La notion d’ « interprétation contra legem » dans l’arrêt Corneli de la Cour de justice : une nouvelle limitation à l’application du droit national ?

Cour de Justice (grande chambre), 15 juillet 2025, affaires jointes C-777/22 P et C-789/22 P, BCE et Commission c. Corneli

La nozione di «interpretazione contra legem» nella sentenza Corneli della Corte di giustizia: una nuova limitazione all’applicazione del diritto nazionale?

The Notion of ‘Interpretation Contra Legem‘ in the Court of Justice’s Corneli Ruling: A New Limit to the Application of National Law?

 

Il caso Corneli: le questioni processuali e di merito

Il 15 luglio 2025 è stata pubblicata l’attesa sentenza Corneli1 della Corte di giustizia, resa, in grande sezione, nel giudizio di impugnazione della pronuncia del Tribunale del 12 ottobre 20222. Le questioni in esame erano tante, alcune di natura processuale, altre di merito ed erano già state oggetto di approfondita analisi da parte dell’avvocata generale Kokott3, oltre che della dottrina4.

Sul piano più strettamente processuale, e con riguardo dunque alla ricevibilità del ricorso in primo grado, si poneva, in primis, la questione se una singola (piccola) azionista (nel caso di specie, la signora Corneli) di un istituto di credito significativo (Banca Carige) fosse: (i) legittimata ad impugnare ex art. 263 TFUE una decisione della Banca centrale europea (“BCE”) diretta a porre in amministrazione straordinaria detto istituto di credito (nonché la successiva decisione di proroga), ai sensi del regolamento (UE) 1024/2013 che attribuisce alla BCE compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi (“Regolamento MVU”) e (ii) titolare di un interesse ad agire, anche a seguito della cessazione dell’amministrazione straordinaria e della vendita delle azioni di sua proprietà. Il Tribunale dell’Unione aveva risposto affermativamente a queste domande, di soluzione non scontata: Corneli era, infatti, una dei 35.000 azionisti di Banca Carige e le decisioni in questione erano dirette alla banca, suscitando dubbi circa l’incidenza diretta e individuale sui diritti degli azionisti. Inoltre, specie in sede di impugnazione, le vicende successive della banca e della stessa quota azionaria di Corneli facevano dubitare del persistere dell’interesse ad agire.

Dal punto di vista sostanziale, le questioni (che si ponevano) vertevano sul rapporto tra diritto nazionale (nella fattispecie, gli artt. 69 octiesdecies e 70 del Testo Unico Bancario, “TUB”) e diritto UE (la direttiva 2014/59/UE, c.d. “Direttiva BRRD”): la decisione di disporre l’amministrazione straordinaria di Banca Carige, infatti, era stata presa ai sensi del diritto nazionale, in virtù del Regolamento MVU, il cui art. 4, par. 3, co. 1, prevede proprio che la BCE «applica tutto il diritto pertinente diritto dell’Unione e, se tale diritto dell’Unione è composto da direttive, la legislazione nazionale di recepimento di tali direttive». Il Tribunale aveva ritenuto che la BCE avesse errato nell’applicare l’art. 70 del TUB, avendo detta istituzione adottato la decisione di avviare l’amministrazione straordinaria sulla base di un presupposto – il «significativo deterioramento della situazione della banca» – non contemplato da detta norma, la quale prevede requisiti più severi (quali la presenza di «gravi perdite del patrimonio») per poter procedere in tal senso. Il «significativo deterioramento», infatti, è contemplato dalla legge italiana in un’altra norma, l’art. 69 octiesdecies TUB, come presupposto per l’adozione di rimedi meno invasivi (rispetto all’amministrazione straordinaria) sulla governance e sulla gestione della banca (come, ad esempio, la rimozione degli organi amministrativi o di controllo). Ai sensi degli artt. 28 e 29 della Direttiva BRRD (che le citate norme del TUB erano dirette a trasporre), invece, anche il significativo deterioramento della banca può costituire la base per un provvedimento di amministrazione straordinaria, ma secondo un principio di gradualità e di proporzionalità, ove misure meno incisive non siano altrettanto efficaci.

