Chiarimenti sulla fase precontenziosa nelle procedure ai sensi dell’art. 260, par. 2, TFUE

Corte giust., sentenza 16 marzo 2023, causa C-174/21, Commissione c. Bulgaria

Clarifications sur la phase précontentieuse dans les procédures au titre de l’article 260, para. 2, TFUE

Clarifications on the Pre-litigation Phase in Proceedings under Article 260, para. 2, TFEU

Premessa

Con una sentenza del 16 marzo 2023 la Corte di giustizia ha dichiarato irricevibile il ricorso della Commissione contro la Bulgaria per inadempimento ai sensi dell’art. 260, par. 2, TFUE (causa C-174/21 Commissione c. Bulgaria) in materia di inquinamento atmosferico. L’art. 260, par. 2, TFUE permette alla Commissione di adire nuovamente la Corte, qualora ritenga che lo Stato membro non abbia preso le misure necessarie all’esecuzione di una sentenza di inadempimento e di richiedere il pagamento di una somma forfettaria e/o di una penalità. È quindi solo al termine di questo secondo procedimento contenzioso che la Corte può imporre allo Stato membro in questione il pagamento di sanzioni pecuniarie. Nel caso di specie, la Commissione ha deciso di deferire la Bulgaria alla Corte per la mancata esecuzione della sentenza del 5 aprile 2017 (C-488/15, Commissione c. Bulgaria) che aveva riconosciuto la violazione della Bulgaria di alcuni obblighi relativi ai limiti di concentrazioni di inquinanti atmosferici, quali i PM10, imposti dalla direttiva 2008/50/CE sulla qualità dell’aria ambiente.

Secondo la Corte, tuttavia, nella lettera di diffida inviata alla Bulgaria il 9 novembre 2018, la Commissione non ha dimostrato prima facie e con la dovuta chiarezza che la Bulgaria non avesse dato esecuzione alla sentenza del 2017, adducendo solo evidenze e dati relativi a inadempimenti constatati nel corso degli anni 2015 e 2016, e non nel corso del 2017, vale a dire a seguito della sentenza della Corte. A causa di questo vizio nella procedura precontenziosa, la Corte ha quindi dichiarato il ricorso irricevibile.

La sentenza merita una considerazione attenta per diversi motivi.

Innanzitutto, si tratta del primo ricorso della Commissione per un “doppio” inadempimento in materia di inquinamento atmosferico. Si aggiunge, pertanto, alla ricca giurisprudenza in materia ambientale e ne definisce i confini. Inoltre, per la prima volte chiarisce alcuni elementi sulla procedura relativa all’art. 260, par. 2, TFUE su cui, al contrario, la giurisprudenza è scarsa, in particolare sottolineando l’importanza del procedimento precontenzioso e riaffermandone le relative garanzie procedurali. Infine, la sentenza della Corte si inserisce in un più ampio dibattito sull’approccio della Commissione in presenza di inadempimenti dal carattere sistematico e continuo e stabilisce i limiti che ad essi vanno applicati. La presente segnalazione si concentrerà sull’analisi di questi ultimi due aspetti.

Le garanzie procedurali nel procedimento precontenzioso

L’importanza del procedimento precontenzioso nell’ambito dell’art. 260, par. 2, TFUE emerge chiaramente come il punto centrale ed innovativo dell’argomentazione della Corte e della sua decisione di respingere il ricorso. La Corte rileva infatti che nella lettera di diffida, «la Commissione non ha affermato, con la dovuta chiarezza, né dimostrato prima facie che la sentenza del 5 aprile 2017, Commissione/Bulgaria (C-488/15, EU:C:2017:267), non sarebbe stata ancora eseguita alla data di riferimento, ossia il 9 febbraio 2019» (i.e. la data di scadenza per la risposta alla lettera di diffida, punto 28). Il vizio di procedura rileva quindi dal fatto che nel procedimento precontenzioso la Commissione ha omesso di «fornire spiegazioni circostanziate» o «un’analisi dei fatti» che permettessero di stabilire con precisione il protrarsi delle violazioni nel periodo compreso tra la pronuncia della Corte (5 aprile 2017) e la data di scadenza per la risposta alla lettera di diffida (9 febbraio 2019) (punto 29).

