Anonymisation des affaires préjudicielles : brèves réflexions sur les premières applications de la nouvelle discipline
L’anonimizzazione delle cause pregiudiziali: brevi considerazioni sulle prime applicazioni della nuova disciplina
Anonymisation of Preliminary References: Brief Remarks on the First Application of the New Regime
L’anonimizzazione delle persone fisiche nel processo dinanzi al Giudice dell’Unione
Dietro la sua natura (apparentemente) tecnica, l’anonimato negli atti giudiziari rappresenta una questione che va al cuore della funzione giurisdizionale, tesa com’è tra i due capi di un antico dilemma. Per un verso, la pubblicità del processo e dei suoi atti costituisce uno dei presidii dell’amministrazione della giustizia degli ordinamenti sorretti dallo Stato di diritto. Per altro verso, la garanzia della riservatezza e della tutela dei dati personali per le parti è un diritto fondamentale che oramai riceve sicuro ancoraggio in ogni ordinamento costituzionale (e anche in quello dell’Unione, in particolare alla luce dell’art. 8 CdFUE; v. anche l’art. 16 TFUE). Peraltro, la complessità di una simile questione oggi trova terreno fertile, consentendo le tecnologie della comunicazione la diffusione dei dati personali con una rapidità prima impensabile.
La conciliazione di tali interessi contrapposti è oggetto, da anni, degli interrogativi delle giurisdizioni di diversi ordinamenti nazionali; e così avviene anche nell’ordinamento dell’Unione europea. Anzi, i problemi in relazione all’anonimato degli atti giudiziari aumentano, sino a moltiplicarsi, per il giudice di Lussemburgo. Sul plateau del Kirchberg, infatti, sono puntati gli occhi del (quasi) mezzo miliardo di cittadini europei (e non solo: basti pensare ai ricorsi delle persone fisiche e giuridiche, cittadini di Stati terzi o in essi stabiliti; su tutti, si pensi ai ricorsi aventi ad oggetto le misure restrittive nei confronti di persone fisiche, come quello proposto nella causa Abramovich), nonché, evidentemente, lo sguardo delle istituzioni e degli Stati membri. Inoltre, nel quadro del procedimento di rinvio pregiudiziale tutti i giudici degli Stati membri, quali giudici comuni dell’Unione, guardano verso Lussemburgo, al fine di conoscere l’uniforme interpretazione del diritto sovranazionale che promana dalla Corte, quale Giudice investito dai trattati del compito di «fornire l’interpretazione definitiva» di tale diritto, conformemente all’art. 19 TUE (v., ex multis, Euro Box, punto 254). In questo contesto, l’attenzione rivolta dai giudici nazionali alla Corte ha ad oggetto, tra l’altro, proprio le modalità attraverso cui bilanciare al meglio gli opposti interessi di pubblicità e riservatezza sopra accennati.
Il riflesso procedurale di queste preoccupazioni si trova nei regolamenti di procedura della Corte di giustizia (di seguito, “RP CG”) e del Tribunale (di seguito, “RP Trib.”). E, ai fini del presente contributo, pare opportuno partire proprio dalle regole del processo dinanzi al Tribunale, radicandosi in esso la (prima) istanza a cui possono rivolgersi le persone fisiche nei ricorsi diretti, secondo il riparto di competenze tracciato dal diritto primario (artt. 256, par 1, TFUE e 51 St.).
Nella specie, sono gli artt. 66 e 66-bis RP Trib. ad occuparsi del regime dell’anonimato del nome/cognome e dei dati personali delle persone fisiche, parti del procedimento o terze rispetto ad esso, nonché dei dati «diversi dai dati personali», come recita la rubrica dell’art. 66-bis appena menzionato (v. M.G. Buonanno, Commento all’art. 66 RP Trib., in C. Amalfitano, M. Condinanzi, P. Iannuccelli (a cura di), Le regole del processo dinanzi al giudice dell’Unione europea. Commento articolo per articolo, Napoli, 2017, p. 1093 ss.). La decisione a tutela della persona fisica viene assunta dal Tribunale su domanda della parte – con separata istanza o nell’istanza di intervento a mente del par. 2 dell’art. 66 RP Trib. – o ex officio. Rispetto all’estensione materiale della tutela offerta, l’anonimizzazione riguarda tutti i documenti relativi alla causa.