In primo grado, il Tribunale rilevata la diversa formulazione (quanto a presupposti e misure di intervento) delle norme italiane rispetto a quanto previsto dal diritto UE, riteneva che non fosse possibile procedere ad un’interpretazione conforme delle prime rispetto al secondo, stante la lettera delle menzionate disposizioni del TUB – che appunto prevedono il «significativo deterioramento» per misure meno incisive rispetto all’amministrazione straordinaria (sentenza del Tribunale, punti 106 e 107). Inoltre, secondo il Tribunale, BCE non poteva fondare la propria decisione direttamente sulla Direttiva BRRD, quale fonte distinta rispetto al diritto nazionale, stante l’espresso enunciato dell’art. 4, par. 3, Regolamento MVU che fa una scelta specifica per l’applicazione del diritto nazionale (punti 110-112 della sentenza), nonché il divieto di applicazione diretta di una direttiva in pregiudizio di un privato. Il Tribunale, pertanto, annullava la decisione di BCE, affermando che «non si può porre rimedio all’errore commesso dalla BCE nell’applicazione dell’articolo 70 del testo unico bancario con un’interpretazione libera dei testi normativi che consenta di rimodellare le condizioni per l’applicazione di disposizioni concepite in modo distinto nella direttiva 2014/59 e nel diritto nazionale» (punto 113 della sentenza).

La BCE e la Commissione hanno impugnato la pronuncia del Tribunale per una serie di motivi, principalmente riconducibili alla censura dell’interpretazione del diritto nazionale effettuata dal giudice di prime cure nello scrutinio della decisione di BCE. La Repubblica italiana è intervenuta in sede di impugnazione a sostegno della tesi della BCE e della Commissione.

L’avvocata generale Kokott, nelle proprie conclusioni del 21 novembre 2024, riassumeva le questioni sottese alla causa in questo modo: «[i] La BCE è tenuta ad applicare il diritto nazionale quale è adottato dal legislatore per recepire una direttiva nonché interpretato e applicato dai giudici nazionali, anche se esso è in contrasto con le disposizioni della stessa direttiva?; [ii] In caso di diretta applicabilità delle disposizioni di una direttiva, non solo le autorità e i giudici degli Stati membri, ma anche la BCE, devono applicare esclusivamente le disposizioni di cui trattasi, disapplicando il diritto nazionale ad esse contrario in virtù del principio del primato del diritto dell’Unione? [iii] Nell’ipotesi in cui non sia ipotizzabile un’applicazione diretta delle disposizioni di una direttiva, ad esempio perché esse creano obblighi per i singoli, la BCE è tenuta a rispettare i principi applicabili ai fini di un’interpretazione conforme del diritto nazionale?; [iv] A tal riguardo, la BCE deve ricorrere ai metodi di interpretazione riconosciuti nell’ordinamento nazionale e alla pertinente giurisprudenza dei giudici degli Stati membri?» (par. 4).

Le conclusioni hanno sottolineato che si trattava di «importanti questioni di diritto ancora non chiarite nella giurisprudenza della Corte». Le questioni relative all’interpretazione del diritto nazionale operata dal Tribunale in primo grado sollevavano poi il tema della possibilità di impugnare le relative statuizioni dinanzi alla Corte, stante la struttura del giudizio di impugnazione ex artt. 256 TFUE e 58 Statuto, il quale si configura come giudizio a critica vincolata, ove la pronuncia di primo grado può essere censurata solo per motivi di diritto. L’interpretazione del diritto nazionale viene, infatti, tradizionalmente considerata una questione di fatto, insuscettibile di scrutinio presso la Corte salvo il limite, come per ogni altra situazione di fatto, dello «snaturamento».

La Corte ha sostanzialmente scelto di non rispondere a tali questioni, utilizzando (e, come si dirà, in qualche modo “alterando”) il principio di interpretazione conforme come chiave di soluzione della causa al costo, tuttavia, di superare la lettera della legge, e quindi il limite all’operatività del predetto principio rappresentato dal divieto di interpretazione contra legem. 

