Les procédures d’infraction relatives au traitement des eaux urbaines résiduaires en tant qu’exemple d’infractions « structurelles » au droit de l’Union
Le procedure di infrazione in materia di trattamento delle acque reflue urbane quale esempio di violazioni “strutturali” del diritto dell’Unione europea
Infringement Procedures on Urban Waste Water Treatment as an Example of “Structural” Breaches of EU law
Introduzione
In tema di non corretta applicazione in Italia della direttiva 91/271/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1991, concernente il trattamento delle acque reflue urbane1 (di seguito “la direttiva 91/271/CEE” o “la direttiva”), lo scorso 27 marzo, la Corte di giustizia dell’Unione europea (di seguito “la Corte”) ha adottato una nuova sentenza, ai sensi dell’art. 260, par. 2, del TFUE, condannando l’Italia al pagamento di nuove sanzioni pecuniarie2.
Tale sentenza fa parte di una giurisprudenza consolidata3 in materia di acque reflue urbane che si inserisce nel contesto di quattro procedure di infrazione (su cui v. amplius, infra) avviate nei confronti dell’Italia per la non corretta applicazione di detta direttiva, che interessano congiuntamente oltre 800 agglomerati4.
L’esame complessivo delle procedure pendenti5 mette in luce una situazione di non conformità generalizzata e persistente delle disposizioni sulla raccolta e trattamento delle acque reflue urbane in Italia, che presenta caratteristiche comuni ad altre procedure di infrazione, in particolare nel settore ambientale, che non consentono una soluzione attraverso un intervento meramente legislativo, ma che richiedono il raggiungimento degli obiettivi prescritti nella normativa dell’Unione di riferimento attraverso una pluralità di interventi.
Tali procedure presentano notevoli sfide per gli Stati membri e, almeno nella esperienza italiana, coincidono in larga misura con le procedure giunte in fase di comminazione di sanzioni pecuniarie6.
Cenni sulla direttiva 91/272/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane
La direttiva 91/272/CEE ha per oggetto la raccolta, il trattamento e lo scarico delle acque reflue urbane7. Essa si propone di proteggere l’ambiente dai danni causati dal rilascio di queste acque e, di riflesso, la salute dei cittadini8, stabilendo diverse tempistiche9 per gli Stati membri affinché i loro agglomerati10 siano dotati di sistemi di raccolta e trattamento delle acque reflue urbane. La direttiva, inoltre, stabilisce diversi tipi di trattamento delle acque reflue urbane in funzione della diversa sensibilità delle aree considerate.
Le disposizioni di cui si contesta la non corretta applicazione della direttiva 91/271/CEE nelle procedure in esame (su cui v. amplius, infra) sono qui di seguito riportate.
Conformemente all’art. 3 della suddetta direttiva, gli agglomerati urbani devono essere dotati di un sistema di reti fognarie che soddisfi i requisiti menzionati al punto A dell’allegato I della medesima. Inoltre, le acque reflue provenienti dagli agglomerati che scaricano in aree normali e che hanno un numero di abitanti equivalenti11 superiore a 10.000, oppure compreso tra 2.000 e 10.000 nel caso di scarichi in acque dolci ed estuari, debbono, conformemente all’art. 4 della direttiva 91/271/CEE, essere assoggettate prima dello scarico ad un trattamento secondario12, o equivalente, che soddisfi i pertinenti requisiti previsti al punto B dell’allegato I della medesima.
Le acque reflue provenienti dagli agglomerati che scaricano in aree sensibili13 e che hanno un numero di abitanti equivalenti superiore a 10.000 debbono invece, conformemente al combinato disposto degli articoli 4 e 5, essere assoggettate prima dello scarico ad un trattamento più spinto di un trattamento secondario, che soddisfi i pertinenti requisiti previsti al punto B dell’allegato I della direttiva 91/272/CEE.
