Le droit national en tant que « fait juridique » dans la procédure d’appel : les conclusions de l’avocat général Kokott dans l’affaire Corneli

Conclusioni dell’avvocato generale Kokott, 21 novembre 2024, cause riunute C-777/22 P e C-789/22 P, BCE e Commissione c. Corneli

Il diritto nazionale come « fatto giuridico » nel giudizio di impugnazione: le conclusioni dell’avvocato generale Kokott in Corneli

National Law as a «Legal Fact» in the Appeal Proceedings: Advocate General Kokott’s Opinion in Corneli

 

1. Premessa

Lo scorso 21 novembre sono state pubblicate le conclusioni dell’avvocato generale Kokott nell’ambito delle due cause riunite di impugnazione, da parte della Banca centrale europea (“BCE”) e della Commissione, della sentenza del Tribunale Corneli c. BCE (12 settembre 2022, T-502/19).

 Il caso solleva importanti e, in parte, nuove questioni di diritto (ed è stato, per questo, assegnato alla Grande sezione) quali: (i) la legittimazione e l’interesse ad agire di un singolo azionista di minoranza con riferimento all’impugnazione di una decisione della BCE che assoggetta una banca ad amministrazione straordinaria; (ii) l’applicazione del diritto nazionale da parte della BCE nell’ambito dell’esercizio dei suoi poteri di vigilanza ai sensi dell’art. 4, par. 3, comma 1, del Regolamento (UE) n. 1024/2013 (“Regolamento MVU”); (iii) il rapporto tra le direttive e il diritto nazionale di cui rappresenta la trasposizione in tale ambito; (iv) la qualificazione di detto diritto nazionale quale fatto o diritto, anche (ma non solo) ai fini della determinazione dell’ampiezza dello scrutinio della Corte di giustizia in sede di impugnazione, ai sensi degli artt. 256, par. 2, TFUE e 58 Statuto.

Nelle pagine che seguono verrà illustrata (con particolare attenzione alle ricadute processuali) la posizione dell’avvocato generale Kokott che ha proposto alla Corte di giustizia di confermare la sentenza del Tribunale, offrendo importanti spunti di riflessione su tali questioni. Se da un lato le conclusioni di Kokott chiariscono (confermando alcuni precedenti giurisprudenziali) la qualificazione del tema dell’interpretazione del diritto nazionale da parte di istituzioni e giudici dell’Unione come “questione di fatto”, dall’altro lato lasciano senza risposta la domanda circa la soluzione del contrasto tra diritto dell’Unione e diritto nazionale nel contesto del MVU.

 

2. Il caso Corneli e la pronuncia del Tribunale

In primo grado, su ricorso di un’azionista di minoranza della Banca Carige, la sig.ra Corneli, il Tribunale aveva annullato le decisioni della BCE che avevano disposto (e successivamente prorogato) l’amministrazione straordinaria dell’istituto. Il Tribunale, infatti, accertata la legittimazione e l’interesse ad agire della sig.ra Corneli, in ragione della lesione dei propri diritti di azionista, aveva ritenuto che BCE avesse errato nell’applicare l’art. 70 del Testo Unico Bancario (“TUB”), avendo detta istituzione adottato la decisione di avviare l’amministrazione straordinaria sulla base di un presupposto – il «significativo deterioramento della situazione della banca» – non contemplato da detta norma, che invece prevede requisiti più severi (quali la presenza di gravi perdite) per poter procedere in tal senso. Il «significativo deterioramento», infatti, è previsto dalla legge italiana in un’altra norma, l’art. 69 octiesdecies TUB, come presupposto per l’adozione di rimedi meno invasivi (rispetto all’amministrazione straordinaria) sulla governance e la gestione della banca (come ad esempio la rimozione degli organi amministrativi o di controllo).

Nel corso della causa emergeva una divergenza tra il contenuto delle norme italiane (gli artt. 69 octiesdecies e 70 TUB) e la Direttiva 2014/59/UE, che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi (la c.d. Banking Recovery and Resolution Directive, “Direttiva BRRD”), in particolare gli artt. 28 e 29, di cui le citate norme del TUB rappresentano la trasposizione. Nell’impianto della Direttiva BRRD, infatti, l’art. 28 prevede la possibilità di rimuovere la dirigenza e/o gli organi di controllo in caso di significativo deterioramento, mentre l’art. 29 consente la nomina di amministratori temporanei quando le misure di cui all’art. 28 siano ritenute insufficienti, creando così un collegamento tra il significativo deterioramento della banca e la decisione di amministrazione straordinaria non presente nella normativa italiana che al contrario àncora la rimozione degli organi e l’amministrazione straordinaria a presupposti ben distinti. In particolare, l’art. 29, par. 1, prima frase, della Direttiva BRRD prevede, infatti, che: «[g]li Stati membri provvedono a che le autorità competenti possano nominare uno o più amministratori temporanei dell’ente, qualora la sostituzione dell’alta dirigenza o dell’organo di amministrazione ai sensi dell’articolo 28 sia ritenuta insufficiente da parte dell’autorità competente per porre rimedio alla situazione».

Il Tribunale riteneva che l’errore di BCE non potesse essere corretto mediante un’interpretazione della normativa nazionale in senso conforme alla Direttiva BRRD, perché, nel caso di specie, ciò si sarebbe tradotto in un’interpretazione contra legem (punti 105-107).

Neppure, secondo il Tribunale, BCE avrebbe potuto disapplicare il diritto interno e applicare la Direttiva BRRD. Secondo il Tribunale, infatti, la BCE aveva agito nell’ambito del Meccanismo di Vigilanza Unico (“MVU”) e in tali casi, ai sensi dell’art. 4, par. 3, comma 1, del Regolamento MVU, nell’esercitare i suoi poteri di vigilanza, detta istituzione deve applicare «tutto il pertinente diritto dell’Unione e, se tale diritto dell’Unione è composto da direttive, la legislazione nazionale di recepimento di tali direttive»: tale norma non può essere letta come comprendente due fonti distinte di obblighi (il diritto UE e il diritto nazionale) e, dunque, BCE era tenuta ad applicare il diritto nazionale e non la direttiva di cui lo stesso rappresentava la trasposizione. Inoltre, un’applicazione della direttiva in luogo del diritto nazionale (ove ritenuto con essa contrastante) sarebbe risultata un’applicazione di tale atto in pregiudizio di un privato, in violazione del divieto di effetti diretti verticali rovesciati, ribadito costantemente dalla giurisprudenza del Kirchberg (punto 112).

