Arbitrage et renvoi préjudiciel: un autre refus de la Cour de justice. Une impasse sans issue?
Cour de justice, 7 Mai 2024, affaire C-115/22, S0 e Nationale Anti-Doping Agentur Austria GmbH (NADA)
Arbitrato e rinvio pregiudiziale: un altro rifiuto della Corte di giustizia. Una strada senza uscita?
Arbitration and reference for a preliminary ruling: another denial from the Court of justice. A dead end?
Con la sentenza del 7 maggio 2024, la Corte di giustizia è tornata a pronunciarsi su di un tema ormai “classico”, ossia quello della ricevibilità di una domanda di pronuncia pregiudiziale sottoposta ad essa da un organo arbitrale. La Corte, nella sentenza resa nella causa C-115/22, S0 e Nationale Anti-Doping Agentur Austria GmbH (NADA) (la “Sentenza NADA”) ha ribadito la tradizionale soluzione negativa: la domanda è stata dichiarata irricevibile. Così facendo, peraltro, la Corte ha mancato l’occasione di rivedere la propria precedente giurisprudenza, in un senso da più parti auspicato, idoneo a superare alcune asperità nel rapporto tra sistema europeo e giustizia arbitrale, e finendo dunque per renderlo più “conflittuale”. A ciò si aggiunge un altro dato: la pronuncia della Corte è intervenuta in riferimento ad un rinvio pregiudiziale disposto da un organo arbitrale che conosceva di una controversia in materia sportiva e dunque poteva andare a toccare alcuni punti “sensibili” di una giurisprudenza in maturazione, che ha visto un sempre più attivo intervento della Corte di giustizia in materia di rapporti tra diritto europeo e regole sportive. La decisione di irricevibilità ha così “evitato” una nuova pronuncia in siffatto settore.
La vicenda che ha portato alla Sentenza NADA è assai brevemente riassumibile. Un’atleta professionista, affiliata alla federazione austriaca di atletica leggera, veniva ritenuta responsabile, dai competenti organi sportivi, di una violazione delle regole antidoping, per aver detenuto sostanze vietate. Nell’ambito del procedimento sportivo che aveva portato alla sua condanna e alla conseguente imposizione di sanzioni, l’atleta chiedeva che il suo nome non venisse divulgato al pubblico attraverso la pubblicazione su di un sito Internet liberamente accessibile, con l’informazione delle violazioni da lei commesse e della sanzione che le era stata inflitta. Siffatta richiesta veniva respinta dall’organo disciplinare e la pronuncia sul punto (così come la sanzione disciplinare) veniva impugnata di fronte all’organo arbitrale (USK – Unabhängige Schiedskommission) competente a giudicare sugli appelli in materia antidoping secondo la legislazione austriaca di settore (la Anti-Doping-Bundesgesetz del 2021 – ADBG). L’USK decideva di sospendere il procedimento di fronte ad esso pendente e di sottoporre alla Corte di giustizia cinque questioni pregiudiziali aventi ad oggetto norme del regolamento UE n. 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE, in GUUE L 119, 4.5.2016, p. 1 ss. (regolamento generale sulla protezione dei dati – il GDPR), per sapere, in buona sostanza se esso, correttamente interpretato, ostasse all’applicazione della normativa austriaca che imponeva la pubblicazione dei dati personali dell’atleta in questione.