Inoltre, conformemente all’art. 10 della direttiva 91/272/CEE, gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane debbono essere progettati, costruiti, gestiti e sottoposti a manutenzione in modo tale da garantire prestazioni sufficienti nelle normali condizioni climatiche locali e debbono esser altresì progettati in modo tale da tener conto delle variazioni stagionali di carico.
Infine, l’art. 15, par. 1, primo trattino, della direttiva 91/271/CEE prevede che le autorità competenti o gli organismi abilitati esercitino controlli sugli scarichi provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane, secondo le procedure stabilite nell’allegato I, sezione D, al fine di verificare la conformità di tali scarichi ai requisiti di cui all’allegato I, sezione B.
Cenni sulle procedure relative alla direttiva sulle acque reflue pendenti in Italia
Secondo le informazioni disponibili14, sono quattro le procedure per inadempimento aperte nei confronti dell’Italia in seguito all’assenza o insufficienza di sistemi di raccolta o di trattamento delle acque reflue urbane. La prima procedura (n. 2004/2034) è relativa al mancato rispetto delle disposizioni degli articoli 3, 4 e 10 della direttiva in agglomerati con oltre 15.000 abitanti equivalenti che scaricano in aree normali. Nel contesto di tale procedura, con sentenza del 31 maggio 201815 – adottata ai sensi dell’art. 260, par. 2, TFUE – la Corte di giustizia ha constatato, in relazione a 74 agglomerati situati nel territorio italiano, che il nostro Paese non ha dato piena esecuzione alla sentenza del 19 luglio 201216. Con tale pronuncia, il giudice di Lussemburgo aveva accertato che l’Italia era venuta meno agli obblighi che le incombono in forza della direttiva 91/271/CEE, avendo omesso di prendere le disposizioni necessarie per garantire che 109 fossero provvisti, a seconda dei casi, di reti fognarie per la raccolta delle acque reflue urbane e/o di sistemi di trattamento delle acque reflue urbane conformi alle prescrizioni di tale direttiva.
Pertanto, il numero di agglomerati per i quali l’Italia non ha fornito, nel corso della causa, la prova dell’esistenza di sistemi di raccolta e di trattamento delle acque reflue urbane conformi alla direttiva 91/271/CEE – un numero pari a 74 – è stato ritenuto dalla Corte significativo. Tuttavia, tale numero è stato ridotto rispetto a quello degli agglomerati che non disponevano di tali sistemi di raccolta e di trattamento conformi, menzionati nella sentenza del 19 luglio 2012, che era di 109.
Di conseguenza, con la sentenza del 31 maggio 2018, la Corte ha imposto all’Italia il pagamento di una somma forfettaria di 25 milioni di euro, oltre a penalità semestrali pari a 30.112.500 euro, dovute fino al raggiungimento della piena conformità, e progressivamente ridotte in proporzione ai progressi compiuti.
La seconda procedura (n. 2009/2034) riguarda l’inadempimento di obblighi previsti agli artt. 3, 4, 5 e 10 in relazione ad agglomerati con oltre 10.000 a.e. che scaricano in aree sensibili. Si tratta della procedura per la quale la Corte ha emesso, lo scorso 27 marzo, una sentenza ex art. 260, par. 2, TFUE17, di condanna dell’Italia al pagamento di pene pecuniarie per la mancata osservanza della sentenza di inadempimento del 10 aprile 201418, in relazione a 4 agglomerati dei 14 originariamente contestati nella prima pronuncia. L’Italia è stata condannata al pagamento della somma forfettaria di euro 10 milioni, nonché a una penalità semestrale, a carattere degressivo, di 13.687.500 euro.
Vi è poi la procedura 2014/2059, relativa al mancato rispetto delle disposizioni degli artt. 3, 4, 5 e 10 della 91/271/CEE in agglomerati che scaricano in aree normali e sensibili. Nell’ambito di tale procedura, la Corte ha accertato, ai sensi dell’art. 258 TFUE, l’inadempimento dell’Italia in oltre 600 agglomerati19.
