Pays sûrs, contrôle juridictionnel et exceptions : deux arrêts de la Cour de cassation en attente de la Cour de justice

Corte cass., I sez. civile, 19 dicembre 2024, sentenza n. 33398; 30 dicembre 2024, n. 34898

Paesi sicuri, controllo giurisdizionale ed eccezioni: due pronunce della Cassazione in attesa della Corte di giustizia

Safe Countries, Judicial Review, and Exceptions: Two Rulings from the Court of Cassation Awaiting the Court of Justice

Premessa

Nelle ultime settimane di dicembre 2024 la Prima sezione civile della Corte di cassazione si è pronunciata in due occasioni sull’ormai noto tema dei “paesi sicuri”. Si tratta delle ultime battute di un dialogo che da mesi – con un’accelerazione a seguito dell’entrata in vigore dell’accordo tra Italia e Albania – impegna politica e magistratura.

Nelle pronunce che ci accingiamo a segnalare brevemente la Cassazione ha affrontato due questioni distinte ma, come vedremo, strettamente interconnesse. Con la sentenza del 19 dicembre, la Corte si è espressa sulla questione del controllo giurisdizionale rispetto alla elencazione dei “paesi sicuri” contenuta nel decreto ministeriale del 7 maggio 2024. Con l’ordinanza del 30 dicembre, invece, la stessa Sezione ha sospeso il proprio giudizio su una questione contigua, relativa alla (im)possibilità per gli Stati di procedere alla qualificazione di un paese d’origine come sicuro in presenza di eccezioni per alcune categorie di persone. Pur non celando la propria posizione, la Cassazione ha ritenuto opportuno rinviare la causa a nuovo ruolo, in attesa della decisione della Corte di giustizia – prevista per la tarda primavera/inizio dell’estate, dopo l’udienza fissata a fine di febbraio – sui pertinenti rinvii pregiudiziali sollevati dal Tribunale di Roma1.

Al netto del fatto che le due pronunce scaturiscono da procedimenti diversi e affrontano distinti profili di uno stesso problema, riteniamo che la loro lettura congiunta sia il modo più efficace per cogliere l’esatto portato del ragionamento della Prima sezione della Corte di cassazione. Ci sembra di poter dire sin da subito, infatti, che le due pronunce sono tra loro strettamente connesse: da un lato (e, potremmo dire, preliminarmente), si è chiesto alla Cassazione se il giudice può “dire qualcosa” sulla designazione dei paesi sicuri o se invece deve strettamente attenersi alla lista stilata dal Ministero; dall’altro lato, visto il moltiplicarsi di decisioni dei tribunali italiani sul punto, si è posta una questione sul contenuto di tale giudizio e, più precisamente, sulla corretta interpretazione della sentenza della Corte di giustizia europea del 4 ottobre 20242, richiamando la quale il Tribunale di Roma aveva ritenuto illegittima – disapplicandola per contrasto con la normativa europea – la elencazione dei paesi sicuri contenuta nel decreto ministeriale.

Sul sindacato del giudice sulla lista dei paesi sicuri: la sentenza del 19 dicembre 2024, n. 33398

Le gravi «incertezze interpretative» della giurisprudenza nazionale3, nonché il concreto rischio di aggravamento del problema dovuto all’imminente attivarsi dei procedimenti di convalida dei trattenimenti in Albania, avevano indotto il Tribunale di Roma a sollevare rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis c.p.p., per chiedere alla Cassazione di pronunciarsi sulla esatta portata del sindacato del giudice rispetto alla lista dei paesi sicuri (al tempo) contenuta nel decreto ministeriale del 7 maggio 20224.

Con la sentenza n. 33398/2024 la Corte ha chiarito che in capo al giudice ordinario spetta il potere/dovere di valutare, sulla base delle fonti istituzionali di cui all’art. 37 della direttiva 2013/32/UE5, la sussistenza dei presupposti di legittimità della designazione, eventualmente disapplicando in via incidentale, in parte qua, il decreto ministeriale recante la lista dei paesi di origine sicuri, allorché la designazione operata dal Ministero contrasti apertamente con i criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea6.

Il ragionamento della Corte si articola in due momenti.

Dapprima il Collegio scioglie ogni dubbio sulla questione centrale: lungi dal doversi esclusivamente limitare ad accertare che uno Stato sia o meno incluso nell’elenco di paesi da considerare sicuri, il giudice – garante, nel caso sottoposto al suo esame, dell’effettività dei diritti fondamentali del richiedente asilo – è tenuto a effettuare una verifica aggiornata della situazione di sicurezza del paese di origine, valutando la domanda di asilo alla luce delle condizioni sussistenti al momento della decisione. Egli, in altri termini, ha il dovere di esaminare e garantire il diritto soggettivo dello straniero che cerca asilo, trattandosi di una posizione che rientra a pieno titolo tra i diritti fondamentali tutelati dall’art. 2 Cost.7.