La legittimazione del singolo azionista ad impugnare le decisioni di BCE dirette alla banca

In primo grado, il Tribunale aveva ritenuto che, per effetto delle decisioni di BCE, il rapporto tra Banca Carige e i suoi azionisti fosse stato modificato, senza intervento di ulteriori atti intermedi, e che, pertanto, le decisioni in esame avessero direttamente leso i diritti degli azionisti di eleggere gli organi amministrativi e di controllo della banca, di convocare l’assemblea generale, di stabilire l’ordine del giorno e di avviare azioni di responsabilità nei confronti degli organi amministrativi. Inoltre, secondo il Tribunale, Corneli, pur essendo una sola azionista su una compagine di 35.000 soci, doveva considerarsi individualmente interessata dalle decisioni impugnate in virtù della c.d. giurisprudenza dei gruppi chiusi, ai sensi della quale un gruppo di soggetti identificati o identificabili nel momento in cui l’atto è stato adottato possono dirsi individualmente interessati da tale atto se è possibile fondare tale identificazione su criteri tipici dei membri di tale gruppo5.

In sede di impugnazione, la BCE e la Commissione contestavano la decisione del Tribunale, rilevando che i menzionati diritti degli azionisti, previsti dallo statuto della banca e dal diritto societario italiano, potevano essere esercitati solo “collettivamente”, ovvero raggiungendo determinate maggioranze (Corte giust., punto 65 della sentenza). La Corte ha, invece, precisato che «sin dall’assoggettamento ad amministrazione straordinaria di Banca Carige e per tutto il tempo in cui tale situazione si è protratta, la sig.ra Corneli è stata privata, quantomeno, della possibilità di esercitare il diritto che ella deteneva, in quanto azionista di tale banca, di associarsi ad altri azionisti di quest’ultima per esercitare collettivamente l’uno o l’altro dei diritti menzionati al punto precedente» (punto 66). La Corte non ha, inoltre, ravvisato alcuno snaturamento del diritto italiano o delle previsioni statutarie da parte del Tribunale, il quale ha chiarito, da un lato, che quantomeno il diritto di voto poteva essere esercitato individualmente da Corneli (punto 68) e, dall’altro, che l’esistenza di soglie per l’esercizio di determinati diritti non consentiva – in ogni caso – di ritenere che le decisioni controverse non riguardassero direttamente un azionista (il quale, in ultima analisi, in effetti concorre con le sue azioni al raggiungimento delle soglie ove prescritte).

Con riferimento al requisito dell’incidenza individuale, la Corte di giustizia ha confermato la sussistenza delle condizioni di cui alla regola Plaumann, in quanto Corneli «da un lato, […] faceva parte di un gruppo i cui membri erano identificati o identificabili nel momento in cui sono state adottate le decisioni controverse e, dall’altro lato, era possibile fondare tale identificazione su criteri tipici dei membri di tale gruppo, vale a dire il fatto di detenere azioni nel capitale di tale banca e di trovarsi esclusi, per effetto di tali decisioni, dall’esercizio di taluni diritti connessi a tali azioni» (punto 77). Secondo la Corte, il Tribunale ha correttamente applicato la giurisprudenza della Corte e pertanto la sentenza non è viziata da errori di diritto (punto 79).

Il perdurare dell’interesse ad agire

Nel corso del giudizio di impugnazione, la BCE e la Commissione avevano contestato il perdurare dell’interesse ad agire di Corneli, poiché, nelle more del processo, l’amministrazione straordinaria di Carige si era conclusa (e pertanto le decisioni contestate avevano cessato di produrre effetti) e la stessa Corneli aveva venduto le proprie azioni.

La Corte ha richiamato la sua tradizionale giurisprudenza, secondo la quale l’interesse ad agire del ricorrente deve perdurare fino alla pronuncia della sentenza e tale circostanza deve essere verificata d’ufficio dal giudice. Secondo la Corte, il Tribunale è, pertanto, incorso in errore di diritto avendo omesso tale verifica (punto 98 della sentenza). L’omissione, tuttavia, non comporta l’annullamento della sentenza impugnata (punto 99) atteso che, a giudizio della Corte, Corneli, al di là dell’esaurimento degli effetti delle decisioni impugnate, conserva un interesse nella misura in cui l’annullamento può costituire la base di un eventuale ricorso per il risarcimento dei danni (punto 100). E, in tal senso, la Corte rilevava che Corneli ha confermato, rispondendo ad un quesito scritto, di essere intenzionata a proporre ricorsi per il risarcimento del danno, sia in sede nazionale sia dinanzi al Tribunale (punto 102). Di conseguenza, l’interesse ad agire non può essere considerato ipotetico, ma – al contrario – risulta perdurante.

