Protection des intérêts financiers de l’Union et effect direct in malam partem en matière pénale : une nouvelle saison roumaine pour la saga Taricco?

Cour, Grande Chambre, arrêt 24 juillet 2023, affaire C-107/23, Lin

Tutela degli interessi finanziari dell’Unione ed effetto diretto in malam partem in materia penale: una nuova stagione romena per la saga Taricco?

Protection of the Financial Interests of the Union and Direct Effect in Malam Partem in Criminal Matters: a New Romanian Run for the Taricco Saga?

 

Il caso Lin in sintesi

Con la sentenza Lin la Grande sezione della Corte di giustizia ha affermato che l’obbligo di prevedere sanzioni dissuasive ed effettive a tutela degli interessi finanziari dell’Unione osta alla revisione di condanne penali definitive mediante l’applicazione retroattiva di un sopravvenuto regime di prescrizione più favorevole in forza del principio costituzionale della lex mitior. Inoltre, la Corte ha ribadito che il giudice nazionale che disapplichi le decisioni vincolanti delle supreme giurisdizioni interne che imporrebbero la revisione dei giudicati non può essere sanzionato disciplinarmente.

La pronuncia è interessante per un duplice ordine di ragioni. Anzitutto, essa riprende e sviluppa la posizione della Corte di giustizia su alcune questioni molto dibattute nel contesto della saga Taricco (v. Taricco e a. e M.A.S. e M.B.), tra cui, in particolare, i problemi dell’applicazione diretta del diritto UE in malam partem in materia penale e quello, connesso, della competenza della Corte a svolgere un bilanciamento degli standard nazionali di tutela più elevata dei diritti fondamentali con i principi del primato, unità ed effettività del diritto UE.

Peraltro, mentre la saga Taricco si era conclusa con la risoluzione del potenziale conflitto tra ordinamento dell’Unione e ordinamento nazionale attraverso il riconoscimento dell’applicabilità dello standard di tutela nazionale più elevato, in Lin la Corte di giustizia ne impone invece la parziale disapplicazione, con la conseguenza che se le giurisdizioni romene non accetteranno tale soluzione, il conflitto ordinamentale da virtuale potrà diventare reale. C’è, cioè, la possibilità di una risposta nazionale sulla linea dei problematici precedenti di alte giurisdizioni nazionali che hanno, in passato, messo in discussione il primato del diritto UE (come le recenti decisioni del Trybunał Konstytucyjny polacco del 2021 nn. P 7/20 e K 3/21 e, prima, la sentenza n. 22 del 2016 del Alkotmánybíróság ungherese, la decisione della Højesteret danese nel caso Ajos, sempre del 2016, e quella della Ústavní soud della Repubblica Ceca nel caso Pl. ÚS 5/12).

Su un piano più generale, poi, Lin è una decisione importante perché rappresentativa di alcune tendenze evolutive di lungo periodo della dottrina dell’effetto diretto che – operando, in sostanza, sulla sola base dell’incondizionatezza della norma da applicare direttamente e a prescindere dal fatto che essa attribuisca un vantaggio a una delle parti coinvolte nella controversia – sembrano spingere verso la progressiva affermazione nell’Unione di un sempre più generalizzato sindacato diffuso di conformità del diritto nazionale al diritto UE (v. su questa tendenza, criticamente, D. Gallo, 2022, p. 602 ss.).

Termini delle questioni pregiudiziali

 

Le questioni pregiudiziali decise in Lin erano state sollevate da un’autorità giudiziaria romena chiamata a pronunciarsi su dei ricorsi straordinari per l’annullamento di alcune condanne definitive per fatti di evasione fiscale in materia di IVA e accise sul gasolio e associazione per delinquere. I ricorrenti nel giudizio principale domandavano, in particolare, una revisione del proprio giudicato penale per la sopravvenienza di una disciplina più favorevole della prescrizione derivante da alcune sentenze della Curtea Constituțională che, se applicata ai loro casi, ne avrebbe comportato il proscioglimento.