Infine, la procedura 2017/2181 riguarda l’inadempimento di obblighi previsti agli artt. 3, 4, 5, 10 e 15 della direttiva 91/272/CEE in relazione ad agglomerati con oltre 2000 abitanti equivalenti, che scaricano in aree normali o sensibili, non rientranti tra quelli oggetto delle altre tre procedure. Nell’ambito di tale procedura, il 13 settembre 2024, la Commissione europea ha proposto un ricorso ex art. 258 TFUE20.
Le quattro menzionate procedure di infrazione riguardano agglomerati diversi, tutti interessati dalla violazione della medesima direttiva. È indubbio che la coesistenza di quattro procedure d’infrazione denota una violazione generalizzata e persistente della direttiva 91/272/CEE, dovuta a un forte ritardo nell’adeguamento del settore fognario-depurativo che evidenzia un notevole deficit infrastrutturale nel territorio italiano.
Le procedure in materia di trattamento delle acque reflue urbane quale esempio di violazioni “strutturali” del diritto dell’Unione europea
Il carattere “generalizzato e persistente” delle violazioni de quibus induce a riflettere, seppur brevemente, proprio sulla natura di tali infrazioni e, di conseguenza, sull’efficacia del sistema sanzionatorio previsto dall’art. 260, par. 2, TFUE. Esse, infatti, possiedono dei connotati che mettono bene in luce alcune problematiche del predetto sistema che altre tipologie di infrazioni, all’opposto, non mostrano (o, perlomeno, non così chiaramente).
Come noto, si possono distinguere tre categorie principali di violazioni del diritto dell’Unione, dalle quali scaturisce l’avvio di una procedura d’infrazione: (i) mancata o non tempestiva notifica delle misure adottate per il recepimento di una direttiva nel diritto nazionale; (ii) non corretto recepimento di una direttiva; (iii) non corretta attuazione del diritto dell’Unione europea.
Mentre le prime due categorie di violazioni sono sanabili, di regola, attraverso un intervento normativo, l’ultima categoria richiede principalmente un intervento di tipo amministrativo (per esempio, svolgere una procedura di valutazione di impatto ambientale) e/o materiale (per esempio, bonificare una discarica illegale). In molti casi, le misure dirette a risolvere queste tipologie di procedure possono richiedere anche interventi normativi, volti, ad esempio, ad esercitare i poteri sostitutivi dello Stato nei confronti di enti territoriali responsabili della violazione in questione21 o a stabilire l’adozione di piani straordinari22. Tuttavia, tali interventi normativi sono solo strumentali al raggiungimento di un obbligo di risultato previsto dalla normativa della UE23 ma non determinano, di per sé, la cessazione della violazione. Quest’ultima si configura, infatti, solo con il raggiungimento dell’obiettivo prescritto, secondo le condizioni previste nella normativa medesima.
In base alle caratteristiche delle violazioni di cui sopra uno studio le definisce violazioni “strutturali”24, contrapponendole a quelle meramente “normative”, evidenziando come le prime presentino sfide maggiori per gli Stati membri25 nello sforzo di pervenire ad una loro soluzione. Ciò si traduce, in particolare nell’esperienza italiana, in tempi molto lunghi di gestione dei relativi dossier che risultano pendenti, in alcuni casi, da oltre venti anni26 e che costituiscono uno “zoccolo duro” delle procedure d’infrazione aperte nei confronti dell’Italia.
Ora, la maggior parte delle procedure d’infrazione aperte nel settore ambientale ricade proprio nella categoria delle violazioni “strutturali”. Invero, la natura delle violazioni contestate richiede, ai fini della rispettiva soluzione, complesse attività amministrative ed esecutive con tempi di realizzazione considerevoli, nonché risorse finanziarie cospicue, non risultando sufficiente, come detto, la mera adozione di misure legislative. A tali difficoltà materiali si aggiunge una ulteriore complessità determinata dal fatto che le procedure di infrazione nel settore ambientale coinvolgono, frequentemente, le competenze dei livelli amministrativi regionali e locali, rendendo la gestione più articolata che si riverbera, sovente, anche sui tempi di elaborazione delle risposte agli atti della Commissione europea, richiedendo un cospicuo lavoro di coordinamento al fine di definire una posizione unica nazionale.