Nel caso, poi, di impugnazione delle decisioni del Tribunale dinanzi alla Corte di giustizia, l’art. 190, par. 3, RP CG, stabilisce che si applica l’art. 95 RP CG (norma relativa all’anonimato degli atti giudiziari nella procedura pregiudiziale, v. C. Naômé, Commento all’art. 190 RP CG, in C. Amalfitano, M. Condinanzi, P. Iannuccelli (a cura di), op. cit., p. 898 ss., spec. p. 100). A tale norma fanno eco le Istruzioni pratiche alle parti, relative alle cause proposte dinanzi alla Corte, le quali affermano che «la Corte rispetta, infatti, l’anonimato concesso dal Tribunale e le parti del procedimento sono invitate a rispettare tale anonimato anche nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte» (par. 8). In sostanza, le Istruzioni indicano come la Corte, nella sua veste di giudice dell’impugnazione, faccia salva la decisione assunta a tale riguardo dal Tribunale in prima istanza.
Peraltro, conviene notare che sia la Corte di giustizia che il Tribunale hanno adottato due decisioni, aventi sostanzialmente il medesimo contenuto, con le quali sono stati istituiti meccanismi interni per le decisioni relative ai dati personali nell’ambito delle pubblicazioni giurisdizionali (decisione della Corte di giustizia, del 1° ottobre 2019, che istituisce un meccanismo interno di controllo in materia di trattamento dei dati personali effettuato nell’ambito delle funzioni giurisdizionali della Corte, 2019/C 383/02; decisione del Tribunale, del 16 ottobre 2019,che istituisce un meccanismo interno di controllo in materia di trattamento dei dati personali effettuato nell’ambito delle funzioni giurisdizionali del Tribunale, 2019/C383/4). Difatti, il regolamento (UE) 2018/1725 sulla protezione dei dati personali delle persone fisiche in relazione al trattamento da parte di istituzioni, organi ed organismi dell’Unione esclude che il controllo del Garante europeo per la protezione dei dati possa riguardare il trattamento effettuato dalla Corte e dal Tribunale nell’ambito delle proprie funzioni giurisdizionali (art. 57, par. 1, lett. a), avendo ritenuto preferibile che fosse il Giudice dell’Unione stesso a farsi carico dell’instaurazione di un «meccanismo interno» utile ad esercitare un «controllo indipendente conformemente all’art. 8, paragrafo 3 della Carta» (così il considerando n. 74 del regolamento, richiamato dal considerato n. 4 della decisione del 1° ottobre 2019, cit.) attraverso il quale eseguire la delicata ponderazione necessaria alla tutela dei dati personali. Entrambi i meccanismi interni si basano sul lavoro del cancelliere e di un comitato composto da tre membri nominati dal presidente dell’istanza giurisdizionale, scelti tra i giudici (e, nel caso della Corte, anche tra gli avvocati generali) per la durata del mandato di tale comitato. I meccanismi in questione prevedono che la richiesta della persona fisica relativa al trattamento dei dati personali debba essere indirizzata al cancelliere della Corte e del Tribunale. Il cancelliere ha due mesi per rispondere: il decorso di tale termine, in caso di mancata risposta, equivale a un diniego implicito. Nei due mesi successivi all’eventuale decisione di rigetto dell’istanza, o quando ne abbia conoscenza, la parte può ricorrere al comitato così formato, il quale potrà confermare, rigettare o riformare quanto stabilito dal cancelliere nel termine di quattro mesi.
