L’arrêt Nastolo : charge de la preuve en matière de responsabilité civile pour accident de la circulation et obligation d’interprétation conforme

Cour de justice, 30 Avril 2025, affaire C-370/24, Nastolo

La sentenza Nastolo: onere della prova nella responsabilità civile da sinistro stradale e obbligo di interpretazione conforme

The Nastolo Judgment: Burden of Proof in Civil Liability for Road Traffic Accidents and the Duty of Consistent Interpretation

1. La sentenza Nastolo1 – nome fittizio assegnato alla causa C-370/24 in sede di anonimizzazione2 – chiarisce alcuni elementi del regime di responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli disciplinato dalla direttiva 2009/103/CE3 e, allo stesso tempo, dimostra la centralità dell’obbligo d’interpretazione conforme quale «cerniera» interordinamentale4 e strumento privilegiato nelle mani dei giudici nazionali per assicurare l’effettività e il primato del diritto dell’Unione europea (UE). Resa il 30 aprile 2025 dalla Nona Sezione della Corte di giustizia (Corte), la sentenza in esame trae origine da un rinvio pregiudiziale d’interpretazione, sollevato dal Tribunale ordinario di Lodi, avente ad oggetto l’art. 13 della direttiva e la compatibilità, con tale disposizione, della disciplina italiana in materia5. In forza di quest’ultima – per come interpretata e applicata dalla giurisprudenza nazionale e, segnatamente, dalla Corte Suprema di Cassazione6 –, la persona trasportata di propria volontà a bordo di un veicolo rubato che ha causato il sinistro doveva provare, al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti da parte del Fondo di garanzia per le vittime della strada (FGVS), di non essere stata a conoscenza della provenienza illegale del veicolo.

Nella sentenza in esame, innanzitutto, la Corte di giustizia chiarisce che – in una siffatta ipotesi – l’onere della prova non incombe sulla persona lesa. Al contrario, sarà il FGVS – organismo che lo Stato italiano ha incaricato del risarcimento in questi casi avvalendosi della facoltà prevista dall’art. 13, par. 2, della direttiva 2009/103/CE – a dover provare la consapevolezza della provenienza illegale del veicolo a bordo del quale il passeggero ha subito un danno al fine di liberarsi dall’obbligo di risarcimento. In secondo luogo, la Corte sancisce gli obblighi incombenti in capo al giudice nazionale nel caso in cui – come nel caso di specie – esso sia chiamato a confrontarsi con una giurisprudenza nazionale avallata da organi di ultima istanza incompatibile con il diritto dell’Unione, precisando portata e limiti dell’obbligo di interpretazione conforme.

2. All’origine della controversia si trova un sinistro stradale verificatosi nel 2016 a Lodi in conseguenza del quale il conducente e la passeggera (AT) riportavano gravi lesioni fisiche. A seguito dell’accertamento della provenienza illecita dell’autovettura da parte della polizia locale, nel procedimento penale aperto nei confronti degli occupanti, AT veniva assolta per non aver commesso il fatto. Quest’ultima, successivamente, agiva in giudizio dinnanzi al giudice del rinvio per ottenere il risarcimento del danno subito nei confronti dell’erede del conducente, nel frattempo deceduto, e di CT, impresa designata per il risarcimento del danno dal FGVS. Ciò in quanto – come anticipato – lo Stato italiano aveva previsto – nel caso di danni causati da veicoli rubati o ottenuti con la violenza – l’intervento dell’organismo incaricato del risarcimento istituito ex art. 10 della direttiva in luogo e vece dell’assicuratore.

Analizzando l’art. 13 della stessa, viene in primo luogo in rilievo il paragrafo 2 di tale articolo, il quale prescrive che, ove gli Stati – come nel caso di specie – abbiano esercitato questa facoltà, detto organismo incaricato del risarcimento debba intervenire «alle condizioni di cui al paragrafo 1 del presente articolo». Quest’ultima disposizione, alla quale è operato il rinvio, prevede a sua volta che le imprese assicurative private non sono tenute al risarcimento del danno nei confronti di persone che di loro spontanea volontà hanno preso posto nel veicolo che ha causato il danno a condizione che «l’assicuratore p[ossa] provare che esse erano a conoscenza del fatto che il veicolo era rubato».

