Mandat d’arrêt européen et protection de la santé de la personne recherchée: la Cour constitutionnelle se prononce en aval de l’arrêt E.D.L. de la CJUE
Cour constitutionnelle, arrêt du 28 juillet 2023, n° 177, E.D.L.
Mandat d’arrêt européen et protection de la santé de la personne recherchée: la Cour constitutionnelle se prononce en aval de l’arrêt E.D.L. de la CJUE
European Arrest Warrant and the protection of the requested person’s health: the Constitutional Court decides in the aftermath of the CJEU E.D.L. judgment
La sentenza n. 177 del 28 luglio 2023 chiude il cerchio di un altro “esperimento dialogico” tra Corte costituzionale e Corte di giustizia, avente a oggetto – questa volta – la definizione di uno standard comune di tutela del diritto fondamentale alla salute nel contesto dell’esecuzione del mandato di arresto europeo (MAE).
La Corte costituzionale si è pronunciata sulla legittimità degli artt. 18 e 18-bis della legge 22 aprile 2005, n. 69, di attuazione della decisione-quadro 2002/584/GAI sul mandato d’arresto europeo (DQ MAE); disposizioni che – nell’enumerare i motivi di rifiuto della consegna del ricercato – non sembravano consentire all’autorità giudiziaria richiesta di denegare la consegna, all’autorità emittente, della persona affetta da patologie croniche di durata indeterminabile, che comportassero il rischio di conseguenze di eccezionale gravità per l’interessato.
Senza ripercorrere in dettaglio l’articolato iter processuale che ha condotto alla sentenza n. 177, è sufficiente qui rammentare che gli artt. 18 e 18-bis erano stati censurati dalla Corte d’appello di Milano, chiamata a pronunciarsi sulla richiesta di consegna all’autorità giudiziaria croata (per la sottoposizione a processo per detenzione e spaccio di stupefacenti), di un cittadino italiano affetto da gravi disturbi psichici comportanti un rischio suicidario. Le censure si appuntavano sulla violazione del diritto fondamentale alla salute dell’interessato (artt. 2 e 32 Cost.) e del canone di ragionevole durata del processo (art. 111, secondo comma, Cost.), nonché sull’irragionevole disparità di trattamento rispetto alla disciplina dell’estradizione, che invece prevede l’ostatività di ragioni di salute che comportino un rischio di eccezionale gravità per l’interessato.
Con ordinanza n. 216 del 2021 (su cui v. C. Amalfitano, M. Aranci, 2022; S. Barbareschi, 2021; S. Barbieri, 2021; A. Damato, 2022; S. Montaldo, S. Giudici, 2022), la Corte costituzionale aveva disposto rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE alla Corte di giustizia, rilevando che le questioni di legittimità costituzionale sottopostele presupponevano un chiarimento interpretativo sul diritto dell’Unione, poiché i censurati artt. 18 e 18-bis l. n. 69 del 2005 traspongono gli artt. 3, 4 e 4-bis DQ MAE, i quali parimenti non annoverano tra i motivi di non esecuzione del mandato d’arresto il grave pericolo per la salute dell’interessato, connesso a una patologia cronica e di durata indeterminabile.
Richiamando le sentenze della Corte di giustizia Aranyosi e Căldăraru, ML, Dorobantu, LM, L e P, relative alla possibilità (rectius, dovere) di rifiutare l’esecuzione del MAE in presenza di carenze sistemiche e generalizzate riguardanti le condizioni di detenzione o l’indipendenza del potere giudiziario nello Stato emittente, la Corte costituzionale aveva chiesto lumi alla Corte di giustizia sulla possibilità di interpretare l’art. 1, par. 3, DQ MAE (ossia la clausola generale sul rispetto dei diritti fondamentali) come foriero di un obbligo, per l’autorità giudiziaria di esecuzione che riscontri un pericolo di grave pregiudizio per la salute del ricercato affetto da patologie croniche e potenzialmente irreversibili, di richiedere all’autorità giudiziaria emittente le informazioni che consentano di escludere la sussistenza di tale rischio, e di rifiutare la consegna allorché non ottenga assicurazioni in tal senso entro un termine ragionevole. Si chiedeva in sostanza di applicare il c.d. Aranyosi test, elaborato (con riguardo a MAE esecutivi) in relazione a carenze sistemiche e generalizzate, anche al grave rischio individuale per la salute dell’interessato.