In sintesi, la disciplina della prescrizione vigente al tempo dei processi, relativi a fatti del 2010, prevedeva un termine di 10 anni interrotto dal compimento di qualsiasi atto processuale nella causa. Con la sentenza n. 297/2018, tuttavia, il giudice costituzionale romeno aveva dichiarato illegittimo tale regime per la violazione del principio di legalità in materia penale in quanto l’attribuzione di un effetto interruttivo anche ad atti non comunicati alla persona sottoposta al procedimento penale comportava un livello di imprevedibilità dell’applicazione della norma incompatibile con lo standard qualitativo richiesto per le leggi penali (cfr. Curtea Constituțională, cit., spec. parr. 25 ss.). Successivamente, formatisi diversi orientamenti giurisprudenziali sulla normativa risultante in seguito alla pronuncia di incostituzionalità, la sentenza n. 358/2022 ha chiarito che, in assenza di un intervento del legislatore, i giudici non avrebbero potuto applicare né il regime della prescrizione previgente né, tantomeno, introdurre cause di interruzione per analogia: nel periodo intercorrente tra la sentenza n. 297/2018 e un futuro intervento legislativo, pertanto, nessun atto processuale avrebbe potuto interrompere la prescrizione (cfr. Curtea Constituțională, cit., parr. 72-73).

Anche se le sentenze del giudice costituzionale romeno hanno in genere effetto solo per il futuro (art. 147, comma 4 Constituția României), il regime di prescrizione risultante dalle richiamate sentenze della Curtea Constituțională – decennale e non interrompibile – costituisce una norma penale di diritto sostanziale più favorevole e va applicato retroattivamente (art. 15, comma 2 Constituția României). Per questa ragione, la Înalta Curte de Casație și Justiție ha stabilito con la sentenza n. 67/2022 che – salvi i casi di decisione espressa sulla questione dell’applicabilità del regime di prescrizione più favorevole – il ricorso straordinario di annullamento permette di ridiscutere le condanne divenute definitive dopo la sentenza n. 297/2018 in tutti i casi in cui l’applicazione del nuovo regime più favorevole avrebbe comportato l’estinzione del processo per l’intervento della prescrizione. Le sentenze di condanna passate in giudicato prima della sentenza n. 297/2018 restano invece irrevocabili (cfr. sent. n. 67/2022 cit., a doua chestiune de drept, spec. cpv. 11 ss.).

Per semplificare al massimo, siccome è su questo punto che divergono la soluzione interna e quella europea: l’applicazione retroattiva del regime di prescrizione più favorevole comporta l’invalidità degli atti interruttivi della prescrizione non solo successivi, ma anche precedenti alla sentenza n. 297/2018 (cfr. Lin, punto 78). Tutte le condanne divenute definitive dopo la sentenza n. 297/2018, che non abbiano esplicitamente considerato la questione del regime di prescrizione applicabile, possono quindi essere revocate se, in assenza dell’interruzione della prescrizione, il termine ordinario di 10 anni sarebbe scaduto prima della condanna.

In questo contesto, un giudice romeno domanda alla Corte di giustizia di risolvere due questioni pregiudiziali (formalmente tre, ma così riunite anche dalla Corte): in primo luogo se le disposizioni del diritto UE che impongono agli Stati membri di lottare efficacemente contro le lesioni degli interessi finanziari dell’Unione ostino alla revoca dei giudicati penali in base alle sentenze della Curtea Constituțională e dell’Înalta Curte e, in caso di risposta affermativa, se il diritto UE osti alla previsione o inflizione di sanzioni disciplinari in capo al giudice nazionale che abbia disapplicato, per tale ragione, le sentenze delle supreme magistrature nazionali.

L’effetto diretto dell’obbligo di prevedere sanzioni penali dissuasive ed effettive per tutelare gli interessi finanziari dell’Unione

 

La prima questione che la Corte di giustizia deve risolvere per rispondere a tali quesiti è quella delle conseguenze della violazione dell’obbligo di prevedere sanzioni dissuasive ed effettive a tutela degli interessi finanziari dell’Unione discendente dagli art. 325, par. 1 TFUE e dell’art. 2, par. 1, Convenzione TIF (applicabile ratione temporis). In altre parole, fermo il dovere del legislatore nazionale di rimediare l’inadempimento, la Corte deve anzitutto valutare se tali norme hanno o no effetti diretti.

La questione ha un evidente rilievo processuale dal momento che se queste norme hanno effetto diretto, i giudici nazionali possono disapplicare la normativa interna con esse contrastante; se invece non hanno effetto diretto, la risoluzione dell’antinomia resterebbe rimessa ai soli strumenti previsti dai singoli ordinamenti nazionali (sindacato interno di costituzionalità ovvero riforma da parte degli organi legislativi) e sarebbe sanzionabile, a livello dell’Unione, solo attraverso una procedura di infrazione.

