Dix ans de recours en manquements : le rapport de la Cour des comptes
Dieci anni di procedure di infrazione: il report della Corte dei conti
Ten Years of Infringement Proceedings: the Court of Auditors’ Report
In data 17 dicembre 2024 la Corte dei conti dell’Unione europea (di seguito, “Corte dei conti”) ha pubblicato un report dal titolo “Enforcing EU law”1, il quale si prefigge di offrire un’ampia panoramica sull’attività condotta dalla Commissione europea nell’esercizio delle sue prerogative di vigilanza e controllo sul rispetto degli obblighi incombenti sugli Stati membri. Per espressa scelta metodologica il documento si concentra in particolar modo sulla procedura di infrazione (artt. 258 e 260 TFUE), comprensiva tanto della fase “informale” di ricezione ed elaborazione delle denunce e del ricorso al sistema EU Pilot, quanto di quella formale. Esulano, dunque, dall’ambito di applicazione dell’indagine la procedura contenziosa inter-statale di cui all’art. 259 TFUE, il ricorso ad altri strumenti “alternativi” di individuazione e risoluzione di casi di incorretta attuazione del diritto UE (v. SOLVIT), nonché quei meccanismi parzialmente o del tutto slegati dalla procedura di infrazione, come il congelamento di fondi europei, che pur sempre più ricorrono a garantire un’uniforme applicazione del diritto UE.
Il rilievo del report è almeno duplice. In primo luogo, l’estensione temporale dello studio è considerevole. Esso, infatti, spazia nell’arco di poco più di una decade, dal 2012 al 2023. In secondo luogo, è significativo l’intervento della Corte dei conti nello sforzo per rendere più trasparente l’attività della Commissione2, un impegno tradizionalmente trainato dalle istituzioni espressione del principio democratico, ossia il Parlamento europeo ed il Mediatore europeo3.
Il documento approfondisce analiticamente e con il supporto di grafici l’andamento dei risultati della Commissione europea in termini statistico-quantitativi, con particolare riferimento alle tempistiche nella conduzione e conclusione delle singole fasi. In generale, il report rileva una generale tendenza all’allineamento agli obiettivi prefissati dalla stessa Commissione, ma permangono profili problematici in termini di tempestività, trasparenza ed effettività della procedura. Non potendosi soffermare sui singoli aspetti affrontati dal documento (per i quali non può che rimandarsi alla lettura integrale del testo), nelle seguenti righe ci si soffermerà su alcuni profili ritenuti meritevoli di particolare attenzione, specie alla luce delle novità più significative che hanno interessato la procedura di infrazione e la prassi sottostante negli ultimi anni.
La relazione costituisce un’occasione per saggiare i risvolti pratici del nuovo corso inaugurato dalla comunicazione del 2016 “EU Law: Better results through better application”4. Come è noto, in tale documento la Commissione ha annunciato l’intento di ricorrere al sistema EU Pilot in maniera più selettiva e mirata, omettendo la fase di dialogo laddove essa non appaia “utile” ad un celere risoluzione, ad esempio qualora la presunta violazione non sia di natura puramente tecnica ovvero laddove la posizione dello Stato membro sia già stata esternata. La relazione evidenzia la forte contrazione dei “nuovi casi aperti” a partire dal 2017 (grafico n. 16, p. 30), parzialmente compensata dal trend degli ultimi anni5. Non pare riscontrabile, invece, una contrazione nei tempi medi di elaborazione dei fascicoli, che invece sono progressivamente saliti, passando da 17,5 mesi (2017) ad un picco di 34,9 mesi (2020), fino ad assestarsi su una media di 28,4 mesi (2023), comunque vistosamente fuori la gittata dell’obiettivo dei nove mesi introdotto dalla Commissione6. Un ulteriore aspetto interessante attiene al fatto che la ragione di tale dilatazione nelle tempistiche non è da imputarsi agli Stati membri, bensì alla stessa Commissione europea, “inadempiente” rispetto al termine entro il quale dare riscontro alle risposte presentate dallo Stato membro interessato (un picco di 73,7 settimane nel 2021, circa 64 settimane nel 2023 a fronte di un obiettivo di 10; il report evidenzia anche vistose differenze fra le varie DG). Il dato è suggestivo e può