Nella sentenza E. D. L. del 18 aprile 2023 (su cui v M. Aranci, 2023; G. Colaiacovo, Mandato d’arresto europeo e tutela della salute: la Corte di giustizia detta criteri stringenti, in Cass. pen., n. 7-8/2023, p. 2585 ss.), la Corte di giustizia aveva premesso che la DQ MAE non prevede tout court la possibilità di rifiutare l’esecuzione del mandato in presenza di gravi patologie del ricercato. Essa aveva però richiamato l’art. 23, par. 4, della decisione-quadro, che prevede la sospensione temporanea della consegna in presenza di «gravi motivi umanitari», tra cui il manifesto pericolo per la vita o la salute del ricercato, sottolineando la necessità di applicare tale disposizione alla luce dell’art. 4 CdfUE (che vieta la sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti); e traendone l’obbligo, per l’autorità giudiziaria dell’esecuzione, di avviare – in caso di rischio reale di riduzione significativa dell’aspettativa di vita o di deterioramento rapido, significativo e irrimediabile dello stato di salute del ricercato – un’interlocuzione con l’autorità giudiziaria emittente volta a verificare le modalità con cui l’interessato sarà sottoposto a processo o detenuto.
La Corte di giustizia aveva, infine, delineato quale esito dell’interlocuzione: a) l’individuazione concordata di una nuova data per la consegna ove vengano fornite assicurazioni sull’appropriato trattamento della patologia di eccezionale gravità nello Stato emittente; oppure b) il rifiuto dell’esecuzione del MAE, quando il rischio rilevante non possa essere escluso entro un termine ragionevole.
A valle della pronuncia E.D.L., è intervenuta la sentenza n. 177 del 2023.
Sgombrato il campo dalla censura formulata dalla Corte d’appello di Milano sull’irragionevole disparità tra la disciplina del MAE e quella dell’estradizione – ritenuta infondata, attesa l’evidente disomogeneità del tertium comparationis evocato – la Corte costituzionale ha esaminato le doglianze relative alla violazione degli artt. 2, 32 e 111, secondo comma, Cost., seguendo un ragionamento in tre tappe.
Essa ha anzitutto sottolineato la convergenza delle proprie valutazioni con quelle della Corte di giustizia su alcuni punti fondamentali, ossia: l’impossibilità di eseguire il MAE a fronte di un rischio di deterioramento rapido, significativo e irrimediabile dello stato di salute del ricercato, o di una riduzione della sua aspettativa di vita; la necessità, ove tale rischio si concretizzi, di sospendere la consegna e avviare un’interlocuzione con l’autorità giudiziaria emittente, per individuare una soluzione che consenta di evitarlo; l’incongruità di una sospensione a tempo indeterminato della consegna, e, dunque, il necessario epilogo della sequenza procedimentale in una decisione positiva sulla consegna, o nel rifiuto della stessa.
Questo primo passaggio argomentativo appare in linea con l’attitudine dialogica, piuttosto che conflittuale, che sembra connotare il rapporto della Corte costituzionale con la Corte di giustizia (si vedano l’ordinanza n. 117 del 2019 e la correlata sentenza n. 84 del 2021 in tema di diritto al silenzio; l’ordinanza n. 182 del 2020 e la successiva sentenza n. 54 del 2022 sull’assegno di natalità; l’ordinanza n. 217 del 2021 e la sentenza n. 178 del 2023, sempre in tema di MAE). Invece di porre l’accento su eventuali differenze nelle modalità di tutela, nazionali e unionali, di un determinato diritto fondamentale, la Consulta anche questa volta preferisce rimarcare (e ricercare) i punti di contatto tra la propria identità costituzionale e lo standard europeo di tutela dei diritti fondamentali (D. Sarmiento, 2021).
La Corte si è poi fatta carico, nel secondo passaggio argomentativo della pronuncia, di individuare una soluzione che consentisse l’inserimento del dictum della sentenza E.D.L. nel tessuto normativo della l. n. 69 del 2005.
