La Cour de Justice se prononce sur le premier pourvoi admis au sens de l’article 58 bis du Statut et confirme le caractère restrictif du « filtrage » des pourvois
Cour de justice, 27 février 2024, Affaire C-382/21 P, EUIPO c. The KaiKai Company Jaeger Wichmann Gbr
La Corte di giustizia si pronuncia sul primo pourvoi ammesso ai sensi dell’articolo 58 bis dello statuto e conferma il carattere restrittivo del “filtro” sulle impugnazioni
The Court of Justice rules on the first appeal allowed under article 58a of the Statute and confirms the restrictive character of the appeals’ “filter”
Premessa
Con sentenza del 27 febbraio 2024 la Corte di giustizia, in qualità di giudice del pourvoi, ha annullato la sentenza del Tribunale dell’Unione resa nella causa T‑579/19, accogliendo l’impugnazione presentata dall’ Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO). La relativa vicenda è stata oggetto di particolare attenzione in dottrina in quanto solleva interessanti questioni sostanziali che riguardano, da una parte, l’effetto diretto della Convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale (si v. in merito D. Sarmiento, S. Iglesias, 2024) e, dall’altra, la possibilità di rivendicare un diritto di priorità di una domanda internazionale di brevetto anteriore al momento del deposito di una domanda di registrazione di un disegno o modello (sul punto v. G. Hartman, 2023).
Tuttavia, la sentenza è interessante anche da un punto di vista squisitamente processuale. Si tratta, infatti, del primo pourvoi ammesso dalla Corte a seguito dell’introduzione del meccanismo di ammissione preventiva delle impugnazioni, oggi previsto all’art. 58 bis dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea (in prosieguo lo “Statuto”). Come è noto, tale meccanismo di filtraggio è stato introdotto dal regolamento 2019/629, recante modifica del Protocollo n. 3 sullo Statuto, per ridurre il carico di lavoro della Corte (v. il considerando 4 del regolamento 2019/629) e fa parte di quel più grande “cantiere” di riforme che interessa la giurisdizione dell’Unione (si v. la rubrica dedicata su questa rivista).
La procedura di ammissione preventiva davanti alla Corte riguarda le impugnazioni di pronunce in cui il Tribunale si esprime sulla legittimità di una decisione di una commissione di ricorso indipendente di quattro uffici e agenzie dell’Unione (l’EUIPO, l’Ufficio comunitario delle varietà vegetali, l’Agenzia europea per le sostanze chimiche e l’Agenzia dell’Unione europea per la sicurezza aerea), nonché quelle commissioni di ricorso istituite dopo il 1° maggio 2019. Più di recente, un’ulteriore riforma del Protocollo n. 3 dello Statuto (già approvata, ma formalmente non ancora entrata in vigore) ha esteso il numero degli uffici e agenzie dell’Ue interessati dal meccanismo (per un commento generale si v. L. De Lucia, 2022).
Ai sensi dell’art. 58 bis dello Statuto, il ricorso davanti alla Corte è ammissibile solo qualora presenti «una questione importante per l’unità, la coerenza o lo sviluppo del diritto dell’Unione», mentre l’onere della prova spetta al ricorrente, che deve presentare domanda di ammissione attraverso un documento separato allegato al ricorso (art. 170 bis del Regolamento di procedura della Corte). Si tratta di una formulazione che, come già sottolineato in dottrina, riecheggia, da una parte, i presupposti per la richiesta di riesame ex art. 62, comma 1, dello Statuto e, dall’altra, le «nuove questioni di diritto» di cui all’art. 20, ultimo comma, dello Statuto, la cui assenza consente alla Corte di giudicare una causa senza le conclusioni dell’avvocato generale (M. Condinanzi, 2018).
Pochissime sono le impugnazioni ammesse a oggi dalla Corte: su 216 decisioni relative all’ammissione delle impugnazioni prese dalla Corte nel periodo 2019-2023 solo sette sono state ammesse, tutte riguardanti decisioni dell’EUIPO (si v. le Statistiche giudiziarie della Corte di giustizia, edizione 2023). Lo scenario che emerge è così quello di una soglia di ammissione particolarmente alta: la nozione di «questione importante per l’unità, la coerenza o lo sviluppo del diritto dell’Unione», non chiarita dallo Statuto, è stata infatti interpretata dalla Corte in termini molto stringenti e tali da evidenziare l’interesse pubblico sotteso alla procedura di filtro (M. F. Orzan, 2020; P. Iannuccelli, 2022). La sentenza in esame si presenta in continuità con questo quadro: non solo le questioni sostanziali coinvolte erano di estrema rilevanza per le relazioni esterne dell’Unione e i diritti di proprietà intellettuale, ma la Corte ha ribaltato la sentenza del Tribunale, impedendo pertanto il consolidamento dell’interpretazione accolta da quest’ultimo, ed evidenziando così la propria funzione nomofilattica.