interpretarsi in due modi. Una prima ragione può essere rintracciata semplicemente nella ormai cronica sotto-dotazione della Commissione in termini di risorse umane, tale da limitarne fortemente l’output. Tale rilievo parrebbe ancora più fondato laddove si consideri che spesso il Pilot ha una funzione propriamente istruttoria, finalizzata, cioè, alla raccolta di informazioni rilevanti, finanche ad una prima valutazione della disciplina di diritto nazionale interessata7. Poiché tale fase può rivelarsi senz’altro laboriosa e complessa, l’allungamento delle tempistiche non dovrebbe sorprendere. A ciò deve aggiungersi l’impatto della fase pandemica sui ritmi di lavoro della Commissione, nonché la chiusura nel 2023 di diverse pratiche ormai da tempo aperte. Una seconda, possibile lettura individua la ragione della discrasia fra mole di lavoro e durata dei procedimenti nella possibilità che la trattazione di alcuni Pilot si muova lungo la scala gerarchica degli apparati amministrativi della Commissione, sino a coinvolgere il gabinetto del Commissario competente. Sebbene il Pilot venga (in teoria) impiegato per questioni scevre della componente politica, non è da escludere che anche quest’ultime possano costituire oggetto di trattative più ampie condotte ad alti livelli8. Se ne può desumere che anche nell’ambito di un caso Pilot possano aprirsi canali “paralleli” di dialogo informale e non strutturato fra Berlaymont e l’Amministrazione nazionale. Una conseguenza che se ne può trarre, dunque, è che un meccanismo concepito per una gestione tecnica, neutrale e snella di casi di presunte infrazioni stia finendo per assumere una natura ibrida, con inevitabili ricadute in termini di speditezza.
Un’ulteriore sezione del report è, poi, dedicata ai controlli svolti dalla Commissione in materia di corretta e tempestiva trasposizione delle direttive. Come è noto, dopo Lisbona i casi di mancata comunicazione delle misure di trasposizione di direttive adottate secondo la procedura legislativa sono oggetto di un’apposita procedura, ossia quella di cui all’art. 260 (3) TFUE, la quale permette alla Corte di giustizia, su ricorso della Commissione, di comminare il pagamento di una somma forfettaria o (rectius, e) di una penalità di mora in occasione della prima sentenza, che in questa ipotesi non ha più la natura di mero accertamento ma, anche, di condanna. Tale casistica ha presto assunto notevole rilievo pratico, come dimostrato dai dati forniti dalla stessa Commissione (ad oggi, infatti, la maggior parte dei nuovi casi aperti ricadono nella categoria delle late transpositions). Nonostante l’importanza del nuovo strumento e la celerità che potenzialmente assicura, il report riscontra gravi carenze a livello organizzativo e gestionale che impediscono alla Commissione di svolgere effettivamente e compiutamente la propria funzione di controllo. Quanto ai c.d. transposition checks, infatti, emerge che per 88 delle 291 direttive prese a campione mancano totalmente informazioni sulle date di completamento dei controlli, in 4 casi i controlli non erano nemmeno iniziati, pure a fronte di comunicazioni da parte degli Stati membri risalenti al 2015, 2017 e 2019, in 9 casi i controlli erano ancora in corso, nonostante alcune notifiche risalissero al 2017, mentre per altri 188 le verifiche risultano essere state portate a termine. Quanto alla durata media delle verifiche, essa è passata da una media di 16, 7 mesi nell’arco 2012 – 2016 a circa 13 mesi nel periodo 2017 – 2020. La Commissione si era prefissata l’obiettivo di concludere i controlli entro sei mesi dalla comunicazione delle misure9. A ciò si aggiunga il rilievo che molte procedure si “arenano” alla fase della lettera di messa in mora per un tempo eccessivo, mediamente pari a quasi 10 mesi, prima di passare allo step successivo (par. 52). Questo dato fa emergere una delle contraddizioni insite nella procedura introdotta a partire da Lisbona, ossia la previsione di un “canale accelerato” per una tipologia di infrazione frequente e al contempo di agevole accertamento, strutturato, tuttavia, secondo lo schema bifasico di cui all’art. 258 TFUE e comprensivo, dunque, sia dell’invio della lettera di messa in mora che del parere motivato10.
