Comment dissuader le Royaume-Uni de violer le droit de l’Union européenne
CJUE, arrêt 28 septembre 2023, affaire C-692/20, Commission c. Royaume-Uni
Fuori ma dentro, ovvero come dissuadere il Regno Unito dal violare il diritto dell’Unione
How to Deter the United Kingdom from Violating EU Law
Premessa
La Corte di giustizia ha condannato il Regno Unito, paese non più membro dell’Unione europea, al pagamento di 32 milioni di euro, per non aver dato esecuzione ad una precedente sentenza di accertamento di un’infrazione (sentenza del 28 settembre 2023, nella causa C-692/20). Si tratta della multa tra le più alte finora irrogate ex art. 260, par. 2 TFUE, benché inferiore a quanto chiesto dalla Commissione, ma molto superiore a quanto proposto dall’Avvocato generale e significativamente superiore ai 250 mila euro che il Regno Unito era disposto a pagare. Già ad una veloce lettura, la pronuncia suscita una serie di interrogativi: qual è la base della competenza della Corte? La condanna potrà essere eseguita o è meramente simbolica? Che effetto dissuasivo potrà produrre per il Regno Unito che è uscito dalla UE il 31 gennaio 2020? La presente segnalazione cerca di offrire una prima risposta, dopo un breve riepilogo della vicenda.
La prima sentenza di inadempimento
Nel 2018, quando il Regno Unito aveva già comunicata al Consiglio europeo la decisione di recedere, dando avvio alla procedura dell’art. 50 TUE (durante la quale ha conservato la qualità di Stato membro, con l’obbligo di rispettare il diritto UE), la Corte di giustizia aveva constatato che il paese non aveva dato corretto attuazione alla direttiva 95/60 sulla marcatura fiscale dei gasoli e del petrolio lampante, in quanto consentiva l’uso del carburante marcato alle imbarcazioni private da diporto, in violazione della direttiva (17 ottobre 2018, causa C-503/17). Vale la pena ricordare che la Corte aveva in pari data accertato un analogo inadempimento dell’Irlanda (causa C-504/17). La direttiva è complementare al regime di armonizzazione delle disposizioni nazionali sulle accise sui carburanti e sulle esenzioni dal pagamento di tali accise, e stabilisce che il carburante tassato ad aliquota ridotta deve essere “marcato” cioè colorato con l’aggiunta di additivi, in modo da facilitare il controllo dell’evasione della tassa. I carburanti usati come propulsori dalle imbarcazioni non sono soggetti all’accisa, ma l’esenzione non si applica a quelli usati per la navigazione dalle imbarcazioni private da diporto.
Trascorsa neppure una settimana dalla sentenza, la Commissione indirizzava al Regno Unito una richiesta di informazioni su come intendeva procedere per eseguirla. Mentre l’Irlanda dava esecuzione alla sentenza il 1° gennaio 2020 (conclusioni dell’avvocato generale Collins dell’8 dicembre 2022, nella causa C-692/20, paragrafo 23), il Regno Unito non adottava i provvedimenti che aveva illustrato nella risposta alla richiesta di informazioni, sicché a metà maggio 2020 la Commissione inviava la lettera di diffida, e il 21 dicembre 2020 presentava il ricorso ex art. 260, par. 2.
La sentenza del 2023: l’accertamento dell’inadempimento
Secondo giurisprudenza consolidata, l’esistenza dell’inadempimento ad una precedente sentenza deve essere determinata alla data di scadenza della lettera di diffida. Nel caso in esame, tale data cadeva il 15 settembre 2020, quando il Regno Unito era ormai Stato terzo, ma rimaneva vincolato al diritto dell’Unione, secondo quanto stabilito dall’accordo di recesso (AR, su cui infra), fino al termine del periodo di transizione che sarebbe scaduto il 31 dicembre 2020. Dopo quella data, esso non è più vincolato alla direttiva 95/60, se non per il territorio dell’Irlanda del Nord. Infatti, la direttiva è elencata tra gli atti in materia di accise di cui all’art. 8 del Protocollo sull’Irlanda/Irlanda del Nord (Prot.), allegato all’AR e che ne costituisce parte integrante (art. 182 AR). In base all’art. 8, le autorità del Regno Unito sono responsabili dell’applicazione e dell’attuazione in Irlanda del Nord degli atti elencati.
Alla data di riferimento era «evidente», come dice la Corte, che il Regno Unito non aveva ancora adottato la legge necessaria all’esecuzione della sentenza e nessuno degli argomenti addotti a sua difesa è accolto. Non è necessario esaminare in dettaglio gli argomenti difensivi (tra i quali anche la pandemia di COVID-19!), salvo dedicare qualche riga all’affermazione secondo la quale la Commissione avrebbe lasciato al Regno Unito un termine eccessivamente breve per eseguire la sentenza prima di rivolgersi alla Corte ex art. 260, par. 2, e più breve di quello concesso in altre occasioni, in violazione del principio di parità tra gli Stati membri. Non vi è dubbio che la Commissione aveva nel caso di specie condizionamenti temporali stringenti, perché doveva agire entro la fine del periodo di transizione (il ricorso è stato presentato dieci giorni prima di quel termine), per essere certa che la Corte avrebbe avuto i poteri di cui all’art. 260, par. 2 (si v. oltre). Al contrario, il Regno Unito aveva interesse a procrastinare l’attuazione della direttiva e l’esecuzione della prima sentenza in riferimento all’intero territorio, posto che la direttiva in questione aveva una funzione chiaramente strumentale rispetto al regime delle accise, al quale come Stato terzo non avrebbe più partecipato.