La vicenda processuale
La vicenda che ha portato alla pronuncia in commento ha origine dalla decisione della terza commissione di ricorso dell’EUIPO di non riconoscere alla società tedesca The KaiKai Company Jaeger Wichmann Gbr (in prosieguo “KaiKai”) un diritto di priorità relativamente a una domanda di registrazione multipla riguardante dodici disegni o modelli comunitari, da essa presentata in data 24 ottobre 2018. La KaiKai aveva infatti rivendicato per tali disegni e modelli una priorità fondata su una domanda internazionale depositata in data 26 ottobre 2017, a norma del Trattato di cooperazione in materia di brevetti (TCB), presso l’Ufficio europeo dei brevetti (EPO). L’EUIPO aveva rifiutato la concessione del diritto di priorità in ragione del fatto che la data di deposito della domanda internazionale all’EPO precedeva di oltre sei mesi la domanda di registrazione presso l’EUIPO. Tale decisione era poi stata impugnata dalla KaiKai davanti al Tribunale dell’Unione.
Con sentenza del 14 aprile 2021, il Tribunale, accogliendo la seconda parte del secondo motivo di ricorso presentato dalla KaiKai, ha annullato la decisione della terza commissione di ricorso dell’EUIPO ritenendo che quest’ultima non avesse preso in considerazione, nel definire il termine entro il quale può essere rivendicato un diritto di priorità, l’art. 4, sez. C, par. 1, della Convenzione di Parigi. Il Tribunale aveva rinvenuto una lacuna nell’art. 41, par. 1, del regolamento 6/2002, nella misura in cui esso non prevedeva il termine per rivendicare la priorità di una domanda internazionale di brevetto nell’ambito di una domanda successiva di disegno o modello. Esso aveva poi ritenuto che tale lacuna andasse colmata con riferimento all’art. 4 della Convenzione di Parigi, poiché ad essa mirano a conformarsi le disposizioni del regolamento 6/2002 relative al diritto di priorità. Il Tribunale aveva invece respinto la prima parte del motivo presentato dalla KaiKai, concernente un errore di diritto nell’interpretazione della nozione di “modello di utilità”.
Avverso la decisione del Tribunale, l’EUIPO ha presentato un’impugnazione che ha superato il meccanismo filtro previsto all’art. 58 bis dello Statuto. Con l’ordinanza del 10 dicembre 2021, la Sezione per l’ammissione delle impugnazioni della Corte ha infatti ammesso l’impugnazione dell’EUIPO, ritenendo che il ricorrente avesse ben esposto le «ragioni concrete» che rendono la questione importante per l’unità, la coerenza e lo sviluppo del diritto dell’Unione. In particolare, il ricorrente aveva evidenziato come una erronea interpretazione, da parte del Tribunale, dell’art. 41, par. 1, del regolamento n. 6/2002 avrebbe avuto «ripercussioni sulla ricevibilità delle rivendicazioni di priorità per i disegni e modelli comunitari nonché sulla valutazione della novità di un disegno o modello comunitario» (punto 31); al contempo, il riconoscimento dell’effetto diretto all’art. 4 della Convenzione di Parigi avrebbe prodotto «conseguenze sistemiche pregiudizievoli», rappresentando un vincolo per l’attività del legislatore dell’UE e degli Stati membri, e si sarebbe altresì posto in contrasto con gli obiettivi della Convenzione di Parigi e dell’Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (accordo ADPIC), che costituisce l’allegato 1 C dell’accordo istitutivo dell’OMC (punto 33).
La sentenza della Corte di giustizia
La pronuncia della Corte è stata accompagnata dalla presenza di due significativi istituti processuali. Si tratta, infatti, di una sentenza resa dalla grande sezione, dopo aver ritenuto opportuno ricevere le conclusioni dell’avvocato generale: un trattamento che non è stato riservato ad altri casi simili (si v., in merito, la causa C-580/22 P, bonnanwalt c. EUIPO, nonché la relativa segnalazione di R. Torresan, 2024, su questa rivista) e conferma ancor di più la rilevanza della causa in esame.