Anche la pronuncia della Corte può essere rapidamente sintetizzata. In essenza, la Corte ricorda la caratteristica del procedimento contemplato dall’art. 267 TFUE, quale strumento di cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali, grazie al quale la prima fornisce ai secondi gli elementi di interpretazione del diritto dell’Unione che sono ad essi necessari per la soluzione della controversia che sono chiamati a dirimere, e la conseguenza da essa derivabile, ossia che per essere legittimato ad adire la Corte nell’ambito del procedimento pregiudiziale, l’organismo di rinvio deve poter essere considerato come “giurisdizione”. A tal riguardo si ribadisce che, per valutare, nell’esercizio della funzione ad essa spettante, se l’organo di rinvio sia una “giurisdizione”, la Corte deve tener conto di un assieme di elementi, tra cui la origine legale di siffatto organo, il suo carattere permanente, l’obbligatorietà della sua giurisdizione, l’instaurazione del contraddittorio nel suo procedimento, l’applicazione da parte sua di norme giuridiche, nonché l’indipendenza. In tale misura, dunque, la Corte ribadisce una giurisprudenza assai consolidata, anche laddove ricorda che i giudici nazionali sono legittimati ad adire la Corte soltanto quando sia pendente dinanzi ad essi una controversia ed essi sono chiamati a statuire nell’ambito di un procedimento destinato a sfociare in una decisione a carattere giurisdizionale (Corte giust., 30 giugno 1966, causa 61/65, Vaassen-Goebbels; 17 settembre 1997, causa C-54/96, Dorsch Consult, punto 23; 19 settembre 2006, causa C-506/04, Wilson, punto 48; 21 ottobre 2010, causa C-385/09, Nidera, punto 35; 22 dicembre 2010, causa C-118/09, Koller, punto 22; 13 febbraio 2014 (ord.), causa C-555/13, Merck, punto 16; 12 giugno 2014, causa C-377/13, Ascendi Beiras, punto 23; 17 luglio 2014, cause riunite C-58/13 e C-59/13, Torresi, punto 17; 21 febbraio 2020, causa C‑274/14, Banco de Santander, punto 51; 29 marzo 2022, causa C-132/20, Getin Noble, punto 66; 3 maggio 2022, causa C-453/20, City Rail, punto 41. La formula ripresa dalla Corte di giustizia è peraltro conforme a quanto già espresso in una giurisprudenza assai consolidata. Per lo sviluppo di essa cfr. 14 dicembre 1971, causa 43/71, Politi, punto 5; 6 ottobre 1981, causa 246/80, Broekmeulen, punto 16; 5 marzo 1986 (ord.), causa 318/85, Unterweger, punto 4; 19 ottobre 1995, causa C-111/94, Job Centre, punto 9; 12 dicembre 1996, cause riunite C-74/95 e C-129/95, Procedimenti penali a carico di X, punto 18; 16 ottobre 1997, cause riunite C-69/96 e C-79/96, Garofalo, punto 19; 22 ottobre 1998, cause riunite C-9/97 e C-118/97, Pitkäranta, punto 18; 4 febbraio 1999, causa C-103/97, Köllensperger, punto 17; 26 novembre 1999, causa C-440/98, RAI, punto 11; 26 novembre 1999 (ord.), causa C-192/98, ANAS, punto 20; 30 maggio 2002, causa C-516/99, Schmid, punto 34; 18 giugno 2002, causa C-92/00, Hospital Ingenieure Krankenhaustechnik Planungs-Gesellschaft, punto 25; 27 gennaio 2005, causa C-125/04, Denuit e Cordenier, punto 12; 31 maggio 2005, causa C-53/03, Syfait, punto 29; 30 giugno 2005, causa C-165/03, Längst, punto 25; 14 giugno 2007, causa C-246/05, Häupl, punto 16; 16 dicembre 2008, causa C-210/06, Cartesio, punto 55; 12 gennaio 2010 (ord.), causa C-497/08, Amiraike Berlin, punto 17; 22 dicembre 2010, causa C-517/09, causa RTL Belgium, punto 36; 24 marzo 2011 (ord.), causa C-344/09, Bengtsson, punto 18; 14 giugno 2011, causa C-196/09, Miles, punto 37).