Nel merito: sullo “stravolgimento” del principio di interpretazione conforme e i suoi (ridotti) limiti

Nel merito, sono rimaste pressoché senza risposta tutte le cruciali domande circa il rapporto tra direttive e norme interne di attuazione allorché BCE sia chiamata ad applicarle nel contesto del MVU, al di là di un’indicazione non convincente circa l’obbligo di interpretazione conforme gravante su BCE.

In primis, viene eluso il tema relativo alla possibilità per la Corte, di effettuare in sede di impugnazione uno scrutinio dell’interpretazione del diritto nazionale operata dal Tribunale. Come ricordato, le sentenze del Tribunale sono censurabili solo per motivi di diritto, secondo quanto indicato dall’art. 58 Statuto, e tradizionalmente l’interpretazione del diritto nazionale viene considerata come una questione di fatto, la quale può essere oggetto di vaglio della Corte solo nei limiti dello snaturamento6. E siccome, in sede di impugnazione, si censurava l’interpretazione del diritto nazionale da parte del Tribunale, i motivi dedotti a tal fine dovevano, secondo la resistente Corneli, dichiararsi irricevibili, non avendo le appellanti dimostrato uno snaturamento di detto diritto (e nello stesso senso si era pronunciata l’avvocata generale Kokott).

La Corte di giustizia, invece, in maniera piuttosto deludente afferma che tali motivi concernono, in realtà, l’applicazione del principio di interpretazione conforme: «la questione […] se il Tribunale abbia violato il diritto dell’Unione allorché ha ritenuto che la BCE avesse ecceduto i limiti dell’obbligo ad essa incombente in forza di tale diritto, di procedere a un’interpretazione conforme del diritto nazionale equivale a chiedere alla Corte una valutazione vertente sull’esistenza di una violazione del diritto dell’Unione da parte del Tribunale» (Corte giust., punto 129 della sentenza). Dunque, secondo la Corte «si tratta […] di una questione di diritto soggetta in quanto tale al controllo della Corte investita di un’impugnazione».

Tale statuizione pare discutibile: seguendo il ragionamento della Corte, in definitiva, ogni questione relativa all’applicazione del diritto nazionale da parte della BCE ai sensi del citato art. 4, par. 3, co. 1, Regolamento MVU potrebbe essere ricondotta ad un motivo attinente all’interpretazione conforme. Si è visto, infatti, che, per espressa previsione di detta norma, la BCE è chiamata ad applicare il diritto nazionale di trasposizione delle direttive e come precisato in questa sentenza dalla Corte (e questo era uno dei punti non scontati e oggetto di discussione, come evidenziato da Kokott al par. 121 delle sue conclusioni, stante l’opzione dell’art. 4, par. 3, per l’applicazione del diritto nazionale) essa è tenuta al rispetto dell’obbligo di interpretazione conforme (con i limiti posti tradizionalmente dalla giurisprudenza quanto al rispetto dei principi generali e del divieto di interpretazione contra legem7). Questa lettura (se non “riformulazione”) dei motivi della BCE e della Commissione suscita non poche perplessità: le stesse istituzioni non avevano sostenuto in questi termini tale tesi, invocando – inter alia –, oltre allo snaturamento del diritto nazionale da parte del Tribunale, la violazione dell’art. 288 TFUE per aver la sentenza gravata escluso la possibilità di interpretare le rilevanti norme del TUB in senso conforme alle corrispondenti disposizioni della Direttiva BRRD.

Analizzando la questione così rappresentata, la Corte procede a verificare la sentenza del Tribunale. In primis, la Corte precisa che, da una lettura complessiva dell’art. 4, par. 3, Regolamento MVU, risulta che l’applicazione del diritto interno da parte di BCE «mira a rispettare le scelte operate dal legislatore nazionale nell’ambito stabilito dalle pertinenti disposizioni del diritto dell’Unione, a prescindere dal fatto che essere figurino in regolamenti o in direttive» (punto 133). Quando il diritto dell’UE applicabile consiste in direttive, il principio di interpretazione conforme implica «l’esigenza di interpretare il diritto nazionale, quanto più possibile, alla luce della lettera e delle finalità di tali direttive, al fine di conseguire il risultato da queste perseguito» (punto 135). La Corte chiarisce che l’obbligo di interpretazione conforme vale anche per la BCE, quando applica – nell’ambito della sua attività di vigilanza – una normativa nazionale che recepisce una direttiva e per il Tribunale «allorché è chiamato, come nel caso di specie, ad applicare il diritto nazionale» (punti 136 e 137).