Passando all’esame della disciplina nazionale dettata dal decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private), occorre concentrare l’attenzione sull’art. 283 che sancisce l’obbligo di risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli posti in circolazione contro la volontà del proprietario7. Tale obbligo risarcitorio, tuttavia, viene limitalo a tre sole ipotesi, corrispondenti a tre diverse categorie di soggetti lesi: (i) i terzi non trasportati; (ii) coloro che sono trasportati contro la propria volontà; e (iii) i soggetti trasportati «che sono inconsapevoli della circolazione illegale»8.

A venire in rilievo è la giurisprudenza della Corte di Cassazione in relazione alla terza ipotesi, già richiamata supra, secondo la quale, in breve, la prova dell’inconsapevolezza della provenienza illegale del veicolo rappresenta un fatto costitutivo della domanda risarcitoria; non già un fatto estintivo con onere della prova a carico dell’impresa di assicurazione che ne eccepisse l’assenza. In altre parole, la locuzione «inconsapevoli della circolazione illegale» utilizzata all’art. 283 dovrebbe essere interpretata facendo applicazione del regime civilistico generale in tema di onere della prova ex art. 2697 cod. civ., in forza del quale «[c]hi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento». Questa impostazione in merito al riparto dell’onus probandi poggia su due principali argomentazioni. La prima di esse è legata al rinvenimento – da parte della Corte di Cassazione – della ratio legis sottesa all’art. 13 della direttiva nell’obiettivo di escludere il risarcimento del danno subito da chi era a conoscenza della provenienza illegale del veicolo9. La condivisione di questo obiettivo e la sostanziale coincidenza tra le due normative, dell’Unione e nazionale, non potrebbe – prosegue la Corte di cassazione – essere rimessa in discussione da una diversa ripartizione dell’onere della prova10. Ciò anche considerato – e in quanto segue deve rinvenirsi la seconda argomentazione – che il riparto dell’onus probandi tra danneggiato e soggetto tenuto al risarcimento non è disciplinato direttamente dalla direttiva, dovendo pertanto rientrare nel margine di discrezionalità degli Stati membri in sede di attuazione della medesima.

3. Chiamato a confrontarsi con questo quadro normativo, il giudice del rinvio solleva due questioni pregiudiziali: la prima è volta a chiarire il portato dell’art. 13, par. 2, della direttiva con riguardo alla responsabilità dell’organismo incaricato del risarcimento; la seconda questione, invece, ha ad oggetto la compatibilità con la direttiva dell’art. 283 del Codice delle assicurazioni private, per come interpretato e applicato dalla Corte di Cassazione italiana.

Ancorché le due questioni vengano trattate congiuntamente, l’iter logico argomentativo della Corte di giustizia può essere suddiviso in due parti. Per fornire una risposta alla prima questione, la Corte fa applicazione dei metodi interpretativi «classici»11, vale a dire l’interpretazione letterale, l’interpretazione sistematica e l’interpretazione teleologica. Tra questi, è il primo a risultare determinante12, mentre gli altri due metodi sono utilizzati esclusivamente per corroborare la conclusione raggiunta13.

L’interpretazione letterale si articola in tre passaggi. Il primo di essi fa valere che – ex art. 13, par. 2 – la responsabilità dell’organismo incaricato è regolata da un espresso rinvio alle condizioni sancite al par. 1 del medesimo articolo. Il secondo passaggio involge, quindi, l’esame di quest’ultima disposizione, nella parte in cui è previsto che l’obbligo di risarcire il danno non sussiste ove l’assicuratore possa provare che i trasportati erano a conoscenza del fatto che il veicolo era rubato. A questo riguardo, la ricostruzione operata dalla Corte di giustizia è diametralmente opposta a quella sottesa alla giurisprudenza della Corte di cassazione. In particolare, viene sancito che l’esclusione della responsabilità dell’assicuratore ex art. 13, par. 1, comma 2, rappresenta una deroga al principio generale dell’obbligo di risarcimento in capo allo stesso e deve pertanto essere oggetto di un’interpretazione restrittiva14. La formulazione «l’assicuratore possa provare» deve quindi essere interpretata nel senso che tale obbligo viene meno soltanto nel caso in cui esso sia in grado di dimostrare che le persone che avevano preso posto di loro spontanea volontà nel veicolo che ha causato il danno sapevano che quest’ultimo era stato rubato15. Terzo e ultimo passo: l’esplicito rinvio operato dal paragrafo 2 a questa disposizione impone di applicare gli stessi principi al regime di responsabilità degli organismi incaricati ex art. 10 della direttiva in caso di sinistri causati da veicoli rubati. Ne discende che l’onere della prova ricadrà, anche in queste ipotesi, sul soggetto di norma tenuto al risarcimento del danno, non sulla persona lesa.