L’anonimizzazione e l’identificazione delle cause pregiudiziali. Dall’art. 95 RP CG al comunicato stampa n. 1/2023
Se le norme appena esaminate mostrano chiaramente l’attenzione del Giudice dell’Unione ai profili relativi alla tutela dei dati personali e dell’anonimato, è nel rinvio pregiudiziale che la questione manifesta il suo più alto grado di complessità: sia per la caratteristica stessa del dialogo “da giudice a giudice” quale procedimento dinanzi alla Corte (e a breve anche dinanzi al Tribunale, seppur in materie specifiche, v. infra; sulla modifica del Protocollo n. 3 v., in questa Rivista, Le tappe della modifica del Protocollo n. 3 sullo Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea) che trae origine da un giudizio principale, e su di esso si innesta, con la conseguenza che le istanze giudiziarie sono chiamate a tutelare, ognuna con le proprie regole (e si potrebbe dire sensibilità), i dati e l’identificazione delle parti nei confini del proprio giudizio; sia per l’attenzione che la Corte ha riservato al tema dell’anonimato delle persone fisiche nella procedura pregiudiziale, come attestano gli interventi sulla materia, alquanto ravvicinati, che si sono susseguiti negli ultimi anni.
In tale contesto, il comunicato stampa n. 1/2023 costituisce solo l’ultima tappa di un più lungo cammino percorso dalla Corte di giustizia a tutela della privacy e dei dati personali. Già dal 1° luglio 2018, infatti, le cause pregiudiziali erano sistematicamente anonimizzate e identificate tramite iniziali fittizie attribuite alle persone fisiche parti del procedimento (v. il comunicato stampa n. 96/2018). Peraltro, a voler ampliare lo spettro di indagine, questi interventi si inseriscono nel più ampio mosaico di iniziative che l’ordinamento dell’Unione, nel suo complesso, ha recentemente dedicato al tema (il comunicato del 2018, infatti, si riferiva al regolamento c.d. GDPR e al già citato regolamento 2018/1725 sul trattamento dei dati personali da parte delle istituzioni, degli organi ed organismi dell’Unione).
In particolare, a mente della “disciplina” al momento in vigore (dal 1° gennaio 2023 come previsto dal comunicato stampa), tutte le cause pregiudiziali iscritte, a partire da tale data, presso la cancelleria della Corte vengono ri-denominate con un sistema che si avvale dell’intelligenza artificiale (sulle implicazioni dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale nell’amministrazione della giustizia europea, v. G. D’Agnone, 2023). Esso si applica solo alle cause tra persone fisiche e a quelle tra persone fisiche e giuridiche, purché queste ultime siano “non distintive” (sulle difficoltà di tracciare la definizione di persone giuridiche non distintive, v. infra). Inoltre, il comunicato specifica altresì una serie di fattispecie espressamente escluse quali: i) le cause pregiudiziali nelle quali il nome della «persona giuridica sia sufficientemente distintivo»; ii) i ricorsi diretti; iii) le domande di parere; iv) le impugnazioni; infine, v) le cause dinanzi al Tribunale (sulla disciplina che scaturisce dal comunicato 1/2023, v. P. Oliver, 2023).
In sostanza, il nuovo sistema comporta che ad ogni causa venga affidato un nome fittizio, risultato dell’aggregazione di sillabe estratte da parole appartenenti ad una delle lingue ufficiali dell’Unione (con la promessa, nel comunicato stampa, di includere in futuro anche sillabe di parole di lingue di Stati terzi). La parola così risultante da tale “commistione” di sillabe diviene, quindi, la denominazione ufficiale di tutti gli atti di una determinata causa pregiudiziale, quali la domanda di pronuncia pregiudiziale, le ordinanze, le sentenze, le conclusioni, nonché le sintesi pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale. Per comprendere i frutti dell’opera dell’intelligenza artificiale risulta curioso un rapido sguardo alle domande pregiudiziali provenienti dalle giurisdizioni italiane iscritte dalla cancelleria della Corte di giustizia a seguito della predetta modifica introdotta nel 2023. Per esempio, l’interessante causa C-126/23, originata da un rinvio del Tribunale di Venezia, relativa alla trasposizione della direttiva 2004/80/CE concernente l’indennizzo a favore delle vittime di reato, passerà alla storia come causa “Burdene”. Così, il rinvio pregiudiziale del Tribunale di Lecce in causa C-322/23, laddove viene in luce l’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE rispetto al quale, su diversi versanti, sono emerse le criticità della normativa italiana relativa al lavoro nella pubblica amministrazione, è stato denominato come “Lufoni”.