Nel valutare l’argomento del Regno Unito, la Corte riconosce che la Commissione gode di ampio potere discrezionale nell’organizzare lo svolgimento della procedura precontenziosa e nel caso in questione i termini impartiti non sono stati né irragionevoli né insufficienti per adempiere alla loro funzione di dare allo Stato l’opportunità di rispettare i suoi obblighi e di sviluppare le proprie difese. Del resto, le motivazioni che possono spingere la Commissione, in ogni singolo caso, a decidere i tempi della procedura, sono irrilevanti e non soggette a sindacato giurisdizionale (punto 55).
La sentenza del 2023: la sanzione pecuniaria
La seconda parte della sentenza è dedicata alla determinazione del quantum della multa. Poiché il Regno Unito dava esecuzione all’obbligo contestato il 1° ottobre 2021 (quando è entrato in vigore il divieto per le imbarcazioni private da diporto in Irlanda del Nord di impiegare il carburante marcato), mancano i presupposti per l’applicazione di una penalità di mora, ma non della somma forfettaria. Per giurisprudenza consolidata, la determinazione della sanzione deve essere tale da dissuadere da futuri inadempimenti al diritto UE. Questo principio di diritto, espresso dalla Grande sezione nel 2005 (Commissione c. Francia, causa C-304/02, punto 97), è ribadito anche nella sentenza in commento (punti 95, 115 e 119), benché il Regno Unito non sia più membro dell’Unione.
Per determinare l’ammontare della sanzione, la Corte suole prendere in considerazione sia le caratteristiche dell’infrazione, sia l’atteggiamento dello Stato durante il procedimento ex art. 260, e considera a) la gravità dell’infrazione constatata, b) la durata dopo la pronuncia che l’ha constatata e c) la capacità finanziaria dello Stato (punto 96). L’insieme di questi elementi le consente di fissare un importo equo della multa. A differenza della Commissione, che utilizza formule matematiche per calcolare la multa, la Corte appare meno trasparente e, pur descrivendo quali sono gli elementi da prendere in considerazione, non ne quantifica il rispettivo peso, sicché la determinazione della sanzione appare più frutto di una valutazione equitativa che di un calcolo vero e proprio (si v. C. Amalfitano, La procedura di “condanna” degli Stati membri dell’Unione europea, Milano, 2012, p. 114).
Nel caso in esame, la valutazione relativa alla gravità dell’infrazione mette in bilanciamento il carattere indispensabile della direttiva 95/60 per la realizzazione degli obiettivi del mercato interno (punto 99; l’Avvocato generale è invece di diverso avviso e considera come circostanza attenuante «la portata ridotta del pregiudizio al conseguimento degli obiettivi della direttiva 95/60»: paragrafo 64 delle conclusioni), con la leale collaborazione mostrata dal Regno Unito sia durante la procedura precontenziosa (nuovamente in contrasto con l’Avvocato generale: paragrafo 44 delle conclusioni), sia in generale, per non aver mai omesso di dare esecuzione a una sentenza di infrazione (punto 112), e con la circostanza che la direttiva deve ormai essere applicata solo in Irlanda del Nord (punto 110).
La durata dell’infrazione è agevolmente calcolata contando i giorni intercorsi dalla data della sentenza che constata l’inadempimento al 1° ottobre 2021, data di esecuzione (pari a 1 079 giorni: punto 114). Infine, la capacità finanziaria del Regno Unito è rivelata dal PIL, perché consente di modulare l’effetto dissuasivo rispetto a futuri inadempimenti. La Corte – e qui è l’aspetto interessante – respinge l’obiezione del Regno Unito, secondo cui deve essere considerato solo il PIL dell’Irlanda del Nord, dal momento che con la fine del periodo di transizione la direttiva 95/60 si applica unicamente a quel territorio. Essa sottolinea che ai sensi dell’AR spetta alle autorità del Regno Unito dare attuazione e garantire l’applicazione delle disposizioni di diritto dell’Unione rese applicabili dal Prot. (punto 118) e tenere conto del solo PIL dell’Irlanda del Nord non consentirebbe di «fissare sanzioni sufficientemente dissuasive e proporzionate, e ciò allo scopo di prevenire in modo efficace la futura reiterazione di analoghe infrazioni al diritto dell’Unione» (punto 119). Peraltro, la limitata estensione geografica dell’obbligo di attuazione e applicazione della direttiva è già tenuta in considerazione nel determinare la gravità della violazione.