Posti tali principi, la Corte, ritenuti soddisfatti i criteri attinenti all’origine legale, al carattere permanente, all’obbligatorietà della giurisdizione, nonché allo svolgimento in contraddittorio del procedimento di fronte ad esso, focalizza la propria attenzione sul requisito dell’indipendenza dell’USK, condizione indispensabile per una tutela giurisdizionale effettiva, inerente alla funzione del giudicare. Riassunte le caratteristiche di siffatta condizione (sia nella loro dimensione esterna che in quella interna), la Corte rileva come l’inamovibilità dei membri dell’USK non fosse garantita da alcuna norma specifica, ancorché essi fossero indipendenti nell’esercizio delle loro funzioni e soggiacessero al principio di imparzialità. La legislazione austriaca prevedeva infatti che i membri dell’USK potessero essere revocati con decisione del Ministro dello sport, ossia di un membro dell’esecutivo, senza che fossero stati preventivamente stabiliti criteri e garanzie precise. Ne conseguiva, dunque, secondo la Corte, che la normativa nazionale non garantiva che i membri dell’USK si trovassero al riparo da pressioni esterne. Poteva dubitarsi dunque della loro indipendenza, cosicché l’USK non soddisfaceva il requisito dell’indipendenza proprio di una giurisdizione, considerata nella sua dimensione esterna. Il rinvio pregiudiziale era dunque inammissibile.
La duplicità di aspetti riconducibili alla nozione di indipendenza e il loro carattere essenziale è stata sottolineata dalla Corte di giustizia in più occasioni (cfr. 19 settembre 2006, causa C-506/04, Wilson, cit., punti 50 ss.; 21 gennaio 2020, causa C‑274/14, Banco de Santander, cit., punto 57). L’aspetto esterno presuppone che l’organo in questione sia tutelato da pressioni o da interventi, che mettano a repentaglio l’indipendenza di giudizio dei suoi membri per quanto riguarda le controversie ad essi sottoposte. La libertà da elementi esterni richiede dunque garanzie intese a tutelare la persona che svolge la funzione giurisdizionale e a sottrarla a vincoli gerarchici o all’osservanza di istruzioni di qualsiasi tipo che possano esserle impartite. L’aspetto interno si ricollega invece alla nozione di imparzialità e riguarda l’equidistanza rispetto alle parti della controversia e ai loro rispettivi interessi riguardo ad essa. Tale condizione impone il rispetto dell’obiettività e l’assenza di qualsiasi interesse nella soluzione della controversia al di là della stretta applicazione delle regole. Le garanzie di indipendenza e di imparzialità implicano dunque l’esistenza di disposizioni relative alla composizione dell’organo ed alla sua nomina, alla durata delle funzioni, alle cause di astensione, di ricusazione e di revoca dei suoi membri, che consentano di fugare qualsiasi dubbio che legittimamente i singoli possano nutrire in merito all’impermeabilità di detto organo rispetto ad elementi esterni e alla sua neutralità rispetto agli interessi contrapposti. Nella sentenza 29 marzo 2022, causa C-132/20, Getin Noble Bank, punti 69-71, la Corte ha poi sottolineato che, qualora la domanda posta in via pregiudiziale provenga da un organo giurisdizionale, si presume che questo presenti i requisiti di indipendenza a prescindere dalla sua composizione. Tale presunzione può tuttavia essere rovesciata nel caso in cui una decisione giudiziaria definitiva (di un organo nazionale o internazionale) porti a ritenere che il giudice costituente l’organo di rinvio non abbia la qualifica di organo indipendente, imparziale, precostituito per legge.
La Sentenza NADA, si noti, si distacca dalle conclusioni formulate il 14 settembre 2023 dall’Avvocato generale Ćapeta, che aveva proposto di ritenere l’USK una giurisdizione ai sensi (e ai fini) dell’art. 267 TFUE, in quanto avente origine legale, carattere permanente, giurisdizione obbligatoria, esercitabile nell’ambito di un procedimento in contraddittorio, e natura indipendente. Su questo ultimo punto, poi letto diversamente dalla Corte, l’Avvocato generale sottolineava come ai sensi dell’ABBG la revoca del mandato dei suoi componenti non potesse essere disposto dal Ministro competente che per gravi motivi, e non solo per non gradimento o per dissenso con le loro opinioni.