L’interpretazione sistematica si concentra sul disposto dell’art. 10, par. 2, secondo comma, della direttiva 2009/103, ai sensi del quale – nel caso di veicolo non assicurato – incombe parimenti in capo a detto organismo l’onere di dimostrare che il danneggiato era al corrente del fatto che il veicolo non fosse assicurato16.

Infine, quanto al criterio teleologico, la Corte sottolinea che la conclusione raggiunta è coerente con l’obiettivo di assicurare tutela alle vittime di sinistri causati dalla circolazione di autoveicoli, costantemente rafforzato dal legislatore dell’Unione e riflesso nei considerando 2 e 20 della direttiva in questione17.

4. Constatata l’incompatibilità con l’art. 13 della direttiva di una disciplina nazionale che colloca l’onus probandi – in casi come quello in questione – in capo alla persona lesa, la seconda parte della sentenza mira a fornire una «risposta utile» al giudice del rinvio, precisando gli obblighi incombenti in capo al medesimo per i casi in cui sia chiamato confrontarsi con una siffatta situazione di incompatibilità18. In altre parole, in quale modo un giudice nazionale può porvi rimedio?

Il ragionamento della Corte a questo riguardo si concentra esclusivamente sull’obbligo, in capo ai giudici nazionali, di interpretare il diritto interno «per quanto più possibile alla luce del testo e delle finalità della direttiva [così assicurando] la piena efficacia del diritto dell’Unione»19; di cui vengono riaffermati i principi cardine. Tra questi, è innanzitutto sottolineato che i giudici nazionali – pur agendo nei limiti delle proprie competenze – sono tenuti ad «adoperar[si] al meglio», «prendendo in considerazione il diritto interno nel suo insieme ed applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest’ultimo»20. In secondo luogo, viene riaffermato che detto obbligo impone di «disapplicare», ove necessario e anche di propria iniziativa, una giurisprudenza nazionale, anche consolidata, che risulti incompatibile con il diritto dell’Unione21. Rimangono fermi, in terzo luogo, i limiti dell’obbligo in discorso, da rinvenirsi nei principi generali del diritto, in particolare in quello della certezza del diritto; non potendo dunque servire da fondamento per un’interpretazione contra legem del diritto nazionale22.

Se, in principio, compete al giudice nazionale valutare la possibilità, nel caso di specie, di risolvere in via interpretativa l’ – apparente – antinomia tra disposizione nazionale e diritto dell’Unione per come interpretato dalla Corte di giustizia, quest’ultima si premura di offrire al giudice del rinvio la propria prospettiva, come non di rado accade nel contesto di quel «dialogo da giudice a giudice»23 instaurato ex art. 267 TFUE e caratterizzato da uno «spirito di collaborazione»24. Al riguardo, la Corte rileva che «la norma nazionale in base alla quale l’onere della prova in questione graverebbe sulla persona lesa pare non sia chiaramente espressa nell’articolo 283 [del Codice delle assicurazioni private]»25, concludendo che «[s]e così è effettivamente, un’interpretazione conforme alla direttiva 2009/103 non può essere considerata contra legem»26.

5. La sentenza in esame, da un lato, fornisce un chiarimento in materia di onere della prova nel settore della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli disciplinato dalla direttiva 2009/103/CE, che rivestirà primaria importanza per gli operatori nazionali e che, senza dubbio, contribuirà a garantire un ristoro ai danneggiati in buona fede e, per questo tramite, l’effettività del diritto dell’Unione. Dall’altro lato, essa non solo riafferma alcuni consolidati principi in tema di obbligo di interpretazione conforme ma – come da ultimo illustrato – sembra “incoraggiare” il giudice nazionale verso la non applicazione nel caso di specie della giurisprudenza della Corte di cassazione italiana incompatibile con la direttiva. Non si tratta certo di un principio nuovo, emergendo chiaramente dalla pregressa giurisprudenza sia l’obbligo dei giudici ordinari di non applicare l’interpretazione fornita da giudici nazionali di ultima istanza, incluse le Corti di cassazione nazionali27, sia l’obbligo in capo a questi di modificare una giurisprudenza consolidata se basata su di un’interpretazione del diritto nazionale incompatibile con il diritto dell’Unione28. Ciononostante, può rivestire interesse la perimetrazione dei limiti all’obbligo di interpretazione conforme con riguardo al divieto di interpretazione contra legem. Come messo in evidenza supra, una siffatta ipotesi sarebbe riscontrabile soltanto laddove una norma opposta e contraria a quella sancita dalla direttiva sia «chiaramente espressa» dalla disposizione nazionale di rango legislativo che ne dà attuazione29.