La nuova prassi della Corte di giustizia non andrebbe derubricata come questione di secondo ordine, utile al massimo ad alimentare una (seppur comprensibile) nostalgia per i Costa, le Faccini Dori o le Von Colson. Anzi, meritano attenzione sia la ratio che ispira l’iniziativa, sia le criticità che emergono sul piano teorico ed applicativo.
Per quanto attiene alla ratio della prassi inaugurata nel gennaio dello scorso anno, un evidente filo rosso lega tale iniziativa della Corte di giustizia alla decisione di anonimizzare, in modo generale e sistematico, tutte le cause pregiudiziali a partire dal 1° luglio 2018. Ancor più, è possibile affermare che il comunicato stampa n. 1/2023 altro non rappresenti che il tentativo di rispondere ai problemi, in termini di accessibilità dei documenti relativi alle cause pregiudiziali, emersi con l’anonimizzazione introdotta nel 2018 (P. Oliver, 2018). Infatti, ogni frequentatrice o frequentatore delle banche dati Curia o EUR-LEX ha sperimentato la difficoltà nel ricercare una causa pregiudiziale anonimizzata, senza il puntuale ed univoco riferimento del numero di causa attribuito dalla Corte. Una difficoltà solo parzialmente temperata dalla prassi di associare alle iniziali fittizie delle cause, tra parentesi, una o più parole che identificano l’oggetto della controversia ovvero la denominazione ricavata dal nome delle amministrazioni statali eventualmente coinvolte nel procedimento. Ad esempio, la causa UX relativa allo status dei giudici di pace italiani, iscritta come C-658/18, risulta ufficialmente denominata come “Governo della Repubblica Italiana (Status dei giudici di pace italiani)”.
Non andrebbe dimenticato, poi, che il sistema del comunicato stampa 1/2023 si innesta su una norma del regolamento di procedura specificatamente dedicata all’anonimizzazione delle persone fisiche nella procedura ex art. 267 TFUE. Infatti, l’art. 95 RP CG descrive due differenti fattispecie in cui la Corte potrebbe essere chiamata ad anonimizzare gli atti relativi ad una determinata causa (sulla norma, v. G. Grasso, Commento all’art. 95 RP CG, in C. Amalfitano, M. Condinanzi, P. Iannuccelli (a cura di), op. cit., p. 602 ss.). Infatti, ai sensi del par. 1 della richiamata disposizione, la Corte di giustizia deve rispettare l’anonimato delle parti del procedimento principale se quest’ultimo è stato concesso, secondo le regole di procedura nazionali, dal giudice del rinvio. Invece, ai sensi del par. 2, la Corte può procedere essa stessa ad anonimizzare gli atti di una causa pregiudiziale su i) domanda del giudice del rinvio, ii) su «domanda debitamente motivata» delle parti ovvero iii) motu proprio, «qualora lo reputi necessario».
Peraltro, si deve notare che l’art. 95 RP CG verrà emendato a ragione dell’entrata in vigore del regolamento di modifica del protocollo n. 3 sullo Statuto della Corte di giustizia. Ad una prima lettura, l’innovazione più interessante che sembra scorgersi non va rinvenuta tanto in un mutamento lessicale (nella nuova versione della disposizione si parla di “anonimizzazione” in luogo di “concessione” dell’anonimato) quanto nell’ampliamento del suo ambito di applicazione, prevedendo che la Corte di giustizia sarà chiamata a rispettare le decisioni del giudice del rinvio (art. 95, par. 1, RP CG) – ovvero a decidere essa stessa su domanda del giudice, delle persone fisiche parti del procedimento principale o terzi, nonché ex officio (art. 95, par. 2, RPCG) – anche in relazione al diverso ma intimamente connesso tema dell’omissione dei dati personali. Del resto, è la rubrica stessa della disposizione emendata («Anonimizzazione e omissione dei dati personali») che dà ragione dell’espansione del suo spettro applicativo.