La Corte ricorda poi – correttamente – che l’obbligo di interpretazione conforme è limitato «dai principi generali del diritto, in particolare i principi generali di certezza del diritto e di irretroattività, e non può servire da fondamento ad un’interpretazione contra legem del diritto nazionale» (punto 138). Fatta questa precisazione, la Corte si concentra sul punto della sentenza che appare più problematico, ovvero l’analisi della nozione di «interpretazione contra legem», svolta alla luce dell’obbligo di interpretazione conforme, della necessità di rispettare il primato e dell’esigenza di un’applicazione uniforme del diritto UE. Qui la Corte afferma che il divieto di interpretazione contra legem «riguarda solo l’ipotesi in cui il diritto nazionale non possa ricevere un’applicazione tale da sfociare in un risultato compatibile con quello perseguito dalla disposizione del diritto dell’Unione di cui trattasi» (punto 142) e passa a verificare se davvero non fosse possibile un’interpretazione conforme del diritto nazionale alla luce della Direttiva BRRD in coerenza con detto limite. La Corte procede, quindi, ad analizzare il contenuto degli artt. 28 e 29 BRRD concludendo che, dal combinato di tali due disposizioni, risulta che gli Stati membri devono provvedere affinché l’autorità competente, quando la situazione della banca in questione si deteriori in modo significativo, possa, in funzione della gravità di tale deterioramento, limitarsi ad esigere la rimozione della dirigenza oppure disporre la misura più invasiva della nomina di uno o più amministratori temporanei. La Corte ammette che le norme italiane, l’art. 69 octiesdecies e l’art. 70 TUB, prevedono «condizioni applicative formulate in termini parzialmente diversi» (punto 152) e che il «significativo deterioramento» non figura tra i presupposti per l’amministrazione straordinaria nel testo dell’art. 70 TUB (punto 153). Tuttavia – e questo è davvero sorprendente – nonostante la chiara lettera delle norme italiane, secondo la Corte non si può dedurre che un’interpretazione dell’art. 70 TUB in senso conforme all’art. 29 della Direttiva risulterebbe contra legem. Questo perché l’art. 70, pur non prevedendo il «significativo deterioramento» come presupposto per l’amministrazione straordinaria di una banca, dispone che questa possa essere deliberata in presenza di «gravi perdite». Il Tribunale aveva affermato che le condizioni e le misure previste, rispettivamente, dagli artt. 69 octiesdecies e 70 TUB sono tassative e alternative (punti 92 e ss. della sentenza del Tribunale). Qui invece la Corte, per superare la lettera delle norme italiane, afferma che la nozione di «deterioramento significativo» e quella di «gravi perdite di patrimonio» nell’ambito della Direttiva BRRD costituiscono «nozioni giuridiche formulate in termini generali e simili» (punto 156) e quindi in qualche modo “fungibili” nella misura in cui un deterioramento «implica necessariamente l’eventualità, in un prossimo futuro, di perdite di patrimonio di quest’ultima, le quali se il deterioramento è “significativo”, possono essere qualificate come “gravi”» e «[v]iceversa, se si prevede che una banca subisca gravi perdite nel patrimonio, ciò può significare solo che la situazione di tale banca subisca un deterioramento qualificabile come “significativo”» (punto 157). Tale affermazione pare davvero tradire il senso letterale delle norme, nonché le scelte espressamente effettuate dal legislatore italiano. Secondo la Corte, il fatto che le nozioni in questione siano collocate in norme diverse (il 69 octiesdecies e l’art. 70) dal TUB, cui il diritto italiano riconduce conseguenze diverse (la rimozione dei membri degli organi e lo scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e di controllo delle banche) può pacificamente essere superato da una sovrapposizione dei due termini, che sarebbero talmente generici da consentirlo, in questo modo (come si dirà meglio in seguito) togliendo significato anche alle scelte della Direttiva BRRD. La Corte conclude quindi che il Tribunale è incorso in un errore di diritto nel ritenere che non si potesse leggere l’art. 70 TUB in senso conforme alla Direttiva BRRD a motivo del divieto di interpretazione contra legem, nonostante il fatto che il «significativo deterioramento» non figuri tra i presupposti per l’adozione di una misura di amministrazione straordinaria della banca previsti da detta norma (punto 158).