Le ragioni di cui sopra possono quindi spiegare come mai, per un verso, anche nel nostro ordinamento il settore ambientale sia quello con il maggior numero di procedure di infrazione pendenti27 e, per altro verso, perché esso sia il settore in relazione al quale sia più ingente l’esborso di denaro a titolo di sanzioni28.
In tale contesto, si ritiene che il contenzioso avviato nel settore fognario-depurativo sia particolarmente esemplificativo delle violazioni considerate “strutturali”.
Invero, la necessità di provvedere alla realizzazione di impianti fognari e/o depurativi, in un quadro di ripartizione delle competenze a livello regionale, riproduce esattamente tutte le caratteristiche sopra esposte. A riprova di ciò, si consideri che anche nel settore del trattamento delle acque reflue urbane, dopo quella della gestione dei rifiuti, è stato necessario provvedere – ai sensi dell’art. 2 del decreto legge 29 dicembre 2016, n. 243, convertito dalla legge 27 febbraio 2017– alla nomina di un commissario straordinario al fine di accelerare la realizzazione delle opere e degli interventi di carattere infrastrutturale necessari per il superamento delle procedure di infrazione in tale ambito.
Inoltre, per testimoniare ulteriormente della molteplicità di atti richiesti per raggiungere la conformità ai parametri della direttiva 91/272/CEE, si noti che, in tempi relativamente recenti, è stata approvata una norma29 sull’integrazione dei poteri del commissario unico, la quale prevede che esso operi in deroga a ogni disposizione di legge diversa da quella penale, fatto salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, nonché dei vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione europea30.
Non sorprende, pertanto, che le complessità strutturali di cui sopra si siano riflesse negli argomenti difensivi fatti valere dalla Avvocatura dello Stato nel corso dei contenziosi in questa materia. In particolare, nella causa C-515/23, pur concordando con la Commissione sull’esistenza di un ritardo persistente nell’esecuzione della prima sentenza che ha accertato l’inadempimento, l’Avvocatura ha sostenuto che l’importo delle sanzioni pecuniarie richiesto dalla “guardiana dei trattati” fosse eccessivo.
A tal fine, l’Avvocatura ha fatto presente che occorre, innanzitutto, tener conto «della complessità degli interventi materiali da effettuare, che implicano la realizzazione di infrastrutture complesse, il cui costo può essere soggetto a variazioni, nonché della necessità di collaudare, mettere in esercizio e monitorare il funzionamento delle infrastrutture realizzate»31. Inoltre, essa ha evidenziato che ai fini delle dette operazioni, è necessario ricorrere a procedure di aggiudicazione di appalti pubblici, le quali presentano un rischio elevato di contenzioso, che si traduce in una notevole dilatazione dei tempi.
Altresì, la difesa italiana ha fatto presente di aver stanziato notevoli risorse economiche e finanziarie per attuare le misure necessarie per la risoluzione del contenzioso che la oppone all’Unione europea nel settore delle acque reflue urbane; nonché, di aver nominato un commissario straordinario unico, al fine di dare impulso e accelerazione alla progettazione e alla realizzazione degli interventi necessari a superare siffatte violazioni32.
La natura “strutturale” delle violazioni in discussione è poi a fondamento della contestazione, da parte della medesima Avvocatura, in merito alla domanda della Commissione di imporre cumulativamente una somma forfettaria e una penalità.
A tale riguardo, le Autorità italiane hanno chiesto, in via principale, l’imposizione della sola penalità, ad esclusione della somma forfettaria, nell’ambito della causa in discussione, sulla base della considerazione che, quando è certo o ragionevolmente probabile che lo Stato membro non sarà in grado di dare esecuzione alla sentenza che ha constatato l’inadempimento – poiché il cronoprogramma presentato dalle autorità nazionali volto a garantire la completa esecuzione di tale sentenza eccede la durata del procedimento – viene meno «la condizione preliminare per l’imposizione della somma forfettaria, ossia la possibilità oggettiva per lo Stato membro inadempiente di conformarsi in tempo utile. Pertanto, in un siffatto caso, l’imposizione di una somma forfettaria dovrebbe essere evitata, in quanto la funzione dissuasiva è già pienamente espletata dalla sola penalità»33.