Dunque, il comunicato stampa del 2018 – il quale, come ricordato, rappresenta il precedente, e presupposto, della modalità di anonimizzazione delle cause pregiudiziali in vigore dal gennaio del 2023 – andrebbe letto alla luce dell’art. 95 RP CG, in quanto l’anonimizzazione generale e sistematica delle cause pregiudiziali da parte della Corte di giustizia ha trasformato l’eccezione in regola e ha notevolmente ridotto lo spazio applicativo della norma in parola, in sostanza relegandola alle cause non ricomprese, ad oggi, nella citata prassi della Corte.
Quanto alle criticità dell’odierno sistema, almeno due sono i profili emersi che meritano attenzione. In primo luogo, come già osservato, le regole relative all’anonimato degli atti giudiziari sono spesso molto diverse da Stato membro a Stato membro. Volgendo lo sguardo all’ordinamento italiano, ad esempio, la giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione sposa un approccio alquanto restrittivo rispetto all’anonimizzazione delle parti negli atti giudiziari. Come ricordato nella recente ordinanza n. 25173/2023, ai sensi dell’art. 52 del d.lgs. n. 196/2003 (modificato dall’art. 40 del d.l. n. 201/2011, convertito in l. 214/2011), l’istanza di anonimizzazione rivolta dalle parti all’autorità giudiziaria si deve fondare su precisi presupposti soggettivi ed oggettivi. In primo luogo, non sono titolate ad invocare l’anonimizzazione le persone giuridiche, spettando tale prerogativa processuale solo alle persone fisiche. In secondo luogo, l’istanza deve essere sorretta da «motivi legittimi, da intendersi come motivi opportuni». Nel caso di specie, la Cassazione rilevava non solo che la parte privata era una società, il che comportava l’assenza del presupposto soggettivo, ma anche che il procedimento riguardava sanzioni tributarie in materia di dazi doganali. Pertanto, non erano ravvisabili motivi di opportunità che potessero suggerire l’anonimizzazione (un’analisi del contesto italiano è offerta dallo studio del 2020 della Corte costituzionale, a cura di P. Patatini e F. Troncone).
Dunque, sono evidenti (oltre che, in assenza di una normativa o prassi comune a tutti gli Stati membri, difficilmente evitabili) le discrasie tra la causa pregiudiziale e il relativo procedimento nazionale le quali, invero, rischiano di neutralizzare gli sforzi profusi dalla Corte con la propria prassi volta all’anonimizzazione degli atti. Il che è attestato da diversi casi in cui, anonimo il nome delle parti a Lussemburgo, nello Stato membro lo stesso giudice del rinvio persevera nel suo utilizzo e con lui gli organi di stampa nei casi di più intenso interesse pubblico della vicenda. Si pensi alle dichiarazioni pubbliche omofobe di un noto avvocato italiano che hanno dato vita ad un procedimento giudiziario, nell’ambito del quale è stato sollevato il rinvio pregiudiziale della Corte di cassazione alla base della causa NH. Nessuna anonimizzazione è rinvenibile negli atti del giudice del rinvio (v. ordinanza n. 28646/2020 che conclude il procedimento).