In conclusione, secondo il Tribunale, non si poteva «porre rimedio all’errore commesso dalla BCE nell’applicazione dell’art. 70 del [TUB] con un’interpretazione libera dei testi normativi che consenta di rimodellare le condizioni per l’applicazione di disposizioni concepite in modo distinto nella direttiva 2014/59 e nel diritto nazionale» (punto 113).

BCE e Commissione (interveniente in primo grado ed appellante nel giudizio dinanzi alla Corte) impugnavano pertanto la sentenza del Tribunale. I motivi di impugnazione di entrambe le appellanti vertevano, sostanzialmente, da un lato sulla ricevibilità del ricorso di Corneli e, dall’altro lato, sugli errori del Tribunale nel considerare il rapporto tra diritto nazionale e diritto dell’Unione all’interno del Regolamento MVU e, in particolare, nell’interpretare il diritto italiano rilevante in maniera non corretta, ovvero in contrasto con giurisprudenza e dottrina nazionali.

L’Italia interveniva a sostegno delle due istituzioni.

 

3. La legittimazione ad agire dell’azionista di minoranza

Il primo punto esaminato dall’avvocato generale Kokott nelle conclusioni rese nel giudizio di impugnazione riguarda la legittimazione ad agire di Corneli, tema particolarmente dibattuto tra le parti, in quanto BCE e Commissione contestavano l’incidenza diretta ed individuale sulla posizione della ricorrente della decisione di BCE di porre la banca in amministrazione straordinaria (come è noto, ai sensi dell’art. 263 TFUE, chi non è destinatario dell’atto può agire solo se l’atto lo riguarda “direttamente ed individualmente” oppure ove si tratti di atto regolamentare che incide direttamente sulla posizione del ricorrente e non comporta misure di esecuzione).

Secondo Kokott, il Tribunale ha correttamente ritenuto che la decisione di BCE di porre in amministrazione straordinaria la banca e la successiva proroga abbiano prodotto effetti negativi direttamente sulla posizione di Corneli in quanto azionista della banca: infatti, tali decisioni hanno sospeso o limitato l’esercizio dei diritti di partecipazione, di voto e altri diritti discendenti dallo statuto della banca (parr. 53 e 54). Tale constatazione non può essere rimessa in discussione neppure dall’esistenza di soglie minime previste dallo statuto della banca o dalla legge per l’esercizio di tali diritti: essi hanno, infatti, «un valore intrinseco» [c.vo nel testo], indipendentemente dalla concreta possibilità di esercitarli in ragione del raggiungimento delle necessarie soglie (parr. 55 e 56). La situazione di Corneli è, pertanto, diversa da quelle degli azionisti nel caso Trasta Komercbanka (Corte giust., Grande sez., 5 novembre 2019, C- C‑665/17 P e C‑669/17 P) ove la Corte non ha riconosciuto la legittimazione ad agire degli stessi ai fini dell’impugnazione di una decisione di revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività della banca, poiché detto atto non incideva sui diritti degli azionisti, ma esclusivamente sulla banca (par. 57). Neppure il richiamo alla sentenza della Corte EDU Albert e a. c. Ungheria risulta di qualche utilità per negare la legittimazione ad agire di Corneli, essendo stata riconosciuta anche in tale pronuncia una distinzione tra gli atti che incidono sui diritti degli azionisti e quelli che al contrario colpiscono solo la banca, in un particolare caso di fusione (parr. 58-61).

Le decisioni controverse di BCE, secondo Kokott, hanno altresì un’incidenza individuale nei confronti di Corneli. Chiarito che non si tratta di atti regolamentari, ovvero atti non legislativi di portata generale, essendo atti indirizzati direttamente dalla BCE alla banca, Kokott conferma l’accertamento del Tribunale (parr. 64-65). Il giudice dell’Unione ha, infatti, correttamente applicato la c.d. giurisprudenza sui gruppi chiusi, ai sensi della quale ove l’atto, pur generale e astratto, colpisca gli appartenenti ad un determinato gruppo in ragione delle caratteristiche oggettive, ma anche individuali degli stessi, tali soggetti appaiono legittimati ad agire perché riguardati individualmente (in primo grado il Tribunale aveva fatto riferimento, in particolare, a Corte giust., 13 marzo 2008, C-125/06 P, Commissione c. Infront WM)

Nel caso di specie, infatti, le decisioni controverse riguardavano Corneli «non solo nella sua qualità “oggettiva” di azionista (rispetto agli azionisti di altre società) […] ma anche in quanto detentrice, univocamente individuabile in tale momento, di una parte del capitale della banca» (par. 67). Il fatto che gli azionisti di minoranza della banca fossero 35.000 e siano dunque tutti potenziali ricorrenti non inficia detto ragionamento, nella misura in cui essi possono essere individuati con chiarezza in quanto facenti parte di una cerchia ristretta (par. 68).

Il punto è particolarmente delicato, rappresentando un’applicazione inedita della giurisprudenza sui gruppi chiusi: non solo Corneli, in quanto azionista di minoranza, si trova in una posizione differente da altri soggetti “terzi”, ossia da tutti i soggetti nella cui sfera giuridica la decisione ha prodotto effetti, quali creditori, obbligazionisti, ma tale situazione la differenzia anche dagli altri soci. Il fatto che possano dunque essere considerati “direttamente ed individualmente” interessati tutti i soci di minoranza, per quanto numerosi, non è rilevante, né per il Tribunale né per Kokott.

