Sur la contestabilité des actes du Parlement européen : l’arrêt de la Cour de justice dans l’affaire Puigdemont i Casamajó e Comín i Oliveres / Parlement européen
Sull’impugnabilità degli atti del Parlamento europeo: la sentenza della Corte di giustizia nel caso Puigdemont i Casamajó e Comín i Oliveres c. Parlamento europeo
On the Challengeability of the Acts of the European Parliament: the Judgment of the Court of Justice in Puigdemont i Casamajó and Comín i Oliveres v European Parliament
Premesse
Nel quadro istituzionale dell’Unione europea, il Parlamento è – come noto – composto da membri eletti a suffragio universale diretto sulla base di taluni principi generali identificati nell’atto elettorale del 1976, che rimette la disciplina più specifica alla normativa di ciascuno Stato membro. Il rinvio alla normativa nazionale opera tanto in relazione alla procedura di elezione dei membri dell’istituzione, quanto all’acquisizione formale dello status di parlamentare europeo e ai profili sostanziali e procedurali dell’immunità parlamentare, che continuano quindi ad essere sostanzialmente regolati e dipendenti dalle norme degli Stati membri (M. Rubechi, 2024).
In questo contesto, oggetto di attenzione della presente segnalazione sarà la sentenza resa dalla Corte di giustizia il 24 settembre 2024 nel caso Puigdemont i Casamajó e Comín i Oliveres c. Parlamento (causa C‑600/22 P), con la quale è stato rigettato definitivamente il ricorso di Puigdemont e Comín contro il rifiuto del presidente del Parlamento europeo di riconoscere loro lo status di deputati europei nel giugno 2019. Oltre a rappresentare l’atto finale di una lunga saga (B. Nascimbene, H. Labayle, 2017; A. Nato, Mandato di arresto europeo e principio di proporzionalità nella sentenza Puig Gordi, in Studi sull’integrazione europea, 2023, p. 345 ss.), questa pronuncia pare rilevante per aver chiarito i confini della nozione di “atto impugnabile” ex art. 263 TFUE con riguardo agli atti del Parlamento europeo e, più precisamente, alle decisioni del suo presidente.
I fatti all’origine della causa e la decisione del Tribunale
I fatti all’origine del caso in oggetto risalgono al «referendum sull’autodeterminazione» organizzato in Catalogna nel 2017 da cittadini ed esponenti della Generalitat catalana, tra cui Carles Puigdemont i Casamajó e Antoni Comín i Oliveres. Rifugiatisi in Belgio per sfuggire al procedimento penale a loro carico per sedizione e malversazione, nel maggio 2019 questi avevano partecipato con successo alle elezioni europee, ma, trovandosi all’estero, non avevano potuto concludere gli adempimenti necessari per acquisire lo status di parlamentare europeo secondo il diritto spagnolo. Di conseguenza, il 17 giugno 2019 la commissione elettorale spagnola aveva comunicato ufficialmente la vacanza dei seggi al Parlamento europeo, determinando l’impossibilità per quei candidati eletti di poter beneficiare di detto status e dei previlegi da esso derivanti.
Parallelamente, con istruzione datata 29 maggio 2019, il presidente del Parlamento europeo aveva negato a Puigdemont e Comín il beneficio del servizio di accoglienza e di assistenza offerto ai nuovi deputati europei. E, con una lettera del 27 giugno 2019, il medesimo aveva rifiutato di riconoscere loro lo status di membri del Parlamento e, constestualmente, di adottare un’iniziativa urgente al fine di confermare le loro immunità sulla base dell’art. 8 del regolamento interno.