La pronuncia della Corte di giustizia rappresenta un’altra espressione della chiusura da questa mostrata nei confronti del mondo dell’arbitrato. È infatti (come detto) giurisprudenza ormai consolidata quella per la quale un tribunale arbitrale, che deriva l’investitura come organo chiamato a decidere una controversia della volontà delle parti, non sia considerato dalla Corte di giustizia costituire una “giurisdizione nazionale” abilitata ad interloquire con essa attraverso un rinvio pregiudiziale. Nella sentenza 23 marzo 1982, causa 102/81, Nordsee, la Corte di giustizia ha rilevato a tal proposito che «è vero che l’attività dell’arbitro […] consente taluni raffronti con l’attività giudiziaria, in quanto l’arbitrato si svolge nell’ambito della legge, l’arbitro deve decidere secondo il diritto e il suo lodo avrà, nei confronti delle parti, efficacia di cosa giudicata, potendo costituire titolo esecutivo una volta ottenuto l’exequatur. Ciononostante, tali caratteristiche non sono sufficienti per conferire all’arbitro lo status di “giurisdizione di uno Stato membro”. […], al momento della conclusione del contratto […], i contraenti erano liberi di affidare la soluzione delle loro eventuali controversie al giudice ordinario o di scegliere la via dell’arbitrato inserendo nel contratto una clausola in tal senso. […] non esisteva, per i contraenti, alcun obbligo, né giuridico, né di fatto, di risolvere le loro liti mediante arbitrato. […] le pubbliche autorità tedesche non sono implicate nella scelta della via dell’arbitrato e […] non possono intervenire d’ufficio nello svolgimento del procedimento dinanzi all’arbitro. […] da queste considerazioni discende che il nesso tra il presente arbitrato e l’organizzazione dei mezzi d’impugnazione ordinari nello Stato membro interessato, non è abbastanza stretto perché l’arbitro possa qualificarsi “giurisdizione di uno Stato membro” ai fini della messa in opera della procedura pregiudiziale».
Tale caratteristica è stata dunque riservata dalla Corte di giustizia ai tribunali arbitrali istituiti per legge, la cui competenza non deriva dall’accordo delle parti (Corte giust., 12 giugno 2014, causa C-377/13, Ascendi Beiras, cit., punto 28; 17 ottobre 1989, causa 109/88, Danfoss, punti 7-8; 30 giugno 1966, causa 61/65, Vaassen-Goebbels, cit.; nonché l’ordinanza 13 febbraio 2014, causa C-555/13, Merck, cit., punto 18). Organi per i quali potrebbe dunque nutrirsi qualche dubbio (non privo di concretezza) circa la loro riconducibilità all’arbitrato in senso proprio, posto che questo implica per definizione che il fondamento del potere di giudizio dell’organo ai quali la controversia viene sottoposta sia riconducibile al consenso delle parti, espresso in apposito patto compromissorio (F. De Santis, Arbitrato rituale e giurisdizione statale, in Trattato di diritto dell’arbitrato, I. Profili generali, Napoli, 2019, p. 149 ss.).
Accanto a ciò, peraltro, la Corte di giustizia ha sottolineato come comunque gli Stati membri, nel prevedere la possibilità che una controversia sia sottoposta per la decisione ad arbitri, abbiano di regola riservato ai propri organi giudiziali una possibilità di controllo, ancorché limitata, della pronuncia arbitrale, in sede di sua impugnazione. Dunque, si è chiarito che i giudici chiamati a pronunciarsi sulla validità di un lodo devono poter esaminare questioni relative al diritto europeo anche al di là dei limiti posti dalle regole procedurali interne e disporre all’occasione un rinvio alla Corte di giustizia (sul punto si veda 1° giugno 1999, causa C-126/97, Eco Swiss, punto 40; 27 aprile 1994, causa C-393/92, Comune di Almelo, punto 23). In altre parole, sottratta agli arbitri, la facoltà di rinvio può essere esercitata dagli organi dell’impugnazione, ai quali spetta comunque un potere di controllo circa la corretta applicazione del diritto europeo: affinché ciò sia possibile, dunque, risultano condizionate le regole interne che definiscono i poteri delle “giurisdizioni nazionali”. E tale possibilità di rinvio pregiudiziale da parte del giudice di uno Stato membro, in sede di impugnazione, finisce per costituire elemento indefettibile per il riconoscimento della “legittimità” europea dell’arbitrato, esclusa nel caso Achmea (sentenza del 6 marzo 2018, causa C-284/16, punti 31-60) in relazione ai procedimenti arbitrali di soluzione delle controversie in materia di investimenti, proprio perché il tribunale arbitrale, chiamato ad applicare il diritto europeo non era abilitato a sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale e in relazione ad esso non potevano essere estesi i presidi di garanzia della corretta applicazione di quel diritto, in quanto esso fondava la propria giurisdizione su di un accordo internazionale vincolante per lo Stato membro, che lo poneva al di fuori del sistema giurisdizionale dell’Unione.