 

4. L’interesse (persistente) ad agire di Corneli 

L’avvocato generale si sofferma su un punto emerso solo nel giudizio di impugnazione, ovvero la persistenza dell’interesse ad agire della ricorrente in primo grado: poiché nelle more del giudizio l’amministrazione straordinaria era cessata e, per effetto di successive operazioni, Corneli aveva perso il suo status di azionista, BCE e Commissione contestavano che vi fosse ancora un interesse ad agire in capo alla stessa. Kokott ricorda che, pur essendo stata sollevata solo in sede di appello, tale eccezione deve essere esaminata dalla Corte perché secondo costante giurisprudenza, essa deve esaminare d’ufficio la ricevibilità del ricorso in primo grado, e dunque quanto attiene all’interesse ad agire, indipendentemente dagli argomenti delle parti e dalle statuizioni del Tribunale (par. 50).

Secondo Kokott, conformemente alla giurisprudenza della Corte, determinante ai fini della persistenza dell’interesse ad agire è la possibilità che la sentenza di annullamento sia funzionale alla proposizione di un ricorso per il risarcimento del danno. Dunque, la semplice prospettazione della presentazione di detto ricorso, purché non ipotetico, è sufficiente a fondare la permanenza dell’interesse ad agire, a prescindere dal giudizio prognostico circa la fondatezza dello stesso (par. 74). Per Kokott la dichiarazione di voler procedere in tal senso da parte della sig.ra Corneli, effettuata in risposta ai quesiti scritti e orali in vista dell’udienza, è sufficiente a tal fine (par. 75).

 

5. Nel merito: il rapporto tra diritto nazionale e direttive ai sensi dell’art. 4, par. 3, comma 1, del Regolamento MVU

Nel merito, l’avvocato generale Kokott si concentra sulla questione particolarmente delicata circa il rapporto tra il diritto nazionale ed il diritto dell’Unione europea nell’ambito del Regolamento MVU. Tutte le censure delle ricorrenti, esaminate congiuntamente da Kokott, ruotano, infatti, attorno alla questione circa la violazione da parte del Tribunale dell’art. 4, par. 3, comma 1, Regolamento MVU, in combinato disposto con gli artt. 28 e 29 della Direttiva BRRD e gli artt. 69 octiesdecies e 70 TUB, nonché dell’art. 288 TFUE (parr. 81 e 82).

 Come già ricordato, l’art. 4, par. 3, comma 1, del Regolamento MVU prevede che «la BCE applica tutto il pertinente diritto dell’Unione e, se tale diritto dell’Unione è composto da direttive, la legislazione nazionale di recepimento di tali direttive» e che «[l]addove il pertinente diritto dell’Unione sia costituito da regolamenti e al momento tali regolamenti concedano esplicitamente opzioni per gli Stati membri, la BCE applica anche la legislazione nazionale di esercizio di tali opzioni». Commissione e BCE rimproveravano al Tribunale di non aver correttamente interpretato il Regolamento MVU e di aver così erroneamente ritenuto che la BCE non potesse applicare la Direttiva BRRD, nello specifico, l’art. 29, par. 1, prima frase, di cui il diritto nazionale (nello specifico, l’art. 70 TUB) rappresenta la trasposizione, in luogo di quest’ultimo, né interpretare detto diritto nazionale in senso conforme alla direttiva.

Correttamente, l’avvocato generale rileva pertanto che le questioni su cui occorre interrogarsi sono principalmente quattro: (i) «la BCE è tenuta ad applicare il diritto nazionale quale è adottato dal legislatore per recepire una direttiva, nonché interpretato e applicato dai giudici nazionali, anche se è in contrasto con le disposizioni della stessa direttiva?»; (ii) «in caso di diretta applicabilità delle disposizioni di una direttiva, non solo le autorità e i giudici degli Stati membri, ma anche la BCE, devono applicare esclusivamente le disposizioni di cui trattasi, disapplicando il diritto nazionale ad esso contrario in virtù del principio del primato del diritto dell’Unione?»; (iii) «[n]ell’ipotesi in cui non sia ipotizzabile un’applicazione diretta delle disposizioni di una direttiva, ad esempio perché esse creano obblighi per i singoli, la BCE è tenuta a rispettare i principi applicabili ai fini di un’interpretazione conforme del diritto nazionale?»; (iv) «[a] tal riguardo, la BCE deve ricorrere ai metodi di interpretazione riconosciuti nell’ordinamento nazionale e alla pertinente giurisprudenza dei giudici degli Stati membri?» (par. 4).

 

6. (Segue): l’effetto diretto dell’art. 29, par. 1, prima frase, della Direttiva BRRD

Secondo l’avvocato generale, il sopra richiamato art. 29, par. 1, prima frase, della Direttiva BRRD ha le caratteristiche per essere ritenuto norma dotata di effetto diretto, avendo un contenuto sufficientemente preciso da poter essere applicato direttamente anche da un’autorità di vigilanza nazionale (par. 91). In linea di principio, dunque, l’autorità nazionale dovrebbe disapplicare la norma interna (l’art. 70 TUB) e applicare l’art. 29, par.1, prima frase, della direttiva BRRD e per l’effetto disporre l’amministrazione straordinaria della banca anche nel caso di (solo) significativo deterioramento. Tale affermazione non pare condivisibile, essendo tale norma caratterizzata da un certo margine di discrezionalità, indirizzandosi principalmente agli Stati membri, ed essendo la direttiva BRRD uno strumento di armonizzazione minima (come sostenuto anche da Corneli).

La conclusione di Kokott, in ogni caso, è che la BCE non avrebbe comunque potuto applicare l’art. 29, par. 1, prima frase, della Direttiva BRRD (anche se provvisto di effetto diretto), in caso di contrasto con il diritto nazionale di trasposizione, perché questo si sarebbe tradotto in un’applicazione della stessa in pregiudizio dei privati in questione, ovvero della banca e degli azionisti e ciò sarebbe contrario alla giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia che vieta gli effetti diretti verticali rovesciati delle direttive. Pertanto, non può essere rimproverata al Tribunale una violazione dell’art. 288 TFUE (par. 104). Kokott mette, infatti, chiaramente in evidenza che il rapporto in esame non può essere assimilato ai rapporti triangolari ove la giurisprudenza ha eccezionalmente riconosciuto che un terzo debba tollerare misure di carattere pubblico che passano dall’applicazione diretta della direttiva invocata da un privato nei confronti dello Stato (par. 96).