Il 28 giugno 2019, Puigdemont e Comín hanno presentato un ricorso diretto a ottenere l’annullamento di questi due provvedimenti. Con sentenza del 6 luglio 2022 (causa T-388/19), il Tribunale ha respinto il ricorso in quanto irricevibile, ritenendo che i provvedimenti non rientrassero tra gli atti impugnabili ex art. 263 TFUE. Secondo i giudici del Tribunale, l’impossibilità per i ricorrenti di assumere le loro funzioni, di esercitare il loro mandato e di sedere in Parlamento non derivava dalle decisioni del presidente del Parlamento europeo, bensì dall’applicazione del diritto spagnolo (S. Barbieri, 2023). Ciò, sebbene nel corso della seduta plenaria del 13 gennaio 2020, il Parlamento avesse deciso – sulla scorta della sentenza Junqueras Vies (causa C-502/19 del 19 dicembre 2019) – di prendere atto dell’elezione dei ricorrenti a decorrere dal 2 luglio 2019. Infatti, la Corte di giustizia riunita in Grande Sezione aveva qui chiarito che un individuo la cui elezione al Parlamento sia stata proclamata dall’autorità nazionale competente acquisisce lo status di deputato da quel momento, senza la necessità di adempiere ulteriori formalità previste dal diritto interno dello Stato (sulla quale, S. Hardt, Fault Lines of the European Parliamentary Mandate: The Immunity of Oriol Junqueras Vies, in European Constitutional Law Review, 2020, p. 170 ss.; C. Fasone, N. Lupo, The Court of Justice on the Junqueras saga: Interpreting the European parliamentary immunities in light of the democratic principle, in Common Market Law Review, 2020, p. 1527 ss; S. Villani, L’immunità dei membri del Parlamento europeo alla luce dell’identità democratica dell’Unione europea, in Il Diritto dell’Unione europea, 2023, p. 327 ss.).
La sentenza della Corte di giustizia sull’impugnabilità dei provvedimenti del presidente del Parlamento europeo
I ricorrenti si sono rivolti alla Corte di giustizia sollevando quattro motivi di impugnazione contro la sentenza in primo grado. Innanzitutto, a loro avviso, il Tribunale aveva commesso un errore di diritto e violato l’art. 263 TFUE e l’art. 47 della Carta nel concludere che gli atti impugnati non avessero causato alcun mutamento della situazione giuridica dei ricorrenti. In secondo luogo, il Tribunale aveva mal interpretato la sentenza Italia e Donnici c. Parlamento (cause riunite C-393/07 e C-9/08 del 30 aprile 2009) e l’art. 12 dell’Atto elettorale del 1976, secondo cui il Parlamento europeo «prende atto dei risultati proclamati ufficialmente dagli Stati membri». In terzo luogo, il Tribunale era incorso in un errore di diritto nel concludere che la decisione di non prendere un’iniziativa per confermare i loro privilegi e le loro immunità ai sensi dell’art. 8 del regolamento interno non fosse un atto impugnabile. Infine, il Tribunale aveva sbagliato nell’affermare che i ricorrenti non avessero rivolto alcuna richiesta al Parlamento in difesa dei loro privilegi e delle loro immunità, ai sensi degli artt. 7 e 9 del regolamento interno.
A fronte di questi motivi, tanto il Parlamento quanto la Spagna hanno contestato la ricevibilità dell’impugnazione, ritenendo che essa mirava, in sostanza, a ottenere un riesame della causa decisa dal Tribunale. Un’eventualità che, come noto, è esclusa dall’art. 256 TFUE e dall’art. 58 dello Statuto della Corte di giustizia UE secondo cui l’impugnazione deve essere diretta a rimediare esclusivamente a pretesi errori di diritto dal momento che la valutazione dei fatti è di competenza del Tribunale, salvo non vi sia stato uno “snaturamento” degli elementi di prova. Pur riconoscendo che le memorie dei ricorrenti fossero in parte assimilabili a una domanda di riesame del ricorso presentato dinanzi al Tribunale, la Corte ha respinto i motivi di irricevibilità opposti dal Parlamento e dal Regno di Spagna (causa C-600/22 P, punti 46-48).