A ciò deve aggiungersi una recente, ulteriore (ma congruente con quanto precede) espressione di sfiducia rispetto alla messa in opera delle norme europee da parte di organi arbitrali. Ciò è avvenuto in particolare nella sentenza del 21 dicembre 2023, causa C-124/21P, ISU (su di essa e su quelle rese in pari data nei casi Superlega, causa C-333/21, e SA Royal Antwerp FC, causa C‑680/21, cfr. la prima lettura offerta da S. Bastianon, 2024), e proprio in relazione ad una vicenda che riguardava il mondo dello sport (sui peculiari rapporti tra diritto europeo e regolamentazione sportiva, quali determinati da una giurisprudenza ormai copiosa, si veda S. Bastianon, La sentenza Bosman vent’anni dopo, Torino, 2015). In essa, assai brevemente ricapitolata, la Corte ha ritenuto elemento rafforzativo di una violazione antitrust, realizzata da alcune norme vigenti nel sistema sportivo, la previsione che controversie relative ad esse, in cui venivano in gioco regole europee del diritto della concorrenza, fossero deferite ad un arbitrato con sede in Svizzera, ossia sottoposte ad un meccanismo di soluzione delle controversie governato da un sistema che non consentiva un rinvio pregiudiziale e nel quale i principi da esso espressi non potevano essere riferiti all’ordine pubblico. Siffatta pronuncia invero segnala un grande “rischio” per il mondo dell’arbitrato, soprattutto se i principi da essa posti fossero generalizzati e resi applicabili anche, ad esempio, all’arbitrato commerciale internazionale, escludendo dal punto di vista del diritto europeo la legittimità della devoluzione ad arbitri con sede in uno Stato terzo (ad es., in Svizzera) di una controversia che possa mettere in gioco il diritto europeo.
La traiettoria della giurisprudenza della Corte di giustizia dunque non lascia intravedere possibili revirements rispetto a principi consolidati, anche se, a mio avviso, nulla osterebbe ad una scelta “coraggiosa” con l’apertura (a determinate condizioni) alla possibilità che direttamente o indirettamente questioni di diritto europeo pendenti di fronte a organi arbitrali possano essere fatte oggetto di quesito interpretativo (o anche a giudizio pregiudiziale di validità) ex art. 267 TFUE. In fine dei conti, i tribunali arbitrali, costituiti secondo le regole processuali di uno Stato membro, rendono pronunce equivalenti a quelle di un giudice nazionale, svolgendo al pari di essi un ruolo formale e sostanziale di giustizia secondo la legislazione applicabile: la loro equiparazione ai giudici di uno Stato membro darebbe loro la possibilità di una diretta rimessione di questione alla Corte, e non sembrerebbero invocabili le tradizionali obiezioni mosse a tale riconoscimento di poteri, poiché la Corte giustizia conserva comunque il potere di valutare (e censurare) abusi della procedura di rinvio pregiudiziale (ad esempio sotto il profilo dell’esistenza stessa di una controversia effettiva). Né vi sarebbe da temere una “alluvione” di rinvii: l’esperienza offerta dal sistema costituzionale italiano successivamente al riconoscimento (avvenuto con la sentenza n. 376 del 28 novembre 2001) del potere di collegi arbitrali di sollevare questioni di legittimità costituzionale mostra come il rischio non sussista (in effetti, al 30 giugno 2024 risulta che siano stati proposti in totale 14 giudizi incidentali di legittimità costituzionale e che un solo procedimento sia pendente).