 

6.1. Il dovere di BCE di applicare il diritto UE in luogo del diritto nazionale in caso di contrasto

Per l’ipotesi in cui la Corte non ritenesse di seguire la conclusione delineata circa l’inapplicabilità della direttiva per divieto di effetto diretto verticale rovesciato, Kokott esamina la possibilità che la BCE sia tenuta ad applicare le norme dell’UE disapplicando il diritto nazionale, nel contesto dell’art. 4, par. 3, Regolamento MVU, ovvero se su BCE gravino gli stessi obblighi delle autorità nazionali.

Kokott parte dalla constatazione che, indirizzandosi le direttive agli Stati, la loro applicazione in via diretta rappresenta un’ipotesi percorribile solo in casi eccezionali (par. 106). Dall’art. 4, par. 3, comma 1, del Regolamento MVU, che impone alla BCE «di applicare tutto il pertinente diritto dell’Unione e la legislazione nazionale di recepimento» discenderebbe l’obbligo per BCE di applicare il diritto UE, al pari delle autorità nazionali di vigilanza (par. 107). Nella misura in cui BCE, per l’effetto del Regolamento MVU, si sostituisce alle autorità nazionali di vigilanza, deve essere assimilata ad esse anche quale destinataria di tali norme (par. 107).

Inoltre, Kokott ritiene che la fonte di tale obbligo vada ravvisata anche nei principi di salvaguardia dell’uniformità dell’ordinamento giuridico dell’UE e dello Stato di diritto che la BCE è tenuta a rispettare ai sensi dell’art. 13, par. 2, TUE, in combinato disposto con l’art. 132 TFUE. Una conclusione diversa porterebbe, secondo Kokott, ad una «eccessiva frammentazione» nell’attuazione delle norme in tema di vigilanza bancaria (par. 109). Tale conclusione non appare condivisibile, in quanto la scelta di utilizzare la direttiva in luogo del regolamento, soprattutto nell’ambito del MVU, nasce proprio dalla valorizzazione delle scelte nazionali operata dall’art. 4, par. 3, Regolamento MVU, anche per rispettare le competenze degli Stati, trattandosi di un settore in cui la competenza attribuita alla BCE è solo parziale (cfr. ex multis, R. D’Ambrosio, Meccanismo di Vigilanza Unico, in Enciclopedia del Diritto, Annali IX, 2016, p. 590 ss.).

Secondo Kokott «nella misura in cui la normativa nazionale di recepimento sia contraria alle disposizioni direttamente applicabili di una direttiva, essa deve, laddove ciò sia consentito a sfavore dei singoli, essere pertanto disapplicata da tutte le autorità di vigilanza, ivi compresa la BCE, conformemente al principio del primato del diritto dell’Unione» (par. 109).

Nel caso di specie, dunque, nella misura in cui l’art. 70 TUB non fa espresso riferimento al significativo deterioramento della situazione finanziaria della banca (ma solo all’ipotesi più grave delle perdite patrimoniali) e qualora questo dovesse ostare all’art. 29, par. 1, prima frase della Direttiva BRRD, la disposizione UE, secondo Kokott, dovrebbe essere applicata in luogo di quella nazionale (par. 110).

 

7. (Segue): l’interpretazione del diritto nazionale in senso conforme alla Direttiva BRRD

Dopo aver esaminato l’ipotesi dell’applicazione diretta della direttiva in via subordinata, Kokott torna alla propria tesi che la esclude in virtù del divieto di applicazione diretta in pregiudizio dei privati e prosegue il proprio ragionamento sulle possibili alternative per BCE. Il tema che si pone è dunque quello dell’interpretazione conforme che, come corollario del primato, impone in particolare ai giudici nazionali di interpretare, per quanto possibile, il diritto interno in modo conforme al diritto dell’Unione. Detto principio è, tuttavia, soggetto ad alcuni limiti e non può servire da fondamento per un’interpretazione contra legem del diritto nazionale (par. 116).

Secondo Kokott, tale obbligo di interpretazione conforme grava anche sulla BCE e sul Tribunale: si tratta di un’affermazione non scontata, in quanto il principio dell’interpretazione conforme nasce per le autorità e i giudici nazionali (e infatti a sostegno della propria statuizione Kokott richiama la dottrina e non precedenti giurisprudenziali), sebbene anche il Tribunale, nella sentenza impugnata, fosse giunto alla stessa conclusione.

Kokott ritiene, dunque, che occorra determinare «la portata esatta dell’obbligo della BCE e del Tribunale di interpretare il diritto nazionale per quanto possibile in maniera conforme alla direttiva» e se e in quale misura il Tribunale dovesse tenere conto dei metodi di interpretazione del diritto interno e della giurisprudenza dei giudici nazionali (par. 121).

 

7.1. (Segue): l’interpretazione del diritto nazionale come questione di fatto o questione di diritto?

Per poter analizzare il quesito testé indicato, occorre risolvere una domanda cruciale che – come riferisce Kokott – rappresenta «un punto estremamente controverso tra le parti» ovvero «stabilire se la normativa nazionale applicabile dalla BCE ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1024/2014 nell’ambito della sua attuazione e del conseguente controllo in sede giurisdizionale costituisca, per analogia con il diritto dell’Unione, l’oggetto di una “questione di diritto” o piuttosto di una “questione di fatto” che deve essere provata» (par. 122).