Sulla base di tali considerazioni, la Corte, statuendo definitivamente sul punto ai sensi dell’art. 61, co. 1, dello Statuto, conclude per la legittimità della decisione di BCE nella misura in cui ha disposto l’amministrazione straordinaria di Banca Carige sulla base dell’art. 70 TUB, il quale secondo la Corte deve pertanto «essere interpretato nel senso che la condizione relativa al fatto che si possa prevedere che la banca interessata subisca gravi perdite nel patrimonio è soddisfatta in caso di deterioramento significativo della sua situazione e pertanto giustifica l’assoggettamento di tale banca ad amministrazione straordinaria» (punto169). Per arrivare a questa conclusione la Corte richiama gli argomenti di interpretazione “letterale” delle norme e fa anche un riferimento – piuttosto generico – alla ratio della riforma del TUB effettuata proprio per recepire la BRRD.

Tale conclusione suscita non poche perplessità. Se è vero che già la giurisprudenza del Tribunale successiva a Corneli aveva sottolineato la rilevanza del principio di interpretazione conforme per la risoluzione, anche a scapito dell’applicazione del diritto nazionale, di questo tipo di antinomie nel contesto del MVU8, in questo caso la Corte pare andare molto al di là dell’obbligo di interpretazione conforme che non può consentire al giudice (né alla BCE) di giungere sino allo “stravolgimento” del testo letterale9. Il limite del divieto di interpretazione contra legem è sempre stato un baluardo della certezza del diritto difeso dalla Corte ed anche della separazione dei poteri e quindi dello stato di diritto. Qui la Corte fa un’interpretazione delle norme italiane che ne snatura profondamente il significato, superando le scelte fatte dal legislatore nazionale nell’ambito di discrezionalità lasciato dalla direttiva. In questo modo, inoltre, anche la stessa Direttiva BRRD viene interpretata in una maniera che non convince: se i termini «significativo deterioramento» della banca e «gravi perdite» patrimoniali sono in un’ultima istanza equivalenti e interscambiabili, lo stesso impianto della direttiva perde, infatti, valore, non risultando più una gradualità delle misure.

Il rinvio al Tribunale

Ai sensi dell’art. 61 dello Statuto, in caso di annullamento della sentenza del Tribunale, la Corte può statuire definitivamente sulla controversia qualora lo stato degli atti lo consenta oppure rinviare a detto giudice. Secondo quanto precisato dell’art. 191 del Regolamento di procedura del Tribunale, «quando la Corte di giustizia annulla una sentenza o un’ordinanza del Tribunale e decide di rinviare la causa a quest’ultimo, il Tribunale è investito della causa con la decisione di rinvio». Non vi è, pertanto, bisogno di una riassunzione del processo a cura delle parti, ma il fascicolo è trasmesso direttamente dalla cancelleria della Corte. Le parti potranno depositare le proprie osservazioni scritte, contestualmente, nel termine di due mesi dalla notifica della sentenza della Corte. Tali osservazioni dovranno concentrarsi sulle conclusioni che devono essere tratte dalla decisione della Corte di giustizia ai fini della soluzione della controversia.

Nel caso di specie, come anticipato, la Corte ha scelto di statuire sulla legittimazione e sull’interesse ad agire di Corneli, respingendo definitivamente le eccezioni sollevate da BCE e Commissione, nonché sul motivo di impugnazione del ricorso in primo grado (il quarto) attinente sostanzialmente alla legittimità della scelta dell’art. 70 TUB come base giuridica per la decisione di BCE: a questo proposito, nel dispositivo, si legge che «il quarto motivo del ricorso di primo grado, nella parte in cui verte su un errore di diritto nella determinazione della base giuridica utilizzata per l’adozione delle decisioni controverse, è respinto».