Di particolare interesse sono, poi, le informazioni concernenti la conduzione dei c.d. conformity checks, volti ad individuare ipotesi di incorretta trasposizione delle direttive. La Corte dei conti rileva come in un gran numero di casi (105 su 291 direttive, cui potrebbero aggiungersi altre 99 per le quali la Commissione non ha fornito informazioni) i controlli sono stati affidati a soggetti terzi, dalla natura non meglio specificata, per motivi essenzialmente riconducibili al difetto di conoscenze specialistiche, anche di tipo linguistico, e carenza di risorse. L’affidamento esterno, peraltro, si traduce in tempi medi di elaborazione tendenzialmente più lunghi (36,6 mesi contro 23,8; par. 27). Non è da escludersi che l’attività materiale di verifica della conformità venga delegata ad organismi decentrati, quali le agenzie, le quali annoverano fra i propri compiti statutari proprio quello di fornire ausilio alla Commissione europea nelle attività di controllo del rispetto del diritto dell’Unione. La possibilità, però, che i mandatari di siffatta attività di verifica siano soggetti privati parrebbe confortata dal documento “Better regulation toolbox”, ove si parla genericamente di “contractors” (v. pag. 342). La tematica è dirimente perché attiene all’esercizio in concreto delle funzioni di controllo e vigilanza, che i Trattati conferiscono in via esclusiva alla Commissione europea. L’ipotesi che un’iniziativa ai sensi dell’art. 258 TFUE venga intrapresa sulla scorta dei rilievi di un soggetto privato e che la successiva fase giudiziale si fondi su tale base istruttoria solleva legittime preoccupazioni. Il basso tasso di iniziative giudiziali intraprese dalla Commissione nel contesto della procedura di infrazione dimostra che spesso gli Stati membri aderiscono alla ricostruzione prospettata dal Berlaymont, di fatto rinunciando a che si pronunci la Corte di Giustizia, ultima depositaria della prerogativa di interpretare i Trattati ed il diritto derivato. La prospettiva che una siffatta interpretazione autentica sia in realtà eterogena espone potenzialmente la procedura di infrazione a nuove critiche in punto di legittimità e rischia di compromettere il clima di fiducia reciproca fra Commissione e Stati membri, necessario per la proficua conduzione del dialogo nella fase informale. Sul punto, la Commissione si riserva di valutare autonomamente i risultati che riceve, assumendosi l’esclusiva responsabilità di ogni decisione circa l’avvio o meno di una procedura per inadempimento11. Resta da chiarire, allora, quale sia la natura dei soggetti coinvolti nei controlli di conformità, nonché il tipo e l’estensione del vaglio condotto dalla Commissione su dette valutazioni “esterne”.
Infine, la sezione dedicata al ricorso all’articolo 260 (2) TFUE riporta l’entità delle somme riscosse a partire dal 1992 per casi chiusi (per un totale di 258,9 milioni di euro) e di quelle incamerate in procedure ancora aperte (1.406,8 milioni di euro, versati quasi esclusivamente da Italia e Grecia). Il settore ambientale si conferma come quello più “oneroso” per gli Stati membri, ciò a cagione del numero di condanne rispetto alle quali non è stato ancora posto fine all’infrazione accertata. Sul punto, tuttavia, manca qualsiasi rilievo in merito all’attività di riscossione condotta dalla Commissione. Come è noto, a partire dalle pronunce T-33/09, Portogallo c. Commissione e T-139/06, Francia c. Commissione12 è stata riconosciuto che spetta alla Commissione procedere alla riscossione delle somme dovute, emettendo le c.d. “ingiunzioni di pagamento” nei confronti dello Stato interessato. Questo in virtù della prerogativa della Commissione europea di dare esecuzione al bilancio dell’Unione ai sensi dell’articolo 317 TFUE. Inoltre, a fronte dell’inosservanza di ordinanze cautelari ex art. 279 TFUE, adottate nell’ambito di una “prima” procedura per inadempimento, la Commissione – con l’avvallo del Tribunale13 – ha disposto la compensazione della somma dovuta con crediti di cui lo Stato era titolare nei confronti dell’Unione. Poiché v’è in gioco la corretta gestione delle finanze dell’Unione, dovrebbe essere compito prioritario della Corte dei conti assicurarsi che le debenze vengano riscosse secondo le periodicità stabilite e sino alla integrale esecuzione della sentenza della Corte di giustizia. Sebbene il tratto della discrezionalità permei la procedura per inadempimento anche nella fase del secondo ricorso volto ad ottenere la “condanna” dello Stato membro che persista nell’inadempimento, essa dovrebbe lasciare spazio alla doverosità dell’azione nel momento in cui si tratta di gestire delle entrate del bilancio14.