Ciò stabilito, i giudici della Corte hanno concentrato la propria analisi principalmente sul fatto che le iniziative del presidente del Parlamento europeo possano essere ricomprese nella nozione di “atto impugnabile”. Per svolgere questa valutazione, il ragionamento è partito dal presupposto che, in mancanza di una procedura elettorale uniforme, essa resta disciplinata, in ciascuno Stato membro, dalle disposizioni nazionali. Pertanto, il Parlamento europeo non può discostarsi “(..) dalla lista dei nomi ufficialmente comunicata dalle autorità nazionali, indipendentemente dalla sua correttezza”. Infatti, la verifica dell’esattezza di tale lista sarebbe un compito praticamente impossibile per il Parlamento. Non solo. Questa possibilità equivarrebbe a consentire a tale istituzione – e non ai giudici nazionali in primis – di controllare la conformità al diritto dell’Unione della procedura elettorale nazionale, e quindi i risultati delle elezioni disciplinate da tale procedura, contravvenendo così alla ripartizione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri stabilita dall’Atto elettorale (causa C-600/22 P, punto 68).
Per questo, il Parlamento europeo deve necessariamente prendere atto dei risultati proclamati ufficialmente dagli Stati membri, senza alcun margine di discrezionalità nella designazione dei deputati eletti. Le autorità nazionali rimangono le uniche competenti a tal fine, in conformità con la procedura prevista dal diritto nazionale (come in Italia e Donnici c. Parlamento, punti 55 e 56). La presa di posizione del presidente del Parlamento non poteva quindi essere all’origine dell’impossibilità, per i ricorrenti, di acquisire lo status di parlamentare europeo e di godere dei relativi privilegi.
Alla luce di queste considerazioni, è stato concluso che tanto l’istruzione del 29 maggio 2019 quanto la lettera del 27 giugno 2019 non avevano modificato la situazione giuridica di Puigdemont e Comín e, di conseguenza, non costituivano atti impugnabili ai sensi dell’art. 263 TFUE. In aggiunta, la Corte ha confermato che il mancato esercizio, da parte del presidente del Parlamento europeo, del suo potere discrezionale ex art. 8 del regolamento interno, per intraprendere un’iniziativa urgente volta a confermare i privilegi e le immunità dei ricorrenti, non poteva essere oggetto di un ricorso di annullamento. D’altronde, non potendo acquisire lo status di parlamentare europeo, i ricorrenti non potevano neppure godere delle relative immunità.
Nella sua sentenza la Corte ha quindi respinto in toto l’impugnazione di Puigdemont e Comín, confermando l’interpretazione resa dal Tribunale e andando in direzione radicalmente contraria rispetto alle conclusioni dell’Avvocato generale Szpunar. Quest’ultimo, infatti, aveva ritenuto non solo che le posizioni assunte dal presidente del Parlamento europeo costituissero una decisione definitiva e impugnabile ma anche che dovessero essere annullate in quanto illegittime nonché contrarie all’interpretazione resa dalla Corte nella sentenza Junqueras Vies (conclusioni, causa C‑600/22 P, par. 93).
Considerazioni sulla pronuncia
Sotto il profilo processuale, la sentenza resa dai giudici della Corte di giustizia offre due indicazioni significative.
In primo luogo, essa chiarisce ulteriormente i confini della nozione di “atto impugnabile” ex art. 263 TFUE quanto agli atti del Parlamento europeo. In termini generali, vale la pena ricordare che, come da giurisprudenza consolidata, sono da ritenersi impugnabili non solo gli atti legislativi ma anche tutti gli atti e i provvedimenti di carattere definitivo che producano effetti giuridici vincolanti nei confronti di terzi (Parlamento europeo c. Consiglio, causa C-316/91 e, sulla natura vincolante degli effetti, Regno del Belgio c. Commissione, causa C-16/16 P). Nella pronuncia in esame, la Corte ha in aggiunta specificato che l’impugnabilità dell’atto può trovare un limite nella sua origine: se il provvedimento rappresenta una mera presa d’atto di una decisione assunta da altri soggetti, esso non è idoneo a determinare degli effetti su terzi, e quindi non si configura come atto impugnabile ai sensi del diritto UE. Infatti, è l’atto originario – nel caso specifico, quello adottato dalle autorità nazionali di uno Stato membro – a modificare la posizione giuridica dei soggetti interessati. In altri termini, per produrre effetti giuridici vincolanti nei confronti di terzi e risultare eventualmente impugnabile, un atto deve essere adottato da un’istituzione nell’esercizio delle sue effettive prerogative, in via indipendente rispetto alle decisioni assunte a livello nazionale.