Il tema ha un’importante ricaduta processuale con riferimento ai limiti dello scrutinio della Corte di giustizia circa le pronunce del Tribunale, potendo la Corte unicamente decidere delle censure attinenti a motivi di diritto ai sensi dell’art. 256, par. 1, secondo comma TFUE e 58 Statuto. Solo il Tribunale è, infatti, competente ad accertare i fatti e a valutare le prove, potendo la Corte unicamente rilevare – in sede di impugnazione – un eventuale snaturamento degli stessi, ovvero un errore manifesto del giudice di prime cure. Come rilevato in dottrina «dalla circostanza che la [Corte di giustizia] è competente solo per valutare questioni di diritto risulta chiaramente che il controllo che essa è chiamata ad effettuare si avvicina ad un controllo di cassazione e non di appello» (C. Naômé, Articolo 58, in C. Amalfitano, M. Condinanzi, P. Jannuccelli, Le regole del processo dinanzi al giudice dell’Unione europea, Napoli, 2017, p. 295 ss., spec. p. 305). In tale contesto «assume […] particolare importanza la giurisprudenza che detta le modalità per distinguere tra elemento di fatto e questione di diritto, al cui riguardo la Corte di giustizia, come tutte le giurisdizioni di cassazione, dispone di una certa discrezionalità» (C. Naôme, Articolo 58, cit.). Inoltre «[t]he distinction between fact and law is […] not straightforward when an error with re­spect to the interpretation of national law is alleged» (K. Lenaerts, K. Gutman, J. T. Nowak, EU Procedural Law, Oxford, 2023).

Dunque, se l’interpretazione del diritto nazionale è una questione di fatto e non di diritto, eventuali errori del Tribunale non possono essere sottoposti allo scrutinio della Corte se non nei limiti della dimostrazione di uno snaturamento di detto diritto nazionale.

Kokott sul punto cita le conclusioni di Ćapeta dell’11 aprile 2024 nella causa Anglo Austrian in cui detto avvocato generale aveva analizzato la questione, illustrando come il diritto nazionale possa essere talvolta qualificato come fatto, ad esempio in procedure come il rinvio pregiudiziale o il ricorso per infrazione, e talvolta come diritto, ovvero quando è richiamato da fonti dell’Unione, come, ad esempio, nell’ambito del regolamento sul marchio dell’UE e divenga quindi parte della regola giuridica applicabile. Ćapeta – a differenza di Kokott – riteneva che questa fosse l’ipotesi cui ricondurre il richiamo al diritto nazionale operato dal Regolamento MVU e suggeriva alla Corte di applicare uno standard di scrutinio diretto a verificare la «determinazione del dovere di diligenza applicato dal Tribunale nell’accertare l’esatto significato della legge nazionale. La Corte dovrebbe concentrarsi sui fattori presi in considerazione dal Tribunale per valutare il significato del diritto nazionale e sulla chiarezza del suo ragionamento che giustifica un’interpretazione concorrente rispetto ad un’altra» (parr. 49-51). La Corte, tuttavia, nella propria pronuncia non aveva seguito le indicazioni dell’avvocato generale sul punto, considerando il diritto nazionale come un fatto e limitando la revisione dell’interpretazione dello stesso operata dal Tribunale al caso dello snaturamento (Corte giust., 12 settembre 2024, C-579/22 P, Anglo Austrian).

Kokott mette in luce come BCE e Commissione, rispondendo ad un quesito orale in udienza, abbiano sostenuto che, in forza dell’art. 4, par. 3, Regolamento MVU, il diritto nazionale deve essere equiparato al dritto dell’Unione, consentendo alla Corte di giustizia uno scrutinio pieno in sede di impugnazione (par. 123).

Corneli, al contrario, affermava che il legislatore dell’Unione ha effettuato una scelta precisa nell’ambito dell’art. 4, par. 3, Regolamento MVU, imponendo alla BCE di applicare il diritto nazionale, quand’anche in contrasto con il diritto dell’Unione: un’eventuale difformità sarebbe censurabile solo nell’ambito di una procedura di infrazione (e la Commissione, cui era stata notificata la legislazione di recepimento della direttiva, non aveva sollevato obiezioni). Peraltro, secondo Corneli, non vi sarebbe un contrasto con le norme italiane e la Direttiva BRRD, avendo il legislatore nazionale correttamente recepito la direttiva nell’esercizio della propria discrezionalità (par. 124).

 

7.2. Il diritto nazionale come “fatto giuridico”: conseguenze processuali

Kokott afferma che la Corte di giustizia ha già risposto alla domanda di cui sopra, ritenendo che l’interpretazione del diritto nazionale sia una questione di fatto e dunque censurabile in sede di impugnazione solo nei limiti dello snaturamento, il quale deve risultare in modo manifesto dal fascicolo di causa (il riferimento è a Corte giust., 12 settembre 2024, C-579/22 P, Anglo Austrian, cit. e 15 settembre 2022, C-326/21, PNB Banka c. BCE), e aderisce pienamente a tale conclusione, facendo alcune precisazioni.

Kokott parte dalla considerazione della natura del diritto nazionale. Secondo Kokott non è possibile effettuare un’equiparazione del diritto nazionale al diritto dell’Unione europea, perché ciò sarebbe contrario alla ripartizione di competenze tra Stati e Unione, nonché al principio di attribuzione ex art. 5, par. 2, TUE: «[d]etta ripartizione di competenze prevista dai Trattati non può essere modificata dall’obbligo, basato sul diritto derivato, di applicare il diritto nazionale, quale previsto dall’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1024/2013» (par. 125). Come correttamente osservato da Kokott, se si opinasse in senso contrario, il diritto nazionale dovrebbe considerarsi «interamente “incorporato”» e quindi “trasformato” in diritto dell’Unione (par. 125).

A tal proposito, Kokott nella nota 101 fa un’affermazione piuttosto sorprendente nella misura in cui dice che una tale «incorporazione parziale» potrebbe tutt’al più avvenire nell’ambito delle controversie promosse davanti ai giudici dell’Unione in forza di clausola compromissoria ex art. 272 TFUE, poiché consente alla Corte di esaminare il diritto nazionale in sede di controllo giurisdizionale: tale affermazione non pare condividibile in quanto, in tal caso, non si verifica una “trasformazione” del diritto nazionale in diritto dell’Unione, ma semplicemente il TFUE conferisce al Tribunale la competenza a giudicare del diritto nazionale in tale tipo di ricorsi in primo grado e alla Corte di controllare in sede di impugnazione l’interpretazione del diritto nazionale, secondo le proprie regole di procedura. La giurisprudenza sul punto è, tuttavia, oscillante: cfr. C. Naôme, Appeals Before the Court of Justice of the European Union, Oxford, 2018, p. 105).