In linea con i propri precedenti (cfr. giurisprudenza citata in Euro Box Promotion e a., punto 194), la Corte di giustizia conferma l’effetto diretto dell’art. 325 TFUE che impone ai giudici nazionali di disapplicare tutte le normative o prassi interne che ostino all’applicazione di sanzioni effettive e dissuasive per combattere reati gravi contro gli interessi finanziari dell’Unione generando rischi sistemici di impunità, tra cui un regime della prescrizione decennale e non interrompibile quale quello risultante dalle sentenze della Curtea Constituțională e della Înalta Curte (cfr. Lin, punti 88 ss.; ai fini di tale valutazione, la Corte fa riferimento anche ai dati sul funzionamento effettivo e sui tempi del sistema giudiziario romeno forniti dalla Commissione europea nel contesto di un meccanismo di monitoraggio sulle riforme dell’ordinamento giudiziario e la lotta alla corruzione avviato con l’ingresso della Romania nell’Unione, su cui v. la relazione della Commissione “On Progress in Romania under the Cooperation and Verification Mechanism”).

L’effetto diretto dell’art. 325 TFUE è espressamente collegato dalla Corte ai suoi soli termini «chiari e precisi» e non «corredati di alcuna condizione» (Lin, punto 96). Ciò determina un duplice allentamento della dottrina dell’effetto diretto: sia in riferimento al requisito della “precisione”, a cui è data, evidentemente, un’interpretazione molto ampia, sia a quello del carattere attributivo di vantaggi della norma da applicare direttamente, che, previsto dalla formulazione originaria della dottrina, è qui completamente obliterato.

Sotto entrambi gli aspetti, Lin sembra pertanto confermare una tendenza a valorizzare un modello di judicial review non accentrato (presso le Corti costituzionali nazionali) ma di carattere diffuso.

In questa prospettiva, difatti, la Grande sezione della Corte di giustizia si muove in continuità con un proprio recente precedente in cui era stato riconosciuto effetto diretto anche al principio di proporzionalità della pena, inteso come divieto preciso e incondizionato di infliggere pene sproporzionate, abilitando così i giudici nazionali a disapplicare le normative interne che ricadono nell’ambito di applicazione del diritto UE e prevedono pene eccessive (v. Bezirkshauptmannschaft Hartberg-Fürstenfeld, su cui, criticamente, F. Viganò, 2022; ho cercato di evidenziare alcuni possibili vantaggi di un sindacato diffuso compiuto da giudici comuni in P.F. Bresciani, 2022, pp. 637 ss.). Pur collocandosi nello stesso orizzonte ultimo di rafforzamento del sindacato diffuso attraverso un allentamento della dottrina Van Gend en Loos, Lin (così come Taricco) presenta tuttavia un profilo di problematicità specifico e ulteriore derivante dal fatto che l’effetto diretto opera a svantaggio dell’individuo sottoposto a un processo penale.

Il bilanciamento tra standard di tutela nazionale dei diritti e i principi di primato, unità ed effettività del diritto UE

 

Proprio perché l’effetto diretto dell’art. 325 TFUE è in malam partem, il dovere di disapplicazione delle normative nazionali contrastanti è esplicitamente subordinato dalla stessa Corte di giustizia al rispetto dei diritti fondamentali della persona sottoposta al procedimento penale (oltre a M.A.S. e M.B., cit., v. anche Dzivev e a., punti 33 ss.). In contesti in cui l’azione degli Stati membri non è interamente determinata dal diritto UE, peraltro, le autorità nazionali possono applicare i propri standard di tutela dei diritti fondamentali, fermo restando che spetta alla Corte valutare che essi non compromettano né lo standard di tutela previsto dalla CdFUE né i principi di primato, unità ed effettività del diritto UE (cfr. Lin, punti 100 ss.).

È nel contesto dell’applicazione di questo limite che si possono inserire contrasti tra ordinamento dell’Unione e ordinamenti nazionali quando gli standard di tutela non sono uniformi.

Nel caso di specie, difatti, lo standard di tutela dei principi di legalità in materia penale e di retroattività della legge più favorevole applicato dalle giurisdizioni romene è più elevato di quello dell’Unione, che ritiene entrambi i principi, previsti dall’art. 49 CdFUE, non applicabili alla prescrizione in quanto istituto di natura processuale (cfr. Lin, punto 108).

La soluzione finale della questione pregiudiziale dipende dunque dal bilanciamento tra gli standard romeni di tutela e i principi di primato, unità ed effettività del diritto UE.