Tale diritto, tuttavia, entra in bilanciamento con l’interesse dello Stato a regolare in maniera efficace i flussi migratori, anche prevedendo, in conformità della disciplina europea, un regime differenziato di esame delle domande di asilo per gli stranieri provenienti da paesi ritenuti sicuri. È evidente che la ratio del concetto di paese di origine sicuro e della correlata procedura accelerata sia quella di “deflazionare” il carico di lavoro dell’amministrazione. Tale obiettivo, però, se da un lato determina una contrazione delle garanzie individuali dello straniero, dall’altro lato incontra un limite nella effettività della tutela che il giudice ordinario deve garantire quando sono in gioco diritti fondamentali.

Proseguendo nel proprio ragionamento, il Collegio si sofferma sulla natura del decreto ministeriale, escludendo che si tratti di un atto politico. Al contrario, l’inserimento di un paese nella lista di quelli sicuri è scandito da precisi criteri dettati dal legislatore europeo e recepiti dalla normativa nazionale8 e, dunque, non può che avere carattere prettamente giuridico. La conseguenza è scontata: «l’esistenza di una dettagliata disciplina applicabile al potere amministrativo implica che il rispetto di tali requisiti e criteri è suscettibile di verifica in sede giurisdizionale»9. L’oggetto di questo doveroso controllo di legittimità della valutazione effettuata dall’amministrazione è duplice: da un lato, il giudice verificherà se il potere valutativo si sia discostato dalla disciplina europea; dall’altro lato se, tenendo conto di informazioni aggiornate, la designazione (pur originariamente legittima) sia ancora rispondente ai criteri europei.

Certamente alla Corte non sfugge che la designazione di un paese come sicuro involga anche valutazioni politiche; queste, tuttavia rilevano solo “a monte”, quando si attribuisce al Ministro il potere di stilare una lista di paesi di origine sicuri, ovvero quando quest’ultimo, dinnanzi a un paese che soddisfi i requisiti previsti dal legislatore, sceglie se inserirlo o meno nella lista. Quando si tratta, invece, di verificare la sussistenza in concreto dei criteri normativamente predefiniti per la qualificare un paese come sicuro, la presenza di tale aspetto politico non può giustificare il ritrarsi del controllo giurisdizionale. Si tratta, del resto, di una conclusione – chiosa la Corte – che «discende de plano dalla sentenza della Corte di giustizia del 4 ottobre 2024»10.

Chiarita la portata del controllo giurisdizionale sulla lista ministeriale, la Corte si addentra nella seconda parte della sentenza andando a individuare le condizioni in presenza delle quali il sindacato può essere esercitato e gli effetti di tale giudizio sull’atto amministrativo.

Quanto al primo profilo, la Corte afferma che «il giudice […] può attivare il proprio sindacato sulla qualificazione […] quando l’inserimento nella lista di cui al decreto ministeriale e la conseguente designazione siano rilevanti e decisivi rispetto alla spettanza della protezione al singolo e abbiano conseguenze, in concreto, in ordine al diritto a un ricorso effettivo»11. Esemplificando, la designazione del paese come sicuro può dirsi rilevante quando il richiedente contesta la valutazione di sicurezza del paese di origine per rilievi d’ordine generale concernenti «intere categorie di cittadini o zone di quel dato paese». Diverso è infatti il caso in cui il richiedente adduca gravi motivi per ritenere che quel Paese non è sicuro per la sua situazione particolare. Quest’ultima, infatti, è un’ipotesi – già contemplata dal comma 5 dell’art. 2-bis del d.lgs. n. 25/2008 (che ha recepito l’art. 36 della direttiva n. 2013/32/UE) – che non mette in discussione la valutazione generale e costante di sicurezza del paese operata dallo Stato membro, quanto, piuttosto, la particolare condizione di (in)sicurezza del singolo richiedente. In altri termini, non si pone in questo caso un problema di rilevanza della valutazione governativa perché, in applicazione del sopracitato art. 2-bis, comma 5, la conseguenza sarà il semplice venir meno della presunzione relativa di sicurezza che a quella designazione normalmente si ricollega. Il giudice, nel pieno esercizio del proprio potere cognitorio, potrà quindi addivenire a un completo accertamento in fatto della condizione soggettiva del richiedente, facendo eventualmente cadere, per il caso concreto, la presunzione.