Le ricadute della conclusione di Kokott sulla procedura sono importanti. In primo luogo, la considerazione dell’interpretazione del diritto nazionale come «questione di fatto» esclude l’applicazione del principio iura novit curia a detto diritto. Ciò discenderebbe, secondo Kokott, dall’art. 19, par. 1, TUE in combinato disposto con gli articoli 256, par. 1, comma 2, e 267 TFUE e con l’art. 58, comma 1, Statuto che prevede che la Corte abbia «l’ultima parola» solo con riferimento al diritto dell’Unione, mentre per il diritto nazionale sono competenti i giudici nazionali. La procedura di infrazione e il rinvio pregiudiziale costituiscono – secondo Kokott – un’espressione concreta di tale riparto di competenze (par. 127).

Ciò detto, secondo Kokott, il diritto nazionale richiamato dall’art. 4, par. 3, comma 1, Regolamento MVU è comunque espressione di una regola giuridica, come nel Regolamento sul marchio UE, ove vi sono numerosi riferimenti e rinvii al diritto nazionale (par. 128).

Kokott, quindi, suggerisce alla Corte di considerare la stessa ampiezza di scrutinio utilizzata nell’ambito del contenzioso relativo regolamento dei marchi, richiamando le proprie celebri conclusioni nella causa Edwin, ovvero limitata allo snaturamento, trattandosi di questione di fatto (par. 128). Giova ricordare che nella pronuncia Edwin, seguendo le indicazioni di Kokott, la Corte aveva affermato che: «[p]er quanto riguarda l’esame, nell’ambito di un giudizio di impugnazione, delle constatazioni compiute dal Tribunale in ordine alla suddetta normativa nazionale, la Corte è competente ad esaminare, anzitutto, se il Tribunale, sulla scorta dei documenti e delle altre prove sottopostegli, non abbia snaturato il tenore letterale delle disposizioni nazionali in questione o della giurisprudenza nazionale ad esse relativa od anche degli scritti della dottrina riguardanti tali disposizioni; poi, se il Tribunale non abbia formulato, con riguardo a tali elementi, constatazioni che si pongono manifestamente in contrasto con il loro contenuto; e, infine, se il Tribunale non abbia, nell’esaminare il complesso degli elementi, attribuito ad uno di essi, allo scopo di accertare il contenuto della normativa nazionale in questione, una portata che non gli spetta in rapporto agli altri elementi, purché ciò risulti in modo manifesto dagli elementi del fascicolo» (5 luglio 2011, C-263/09 P, Edwin e UAMI c. Elio Fiorucci, punto 53).

Nelle presenti conclusioni, Kokott fa anche un’importante affermazione che merita di essere sottolineata: in un contesto come quello del Regolamento sul marchio dell’Unione europea o del Regolamento MVU, il diritto nazionale «costituisce anche una regola di diritto relativa all’applicazione dei Trattati ai sensi dell’art. 263, secondo comma, TFUE, la cui applicazione è in linea di principio soggetta al controllo dei giudici dell’Unione [nda: corsivo nel testo]» (par. 128). Dunque, in tali casi, il diritto nazionale diviene parametro di legittimità degli atti di diritto dell’Unione europea che possono essere annullati per contrasto con esso ai sensi dell’art. 263 TFUE. Ciò non toglie che, invece, in sede di impugnazione, lo scrutinio sia limitato ai sensi dell’art. 256 TFUE e 58 Statuto, perché – sebbene Kokott non lo espliciti – da tali norme deriva la possibilità di impugnare le sentenze del Tribunale per motivi di diritto ma solo dell’Unione europea. Del resto la logica del ricorso per annullamento è profondamente diversa da quella del giudizio di impugnazione. Già nelle proprie conclusioni del 27 gennaio 2011, in causa C-263/09 P, Edwin e UAMI c. Elio Fiorucci (parr. 61-67 e par. 7), Kokott aveva messo chiaramente in luce che da un lato l’interpretazione del diritto nazionale deve essere compiuta dal Tribunale in maniera approfondita, in virtù del rinvio operato dal regolamento sui marchi il quale stabiliva che avverso la decisione dell’UAMI «può essere proposto […] per violazione del Trattato, del presente regolamento o di qualsiasi regola di diritto relativa alla loro applicazione […]» [oggi art. 72 del regolamento sul marchio UE] e aveva sottolineato la differenza tra l’ampiezza dello scrutinio operato dal Tribunale in sede di ricorso per annullamento e quello operato dalla Corte in sede di impugnazione, il quale deve essere strettamente limitato ai profili di diritto dell’Unione, in ossequio al tenore letterale dell’art. 58 Statuto.

Qui Kokott evidenzia in maniera più chiara rispetto al passato (in considerazione della giurisprudenza successiva a Edwin ed in particolare di Corte giust., 27 marzo 2014, C-530/12 P, UAMI c. National Lottery Commission) la «natura ibrida» delle norme nazionali, che pur dovendo essere trattate come “fatto” nel giudizio di impugnazione, devono seguire delle regole peculiari in tema di allegazione e prova (par. 128).

Kokott conclude affermando che l’approccio che dovrebbe seguire la Corte è simile a quello utilizzato nell’ambito della giurisprudenza relativa agli aiuti di Stato, ove il diritto nazionale che istituisce il quadro per valutare se uno Stato membro abbia concesso un aiuto vietato ai sensi dell’art. 107, par. 1, TFUE deve essere esaminato alla stregua di un «fatto giuridico» e dunque «alla luce delle norme in materia di allegazione e di prove applicabili ai fatti» (par. 129).