In subordine, l’Avvocatura di Stato ha chiesto che l’Italia fosse condannata unicamente al pagamento di una somma forfettaria, considerata sufficiente a reprimere l’inosservanza agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto dell’Unione nel caso di specie. Infatti, secondo tale ragionamento, «l’imposizione di una somma forfettaria di importo rilevante in aggiunta ad una penalità sarebbe sproporzionata e rischierebbe di produrre un effetto opposto a quello perseguito, rendendo maggiormente difficoltosa l’esecuzione della sentenza C‑85/13 a causa delle gravi conseguenze finanziarie pregiudizievoli che essa comporterebbe»34.
Argomenti analoghi sono stati fatti valere anche nella causa C-251/17, in cui l’Avvocatura di Stato ha contestato il metodo di calcolo dell’importo della penalità proposto dalla Commissione e, in particolare, le valutazioni della Commissione in merito alla gravità e alla durata dell’infrazione, evidenziando che nel caso di specie non si trattava «di eliminare semplicemente una disposizione contraria al diritto dell’Unione, bensì di attuare riforme nell’ambito di una situazione di fatto complessa» ed, altresì, che la messa in conformità «dipende da riforme strutturali nel settore idrico, la cui realizzazione richiede vari mesi»35.
Tuttavia, i suddetti argomenti avanzati dalla Avvocatura di Stato non sono stati accolti dalla Corte. Invero, secondo il Giudice di Lussemburgo, in considerazione dei rischi che l’infrazione di cui trattasi comporta per gli interessi pubblici rilevanti in gioco, legati alla tutela dell’ambiente, la complessità dei lavori infrastrutturali da effettuare, che richiedono diversi anni, non può condurre ad una valutazione meno severa della gravità di tale infrazione, sufficiente ad escludere l’adozione di una misura dissuasiva quale l’imposizione di una somma forfettaria.
Semmai, secondo la Corte, gli sforzi di investimento rilevanti che lo Stato membro ha intrapreso per assicurare la piena attuazione della direttiva 91/272/CEE, così come la nomina di un commissario straordinario unico istituito a tal fine, sono state considerate tra le circostanze attenuanti per il calcolo della somma forfettaria imposta.
Parimenti, gli argomenti legati alle caratteristiche della violazione “strutturale” non sono stati accolti per escludere la comminazione di una sanzione pecuniaria. Invero, secondo una costante giurisprudenza della Corte, l’inflizione di una penalità è giustificata, in linea di principio, se l’inadempimento relativo alla mancata esecuzione di una precedente sentenza perdura fino all’esame dei fatti da parte della Corte36 e, nel caso di specie, alla data dell’udienza dinanzi alla Corte, le misure necessarie per l’esecuzione della sentenza del 10 aprile 2014, causa C‑85/13, non erano ancora state integralmente adottate.
Nondimeno, tali argomenti difensivi sono stati presi in considerazione ai fini della imposizione di una penalità degressiva che tenga conto dei progressi realizzati dallo Stato membro nell’esecuzione dei propri obblighi. Il problema sarà ora, tenuto conto delle molteplici difficioltà connesse alla realizzazione delle opere necessarie, constatare quanti anni occorreranno per assicurare la integrale esecuzione della sentenza e quindi, per quanti anni occorrerà pagare la penalità.
Invero, secondo gli ultimi elementi presentati dall’Italia nella sua controreplica, il raggiungimento della conformità degli agglomerati dovrebbe avvenire entro la fine del 202637. Tuttavia, non si può escludere che i cronoprogrammi per la realizzazione degli interventi possano subire slittamenti, anche in considerazione dell’elevato rischio di contenzioso insito nelle necessarie procedure di aggiudicazione di appalti pubblici, già rappresentato in causa dalle Autorità italiane.