Verosimilmente già desumibile dalla precedente giurisprudenza della Corte, questa lettura restrittiva dei limiti dell’obbligo non fa che confermare il potenziale espansivo – particolare evidente nell’era post-Popławski II30 – dell’obbligo di interpretazione conforme31, chiamato incrementalmente a svolgere quel ruolo di «cerniera»32 o «strumento di sutura»33 tra ordinamenti cui si accennava in apertura. Obbligo da tempo perno dell’opera ermeneutica dei giudici nazionali rispetto al quale il rimedio “principe” della disapplicazione sembra «sussidiario»34 o «residuale»35; con ciò intendendosi che – anche in presenza di una norma di diritto UE dotata di efficacia diretta nel caso di specie – la disapplicazione della norma nazionale si configura come logicamente e temporalmente successiva all’impossibilità, per il giudice nazionale, di ricomporre l’antinomia interordinamentale mediante lo strumento dell’interpretazione conforme36.

6. Considerata nel suo insieme, pertanto, la sentenza Nastolo rappresenta un esempio emblematico di dialogo proficuo tra giudici nazionali italiani e Corte di giustizia, mediante il quale viene assicurata la corretta e uniforme applicazione del diritto dell’Unione e così apprestata tutela a soggetti che ne sarebbero altrimenti stati privi. Verosimilmente, fatta eccezione per gli esperti del settore, non si tratta di un caso che “farà rumore”, non chiamando in causa, direttamente, né dubbi inerenti all’effetto diretto e alla conseguente disapplicazione della normativa nazionale né questioni relative alla compatibilità di quest’ultima con i diritti fondamentali sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE o nella Costituzione italiana.

Il rilievo di un fenomeno sociale, anche giuridico, non è tuttavia funzione esclusiva dell’attenzione che è capace di attrarre, ben potendo, alle volte, risultare significativo notare la “normalizzazione” di un dato fenomeno oggetto di studio. Così, pur essendo (rectius, proprio per essere) stata pronunciata da una Sezione a tre giudici e senza conclusioni, la sentenza in esame dice molto sul ruolo dei giudici nazionali come «giudici comuni» del diritto dell’Unione37, parte integrante – da un punto di vista funzionale – del sistema giurisdizionale multilivello UE38 e incaricati di svolgere un vero e proprio «mandato europeo»39, che impone ad essi di assicurare l’effettività del diritto dell’Unione avvalendosi del meccanismo di dialogo ex art. 267 TFUE e di strumenti quali la disapplicazione e l’interpretazione conforme. Mandato che – se viene svolto nel contesto di varie comunità di corti40 che sottendono molteplici «relazioni di lealtà»41 – trova il suo interlocutore privilegiato e «potente alleato»42, nei casi che coinvolgono l’interpretazione e l’applicazione del diritto UE, nella Corte di giustizia dell’UE, a prescindere da qualsivoglia interpretazione o indicazione contraria proveniente dalla Corti supreme o costituzionali degli Stati membri.


1 Corte giust., 30 aprile 2025, causa C-370/24, Nastolo, ECLI:EU:C:2025:300.

2 Su questa tecnica, si veda S. Barbieri, L’anonimizzazione delle cause pregiudiziali: brevi considerazioni sulle prime applicazioni della nuova disciplina, in RCE, 2024, p. 181 ss.

3 Direttiva 2009/103/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, concernente l’assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli e il controllo dell’obbligo di assicurare tale responsabilità, in GUUE L 263, 7 ottobre 2009, p. 11 ss.

4 La metafora utilizzata nel testo è da attribuirsi a E. Lamarque, I giudici italiani e l’interpretazione conforme al diritto dell’Unione europea e alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in L. Cappuccio, E. Lamarque (a cura di), Dove va il sistema italiano accentrato di controllo di costituzionalità? Ragionando intorno al libro di Victor Ferreres Comella Constitutional Courts and Democratic Values, Napoli, 2013, p. 241 ss., pp. 244 e 258.