Dalla qualificazione del diritto nazionale come questione di fatto (giuridico) discendono anche importanti conseguenze quanto al regime probatorio: la parte che ha interesse a dimostrare la violazione del diritto nazionale deve esporne chiaramente il contenuto e la corretta interpretazione, non potendo i giudici dell’Unione procedere d’ufficio (par. 130). Kokott qui non distingue tra primo e secondo grado di giudizio, parlando genericamente di «giudici dell’Unione» e sembra prendere le distanze da alcune pronunce precedenti: la giurisprudenza della Corte in tema di regolamento sui marchi aveva, infatti, chiarito che il Tribunale non deve essere mero recettore delle indicazioni delle parti circa il diritto nazionale, ma può indagarne anche d’ufficio il contenuto ed esaminare la giurisprudenza nazionale rilevante (Corte giust., 27 marzo 2014, C-530/12 P, UAMI c. National Lottery Commission, punti 41-45; 5 aprile 2017, C-598/14 P, UAMI c. Szajner, punto 43).

Su tali premesse, l’analisi dell’avvocato generale si concentra sulla ricevibilità delle censure delle ricorrenti: nella misura in cui «l’interpretazione e l’applicazione del diritto nazionale, devono, in sostanza, essere considerate come una questione di fatto che deve essere provata, le censure delle ricorrenti al riguardo potrebbero essere irricevibili in sede di impugnazione» (par. 131). Questa era del resto la posizione di Corneli, come ricordato da Kokott (par. 132). Di conseguenza, al Tribunale – in sede di impugnazione – potrebbe essere contestato unicamente un errore di diritto con riferimento alle regole in tema di prove («la ripartizione dell’onere della prova e il livello di prova») o lo snaturamento con riferimento a fatti, prove, contenuto e portata della normativa nazionale (par. 131). Detto snaturamento deve però risultare manifestamente dal fascicolo.

Nel caso di specie, le ricorrenti avrebbero invocato solo in sede di impugnazione la giurisprudenza nazionale rilevante e i corretti metodi di interpretazione del diritto italiano (secondo la loro prospettazione) e il Tribunale non era tenuto a procedere a tale indagine d’ufficio (parr. 132 e 133).

Kokott riprende la formulazione della sentenza Edwin, sopra ricordata, concludendo nel senso che dal fascicolo di primo grado non risulta alcuna palese violazione della giurisprudenza nazionale (par. 136). Neppure, secondo Kokott, si può ravvisare uno snaturamento manifesto del diritto italiano nella pronuncia del Tribunale, il quale ha adottato un’interpretazione plausibile dell’art. 70 TUB in ragione del suo tenore letterale, correttamente rifiutando di forzarne la lettera per operare un’interpretazione conforme con la Direttiva BRRD. Kokott ritiene, infatti, che dall’esame del tenore dell’art. 70, la previsione di gravi perdite patrimoniali come presupposto per l’amministrazione straordinaria, quale espressione della scelta del legislatore nella gradualità dei rimedi, «potrebbe ostare» ad un’interpretazione delle norme italiane in senso conforme alla Direttiva BRRD (par. 139).

In conclusione, «alla luce delle informazioni che emergono dal fascicolo, la constatazione del Tribunale, nella sentenza impugnata, secondo cui la BCE non si è fondata su una base giuridica sufficiente, non è accompagnata da un’interpretazione manifestamente erronea delle disposizioni nazionali pertinenti. Analogamente, non risulta che il Tribunale sia in tal modo venuto meno al suo obbligo di interpretare le disposizioni di cui trattasi, per quanto possibile, in modo conforme alle direttive» (par. 140).

Secondo Kokott, dunque, tutte le censure delle ricorrenti, sostenute dall’Italia, dirette a contestare l’operato del Tribunale per non aver correttamente interpretato il diritto nazionale devono essere respinte in quanto irricevibili (par. 141).

Neppure merita accoglimento la censura della Commissione che contestava la tardività delle contestazioni di Corneli quanto all’errata interpretazione dell’art. 70 TUB e dunque la violazione dell’art. 84, par. 1, del regolamento di procedura del Tribunale. Come rilevato dall’avvocato generale, detto motivo, seppur esposto in maniera imprecisa perché al momento della proposizione del ricorso la versione integrale della lettera di BCE non era ancora stata acquisita (per rifiuto della stessa Commissione) dalla sig. Corneli, era comunque già presente nel ricorso introduttivo.

In conclusione, Kokott suggerisce alla Corte di respingere entrambe le impugnazioni. In subordine, per il caso in cui la Corte considerasse fondate le censure di Commissione e BCE quanto all’applicabilità diretta della direttiva, Kokott propone di annullare la sentenza impugnata e rinviare al Tribunale per esaminare compiutamente i motivi di ricorso non considerati in primo grado (ove il Tribunale aveva trattato unicamente il motivo di ricorso relativo alla violazione dell’art. 70, primo comma, TUB o all’assenza di idonea base giuridica) e statuire sulle spese.

 

8. Alcune riflessioni conclusive

Le conclusioni dell’avvocato generale Kokott offrono un importante contributo all’inquadramento e all’analisi di questioni che sono ancora non del tutto definite nella giurisprudenza della Corte di giustizia UE e che vertono, in particolare, sullo status del diritto nazionale all’interno del MVU e sulle ricadute processuali di tale inquadramento, pur non risolvendo il tema della gestione del contrasto tra diritto nazionale e dell’Unione in questo contesto.

Se, infatti, il diritto nazionale, richiamato dall’art. 4, par. 3, comma 1, Regolamento MVU, viene in qualche modo “comunitarizzato” e “assunto” nel diritto dell’Unione europea ai fini della definizione delle regole giuridiche applicabili da BCE, allora l’interpretazione e l’applicazione dello stesso deve seguire le regole proprie del diritto UE. Di conseguenza, il diritto nazionale potrebbe essere oggetto di indagine da parte dei giudici dell’Unione e di scrutinio pieno anche in sede di impugnazione presso la Corte di giustizia, essendo la censura dell’interpretazione/applicazione del diritto nazionale un motivo di diritto ai sensi dell’art. 58 dello Statuto (e questa era la posizione di Commissione e BCE nella causa Corneli).