Infine, un problema ancora più considerevole sarà evitare che le restanti procedure, che comprendono un numero molto considerevole di agglomerati, giungano anch’esse in fase di comminazione di sanzioni pecuniarie.
A tale riguardo pare opportuno ricordare che la Corte38 ha già avuto modo di affermare che, al fine di valutare il coefficiente di gravità per la determinazione della sanzione pecuniaira da comminare, l’assenza o l’insufficienza di sistemi di raccolta o di trattamento delle acque reflue urbane rischia di arrecare danni all’ambiente e deve essere considerata come particolarmente grave. Inoltre, l’importanza del danno ambientale dipende, in larga misura, dal numero di agglomerati interessati dall’inadempimento di cui trattasi.
Alla luce di quanto sopra, considerati i tempi lunghi di adeguamento dovuti, in gran parte, alle difficoltà strutturali sopra esposte e al numero elevato di agglomerati interessati dalle procedure di infrazione che si accingono a pervenire alla fase ex art. 260 TFUE (vale a dire le nn. 2014/2059 e 2017/2181), è plausibile che il settore delle acque reflue sia destinato a rappresentare, nel prossimo futuro, una delle fonti principali di sanzioni pecuniarie a carico dell’Italia, in misura uguale, se non persino superiore, all’ammontare attualmente determinato dal settore della gestione dei rifiuti.
1 GU L 135 del 30.5.1991, pag. 40, ELI http://data.europa.eu/eli/dir/1991/271/oj.
2 Corte giust., 27 marzo 2025, causa C-515/23, Commissione c. Italia, EU:C:2025:209.
3 Sono molteplici le sentenze di indamepiemento adottate nei confronti degli Stati membri per violazione della direttiva 91/272/CEE. A titolo di esempio, v. Corte giust., 17 ottobre 2024, causa C-304/23, Commissione c. Malta, EU:C:2024:906; 4 ottobre 2024, causa C-268/23, Commissione c. Francia, EU:C:2024:864; 7 dicembre 2023, causa C-587/22, Commissione c. Ungheria, EU:C:2023:963; 30 novembre 2023, causa C-328/22, Commissione c. Slovenia, EU:C:2023:939. Per ragioni di spazio, peraltro, questa segnalazione si limita ad esaminare solo quelle avviate nei confronti dell’Italia nel settore del trattamento delle acque reflue urbane.
4 Corte giust., 27 marzo 2025, causa C-515/23, Commissione c. Italia, cit., punto 58. Si noti, tuttavia, che al punto 76 della medesima pronuncia si legge che le Autorità italiane sostengono che «dai dati relativi agli altri tre procedimenti di infrazione contro tale Stato membro risulterebbe che il numero totale di oltre 800 agglomerati non conformi è stato progressivamente ridotto a un numero totale di 622 alla data di deposito del controricorso». Il disallineamento deriva dal fatto che nelle procedure n. 2004/2034 e n. 2014/2059 (su cui v. infra), la Commissione è in ritardo nel fornire una valutazione in merito agli aggiornamenti trasmessi dalle Autorità italiane sullo stato di adeguamento dei diversi agglomerati contestati, mentre nella procedura n. 2017/2181 (su cui v. sempre infra), il numero esatto di agglomerati non conformi è oggetto di discussione nell’ambito della causa pendente dinanzi alla Corte.
5 Vi sono state in passato due procedure di infrazione, ora archiviate, relative alla violazione della direttiva 91/272/CEE: la procedura n. 2002/2124, avviata nei confronti dell’Italia per non aver correttamente identificato le aree sensibili ai sensi del dispositivo congiunto dell’art. 5, co. 1 e dell’allegato IIA della direttiva 91/271/CEE, e la procedura n. 2000/5152, che riguardava esclusivamente la non conformità dell’agglomerato formato da vari comuni della provincia di Varese situati nel bacino del fiume Olona.