Fuori da quest’ultima ipotesi, quando il giudice ordinario debba invece giudicare la legittimità – per i motivi sopra visti – dell’atto amministrativo, l’ordinamento gli consente di conoscere dell’atto e della sua legittimità in via incidentale e, eventualmente, di disapplicarlo, senza che questo abbia alcuna conseguenza ulteriore sulla sopravvivenza dell’atto stesso. Pur non potendo annullare o revocare l’atto amministrativo illegittimo, il giudice ha il potere-dovere di accertarne la non vincolatività in via incidentale e, conseguentemente, di disapplicarlo, considerandolo tamquam non esset, senza la necessità di avviare un ulteriore giudizio dinanzi al giudice amministrativo. Si tratta di un potere esercitabile in presenza di un qualsiasi vizio di legittimità e per la violazione di qualsiasi norma giuridica, anche europea che, senza riflettersi sulla esistenza formale dell’atto, ne impedisce la operatività nel caso concreto12. Sono principi già noti – ricavabili dal sistema nazionale della legge n. 2248/1865, allegato E – che trovano piena rispondenza nella giurisprudenza della Corte di giustizia.

Sulla possibilità di designare un paese come sicuro in presenza di eccezioni per alcune categorie di persone: l’ordinanza del 30 dicembre 2024, n. 34898

Con una decisione che aveva fortemente scosso la politica, il 18 ottobre 2024 il Tribunale di Roma aveva deciso di non convalidare il trattenimento dei primi dodici migranti condotti nei centri dislocati sul territorio albanese13 ritenendo, in estrema sintesi, che la designazione dei loro paesi d’origine come “sicuri” non fosse rispettosa del diritto dell’Unione europea. In particolare, ad avviso del Tribunale, la pronuncia della Corte di giustizia del 4 ottobre 2024, nell’affermare che l’art. 37 della direttiva 2013/32 osta a che un paese terzo sia designato come paese di origine sicuro quando parti del suo territorio non soddisfino le condizioni sostanziali per una siffatta designazione, aveva dettato un principio applicabile anche in presenza di eccezioni per determinate categorie di persone.

A sostegno di questa posizione il Tribunale richiamava tre argomenti ricavabili dalla sentenza del 4 ottobre riguardanti il criterio dell’assenza, in via generale e costante, di persecuzioni e violenze, l’esigenza di una interpretazione restrittiva di ogni disposizione derogatoria e la differente posizione sulla questione assunta dalla direttiva attualmente in vigore rispetto alla precedente.

Contro questa decisione, il Ministero dell’interno ha presentato ricorso ritenendo che la disapplicazione del decreto ministeriale contenuta nella decisione di non convalidare i trattenimenti fosse viziata da un’errata valutazione delle norme europee, dal momento che la Corte europea si era pronunciata con esclusivo riferimento alla presenza di eccezioni territoriali, senza alcun richiamo alla esclusione della possibilità degli Stati di definire un paese sicuro in presenza criticità per alcune categorie di persone.

A pochi giorni di distanza dalla pubblica udienza – fissata, con abbreviazione dei termini, per il 4 dicembre – il Pubblico Ministero ha chiesto alla Corte di sospendere il proprio giudizio per «evidenti ragioni di cautela», vista l’attuale pendenza di numerosi rinvii pregiudiziali ex art. 267 TFUE rivolti alla Corte di giustizia dai giudici italiani sulla medesima questione14.

Con l’ordinanza interlocutoria n. 34898/2024 la Corte ha deciso di rinviare la causa a nuovo ruolo, considerata, in particolare, l’imminente decisione della Corte di giustizia sul rinvio pregiudiziale disposto nelle cause riunite C-758/24 e C-759/24, Alace e altri.

Pur in assenza di contenuto decisorio, l’ordinanza non è priva di spunti interessanti, soprattutto in considerazione del fatto che la Cassazione – in un’ottica di dialogo tra le Corti – non ha mancato di presentare la propria posizione sulla questione.