La causa per il resto è stata rinviata al Tribunale, ove proseguirà per l’esame dei motivi di censura della decisione di BCE sollevati da Corneli che non erano stati esaminati in primo grado10. È pertanto possibile, nonostante il principio dedotto dalla Corte, che nel merito il Tribunale possa poi verificare la motivazione della decisione della BCE al fine di verificare la sussistenza o meno degli elementi di significativo deterioramento.

Alcune riflessioni conclusive

Con riferimento alla legittimazione ad agire dell’azionista di minoranza, la sentenza Corneli segna un importante precedente, rilevando l’incidenza diretta ed individuale sui diritti degli azionisti di una decisione che pone in amministrazione straordinaria un istituto di credito come quella adottata da BCE nel caso di specie. Il precedente è significativo soprattutto se si confronta con la pronuncia Trasta11, ove al contrario la Corte, riformando quanto statuito dal Tribunale, aveva ritenuto che la decisione di risoluzione di una banca adottata da BCE non incidesse direttamente sui diritti degli azionisti.

Con riferimento al merito, parlando di Corneli, la dottrina si era già interrogata se l’attesa pronuncia costituisse «a Paramount Case, or Much Ado About Nothing» rilevando che da tale pronuncia si sarebbero potute trarre fondamentali risposte circa i quesiti relativi al rapporto tra diritto nazionale e dell’Unione, ma non era così scontato. Inoltre, era stato evidenziato che la Corte avrebbe potuto privilegiare un approccio più focalizzato sulla direttiva che sul diritto nazionale, un po’ sul modello della pronuncia Berlusconi, in cui la Corte aveva ignorato il riferimento al diritto nazionale considerando la nozione di “acquisizione di partecipazioni significative” come una nozione autonoma12. In questo caso, tuttavia, come già anticipato, la Corte ha operato una vera e propria demolizione del principio di interpretazione conforme, travolgendo il significato letterale della norma applicata da BCE attraverso la compressione del divieto di interpretazione contra legem. Inoltre, a differenza del caso Berlusconi II13, rimane aperta la questione della natura autonoma delle nozioni di «deterioramento significativo» e «gravi perdite», le quali paiono essere interpretate, tuttavia, in assenza di qualsivoglia rilevanza del riferimento al diritto nazionale applicabile, secondo un’interpretazione alla luce del senso comune dei termini.

La Corte ha poi, inevitabilmente14, tralasciato di ulteriormente precisare in ordine alle questioni relative all’interpretazione dell’art. 4, par. 3, co. 1, Regolamento MVU: come si può procedere nel caso in cui il contrasto non sia superabile nemmeno forzando il principio di interpretazione conforme? BCE potrebbe applicare le norme della direttiva in pregiudizio di un singolo in tal caso? Quali strumenti deve utilizzare BCE nel ricostruire il significato delle norme nazionali applicabili?

Ancora, rimane sullo sfondo la questione circa la possibilità di considerare l’interpretazione del diritto nazionale effettuata dal Tribunale come una questione di diritto ai sensi dell’art. 58 Statuto per consentire alla Corte uno scrutinio pieno sul punto. La Corte ha, infatti, usato l’applicazione del principio di interpretazione conforme come strumento per “attirare” le questioni di interpretazione nazionale nell’ambito della propria competenza, di fatto poi soffermandosi a lungo sulla ricostruzione e analisi di tale diritto. Tale “scorciatoia” non appare del tutto convincente, né in considerazione delle peculiarità del Regolamento MVU, che assegna al diritto nazionale un ruolo significativo, né da un punto di vista della coerenza con l’art. 58 dello Statuto.


1 Corte giust. (grande sez.), 15 luglio 2025, cause riunite C-777/22 P e C-789/22 P, BCE e Commissione c. Corneli, ECLI:EU:C:2025:580.

2 Trib., 12 ottobre 2022, T-502/19, Corneli c. BCE, ECLI:EU:T:2022:627.

3 Sul punto si consenta un rinvio a I. Anrò, Il diritto nazionale come “fatto giuridico” nel giudizio di impugnazione: le conclusioni dell’avvocato generale Kokott in Corneli, in questa Rivista, 17 dicembre 2024.