6 V. la delibera n. 3/2025 della Sezione di controllo per gli affari europei e internazionali della Corte dei conti “Procedure di infrazione con sanzioni pecuniarie a carico dell’Italia”. Invero, le procedure di infrazione in materia ambientale giunte a sanzioni pecuniarie sono ben quattro (la n. 2003/2077, relativa alle discariche abusive, la n. 2004/2034, relativa alle acque reflue urbane nelle aree normali, la n. 2007/2195, relativa ai rifiuti in Campania, e la n. 2009/2034, relativa alle acque reflue urbane nelle aree sensibili) su un totale di cinque procedure. Infatti, solo la procedura n. 2007/2229, relativa al mancato recupero di aiuti di Stato concessi per interventi a favore dell’occupazione contratti formazione lavoro, non riguarda la normativa ambientale.
7 L’art. 2 della direttiva 91/272/CEE fornisce la seguente definizione di acque reflue urbane: «acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue domestiche, acque reflue industriali e/o acque meteoriche di dilavamento».
8 Corte giust., 31 maggio 2018, causa C-251/17, Commissione/Italia, EU:C:2018:358, punto 43 e giurisprudenza ivi citata.
9 V. l’art. 3, par. 1, della direttiva 91/271/CEE.
10 L’art. 2 della direttiva 91/272/CEE fornisce la seguente definizione di agglomerato: «area in cui la popolazione e/o le attività economiche sono sufficientemente concentrate così da rendere possibile la raccolta e il convogliamento delle acque reflue urbane verso un impianto di trattamento di acque reflue urbane o verso un punto di scarico finale».
11 L’art. 2 della direttiva 91/272/CEE fornisce la seguente definizione di abitante equivalente: «il carico organico biodegradabile, avente una richiesta biochimica di ossigeno a 5 giorni (BOD5) di 60 g di ossigeno al giorno».
12 L’art. 2 della direttiva 91/272/CEE fornisce la seguente definizione di trattamento secondario: «trattamento delle acque reflue urbane mediante un processo che in genere comporta il trattamento biologico con sedimentazioni secondarie, o un altro processo in cui vengano rispettati i requisiti stabiliti nella tabella 1 dell’allegato I della direttiva».
13 Ai sensi dell’allegato II della direttiva sono aree sensibili i laghi naturali d’acqua dolce, le altre acque dolci, gli estuari e le acque del litorale già eutrofizzati, o probabilmente esposti a prossima eutrofizzazione, in assenza di interventi protettivi specifici.
14 Banca dati Eurinfra sul sito del Dipartimento degli affari europei della Presidenza del Consiglio dei ministri https://eurinfra.politichecomunitarie.it/ElencoAreaLibera.aspx e giurisprudenza citata infra.
15 Corte giust., 31 maggio 2018, causa C‑251/17, Commissione c. Italia, EU:C:2018:358.
16 Corte giust., 19 luglio 2012, causa C-565/10, Commissione c. Italia, EU:C:2012:476.
17 Corte giust., 27 marzo 2025, causa C-515/23, Commissione c. Italia, cit.
18 Corte giust., 10 aprile 2014, causa C‑85/13, Commissione c. Italia, EU:C:2014:251.
19 Corte giust., 6 ottobre 2021, causa C-668/19, Commissione c. Italia, EU:C:2021:815.
20 Ricorso del 13 settembre 2024, causa C-594/24, Commissione c. Italia.
21 Ai sensi dell’art. 41 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, relativo all’esercizio del potere sostitutivo del Governo nei casi di mancata attuazione di atti dell’Unione europea.