A questo riguardo, la regola del conflitto affermata in Lin è che se è tollerabile il rischio di impunità generato dall’applicazione dello standard di tutela romeno relativo al principio di legalità in materia penale in base al quale non può essere applicato un regime di prescrizione che ha conseguenze imprevedibili per l’individuo, non è invece tollerabile l’aggravio di tale rischio che dipende dall’applicazione retroattiva del regime più favorevole (cfr. Lin, punti 118 e 120). In altre parole, l’assenza di cause di interruzione della prescrizione a partire dalla sentenza n. 297/2018, pur potendo compromettere l’efficacia della lotta contro le frodi gravi ai danni dell’Unione, non è incompatibile con i principi di primato, unità ed effettività del diritto UE; l’estensione dell’invalidità degli atti di interruzione della prescrizione anche agli atti avvenuti prima della sentenza n. 297/2018 e, dunque, la sua applicazione con effetti retroattivi determina invece un aumento del rischio sistemico di impunità che compromette i principi di primato, unità ed effettività del diritto UE.

La motivazione della decisione non chiarisce, in realtà, il criterio sostanziale che fonda la valutazione della Corte sull’intollerabilità del livello di rischio sistemico. Al riguardo, anche le conclusioni dell’Avvocato generale avevano sottolineato l’assenza di punti di riferimenti chiari nella giurisprudenza pregressa e avevano quindi sostenuto, in analogia al caso M.A.S. e M.B., di ritenere entrambi gli standard nazionali di tutela compatibili con il diritto UE (cfr. conclusioni dell’avvocato generale Campos Sánchez-Bordonael nel caso Lin, parr. 139 ss.).

La Corte di giustizia, invece, sembra avere valorizzato il profilo della dimensione retroattiva dello standard di tutela nazionale, comportante la necessità di ridiscutere un numero considerevole di giudicati penali. Questa dimensione, in effetti, era assente in Taricco, in cui la questione era, per quanto qui rileva, solo quella di evitare l’applicazione retroattiva di una legge penale meno favorevole a casi pendenti (Corte cost., 31 maggio 2018, n. 115, considerato in diritto, punti 7 ss.).

Fermo restando che l’effettiva ampiezza degli effetti retroattivi può dipendere da molti fattori (nel caso di specie, ad esempio, dipende anche dalla legislazione ordinaria sul ricorso straordinario di annullamento), l’idea che l’applicazione retroattiva di uno standard nazionale di tutela dei diritti fondamentali possa rappresentare l’elemento dirimente per valutarne la compatibilità con il diritto UE appare, di per sé, potenzialmente problematica. In molti ordinamenti nazionali, infatti, le pronunce del giudice costituzionale hanno normalmente un’efficacia retroattiva. Un criterio che valorizzi il solo profilo della retroattività appare per questo motivo poco pratico dato che rischia di generare conflitti interordinamentali dipendenti da un elemento del normale funzionamento dei sistemi di giustizia costituzionale nazionali.

L’immunità dal diritto disciplinare nazionale per il giudice che agisce nella qualità di giudice dell’Unione

 

L’ultima questione risolta dalla Corte di giustizia, invece, è di soluzione più lineare.

La disapplicazione del diritto interno, anche nella forma di sentenze vincolanti, per dare immediata applicazione al diritto UE in modo conforme a una pronuncia o alla giurisprudenza della Corte di giustizia non può costituire un illecito disciplinare. L’inflizione o la minaccia di una sanzione disciplinare in capo al giudice tenuto a dare immediata applicazione al diritto UE in forza del principio del primato costituirebbe «per definizione» una violazione di tale principio (Lin, punto 136).

Questa soluzione è coerente con la giurisprudenza pregressa della Corte (cfr. YP e a. (Revoca dell’immunità di un giudice e sospensione dalle sue funzioni), punti 85 ss.), oltre che perfettamente in linea con l’idea che i giudici degli Stati membri siano al tempo stesso giudici nazionali e, nell’adempimento dei compiti affidati loro dai Trattati, giudici dell’Unione. Nel contesto di un ordinamento giudiziario integrato così concepito, i poteri disciplinari che trovano il proprio fondamento nell’ordinamento giudiziario nazionale non possono interferire con l’esercizio delle funzioni attribuite dal diritto UE.

Resta naturalmente insoluto, perché derivante dalla questione ultima della Kompetenz-Kompetenz, il problema della responsabilità disciplinare per aver ottemperato a una pronuncia della Corte di giustizia che l’ordinamento interno consideri invece ultra vires o, comunque, non applicabile, come potrebbe peraltro accadere in caso la Curtea Constituțională dovesse rispondere a Lin insistendo per l’applicazione dello standard nazionale di tutela del principio di retroattività della legge penale più favorevole. In tali casi limite, all’attuale stato di sviluppo dell’Unione, gli unici rimedi resterebbero l’apertura di una procedura di infrazione (com’è successo di recente nel caso polacco, su cui v. Commissione/Polonia (Indipendenza e vita privata dei giudici)) e la ricerca di una soluzione politica del conflitto interordinamentale.