La Corte ha subito preso le distanze dalla interpretazione del Tribunale di Roma ritenendo che tale pronuncia si riferisca esclusivamente all’incompatibilità della previsione di paesi sicuri con eccezioni di parti del territorio, senza dettare un principio di incompatibilità della nozione di paese sicuro con la presenza di eccezioni personali. Non solo, per la Corte non vi è nemmeno spazio «per alcun automatismo di ricaduta» dal momento che la decisione della Corte di giustizia non sembrerebbe essere applicabile in modo automatico a paesi designati sicuri con eccezioni di categorie di persone. Da un lato, «le eccezioni personali» – sottolinea la Corte – «hanno un grado di oggettività dell’accertamento diverso rispetto all’eccezione geografica o territoriale». Nemmeno dall’inciso “generalmente e costantemente” (contenuto nell’allegato I della direttiva 2013/32/UE) può trarsi l’implicazione che le condizioni di sicurezza debbano essere rispettate e soddisfatte egualmente per tutti gli individui: diversamente, si addiverrebbe a una nozione di paese di origine sicuro che, pur certamente auspicabile dal punto di vista ideale, non tollererebbe alcun margine di insicurezza personale. Dall’altro lato, la Cassazione, osserva che pur dovendosi riconoscere che la direttiva in vigore descrive la designazione del paese sicuro senza contemplare espressamente la possibilità di considerare eccezioni per categorie di persone, con uno sguardo d’insieme – o forse volto, più che altro, a non porsi in contrapposizione frontale con la normativa già approvata in ambito europeo e destinata a divenire la regola di diritto per il futuro – la Corte ritiene di non poter prescindere, a livello interpretativo, dalla disciplina dettata dal nuovo regolamento15, laddove specifica che «la designazione […] può essere effettuata con eccezioni per categorie di persone chiaramente identificabili»16. In definitiva, anche alla luce del considerando 42 della direttiva 2013/3217, per la Cassazione è ragionevole ritenere che «la designazione del paese sicuro risponda a un criterio di prevalenza, non di assolutezza delle condizioni di sicurezza»18, purché tali eccezioni soggettive non siano tanto estese nel numero da incidere, complessivamente, sulla tenuta dello Stato di diritto.

Se né dal diritto europeo né dalla pronuncia del 4 ottobre può trarsi il divieto di designazione di un paese come sicuro in presenza di eccezioni per alcune categorie di persone, la Corte si preoccupa a questo punto di verificare se il recepimento di tali indicazioni nel diritto interno sacrifichi o meno i diritti dello straniero.

Il primo diritto con cui la Corte si confronta è quello alla libertà personale, certamente attinto dal trattenimento amministrativo applicabile al richiedente asilo proveniente da un paese di origine ritenuto sicuro19. Come si è già visto supra, il necessario bilanciamento degli interessi in gioco fa sì che la designazione “tabellare” del paese sicuro, funzionale a una gestione su larga scala del fenomeno migratorio, debba cedere il passo di fronte alla posizione peculiare del richiedente protezione. Nel caso in esame, tuttavia, la Corte ritiene che il rischio di arbitrarie compressioni della libertà personale sia escluso dall’attuale quadro normativo: sia la direttiva europea (art. 36 della direttiva 2013/32), sia la legislazione nazionale (art. 2-bis, comma 5, del d.lgs. n. 25/2008) prevedono infatti che quando un richiedente prospetti validi motivi per non ritenere sicuro tale paese per la sua situazione particolare, la designazione cessa di essere applicabile al suo caso: come già evidenziato nella sentenza del 19 dicembre, in tale evenienza, il giudice non procede alla disapplicazione, in parte qua, del decreto ministeriale, ma considera venuta meno la presunzione relativa di sicurezza che a quella designazione normalmente si ricollega.

In secondo luogo, la Cassazione individua quale possibile limite la dignità della persona umana. Riconosciuto e tutelato tanto dalla Costituzione italiana quando dalle fonti europee, il necessario rispetto della dignità umana impone che le eccezioni personali, pur potendo ritenersi di per sé compatibili con la nozione di paese di origine sicuro, non possano essere ammesse «a fronte di persecuzioni costanti, endemiche o generalizzate»; diversamente, infatti, si finirebbe con il mettere in crisi lo stesso requisito del generalmente, richiesto nell’allegato I della direttiva. Se, quindi, la presenza di situazioni soggettive di pericolo non riguarda il caso specifico del ricorrente ma rispecchia una condizione estesa e generalizzata del paese, anche sopravvenuta rispetto alla originaria designazione, nel procedimento di convalida potrà attivarsi il sindacato di legittimità del decreto ministeriale, volto a verificare il perdurante rispetto della normativa europea vigente. La possibilità di designare un paese di origine come sicuro in presenza di eccezioni per alcune categorie di persone, afferma così la Corte, sembra essere dunque confermata proprio dal potere-dovere del giudice – sancito nella sentenza del 19 dicembre, oltre che da quella del 4 ottobre – di vagliare l’adeguatezza della designazione rispetto ai criteri europei, eventualmente procedendo a una disapplicandola in parte qua della lista.