22 Per esempio l’art. 14 del decreto-legge 16 settembre 2024, n. 131, convertito, con modificazioni, in legge 14 novembre 2024, n. 166 ha previsto l’adozione di un Piano di azione nazionale per il miglioramento della qualità dell’aria al fine di individuare ulteriori misure ed iniziative finalizzate ad assicurare l’esecuzione della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 10 novembre 2020, in causa C-644/2018, in merito ai superamenti continui e di lungo periodo, in zone e agglomerati del territorio italiano, dei valori limite di biossido di particolato Pm10, nonché della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 12 maggio 2022, in causa C-573/2019, in merito ai superamenti continui e di lungo periodo, in zone e agglomerati del territorio italiano, dei valori limite di biossido di azoto NO2.
23 Per esempio la direttiva (UE) 2024/2881 del 23 ottobre 2024 relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa prevede tempistiche precise per il raggiungimento di valori limite di determinati inquiannti, nonché di predisporre e aggiornare piani per la qualità dell’aria nel caso di superamenti dei detti valori.
24 C. Burelli, The Deterrent Effect of Financial Sanctions Pursuant to Article 260(2) tfeu in the Context of Violations of Environmental Obligations, in The Italian Review of International and Comparative Law, 2023, p. 367 ss., p. 368.
25 Un grafico disponibile sul sito della Commissione europea (https://ec.europa.eu/implementing-eu-law/member-state-infringement-cases/en), aggiornato alle ultime decisioni del 7 maggio 2025, dimostra che il settore ambientale rappresenta l’ambito con il maggior numero di procedure pendenti: 308 procedure, seguito da giustizia e tutela dei consumatori con 207 procedure e mobilità e trasporti con 160 casi pendenti.
26 Per esempio la lettera di messa in mora relativa alla procedura n. 2004/2034 risale, per l’appunto, al 2004.
27 Banca dati Eurinfra sul sito del Dipartimento degli affari europei della Presidenza del Consiglio dei ministri https://eurinfra.politichecomunitarie.it/ElencoAreaLibera.aspx. Sulla base delle ultime decisioni del Collegio dei Commissari del 7 maggio 2025, risultano pendenti 23 procedure ambientali su un totale di 63. Per fare un confronto, nel settore dei trasporti risultano pendenti 7 procedure di infrazione, mentre nell’ambito della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi, sono pendenti 3 casi.
28 V. la delibera n. 3/2025 della Sezione di controllo per gli affari europei e internazionali della Corte dei conti, “Procedure d’infrazione con sanzioni pecuniarie a carico dell’Italia”. Sulla base dei dati disponibili alla adunanza della Corte dei conti del 19 dicembre 2024, la sanzione pagata dall’Italia per la procedura n. 2004/2034 sulla acque reflue urbane nelle aree normali ammonta a 142.867.997,2 euro, per la procedura n. 2003/2077 relativa alle discariche abusive ammonta 265.400.000 euro e, per la procedura n. 2007/2195 relativa ai rifiuti in Campania, ammonta a 325.760.000 euro.
29 Decreto legge del 9 dicembre 2023, n. 181, convertito in legge n. 11 del 2 febbraio 2024 (in GURI n. 31 del 7 febbraio 2024).
30 Inoltre, le modifiche introdotte dispongono che, ove siano necessari provvedimenti di valutazione di impatto ambientale o di verifica di assoggettabilità, è competente la Commissione tecnica Pnrr. Ai relativi procedimenti si applicano le disposizioni di semplificazione e accelerazione previste dal d.lgs n. 152/2006 per i progetti compresi nel Pnrr.
31 Corte giust., 27 marzo 2025, causa C-515/23, Commissione c. Italia, cit., punto 69.
32 Ibidem, punti 71 e 72.
33 Ibidem, punto 80.
34 Ibidem, punto 82.
35 Corte giust., 31 maggio 2018, causa C-251/17, Commissione/Italia, cit., punti 59 e 60.
36 Corte giust., 22 febbraio 2018, causa C‑328/16, Commissione/Grecia, EU:C:2018:98, punto 82.
37 V. Corte giust., 27 marzo 2025, causa C-515/23, Commissione c. Italia, cit., punto 38.
38 Corte giust., 31 maggio 2018, causa C-251/17, Commissione/Italia, cit., punto 72.