Come già ricordato, la Corte di giustizia aveva indicato quale sedes della sequenza procedimentale delineata in E.D.L. (sospensione della consegna – interlocuzione con l’autorità giudiziaria emittente – esecuzione della consegna o suo rifiuto) l’art. 23, par. 4, DQ MAE, che regola il differimento temporaneo della consegna, reinterpretando tale disposizione alla luce degli artt. 1, par. 3, del medesimo testo, e 4 CdfUE, e conferendo all’autorità giudiziaria competente per la sospensione anche la possibilità di porvi fine con una decisione di rifiuto, o di consegna. Operazione interpretativa, questa, resa possibile dalla coincidenza – nel sistema della DQ MAE – tra autorità competente a decidere sulla sussistenza dei presupposti della consegna ai sensi degli artt. 3, 4 e 4-bis, e autorità chiamata a disporne la sospensione ex art. 23, par. 4.
Senonché, in sede di trasposizione dell’art. 23, par. 4, DQ MAE, il legislatore italiano ha attribuito la competenza a statuire sulla sospensione della consegna, una volta deliberata, non all’autorità competente per la decisione sulla consegna stessa (e cioè la corte d’appello in composizione collegiale: art. 5 l. n. 69 del 2005), ma al «presidente della corte d’appello», ovvero a un «magistrato da lui delegato» (art. 23, comma 3, l. n. 69 del 2005), i quali provvedono in modo deformalizzato con decreto, ritenuto non impugnabile per cassazione (v. Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 26 aprile – 10 maggio 2018, n. 20849).
Il rimedio di cui all’art. 23, comma 3 – per come configurato dal legislatore italiano e dalla giurisprudenza di legittimità – era già stato giudicato inidoneo a garantire adeguata tutela al diritto alla salute e alla vita del ricercato, a fronte di gravi patologie croniche, nell’ordinanza n. 216 del 2021. Tale valutazione è stata ribadita nella sentenza n. 177: secondo la Corte costituzionale, la natura fondamentale dei diritti in gioco (salute e vita) esige una tutela giurisdizionale in un procedimento a cognizione piena, destinato a sfociare in un provvedimento ricorribile per cassazione, in conformità con la garanzia prevista dall’art. 111, settimo comma, Cost.
In questo quadro, la Corte ha ritenuto che il rimedio procedurale delineato nella sentenza E.D.L. andasse necessariamente affidato alla corte d’appello in composizione collegiale (organo in linea generale competente a statuire sulla consegna in esecuzione del MAE: art. 5 l. n. 69 del 2005) e collocato non in già in fase esecutiva, ma in fase di cognizione sulla richiesta di consegna (artt. 17 ss. l. n. 69 del 2005), ancorché a valle del vaglio delle condizioni positive e negative previste dagli artt. 17, 18 e 18-bis, così da essere ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 22 (insieme con la decisione sulla consegna).
La scelta del rimedio interno con cui “attuare” la sentenza E.D.L. è dichiaratamente ispirata sia da esigenze di effettività della tutela giurisdizionale (eloquente è il riferimento all’art. 111, settimo comma, Cost.), peraltro non estranee al diritto unionale (art. 47 CdfUE), sia da esigenze di celerità della decisione sull’esecuzione, che trovano riscontro nell’economia generale della DQ MAE (v. in particolare nel suo art. 17).
E invero, constatate le insufficienti garanzie offerte dal procedimento ex art. 23, comma 3, l. n. 69 del 2005, sarebbe stato difficile immaginare, rispetto a gravi patologie croniche (in quanto tali normalmente già documentabili al momento della decisione sulla consegna) un quadro in cui il ricercato dovesse, dopo l’adozione di tale decisione e l’eventuale ricorso in cassazione contro la stessa, instaurare un nuovo procedimento avanti alla corte d’appello, e poi alla Corte di cassazione, per la verifica del rischio tipizzato dalla sentenza E.D.L. Una simile soluzione, oltre ad apparire piuttosto “creativa” rispetto alla sistematica della l. n. 69 del 2005, avrebbe comportato una notevole dilatazione delle tempistiche per addivenire infine alla decisione sulla consegna, in contrasto con lo stesso obiettivo di rapida esecuzione del MAE, sotteso alla decisione-quadro 2002/584/GAI (come evidenzia la sentenza n. 177); finalità cui lo stesso legislatore interno si è dimostrato sensibile nel riformare, con il d.lgs 2 febbraio 2021, n. 10, la disciplina dei termini per l’esecuzione del MAE (sullo scopo acceleratorio perseguito dalla riforma v. V. Picciotti, 2021). Nel quadro delineato dalla sentenza n. 177, invece, sembra probabile che le corti d’appello, già chiamate, in sede di decisione sulla consegna e in presenza di idonee e circostanziate allegazioni, a effettuare le interlocuzioni e verifiche di cui alle sentenze Aranyosi e LM, nella medesima sede effettuino anche le interlocuzioni e verifiche richieste dalla pronuncia E.D.L.