Una seconda osservazione concerne il carattere delle decisioni in materia di privilegi e immunità dei parlamentari europei. La Corte ha confermato che le (eventuali) decisioni relative alla difesa dei privilegi e delle immunità dei membri del Parlamento europeo non hanno natura vincolante nei confronti delle autorità nazionali (Marra, cause riunite C-200/07 e C-201/07 del 21 ottobre 2008, punto 39). La Corte ha poi offerto per la prima volta un chiarimento circa la portata del meccanismo di protezione dei privilegi e delle immunità dei deputati europei previsto all’art. 8 del regolamento interno. Questo meccanismo, a differenza di quelli previsti dagli artt. 7 e 9, rientra nell’iniziativa individuale del presidente del Parlamento, il quale decide autonomamente, senza alcun formalismo procedurale. Pertanto, essendo una mera facoltà legata all’esercizio di un ampio potere discrezionale senza vincoli procedurali e non avendo effetti vincolanti nei confronti di terzi (in questo caso delle autorità nazionali), la mancata attuazione di detta facoltà non costituisce un atto impugnabile ai sensi dell’art. 263 TFUE.
La sentenza in commento permette, da ultimo, di proporre una breve riflessione di carattere generale quanto ai recenti sviluppi giurisprudenziali in materia di acquisizione dello status di membro del Parlamento europeo. Nella precedente sentenza Junqueras Vies era stata particolarmente valorizzata l’indipendenza del Parlamento rispetto alle esigenze nazionali, in qualità di istituzione che rispecchia “in modo fedele e completo la libera espressione delle scelte operate dai cittadini dell’Unione”, per mezzo del suffragio universale diretto sancito all’art. 14 TUE (causa C-502/19, punto 83). Nella pronuncia in commento, i giudici della Corte di giustizia, analogamente a quelli del Tribunale, si sono invece dimostrati più inclini a prendere atto del persistente ancoraggio della procedura di elezione dei membri del Parlamento europeo al diritto nazionale; un’aporia che contribuisce a frenare il consolidamento della democrazia rappresentativa (art. 10, par. 1, TUE) e, più ampliamente, della democrazia quale valore dell’Unione ai sensi dell’art. 2 TUE.
A fronte di questa presa d’atto, i giudici della Corte hanno però cercato di temperare il potenziale cortocircuito tra la sentenza in commento e quella resa nel caso Junqueras Vies. Infatti, a più riprese, è stata significativamente ribadita la possibilità di esercitare un controllo sulla conformità delle norme che disciplinano la procedura di elezione dei membri del Parlamento europeo con il diritto dell’Unione (causa C‑600/22 P, punti 69, 73 e 84). Tale controllo può avvenire non solo tramite un ricorso per inadempimento ex art. 258 TFUE, ma anche attraverso i giudici nazionali, chiamati a pronunciarsi o a procedere con un rinvio pregiudiziale per l’interpretazione della norma nazionale alla luce del diritto UE. In sostanza, i giudici del Kirchberg si sono avvalsi di un’esortazione estremamente apprezzabile e necessaria: utilizzare in modo efficace il sistema completo di rimedi giurisdizionali per garantire una corretta applicazione del diritto UE, anche riguardo alle norme che disciplinano l’attribuzione dello status di parlamentare europeo.