4 V., inter alia, i commenti di: D. Sarmiento, Setting the limits of implementation of national law by EU institutions: the Corneli v. ECB case (T-502/19), in EU Law Live, 24 ottobre 2022; F. Annunziata, T. De Arruda, The Corneli case (T-502/19), Challenges and issues in the application of national law by the ECB and the EU Courts, in EU Law Live, Weekend Edition, 18 febbraio 2023; Id., Il caso Corneli e l’applicazione del diritto nazionale da parte della Banca centrale europea, in Giurisprudenza commerciale, 2024, p. 62 ss.; P. Manzoni, Il caso Carige: l’apertura dell’amministrazione straordinaria della banca tra diritto nazionale e meccanismo di vigilanza unico bancario, in Giurisprudenza Commerciale, 2024, p. 341 ss.; F. Annunziata, T. De Arruda, The Corneli Case and the Application of National Law by the European Central Bank Developments on Article 4(3) SSMR in Case T-502/19 (Francesca Corneli v. ECB), in F. Annunziata, M. Siri (eds.), EU Banking and Capital Markets Regulation, Cham, 2025, p. 139 ss.

5 Corte giust.., 13 marzo 2008, Commissione c. Infront WM, C-125/06 P, ECLI:EU:C:2008:159, punto 72 e giurisprudenza ivi citata.

6 Sul punto si consenta un rinvio a I. Anrò, Diritto nazionale tra fatto e diritto nel processo dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea, Torino, 2025, spec. p. 203 ss.

7 Cfr., ex multis, Corte giust., 15 aprile 2008, C-268/06, Impact, ECLI:EU:C:2008:223, punto 100 e giurisprudenza ivi citata.

8 Il riferimento è a Trib., 28 febbraio 2024, T-647/21 e T-99/22, Sber Vermögensverwaltungs AG c. BCE, ECLI:EU:T:2024:127 e 28 febbraio 2024, T-667/21, BAWAG PSK Bank für Arbeit und Wirtschaft und österreichische Postsparkasse AG c. BCE, ECLI:EU:T:2024:131. Sul punto si consenta il rinvio a I. Anrò, Il diritto nazionale al vaglio della Corte di giustizia dell’Unione europea nell’ambito del Meccanismo di Vigilanza Unico, tra primato e nuovi modelli di integrazione, in Quaderni Aisdue, 1° aprile 2024.

9 V. quanto riportato da A. Circolo, Il giudice nazionale e l’obbligo di interpretare il proprio diritto in maniera conforme al diritto dell’Unione, in Eurojus, 2023, spec. p. 107.

10 La ricorrente aveva dedotto sette motivi inerenti a: (i) la violazione delle norme relative alla proporzionalità; (ii) la violazione dell’obbligo di motivazione e del diritto di essere ascoltata; (iii) la nomina a commissari straordinari di persone che avevano in precedenza esercitato importanti funzioni nella direzione e nell’amministrazione della banca; (iv) l’errore di diritto commesso nella determinazione della base giuridica utilizzata per l’adozione delle decisioni controverse; (v) il fatto che la BCE avrebbe tentato di risolvere problemi di amministrazione con la nomina di persone che avevano causato detti problemi; (iv) la violazione, da un lato, delle norme relative ai diritti dell’azionista e, dall’altro lato, dei principi fondamentali in materia di tutela della proprietà e del risparmio, di libertà dell’iniziativa economica privata e di autodeterminazione del cittadino nelle scelte personali; (v) l’inidoneità dell’amministrazione straordinaria a porre rimedio al problema constatato (cfr. Trib., Corneli, cit.). Come noto, il Tribunale aveva considerato dirimente il quarto motivo annullando la decisione di BCE senza esaminare gli altri.

11 Corte giust. (grande sez.), 5 novembre 2019, C-663/17 P, C-665/17 P e C-669/17 P, BCE e a. c. Trasta Komercbanka e a., ECLI:EU:C:2019:923.

12 F. Annunziata, T. De Arruda, The Corneli Case and the Application of National Law by the European Central Bank Developments on Article 4(3) SSMR in Case T-502/19 (Francesca Corneli v. ECB), cit.

13 Trib., 11 maggio 2022, T-913/16, Fininvest S.p.a. e Berlusconi c. BCE, ECLI:EU:T:2022:279.

14 Assunta la descritta impostazione, la decisione di questi ulteriori profili appariva logicamente non necessaria.