Le stesse raccomandazioni della Corte di giustizia rivolte ai giudici nazionali (del 2019, dunque precedenti al “nuovo” sistema del 2023) “invitano” il giudice del rinvio «a effettuare l’anonimizzazione della causa sostituendo, ad esempio attraverso iniziali o una combinazione di lettere, il nome delle persone fisiche menzionate nella domanda e omettendo gli elementi che potrebbero consentire di identificare tali persone», anche in virtù della considerazione che «a causa dell’uso crescente delle nuove tecnologie dell’informazione e, segnatamente, del ricorso ai motori di ricerca, un’anonimizzazione effettuata dopo la notifica della domanda di pronuncia pregiudiziale agli interessati di cui all’articolo 23 dello Statuto e la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea della comunicazione relativa alla causa considerata può infatti rivelarsi meno efficace». Vero è che la Corte di giustizia sovente richiama la necessità che i giudici nazionali si uniformino alle raccomandazioni, al fine di inverare quello spirito di leale collaborazione che sorregge il dialogo da giudice a giudice ex art. 267 TFUE (per esempio, v. Edison Next SpA, punto 19). Altrettanto vero è che le raccomandazioni, al pari di tutti gli atti giuridici non vincolanti dell’Unione, devono essere tenute comunque in debito conto nell’applicazione del diritto sovranazionale, e dunque devono essere conosciute ed osservate dalle giurisdizioni nazionali quando utilizzano il rinvio pregiudiziale (secondo l’insegnamento della nota pronuncia Grimaldi). Tuttavia, per la struttura stessa della cooperazione pregiudiziale manca una competenza della Corte di giustizia avente quale fine l’emanazione di orientamenti vincolanti per i giudici degli Stati membri. In sostanza, il risultato dell’attuale configurazione è, all’evidenza, che l’anonimizzazione è attuata in modo sistematico e generalizzato dalla Corte stessa anche in quei casi in cui non vi abbia proceduto il giudice del rinvio.
Il secondo profilo critico, che in questa sede si vuole evidenziare, si lega al bilanciamento, più volte richiamato, tra la tutela della vita privata e l’interesse pubblico alla pubblicità dei provvedimenti giudiziari; un bilanciamento che la Corte di giustizia, nell’ambito delle cause pregiudiziali, ha fatto pendere decisamente a favore del primo versante. Allora, conviene chiedersi se l’anonimizzazione, sistematica e generale, delle cause pregiudiziali non comporti uno sforzo persino eccessivo rispetto alla ratio che sorregge gli intendimenti della Corte di giustizia. Primariamente, rispetto alle persone fisiche, si deve sottolineare che l’attuale prassi comporta l’anonimizzazione anche di quelle cause dove non si pongono questioni, per l’oggetto stesso del contendere, di opportunità di tutela della vita privata; senza parlare, poi, dei casi dove vi può essere un effettivo interesse pubblico alla conoscenza del nome delle parti o dove siano queste ultime a voler rendere noto il proprio nome. Quest’ultimo è un elemento di cui si dovrebbe tenere conto all’interno di un ordinamento giuridico che, oltre agli Stati membri, vede tra i suoi soggetti anche i singoli che proprio nella procedura pregiudiziale trovano, per il tramite del giudice del rinvio dinanzi ai quali si rivolgono, lo strumento per garantire un’applicazione diffusa e puntuale, anche “contro” gli Stati membri inadempimenti, del diritto dell’Unione europea (v. Van Gend en Loos, p. 24; su tutti v. J.H.H. Weiler, 2013). Dato tale ruolo cruciale dell’individuo, ci si chiede se avrebbero gradito l’anonimato alcuni “protagonisti” della giurisprudenza comunitaria come l’avvocato Flaminio Costa (Costa c. ENEL) o l’ex hostess Gabrielle Defrenne (Defrenne c. Sabena). In effetti, nel documento relativo alla protezione dei dati personali nei propri procedimenti è la Corte stessa a sottolineare che si riserva la possibilità di non garantire l’anonimato su richiesta dell’interessato o qualora ad esigerlo siano le circostanze della causa. Secondariamente, rispetto alle persone giuridiche, emerge il tema di distinguere società ed enti definiti nel comunicato “distintivi” da quelli che non avrebbero queste caratteristiche. In assenza di criteri espressi, si deve ritenere che sia la Corte stessa, nella specie la sua cancelleria, a definire, di volta in volta, se la persona giuridica possegga o meno tale qualità. Invero, stupisce il silenzio della Corte, il quale non consente al pubblico di avere orientamenti chiari e definiti che facciano luce sulle ragioni che conducono ad anonimizzare la persona giuridica, o che all’opposto portano ad identificare la causa stessa con la denominazione di quest’ultima.