Ma ad avvalorare l’approccio restrittivo all’ammissibilità delle impugnazioni non è solo la natura delle questioni coinvolte. La non ammissione dell’impugnazione avrebbe infatti comportato la cristallizzazione dell’orientamento giurisprudenziale del Tribunale, con importanti conseguenze per diversi istituti del diritto dell’Unione. Difatti, nella sentenza in esame non solo la Corte si è pronunciata a favore dei ricorrenti, ma ha ribaltato l’interpretazione accolta dal Tribunale, ritenendo che questa fosse viziata da due errori di diritto, per poi statuire definitivamente sulla controversia.
Dopo aver ribadito che l’art. 4 della Convenzione di Parigi è privo di effetto diretto, la Corte ha precisato che il regolamento n. 6/2002 e, in particolare, il suo art. 41, par. 1, deve essere interpretato, nella misura del possibile, conformemente a tale disposizione poiché essa è incorporata nell’accordo ADPIC, di cui l’Unione è parte. E tuttavia, la Corte ha ritenuto che il Tribunale avesse «manifestamente ecceduto» i limiti di tale interpretazione conforme, procedendo, in suo luogo, «a un’applicazione diretta di tale articolo 4 [della Convenzione di Parigi], così come interpretato da tale giudice, a dispetto del chiaro tenore letterale di tale articolo 41, paragrafo 1, e contravvenendo al carattere esaustivo di quest’ultima disposizione» (punto 74, enfasi aggiunta). Difatti, la Corte, discostandosi dalla posizione dell’avvocato generale, ha ritenuto che l’art. 41 del regolamento n. 6/2002 non contenesse alcuna lacuna. La mancata precisazione del termine entro cui rivendicare un diritto di priorità basato su una domanda anteriore di registrazione di un brevetto è conseguenza del fatto che tale disposizione, che ha carattere esaustivo, non consente in alcun modo di fondare un siffatto diritto di priorità. L’unico diritto di proprietà che può essere fondato su una domanda internazionale anteriore è quello che ha ad oggetto un modello di utilità, il cui relativo termine è di sei mesi.
In secondo luogo, la Corte ha ritenuto che il Tribunale fosse incorso in un secondo errore di diritto nell’interpretare la Convenzione di Parigi. Il relativo art. 4 non consente infatti di invocare un diritto di priorità per una forma di protezione diversa da quella richiesta in precedenza, se non per una serie di ipotesi tassativamente previste, tra le quali non figura il caso in esame. La Corte ha così concluso che tale disposizione «non consente di rivendicare la priorità di una domanda di brevetto anteriore al momento del deposito di una domanda di disegno o modello posteriore, e quindi, a fortiori, non prevede norme relative al termine impartito al depositante a tal fine» (punto 85).
Infine, la Corte, discostandosi nuovamente dalla posizione dell’avvocato generale, ha deciso di statuire direttamente sulla controversia, come previsto all’art. 61 dello Statuto, ritenendo che lo stato degli atti lo permettesse, atteso che il contraddittorio sui motivi presentati si era già svolto dinanzi al Tribunale e non era necessaria una nuova istruttoria. Essa ha quindi respinto in quanto irricevibile il primo motivo in ragione della mancanza di elementi giuridici a supporto. La seconda parte del secondo motivo, con cui la KaiKai sosteneva che la mancata chiarezza dell’art. 41 del regolamento n. 6/2002 andasse risolta con l’applicazione dell’art. 4, sez. C, par. 1, della Convenzione di Parigi, è stata invece dichiarata infondata alla luce dell’interpretazione fornita poc’anzi dalla Corte.
Considerazioni conclusive
La discrezionalità attribuita alla Corte dall’art. 58 bis dello Statuto ha spinto l’avvocato generale Ćapeta a sostenere che il filtro di ammissione preventiva richiama il meccanismo statunitense del certiorari. Ciò in ragione del fatto che «[l]a sua ragion d’essere non è la correzione di qualsiasi errore del Tribunale, ma solo di quelli di notevole importanza», ossia quando «la pronuncia della Corte di giustizia può incidere in modo fondamentale sull’ordinamento giuridico dell’Unione» (punto 36 delle conclusioni), con la conseguenza di accrescere «la funzione della Corte di giustizia quale Corte suprema e costituzionale dell’Unione europea» (punto 37). Come sottolineato in dottrina, considerando la predominanza quantitativa dei casi riguardanti i diritti di proprietà intellettuale, è ad oggi più opportuno parlare di un certiorari limitato al settore dei marchi e disegni industriali (L. De Lucia, 2024). Ad ogni modo, se una valutazione circa la natura e il ruolo del meccanismo di ammissione preventiva è necessariamente provvisoria, in attesa dell’ulteriore sviluppo della prassi, la sentenza esaminata tratteggia un meccanismo di filtro interpretato attraverso canoni particolarmente restrittivi e volto alla correzione di errori macroscopici da parte del Tribunale.