Al contrario, se il diritto nazionale è solo un fatto, e su questo il richiamo di cui all’art. 4, par. 3, comma 1, Regolamento MVU non ha alcuna incidenza, allora non c’è nessuno spazio per l’applicazione del principio iura novit curia, né per lo scrutinio da parte della Corte di giustizia se non nel caso di dimostrazione (a cura delle parti) dello snaturamento di detto diritto.

Kokott propende per questa seconda soluzione, con alcune sfumature: il diritto nazionale, richiamato dal regolamento MVU, applicato dalla BCE e interpretato in sede di ricorso per annullamento dal Tribunale, va inquadrato come «fatto giuridico» e dunque gli errori quanto all’applicazione/interpretazione dello stesso possono essere censurati solo per ove si riesca a dimostrare che è stato snaturato detto diritto o la giurisprudenza nazionale: questa dimostrazione deve emergere in maniera lampante dagli elementi del fascicolo, senza che la Corte possa addentrarsi in ulteriori analisi.

Questa conclusione si inserisce nel solco della giurisprudenza del regolamento sul marchio UE ove la stessa Kokott aveva già suggerito alla Corte (e la Corte l’aveva seguita) di considerare il diritto nazionale in tal modo, nel rispetto del riparto di competenze tra Stati e istituzioni e delle regole id procedura. Inoltre, proprio nell’ambito del MVU, già in due casi (C- 326/21 P, PNB Banka, e C-579/22 P, Anglo Austrian) la Corte di giustizia aveva già applicato tale metodo, considerando il diritto nazionale alla stregua di un fatto, sebbene non fosse mancato un precedente in senso diametralmente opposto (Corte giust., 2 ottobre 2019, C‑152/18 P et C‑153/18 P, Credit Mutuel Arkea, v. D. Sarmiento, National Law as a Point of Law inAppeals at the Court of Justice. The case of Crédit Mutuel Arkéa c. ECB, EU Law Live).

Qui Kokott sottolinea con più chiarezza rispetto al passato che le norme nazionali hanno una natura ibrida, dovendo essere trattate come fatto, ma al tempo stesso riconoscendone la funzione di definizione della regola di diritto applicabile e ponendo l’accento sull’onere probatorio delle parti quanto al contenuto e all’interpretazione delle stesse. Del resto, già in passato Kokott aveva sostenuto che «le droit de l’Union se trouve néanmoins étroitement lié, voire, dans certains domaines, enchevêtré aux législations nationales des États membres» e che ove ci sia un rinvio diretto al diritto nazionale dell’Unione europea da parte del diritto derivato, come nel ricordato caso del regolamento sul marchio UE, si potrebbe parlare di «actes mixtes» (cfr. J. Kokott, Le droit de l’Union et son champ d’application, in La Cour de justice de l’Union européenne sous la présidence de Vassilios Skouris (2003-2015): liber amicorum Vassilios Skouris, Bruxelles, 2015, p. 349 ss.).

Nel caso di specie, le censure di BCE e Commissione non hanno passato (secondo Kokott) il filtro della ricevibilità, avendo tali istituzioni presentato il contrasto con la corretta (secondo la loro prospettazione) interpretazione del diritto nazionale solo in sede di impugnazione e non risultando alcuno snaturamento di detto diritto in modo manifesto dal fascicolo.

Resta sullo sfondo una certa contraddizione: da un lato, Kokott dice che la BCE non può essere tenuta «a violare deliberatamente il diritto dell’Unione applicando il diritto nazionale in contrasto con esso» (par. 5), ma dall’altro lato esclude l’applicabilità diretta della Direttiva BRRD in pregiudizio dei privati (par. 104) e l’interpretazione conforme alla stessa del diritto nazionale (parr. 138 e 139): di fatto, BCE sembrerebbe, in un’ultima analisi, “costretta” ad applicare il diritto nazionale (pur in contrasto con il diritto dell’Unione).

In ogni caso, se la Corte confermasse le proposte di Kokott, si avrebbe un importante chiarimento circa lo status del diritto nazionale nell’ambito del Regolamento MVU e nel giudizio di impugnazione ex art. 256 TFUE e 58 Statuto. Certo, considerare il diritto nazionale come un “fatto” – per quanto ammantato di giuridicità – può non lasciare del tutto soddisfatti: il peculiare meccanismo dell’art. 4, par. 3, Regolamento MVU ne fa comunque una regola giuridica applicabile da BCE nell’esercizio delle proprie competenze. Tale scelta appare, tuttavia, allo stato obbligata: opinare diversamente, ipotizzando una qualche assimilazione tra diritto dell’Unione e diritto nazionale, comporterebbe inevitabilmente una lesione del riparto di competenze e un’alterazione del rapporto tra ordinamenti.

Pochi anni fa, a proposito del Sistema Europeo di Banche Centrali, la Corte osservava che si tratta di una costruzione all’interno della quale cooperano istituzioni nazionali ed europee e «all’interno della quale vigono un’articolazione diversa e una distinzione meno pronunciata tra l’ordinamento giuridico dell’Unione e gli ordinamenti giuridici interni» (Corte giust., Grande sez., 26 febbraio 2019, cause riunite C-202/18 e C-238/18, Ilmārs Rimšēvičs e Banca centrale europea contro Repubblica di Lettonia, punto 6). Il dubbio che sia lo stesso per il MVU e che qualcosa stia cambiando circa la classica distinzione tra ordinamenti rimane.

Da ultimo, occorre osservare che, ove la Corte seguisse le conclusioni di Kokott, ne risulterebbe una conferma del contrasto tra il 70 TUB e la Direttiva BRRD che dovrebbe indurre il legislatore italiano a modificare la normativa nazionale per renderla conforme al diritto dell’Unione. In difetto di tale modifica, inoltre, la stessa Commissione europea potrebbe avviare una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia, sede più opportuna per un confronto sul punto.