Dunque, pare che una sistematica e generale anonimizzazione delle cause pregiudiziali possa portare un dispendio di energia da parte dell’amministrazione della Corte, con risultati che, peraltro, rischiano di essere vanificati sul piano nazionale, come visto, quando le stesse rigide regole non vengano applicate da parte delle corti e dei tribunali degli Stati membri.
Allora, forse la soluzione più congrua, anche alla luce dello spirito di collaborazione che la Corte di giustizia con costanza richiama quale fondamento del legame tra di essa e le giurisdizioni nazionali, sarebbe quella di lasciare al giudice del rinvio la scelta se anonimizzare o meno la causa, con il conseguente obbligo per la cancelleria del Kirchberg di rispettare tale intendimento (come risulta dal disposto dell’art. 95 RP CG, sia nell’attuale versione che in quella emendata di cui si è dato brevemente conto). Sul punto, non sarebbe inutile pensare ad una modifica delle attuali raccomandazioni rivolte ai giudici nazionali, ovvero a delle raccomandazioni ad hoc, all’interno delle quali siano esplicitati orientamenti rispetto alle situazioni in cui più opportuna risulta l’anonimizzazione delle persone fisiche e giuridiche negli atti inviati alla Corte. Come la giurisprudenza da sempre ricorda, il giudice del rinvio è nella migliore posizione per comprendere l’utilità di una pronuncia pregiudiziale della Corte; così è nella migliore posizione anche per valutare quando occorra o meno procedere all’anonimizzazione sulla base dei fatti di causa.
Peraltro, il tema si lega inesorabilmente al regolamento di modifica dello Statuto della Corte di giustizia che devolverà al Tribunale i rinvii pregiudiziali in determinate materie, delineate nella proposta. In relazione alla questione dell’anonimato oggetto di questo breve contributo, la futura modifica del RP Trib. offre una risposta sulla sorte che spetterà alle cause pregiudiziali destinate alla competenza del Tribunale. Infatti, con l’art. 201 RP Trib. («Anonimizzazione e omissione di dati») viene introdotta una disposizione avente contenuto normativo identico a quello del già visto art. 95 RP CG, nella nuova versione risultante dalle modifiche del regolamento di procedura della Corte. Dunque, il Tribunale sarà tenuto a rispettare la decisione del giudice del rinvio in ordine all’anonimato e/o all’omissione di dati personali (art. 201, par. 1, RP Trib), ovvero dovrà assumere una simile decisione d’ufficio, su domanda del giudice o della persona fisica parte del procedimento principale o terza (art. 201, par. 2, RP Trib).
Da ultimo, diversa (e ad oggi inevasa) è la questione relativa all’anonimizzazione “generalizzata” delle cause pregiudiziali e alla loro successiva identificazione secondo il sistema delineato dal comunicato stampa 1/2023 della Corte. Si ritiene che tali regole si applicheranno anche alle cause devolute al Tribunale, dato il sistema del guichet unique, tale per cui i rinvii pregiudiziali continueranno a pervenire all’attenzione della cancelleria della Corte e successivamente smistati alle due istanze giudiziarie del Kirchberg. Tuttavia, se così non fosse, converrebbe chiedersi se il Tribunale accetterà tale sistema oppure sposerà un approccio diverso, sebbene ragioni di coerenza suggeriscano l’adozione di un orientamento comune sul punto – e chissà se, paradossalmente, sarà un altro comunicato stampa a precisare le regole che il Tribunale intenderà seguire per proteggere le persone fisiche coinvolte nel procedimento pregiudiziale da un’eccessiva pubblicità.