Da notare, infine, che il rimedio interno con cui “adattare” l’ordinamento alla sentenza E.D.L. è stato individuato tramite una sentenza interpretativa di rigetto delle questioni sollevate dalla Corte d’appello di Milano. In particolare, la Corte costituzionale ha ritenuto che i censurati artt. 18 e 18-bis l. n. 69 del 2005 potessero e dovessero essere interpretati, alla luce della sentenza E.D.L., nel senso di consentire, senza declaratoria di incostituzionalità, l’innesto della sequenza procedimentale ivi delineata dalla Corte di giustizia.
La chiave di volta per consentire tale interpretazione sistematica è stata rivenuta nelle clausole generali sul rispetto dei diritti fondamentali nell’esecuzione del MAE, originariamente contenute negli artt. 1 e 2 l. n. 69 del 2005, e ora – successivamente alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 10 del 2021 – dall’art. 2 del medesimo testo normativo. Tali disposizioni sono state considerate attuative della clausola di rispetto dei diritti fondamentali di cui all’art. 1, par. 3, DQ MAE e giudicate «valvole di sicurezza funzionali a evitare che l’esecuzione dei mandati di arresto conduca a risultati contrari ai diritti fondamentali nell’estensione loro attribuita dal diritto dell’Unione, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia» (sentenza n. 177, punto 5.6. del Considerato in diritto).
La valorizzazione della clausola dell’art. 2 l. n. 69 del 2005 sembra produrre un complessivo allineamento rispetto: a) alle modalità attuali di effettuazione dell’Aranyosi test, svolto dalle corti d’appello sulla base del medesimo art. 2, dopo la riformulazione, a opera del d.lgs. n. 10 del 2021, sia di tale disposizione, sia dell’art. 18 sui motivi obbligatori di rifiuto della consegna (cfr. Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 16-18 novembre 2022, n. 44015); b) più in generale, alla “grammatica” della DQ MAE, che continua a non prevedere espressamente motivi di rifiuto fondati sul rischio di violazione di diritti fondamentali, ma viene incisa in via interpretativa dalla Corte di giustizia, che di volta in volta individua le human rights defences opponibili al principio di fiducia reciproca tra gli Stati membri.
Il richiamo alla clausola generale dell’art. 2 potrebbe infine essere utile nel futuro, per permettere altri adattamenti dell’ordinamento a eventuali pronunce della Corte di giustizia che dovessero delineare nuove ipotesi eccezionali di non esecuzione del MAE, per motivi di tutela di diritti fondamentali (si pensi ad esempio all’intervento sollecitato dalla Corte di cassazione, in merito alla possibilità di rifiutare o differire la consegna della donna incinta o della madre con figli minorenni conviventi, con le ordinane di rinvio pregiudiziale della sezione sesta penale, 14 gennaio – 19 aprile 2022, n. 15143, e 7 dicembre 2022 – 22 marzo 2023, n. 12079).
Il tutto con la precisazione – esplicitata dalla sentenza n. 177 e ancor prima nell’ordinanza n. 216 del 2021 – che le clausole di cui agli artt. 1 e 2 l. n. 69 del 2005 non possono in alcun modo essere utilizzate dalle autorità giudiziarie italiane per rifiutare la consegna delle persone richieste sulla base di «standard puramente nazionali di tutela dei diritti fondamentali […] laddove ciò possa compromettere il primato, l’unità e l’effettività del diritto dell’Unione», potendo invece l’eventuale rifiuto fondarsi soltanto sulle indicazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia sull’estensione dei diritti fondamentali in gioco (sentenza n. 177, Considerato in diritto, punto 5.6); giurisprudenza alla cui formazione ben possono concorrere la Corte costituzionale e i giudici comuni attraverso lo strumento del rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE.