Réforme de l’article 23 du Statut : la montagne a-t-elle accouché d’une souris?
Riforma dell’art. 23 dello Statuto: la montagna ha partorito il topolino?
Réforme de l’article 23 du Statut : la montagne a-t-elle accouché d’une souris?
La Corte di giustizia, all’esito della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del regolamento (UE, EURATOM) 2024/2019 che modifica il Protocollo n. 3 sullo Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, si appresta a confrontarsi con la messa in atto dell’ultima – in senso temporale – riforma del sistema giurisdizionale dell’Unione.
Tale riorganizzazione, che trae origine da una specifica iniziativa ex art. 281 TFUE avviata nel novembre del 2022 dalla stessa Corte di giustizia (per una ricostruzione delle tappe dell’iter normativo si rinvia al contributo redazionale di questa Rivista), presenta come sua principale novità il trasferimento della competenza pregiudiziale in specifiche materie al Tribunale attraverso l’inserimento nello Statuto di un nuovo art. 50 ter e di una serie di ulteriori disposizioni funzionali a garantire la corretta trattazione delle cause pregiudiziali da parte del detto organo giurisdizionale (per una generale disamina, oltre ai contributi di M. Condinanzi, C. Amalfitano, D. Sarmiento e M. Orzan pubblicati su questa Rivista, si rinvia anche a R. Mastroianni e C. Amalfitano).
Parallelamente a tale riorganizzazione, senza tuttavia un reale nesso funzionale alla concreta realizzazione del principale obiettivo della riforma, il regolamento ha operato anche una modifica dell’art. 23 dello Statuto della Corte.
Tale disposizione, come noto, sancisce e regola il diritto dei soggetti ivi individuati a partecipare al procedimento pregiudiziale che si svolge dinanzi ai giudici dell’Unione presentando memorie e osservazioni scritte nonché, se del caso, intervenendo all’udienza di discussione.
L’originaria richiesta di modifica dello Statuto avanzata dalla Corte ai co-legislatori dell’Unione, invero, non contemplava alcuna proposta di riforma dell’art. 23. La spinta, in tal senso, si deve, infatti, al Parlamento europeo che, nella sua relazione sul progetto di regolamento recante modifica dello Statuto della Corte del 27 settembre 2003, ha fatto leva sull’opportunità di «rafforzare la trasparenza e l’apertura del processo giudiziario» onde «aumenta[re] la responsabilità e costrui[re] la fiducia nell’Unione e nel diritto europeo». In tale prospettiva, il Parlamento, con l’inserimento del considerando n. 2 ter nella proposta di regolamento, sottolineava come l’accesso ai fascicoli delle cause pregiudiziali avrebbe potuto consentire ad altri giudici nazionali di valutare meglio la necessità di proporre ulteriori rinvii, riducendo in tal modo il carico di lavoro complessivo per la Corte di giustizia. Tale accesso sarebbe dovuto avvenire nel rispetto dei principi generali e del contesto normativo dell’Unione, ed in particolare degli artt. 16 TFUE e 8 della Carta, i quali tutelano la protezione dei dati di carattere personale, e dell’articolo 339 TFUE, che impone, invece, alle istituzioni il rispetto del segreto professionale.
Il Parlamento, quindi, richiedeva l’inserimento nello Statuto della Corte di un nuovo art. 20 bis con il quale riconoscere ad ogni cittadino dell’Unione, nonché ogni persona fisica o giuridica residente o avente sede sociale in uno Stato membro, un generale diritto di accedere, su richiesta, ai documenti della Corte, salva la possibilità per il Presidente dell’istituzione di rifiutare l’accesso nel caso di possibili pregiudizi per la vita privata o gli interessi commerciali delle parti interessate o per il corretto svolgimento del processo decisionale dell’organo giudiziario.
Durante l’iter normativo, la richiesta del Parlamento ha incontrato, tuttavia, una ferma opposizione degli Stati membri che, come chiarito nella nota informativa del Consiglio del 1° marzo 2024, ha portato, dopo contatti informali tra le istituzioni coinvolte nella procedura, alla necessaria adozione di un emendamento di compromesso, votato dalla formazione plenaria del Parlamento il 27 febbraio 2024.
L’accordo interistituzionale raggiunto ha condotto alla modifica del citato considerando n. 2 ter – divenuto considerando n. 4 nel regolamento 2024/2019 – con un generico richiamo all’opportunità di rafforzare la trasparenza mediante la pubblicazione sul sito della Corte delle memorie e delle osservazioni presentate dai soggetti di cui all’art. 23 dello Statuto. Tale previsione, fondata sul rilievo che «la Corte di giustizia, nell’ambito di cause pregiudiziali, è sempre più chiamata a pronunciarsi su questioni di natura costituzionale o relative ai diritti umani e alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea», si è concretizzata nell’introduzione di un nuovo comma (il quinto) all’art. 23 dello Statuto secondo cui «le memorie o le osservazioni scritte presentate da un interessato ai sensi del presente articolo sono pubblicate sul sito internet della Corte di giustizia dell’Unione europea entro un termine ragionevole successivamente alla chiusura del caso, a meno che tale interessato non si opponga alla pubblicazione delle proprie memorie od osservazioni scritte».
Come è possibile rilevare, l’abbandono della scelta di inserire un’autonoma previsione statutaria attraverso cui sancire il diritto di accesso agli atti processuali a favore di una ben diversa previsione di pubblicazione delle memorie sul sito della Corte ridimensiona in maniera notevole la richiesta del Parlamento. Qualora fosse stata accolta la proposta iniziale avanzata dall’istituzione rappresentativa dei cittadini, infatti, l’accesso alle memorie di parte sarebbe stato possibile per tutti i procedimenti e non solo per le cause pregiudiziali, ferma restando, in ogni caso, l’esigenza di bilanciamento concreto con la tutela dei dati personali delle parti.
Di contro, la scelta del regolamento 2024/2019 di realizzare il descritto rafforzamento della trasparenza attraverso l’inserimento di un nuovo comma quinto all’art. 23 dello Statuto ha il preciso effetto di circoscrivere tale “apertura del procedimento giudiziario” (cfr. considerando n. 4) ai soli procedimenti pregiudiziali.
Inoltre, ad una più attenta lettura della disposizione, è possibile rilevare che l’auspicato intento di rafforzare il diritto di accesso ai documenti processuali, oltre ad essere trasformato in un diverso obbligo di pubblicazione a carico della Corte (come sottolineato da R. Mastroianni, cit.), rischia di essere in concreto limitato dall’opposizione sistematica delle parti alla pubblicazione.
In proposito, giova ricordare che ai sensi del novellato art. 23, comma 5, dello Statuto e delle disposizioni attuative contenute nei regolamenti di procedura dei due organi giurisdizionali dell’UE come aggiornati all’esito della recente riforma (art. 96, comma 3, reg. proc. della Corte e 202, comma 3, reg. proc. del Tribunale), l’opposizione alla pubblicazione «non deve essere motivata e non è impugnabile dinanzi alla Corte o al Tribunale».
A ciò si aggiunge che il termine entro cui la pubblicazione dovrebbe aver luogo non è definito dalla disposizione normativa, la quale si limita ad evocare il rispetto di un canone di “ragionevolezza”. Tuttavia, tenuto conto che ai sensi del ricordato art. 96, comma 3, reg. proc. della Corte le parti dispongono di tre mesi dalla comunicazione della pronuncia della sentenza o dalla notifica dell’ordinanza che definisce il procedimento per manifestare alla cancelleria, con atto separato, la propria decisione di opporsi alla pubblicazione, verosimilmente la materiale messa a disposizione degli atti sul sito della Corte potrebbe avvenire in un arco temporale compreso tra i quattro e gli otto mesi dalla definizione del procedimento. In un arco temporale lievemente dilatato di massimo due mesi (uno è quello di cui dispone il primo avvocato generale per proporre una richiesta di riesame ai sensi dell’art. 62, par. 2 dello Stauto; ed uno quello entro cui la Corte deve pronunciarsi in merito), dovrebbero normalmente, salvo il caso di presentazione di un riesame, trovare pubblicazione anche le osservazioni presentate dalle parti nell’ambito dei procedimenti pregiudizilai celebrati dinanzi al Tribunale. Ai sensi dell’art. 202 del novellato regolamento di procedura del detto organo giurisdizionale, infatti, la formalizzazione dell’opposizione alla pubblicazione deve intervenire entro tre mesi dalla notizia che il primo avvocato generale non ha formulato nessuna proposta di riesame o dalla notifica della decisione della Corte di non riesaminare la decisione del Tribunale, o dalla pronuncia di riesame.
Ebbene, considerato che, dopo la pronuncia della Corte o del Tribunale il processo nazionale deve essere riassunto dinanzi alle giurisdizioni nazionali di rinvio per proseguire nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, la pubblicazione degli atti processuali della fase pregiudiziale potrebbe avere ricadute negative sui giudizi nazionali e sulla serenità di giudizio del giudice nazionale. Ciò, in particolare, per i procedimenti maggiormente attenzionati e percepiti come sensibili dall’opinione pubblica di un determinato Stato.
In tale prospettiva assume rilievo quanto, in modo condivisibile, hanno affermato alcuni Stati membri, tra cui anche l’Italia, con una presa di posizione adottata nel corso dell’iter di approvazione del regolamento 2024/2019, secondo cui la scelta operata dal legislatore dell’Unione non è riconducibile alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri informate, in senso contrario, a garantire la confidenzialità degli atti processuali.
Alla luce di tali considerazioni è verosimile attendersi una sistematica opposizione, quanto meno da parte degli Stati firmatari della dichiarazione, cui potrebbero facilmente accodarsene altri, alla pubblicazioni delle loro memorie.
Peraltro, tenuto conto che nella parte motiva delle proprie decisioni i giudici UE sono già soliti dare conto della posizione delle parti relativamente alle diverse questioni oggetto di trattazione, da parte di chi scrive permane qualche perplessità in merito all’effettiva necessità di garantire nel breve termine un’integrale pubblicazione delle memorie e delle osservazioni delle parti.