Brevi considerazioni conclusive

La sentenza del 19 dicembre mette fine a un intenso dibattito che per mesi ha impegnato i tribunali italiani coinvolti nei giudizi sulle procedure accelerate. La legittimazione (e doverosità) del sindacato giurisdizionale sulla designazione dei paesi sicuri fuga ogni dubbio sulla natura non politica di tale elencazione e affida al giudice il compito di valutare la correttezza di tale designazione alla luce del diritto europeo e delle fonti più aggiornate. Meno tranchant l’ordinanza interlocutoria che, tuttavia, pur rinviando alla decisione della Corte di giustizia, ci mostra il quadro d’insieme immaginato dalla Cassazione (tanto che verrebbe da chiedersi quali conseguenze potrebbe avere, in questo scenario, una decisione europea di segno opposto). Nonostante la presa di posizione della Cassazione italiana, il giudizio è tutt’altro che scontato: molti i rinvii pendenti (provenienti anche da altri Paesi), nonché l’ormai prossima entrata in vigore del nuovo regolamento che, sicuramente, avrà un peso nella decisione.

A questo quadro deve infine aggiungersi il recente mutamento normativo avvenuto in Italia dove, come noto, la lista dei paesi sicuri è stata fatta confluire in una fonte di rango primario. È un profilo non affrontato dalla Cassazione, che si è limitata a posizionare le proprie argomentazioni «nell’ambiente normativo anteriore» a tali novelle; di fatto, tuttavia, la piena estendibilità delle presenti osservazioni anche al nuovo quadro normativo pone interrogativi che ben presto andranno in cerca di risposta.


1 Si tratta dei rinvii C-758/24 e C-759/24, Alace e altri. Per una puntuale commento si v. P. Iannuccelli, Paesi d’origine sicuri”: la situazione processuale delle cause pendenti davanti alla Corte di giustizia, in questa Rivista, 2024.

2 Corte giust., 4 ottobre 2024, C-406/22, Ministerstvo vnitra České republiky, Odbor azylové a migrační politiky, ECLI:EU:C:2024:841.

3 Per una ricostruzione degli orientamenti si v. M. Cometti, Rinvio pregiudiziale in Cassazione e in Corte di giustizia e disapplicazione di un atto amministrativo contrario al diritto UE. Il caso del d.m. paesi di origine sicura, in questa Rivista, 2024, p. 155 ss.; C. Cudia, Sindacabilità e disapplicazione del decreto ministeriale di individuazione dei “paesi di origine sicuri” nel procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale: osservazioni su una attività del giudice ordinario costituzionalmente necessaria, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 2024, p. 5 ss.

4 Trib. Roma, ordinanza del 1° luglio 2024, n. 26085.

5 Direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (rifusione), in GUUE L 180, 29 giugno 2013, p. 60 e ss.

6 Per un primo commento, M. Cometti, La Corte di Cassazione si pronuncia sul rinvio pregiudiziale, ex art. 363 bis c.p.c., in tema di Paesi di origine sicura, in questa Rivista, 2025.

7 In questo senso anche Cass., Sez. Un., 18 gennaio 2022, n. 1390.

8 Ossia gli artt. 36 e 37 e l’allegato I della direttiva 2013/32/UE, recepiti dall’art. 2- bis del d.lgs. n. 25/2008.

9 Corte cass., I sez., 19 dicembre 2024, n. 33398/2024, par. 13.

10 Ivi, par. 15.

11 Ivi, par. 21.

12 Per un approfondimento, A.D. De Santis, Sulla disapplicazione dell’atto amministrativo da parte del giudice civile. Il “caso” del c.d. Decreto Paesi sicuri, in Questione Giustizia, 12 luglio 2024.

13 Trib. Rom, XVIII Sezione civile, ordinanza del 18 ottobre 2024.

14 Per una puntuale disamina dei rinvii pendenti, P. Iannuccelli, Paesi d’origine sicuri”: la situazione processuale delle cause pendenti davanti alla Corte di giustizia, cit.

15 Regolamento UE n. 1348/2024 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 maggio 2024, che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nell’Unione e abroga la direttiva 2013/32/UE, già entrato in vigore, sia pure con applicabilità differita al 12 giugno 2026.

16 Corte cass., I sez., 30 dicembre 2024, n. 38498, par. 16.

17 Nel quale si esplicita che l’inclusione di un paese terzo in un elenco di paesi di origine sicuri non può stabilire una garanzia assoluta di sicurezza per i cittadini di tale paese.

18 Corte cass., n. 34898/2024, cit., art. 16.

19 Cfr. Corte cost., 10 aprile 2001, sentenza n. 105, nonché, da ultimo, Corte cost., 4 dicembre 2023, sentenza n. 212.