Gli interrogativi suscitati dalla pronuncia
a) La base della competenza della Corte di giustizia a giudicare la condotta del Regno Unito alla luce del diritto dell’Unione non è contestata dalle parti e la Corte la dà per scontata.
Il Regno Unito non è più membro dell’Unione europea dal 1° febbraio 2020, data di entrata in vigore dell’AR. Però, fino al 31 dicembre 2020 esso è rimasto vincolato al rispetto dell’acquis comunitario, seppure con le eccezioni previste dall’AR (art. 127), e assoggettato ai meccanismi di controllo relativi alla sua attuazione (art. 131). La Commissione era dunque competente ad avviare una procedura di infrazione, sia per una nuova infrazione, sia – come nel caso in esame – per la mancata esecuzione di una precedente pronuncia, e la Corte era competente a conoscere le cause iscritte al ruolo entro la fine del periodo di transizione (art. 86).
In realtà, se l’inadempimento contestato riguarda la violazione di un obbligo previsto dai Trattati istitutivi che si è verificato prima della fine del periodo di transizione, un’azione di infrazione ex art. 258 TFUE può essere avviata dalla Commissione nei quattro anni successivi alla fine del periodo di transizione (cioè fino al 31 dicembre 2024), e la Corte è competente a conoscerla (art. 87). L’art. 87 AR però non menziona l’art. 260 TFUE. Se è ragionevole affermare che la mancata esecuzione di una sentenza che accerta un inadempimento costituisce violazione di «uno degli obblighi […] incombenti in virtù dei trattati», e segnatamente dell’art. 260, par. 1, tuttavia, il tipo di procedura che può essere esperito dovrà essere quella dell’art. 258 TFUE (lettera di messa in mora e parere motivato) e non quella più snella dell’art. 260, par. 2 (lettera di diffida). La procedura però non potrebbe concludersi con l’irrogazione di una sanzione pecuniaria, stante il mancato richiamo all’art. 260, par. 2.
b) Secondo l’art. 89 AR, le sentenze che la Corte è competente a rendere dopo la fine del periodo di transizione sono vincolanti per il Regno Unito e hanno forza esecutiva, alle condizioni previste dagli art. 280 e 299 TFUE. L’AR non aggiunge altro. Secondo i Trattati, il compito di recuperare le somme che gli Stati sono tenuti a versare al bilancio dell’Unione a titolo di sanzione pecuniaria spetta alla Commissione, che ha adottato in proposito una decisione relativa alle disposizioni procedurali interne per il recupero dei crediti derivanti dalla gestione diretta e il recupero di multe, somme forfettarie e penalità di mora ai sensi dei trattati.
c) La Corte enfatizza la necessità di determinare l’ammontare della sanzione pecuniaria ad un livello tale da assicurare l’effetto dissuasivo di ulteriori infrazioni. Se questo ha perfettamente senso per uno Stato membro, ci si può chiedere quali ulteriori violazioni del diritto dell’Unione potrebbe commettere il Regno Unito, una volta uscito dall’Unione.
In forza dell’AR il paese conserva un certo numero di obblighi, il cui inadempimento potrebbe essere portato alla cognizione della Corte di giustizia. Alcune disposizioni dell’AR, infatti, prorogano la competenza della Corte di giustizia ex art. 258 e 260 a una serie di questioni che riguardano il diritto dell’Unione che continuerà ad applicarsi anche dopo la fine del periodo di transizione. Si tratta dell’art. 160 AR, nella parte quinta, sulle disposizioni finanziarie; dell’art. 12, par. 4, Prot., sul rispetto di taluni obblighi del Regno Unito relativi alla libera circolazione delle merci (tra i quali l’art. 8, sulle accise, già richiamato); dell’art. 12 del Protocollo sulle zone di sovranità del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord a Cipro, che rimangono nell’unione doganale e dove una serie di atti dell’Unione sulle merci continua ad applicarsi. Nella sua più recente comunicazione dal titolo Sanzioni pecuniarie nei procedimenti d’infrazione, la Commissione chiarisce che nel proporre sanzioni pecuniarie per il Regno Unito, si atterrà agli stessi criteri sostanziali e alla stessa formula stabilita per gli altri Stati membri.
La competenza della Corte si pone come speciale rispetto a quello di tipo arbitrale che l’AR prevede per la soluzione delle controversie relative all’AR (sul quale si v. S. Peers, Analysis 3 of the Revised Brexit Withdrawal Agreement: Dispute Settlement, in EU Law Analysis, 2019). È interessante notare che il mancato rispetto di un lodo arbitrale potrà essere sanzionato da una multa che, se non versata entro un mese, potrebbe portare alla sospensione di diritti che la parte inadempiente trae dall’AR o da altri accordi collegati (art. 178).
In conclusione, benché ormai fuori dall’Unione, il Regno Unito continua ad essere vincolato ad una parte del diritto dell’Unione e la sentenza in esame è un monito a valutare bene le conseguenze di una violazione che potrebbe letteralmente costargli cara.