la pleine efficacité de la future décision définitive» (l’estratto si riferisce a C-703/21 P(R), punto 27, ma v. anche quanto statuito in C-337/09 P(R), punti 44-45, e C-229/19 P(R), punti 16-24).
Riassumendo quanto detto, se resta ferma l’autonomia degli strumenti in questione, così come individuata dal vicepresidente della Corte, dal punto di vista della ricevibilità dei ricorsi (e, dunque, della competenza à juger delle due istanze di Lussemburgo), tale autonomia potrebbe invero vedersi mitigata nell’effettiva utilità dei rimedi stessi, proprio sulla base dell’identità della dimensione fattuale su cui si agisce.
Spostando l’attenzione sulla definizione dei procedimenti principali cui le tutele “cautelari” in esame sono serventi, l’intreccio non si fa meno interessante. Non va dimenticato, infatti, che la tutela provvisoria concessa dal Tribunale in pendenza dell’opposizione del contumace ha sospeso, almeno nel caso di specie, gli effetti di una sentenza attualmente oggetto di pourvoi dinanzi alla Corte. Questo può indurre a pensare che (benché ciò non compaia nella motivazione dell’ordinanza del 29 marzo) la “spada di Damocle” di un possibile annullamento in sede di impugnazione abbia indotto il giudice di prime cure a un atteggiamento quanto più “cauto” possibile: l’utilizzo della sospensione ex art. 123, par. 4, RP Trib., allora, potrebbe essere valutato anche in funzione di un temporaneo “congelamento” degli effetti della sentenza impugnata, in attesa che quest’ultima venga confermata (o cassata) dalla Corte. Così, anche in questo scenario, l’autonomia dei rimedi processuali di cui si è dato conto è affiancata da una – pur solo “ufficiosa” – influenza esercitata dal pourvoi sul rimedio provvisorio erogabile dal Tribunale.
Resta da chiedersi, infine, cosa accadrebbe se la sentenza con cui la Corte definisce il giudizio di impugnazione fosse emessa prima di quella con cui il Tribunale regola il giudizio di opposizione del contumace. In tal caso, qualunque sia l’esito del pourvoi, peso specifico non indifferente andrebbe assegnato ai motivi che lo fondino. È ben ipotizzabile, infatti, che le censure che portino a un annullamento in sede di impugnazione possano essere (anche molto) diverse da quelle che vengano sollevate dalla parte contumace nella propria opposizione, dinanzi al Tribunale. Le prime attengono, com’è noto, ai motivi di diritto formulati all’art. 58 dello Statuto, che coinvolgono tanto casi di errores in procedendo quanto ipotesi di errores in iudicando (v., ex multis, C. Naômé, A. Rosas); le seconde, invece, tendono più spesso a indurre un riesame (anche fattuale) della controversia da parte del Tribunale, in ragione del fatto che determinati motivi non siano stati esaminati nella sentenza contestata, proprio a causa della contumacia (v., come esempi, quanto statuito nelle cause T-348/16 OP e T-552/19 OP). Ora, nulla quaestio ove la Corte, in qualità di giudice del pourvoi, decidesse di confermare la sentenza resa in contumacia: il Tribunale, pronunciandosi sull’opposizione, godrebbe appieno di quell’autonomia tra rimedi processuali di cui s’è parlato, rimanendo libero di ritenere fondate le ragioni del contumace salvo, ovviamente, il caso in cui queste coincidano (almeno parzialmente) con i motivi rigettati dalla Corte in sede di impugnazione. Più complesso il quadro, invece, qualora la Corte decidesse di annullare la sentenza resa in contumacia, la quale rappresenta il fondamento logico, temporale e processuale dell’emananda sentenza sull’opposizione. Vale la pena ricordare che l’art. 166 del regolamento di procedura del Tribunale prevede che «[l]’originale della sentenza [sull’opposizione] è allegato a quello della sentenza pronunciata in contumacia. A margine di quest’ultima è fatta annotazione della sentenza pronunciata sull’opposizione». In buona sostanza: la sentenza sull’opposizione si configura come del tutto accessoria a quella resa in contumacia. Pertanto, ove la seconda venisse annullata dalla Corte in sede di pourvoi, si può immaginare che il giudice di prime cure sarebbe costretto a interrogare le parti sulle conseguenze derivanti da tale annullamento, con una buona probabilità che lo stesso giudizio di opposizione possa rimanere privo di oggetto ex art. 131, par. 1, del regolamento di procedura del Tribunale.
Sembra potersi affermare, a conclusione di quanto brevemente argomentato, che controversie come quella in esame siano suscettibili di generare una sorta di “circolo continuo” tra i vari strumenti processuali coinvolti, in cui il potere sospensivo del Tribunale può influenzare – anche se non nella ricevibilità – la concessione della tutela cautelare dinanzi alla Corte, mentre l’accoglimento di un référé o la mera pendenza di un pourvoi davanti a quest’ultima sembrano in grado di influire sull’utilizzo “strategico” del rimedio sospensivo da parte del Tribunale. L’autonomia dei meccanismi in questione, insomma, è di certo principio fondamentale nel ripartire “porzioni” di competenza giurisdizionale tra le due istanze di Lussemburgo, ma non pare potersi considerare del tutto immune da sovrapposizioni e conseguenti esigenze di coordinamento processuale.