Dall’altro lato, ciò consentirebbe di superare l’impasse che la stessa Corte ha creato: da un lato, si esclude il rinvio pregiudiziale, e quindi si interferisce con la possibilità che il diritto europeo venga correttamente e direttamente applicato da organi arbitrali; dall’altro lato, si segnala il rischio di un’impropria applicazione del diritto europeo da parte degli arbitri per escludere che essi possano sottoporre un quesito pregiudiziale alla Corte. Se il rinvio pregiudiziale costituisce la “chiave di volta” del sistema giurisdizionale destinato ad assicurare coerenza ed unità al peculiare ordinamento fondato sui Trattati, non si capisce perché negare l’accesso ad esso a organi riconosciuti dai sistemi giuridici degli Stati membri come funzionali all’esercizio, in via equivalente e alternativa, della giurisdizione ordinaria.
Scartata tale auspicabile evoluzione ci si può interrogare se si possano introdurre alternativi meccanismi che consentano di superare la chiusura al mondo dell’arbitrato. Ipotizzabile potrebbe essere una via indiretta, con la istituzione di meccanismi di “aiuto giudiziale” attraverso i quali l’organo arbitrale ottenga da un giudice nazionale (juge d’appui) della sede una pronuncia che, esercitando poteri ad esso attribuiti e dopo aver sentito le parti, sottoponga alla Corte di giustizia la questione. Questa è la soluzione adottata, ad esempio, in Danimarca, in base alla Section 27 Arbitration Act del 2005, in forza della quale: «If the arbitral tribunal considers that a decision on a question of European Union law is necessary to enable it to make an award, the arbitral tribunal may request the courts to request the Court of Justice of the European Communities to give a ruling thereon»; o, ancora, in Norvegia, dove la Section 30 (2) dell’Arbitration Act del 2004 stabilisce che: «When an arbitral tribunal is obliged to take a position on interpretation of the EEA agreement, including its protocols, exhibits and the legislative acts with which such exhibits are concerned, it may, unless otherwise agreed by the parties of its own accord or at the request of a party, request the courts to submit issues of interpretation to the EFTA Court pursuant to the provisions of section 51a of the Court of Justice Act. The court may challenge the EFTA Court to make an advisory statement regarding the interpretation of the EEA Agreement» (D. Terkildsen, S. Lysholm Nielsen, The Award and the Courts: Arbitral Tribunals and Article 267 of the Treaty on the Functioning of the European Union – The Danish By-Pass Rule, in Austrian Yearbook Int. Arb, 2012, p. 195 ss.). Nel nostro ordinamento un esempio di tale forma di collaborazione è offerto dall’art. 816-ter terzo comma c.p.c., il quale prevede che se un testimone rifiuta di comparire di fronte agli arbitri, questi, quando lo ritengono opportuno secondo le circostanze, possono richiedere al Presidente del Tribunale della sede dell’arbitrato che ne ordini la comparizione davanti a loro. È pur vero che in siffatto caso il rinvio sarebbe disposto da giudice davanti al quale la controversia di merito, devoluta ad arbitrato, non è pendente. Ma l’intervento del giudice dello Stato membro, dotato anche di poteri di valutazione della fondatezza e della rilevanza del dubbio interpretativo, potrebbe essere riconosciuto sufficiente anche ai limitati fini, ed in relazione alla valutazione della sussistenza di una controversia interpretativa, della soddisfazione di uno dei requisiti di ricevibilità che la Corte ha identificato.
La circostanza poi che il tribunale arbitrale abbia sede in uno Stato membro contribuisce ad assicurare l’effettività della corretta applicazione del diritto dell’Unione europea come interpretato dalla Corte di giustizia, attesi i poteri riconosciuti agli organi dell’impugnazione, ai quali spetta di verificare se effettivamente i principi fondamentali del diritto europeo sono stati rispettati dall’organo arbitrale, ed eventualmente sottoporre alla Corte una nuova questione pregiudiziale.