Un’ulteriore modifica dell’art. 23 dello Statuto, anch’essa riferibile all’impulso del Parlamento europeo, attiene, invece, al riconoscimento anche a quest’ultimo, al Consiglio e alla BCE di un generale diritto di partecipazione nelle cause pregiudiziali.
Nella versione previgente, infatti, un tale diritto risultava attribuito solo alla Commissione europea in virtù del suo ruolo di garante dell’interesse generale dell’Unione mentre per le altre istituzioni la possibilità di intervento risultava circoscritta alle sole ipotesi in cui fossero state autori dell’atto oggetto di contestazione di validità o di interpretazione.
Come è dato leggere dal considerando n. 14 bis, che con la relazione del 27 febbraio 2023 il Parlamento chiedeva di aggiungere al regolamento di modifica del protocollo n. 3 sullo Statuto della Corte di giustizia, l’istituzione, facendo leva sui compiti rappresentativi dei cittadini attribuitigli dall’articolo 10, paragrafo 2, TFUE, invocava il riconoscimento del potere di presentare alla Corte di giustizia memorie o osservazioni scritte nell’ambito di un procedimento pregiudiziale, indipendentemente dal fatto che venisse o meno in rilievo un atto da essa adottato.
Conseguentemente, in occasione della definizione del progetto della propria risoluzione legislativa in prima lettura, il Parlamento interveniva nell’iniziale proposta normativa prevedendo, in maniera funzionale all’esercizio della rivendicata facoltà, anche la modifica del primo comma dell’art. 23 dello Statuto nel senso da richiedere ad esso la notifica sistematica di ogni domanda pregiudiziale, e quini non solo di quelle relative ai propri atti.
La richiesta dell’istituzione ha trovato accoglimento nella versione finale del regolamento 2024/2019 che, tuttavia, come già rilevato in dottrina (v. R. Mastroianni, cit., p. 14) ha esteso la medesima facoltà anche al Consiglio e alla BCE richiamando non tanto gli specifici compiti di ciascuna istituzione, come invece fatto dal Parlamento con l’art. 10 TFUE, bensì invocando una prassi della Corte tendente ad ammettere, anche nel silenzio normativo, Parlamento e BCE a presentare osservazioni in procedure pregiudiziali non aventi ad oggetto propri atti.
In realtà, per quanto appaia difficile poter individuare una vera e propria “prassi” della Corte sul punto, effettivamente non mancano fattispecie in cui, dalla lettura delle pronunce e dal raffronto con l’oggetto delle questioni pregiudiziali, la Corte sembra aver ammesso il deposito di osservazioni da parte del Parlamento pur non essendo quest’ultimo autore dell’atto (si vedano in tal senso i procedimenti: causa C-509/22, Girelli Alcool; causa C-62/14, Gauweiler; causa C-163/10, Patriciello).
Ad ogni modo, la versione finale del regolamento 2024/2019 estende la facoltà invocata dal Parlamento anche al Consiglio e alla BCE i quali, alla luce della vigente versione dello Statuto, saranno tutti pienamente titolati a presentare osservazioni non solo laddove la causa verta sull’interpretazione o la validità di un proprio atto ma anche nel caso in cui «ritengano di avere un interesse particolare nelle questioni». Una diretta implicazione del generale riconoscimento del diritto di presentare osservazioni nei procedimenti pregiudiziali è il connesso diritto di partecipazione alla fase orale anche in assenza di partecipazione alla fase scritta (art. 96 reg. proc. Corte e 202 reg. proc. Trib.) ed eventualmente di richiedere la fissazione di una udienza, che dovrà necessariamente essere garantita ove la parte istante non abbia partecipato alla fase scritta (art. 76 reg. proc. Corte e 213 reg. proc. Trib).
In definitiva, quindi, la novella riconosce a dette istituzioni un generale potere di partecipazione quale amici curiae che è verosimile prevedere venga esercitato soprattutto in quelle cause connesse al riconoscimento e all’esercizio di diritti fondamentali o aventi ad oggetto temi particolarmente sensibili per gli equilibri istituzionali e costituzionali dell’Unione.
Sebbene una valutazione dell’impatto di tale modifica per l’economia generale del procedimento pregiudiziale non possa che essere rinviata ad un congruo periodo successivo alla sua effettiva entrata in vigore, appare comunque difficile immaginare particolari stravolgimenti in concreto. Nella maggior parte dei casi, infatti, le domande pregiudiziali poste dai giudici nazionali attengono all’interpretazione di disposizioni contenute in atti legislativi adottati da Parlamento e Consiglio, eventualmente in combinato disposto con norme di diritto primario e/o principi generali. Conseguentemente, la legittimazione dei co-legislatori ad intervenire nelle cause pregiudiziali, certamente ora formalmente ampliata, di fatto non dovrebbe subire particolari variazioni.
Resta, poi, altresì da valutare l’eventuale rigore con cui la Corte riterrà di esaminare l’effettiva sussistenza dell’interesse addotto dall’istituzione richiedente a sostegno dell’esercizio del proprio diritto di partecipazione al procedimento.