5 Trib. Lodi, Sez. I civ., 20 maggio 2024, ordinanza di rinvio pregiudiziale.

6 Cass., Sez. III, 9 maggio 2019, ordinanza n. 1223.

7 Art. 283, comma 1, lett. d), Codice delle assicurazioni private.

8 Art. 283, comma 2, Codice delle assicurazioni private; corsivo aggiunto.

9 Cass., n. 1223/2019, cit., punto 5.

10 Ibid.

11 K. Lenaerts, J. A. Gutiérrez-Fons, Les méthodes d’interprétation de la Cour de justice de l’Union européenne, Bruxelles, 2020, p. 13 ss.

12 Corte giust., 30 aprile 2025, causa C-370/24, Nastolo, cit., punti 24-34.

13 Ibid., punti 35-41.

14 Ibid., punti 29-32.

15 Ibid., punto 33.

16 Ibid., punto 36.

17 Ibid., punti 37-39.

18 Ibid., punti 41-42.

19 Ibid., punto 43.

20 Ibid., punto 44.

21 Ibid., punti 45-46.

22 Ibid., punto 47.

23 Corte giust., 18 dicembre 2014, Parere 2/13, Adesione dell’Unione alla CEDU, ECLI:EU:C:2014:2454, punto 176.

24 Corte giust., 27 febbraio 2018, causa C-64/16, Associação Sindical dos Juízes Portugueses, ECLI:EU:C:2018:117, punto 20.

25 Corte giust., 30 aprile 2025, causa C-370/24, Nastolo, cit., punto 48.

26 Ibid.

27 Corte giust., 13 luglio 2000, causa C‑456/98, Centrosteel, ECLI:EU:C:2000:402, punto 17; Corte giust., 8 novembre 2016, causa C-554/14, Ognyanov, ECLI:EU:C:2016:835, punti 68-70.

28 Corte giust., 19 aprile 2016, causa C‑441/14, Dansk Industri, ECLI:EU:C:2016:278, punti 33-34; Corte giust., 5 marzo 2020, causa C-679/18, OPR-Finance, ECLI:EU:C:2020:167, punti 43-44.

29 Corte giust., 30 aprile 2025, causa C-370/24, Nastolo, cit., punto 48.

30 Corte giust., 24 giugno 2019, causa C-573/17, Popławski II, ECLI:EU:C:2019:530.

31 In questo senso, v. D. Miasik, M. Szwarc, Primacy and direct effect – still together: Popławski II, in CMLR, 2021, p. 571 ss. Per alcune recenti riflessioni in materia, si vedano A. Circolo, Il giudice nazionale e l’obbligo di interpretare il proprio diritto in maniera conforme al diritto dell’Unione, in G. Lattanzi, M. Maugeri, G. Grasso, L. Calcagno, A. Ciriello (a cura di), Il diritto europeo e il giudice nazionale. Vol. 1: Il diritto dell’Unione europea e il ruolo del giudice nazionale, Milano, 2023, p. 87 ss.; e D. Gallo, Direct Effect in EU Law, Oxford, 2025, pp. 209-216.

32 E. Lamarque, I giudici italiani e l’interpretazione conforme al diritto dell’Unione europea e alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, cit.

33 V. Piccone, A prima lettura della sentenza della Corte di cassazione n. 4223 del 21 febbraio 2018. L’interpretazione conforme come strumento di “sutura” post Corte costituzionale n. 269/2017, in Rivista di diritti comparati, 2018, p. 298 ss.

34 L. Cecchetti, Unravelling horizontal direct effect in EU law: The case of the fundamental right to paid annual leave between ‘myth’ and ‘practice’, in YEL, 2023, p. 42 ss.

35 D. Gallo, Direct Effect in EU Law, cit., p. 112.

36 Corte giust., 8 marzo 2022, causa C-205/20, NE II, ECLI:EU:C:2022:168, punto 37. In questo senso, v. già Corte giust., 19 aprile 2016, causa C‑441/14, Dansk Industri, cit., punto 37.

37 K. Lenaerts, K. Gutman, J. T. Nowak, EU Procedural Law, Oxford, II ed., 2023, pp. 13-14.

38 R. Schütze, European Union Law, Oxford, III ed., 2021, p. 406.

39 M. Claes, The National Courts’ Mandate in the European Constitution, Oxford, 2006, p. 58.

40 C. Kilpatrick, Community or communities of courts in European integration? Sex equality dialogues and the UK courts, in ELJ, 2002, p. 121 ss.

41 G. Martinico, Multiple loyalties and dual preliminarity: The pains of being a judge in a multilevel legal order, in IJCL, 2012, p. 871 ss.

42 Invertendo la prospettiva adottata in G. F. Mancini, The Making of a Constitution for Europe, in CMLR, 1989, p. 595 ss., p. 597.