La relazione ha, dunque, il pregio di offrire una panoramica sull’evoluzione della prassi della Commissione europea in un arco temporale segnato da importanti innovazioni all’insegna di una maggior effettività della procedura di infrazione. Alcuni profili evidenziati dalla Corte dei conti, d’altra parte, sono senz’altro meritevoli di un futuro approfondimento critico.
1 Special report n. 28/2024 “Enforcing EU law – The Commission has improved its management of infringement cases, but closing them still stakes too long, 17 dicembre 2024.
2 Non si tratta del primo caso in cui la Corte dei Conti interviene sul tema, v. analisi panoramica n. 07/2018 “Applicazione del diritto dell’UE: le responsabilità della Commissione europea in materia di vigilanza ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, del Trattato sull’Unione europea”, 3 settembre 2018.
3 R. Mastroianni, La procedura di infrazione e i poteri della Commissione: chi controlla il controllore?, in Rivista di diritto internazionale, 1994, p. 1025; M. Smith, Centralised Enforcement, Legitimacy and Good Governance in the EU, Londra, 2010, p. 161 ss.
4 Comunicazione della Commissione europea “EU law: Better Results through Better Application”, 2017/C 18/02, 13 dicembre 2016. Il contenuto della comunicazione è stato sostanzialmente confermato dalla successiva comunicazione del 2022 “Enforcing EU law for a Europe that delivers” COM (2022) 518, 13 ottobre 2022.
5 Dati più analitici possono reperirsi nei Commission Staff Working Documents, allegati alle relazioni annuali sul Controllo dell’applicazione del diritto dell’Unione: sono stati aperti rispettivamente 178 nuovi casi Pilot nel 2017 (contro i 790 del 2016), 110 nel 2018, 190 nel 2019, 212 nel 2020, 246 nel 2021, 279 nel 2022, 253 nel 2023.
6 Termine introdotto dalle Linee guida del 2020 per i fascicoli notificati a partire da luglio 2020 con l’obiettivo di contenere la durata dei Pilot, ma non perentorio, potendo la Commissione disporre una proroga “per un periodo limitato”. La Corte dei conti lamenta, peraltro, proprio l’assenza di criteri orientativi (par. 43).
7 L. Paglierani, Il sistema EU Pilot: funzioni, disciplina e prospettive, in RCE, 2024, p. 54.
8 Sulla governance del Pilot e la sua opacità, C. Burelli, La discrezionalità della Commissione europea nelle procedure di infrazione, Milano, 2024, p. 150 ss. La stessa A. prospetta, poi, un ricorso più ampio al Pilot anche in casi politicamente sensibili.
9 Si veda sul punto il Commission Staff Working Document “Better Regulation Toolbox – July edition 2023” SWD (2021) 305, in particolare “Chapter 4 – Compliance, implementation and preparing proposals”, p. 333 ss.
10 Critico nei confronti del richiamo al procedimento “ordinario” di cui all’art. 258 TFUE, P. Wennerås, Sanctions against Member States under Article 260 TFEU: Alive, but not kicking?”, in CMLR, 2012, p. 168.
11 Sul punto, il documento riporta che “Reports on conformity assessment from external contractors need to be verified by the Commission; any final decision that is taken based on such reports should be the result of an independent assessment by the Commission services” (p. 342).
12 Trib., 29 marzo 2011, causa T-33/09, Portogallo c. Commissione, ECLI:EU:T:2011:127, punti. 61-64, confermata da Corte giust., 15 gennaio 2014, C-292/11 P, Commissione c. Portogallo, ECLI:EU:C:2014:3, Trib. 19 ottobre 2011, causa T-139/06, Francia c. Commissione, ECLI:EU:T:2011:605.
13 Trib., 29 maggio 2024, cause riunite T-200/22 e T-314/22, Polonia c. Commissione, punti. 50 – 51, impugnata davanti la Corte di giustizia nella causa C-544/24 P, attualmente pendente.
14 Amplius, e con i necessari chiarimenti e rimandi, C. Amalfitano, M. Condinanzi, Infrazioni statali al diritto EU: l’esecuzione delle sentenze “comunitarie” di accertamento e quelle di condanna, in RCE, 2024, p. 122 ss.; C. Burelli, La discrezionalità della Commissione, op. cit., p. 268 ss.