Si noti che, in assenza di precedenti rilevanti attinenti all’art. 260, par. 2, TFUE, sia la Corte sia l’avvocato generale Kokott procedono per analogia con la giurisprudenza sui ricorsi relativi all’art. 258 TFUE, per stabilire che, anche nella lettera di diffida ai sensi dell’art. 260, par. 2, la Commissione è tenuta «a stabilire prima facie, con chiarezza» che la sentenza né è stata ancora eseguita, né lo sarà alla data di riferimento (punto 26) (si veda ad esempio le sentenze del 5 dicembre 2019, C-642/18 Commissione c. Spagna, e del 17 aprile 2018, C-441/17 Commissione c. Polonia, sui vizi di procedura relativi all’identificazione della violazione nella lettera di diffida). Questo, secondo la Corte, deriva da «esigenze di certezza del diritto» e pertanto è da considerarsi una garanzia fondamentale del procedimento. È  da segnalare, a questo proposito, anche la sentenza nella causa C-145/01 Commissione c Italia, non citata dalla Corte, ma che pure ribadisce l’importanza della regolarità del procedimento precontenzioso in quanto «garanzia essenziale» a tutela dei diritti degli Stati membri: «In particolare, nel procedimento precontenzioso la lettera di diffida ha lo scopo di circoscrivere l’oggetto del contendere e di fornire allo Stato membro, invitato a presentare le sue osservazioni, i dati che gli occorrono per predisporre la propria difesa» (ibid., punto 17).

La pronuncia della Corte nella causa C-174/21 introduce un elemento di novità dal punto di vista delle garanzie procedurali e si pone come strumentale alla salvaguardia dei diritti di difesa degli Stati membri anche nelle procedure di infrazione ai sensi dell’art. 260, par. 2, TFUE. Secondo la Corte, non basta che la Commissione sollevi un dubbio legittimo sul fatto che l’inadempimento si sia protratto nel tempo e che pertanto la sentenza della Corte non sia stata eseguita, ma occorre che questo risulti chiaramente e prima facie nella lettera di diffida. Nel caso di specie, infatti, e lo si rileva chiaramente nell’analisi dell’avvocato generale Kokott, la Bulgaria aveva di fatto continuato ad infrangere i limiti soglia per l’inquinamento dell’aria. Tuttavia, la Commissione aveva omesso di riportare i dati rilevanti per constatare una tale violazione prolungata oltre la data della sentenza nella lettera di diffida, che riportava invece solo dati relativi agli anni precedenti, 2015 e 2016.

Se, da un lato, sembra ovvio che la Commissione avrebbe dovuto fornire i dati necessari a constatare il prolungarsi della violazione, è altrettanto vero che essa difficilmente avrebbe potuto fornire dati di cui non disponeva ancora. Se avesse atteso per fornirli, l’infrazione si sarebbe protratta nel tempo, causando il prolungarsi della violazione. È necessario, quindi, soffermarsi sulla posizione della Commissione sotto il profilo temporale. A questo proposito la Corte sottolinea come la Commissione non solo sia venuta meno all’obbligo di fornire i dati necessari a dimostrare il configurarsi della violazione fino alla data della lettera di diffida, ma anche a quello di “spiegazione”, di chiarire, cioè, con dovizia di dettagli alla Corte per quale motivo fosse legittimo anticipare che la violazione avrebbe continuato a persistere anche oltre tale data. In questa prospettiva, il problema non è, dunque, solo che la Commissione non avesse a sua disposizione tutti i dati necessari a constatare che la Bulgaria avesse continuato a violare i limiti di PM10 imposti dalla direttiva 2008/50/CE successivamente alla sentenza di inadempimento della Corte, ma anche che non si sia curata di spiegare e addurre le necessarie evidenze relativamente alla previsione del protrarsi della violazione fino alla data di scadenza per la risposta alla lettera di diffida. Si ravvisa quindi una noncuranza da parte della Commissione nel procedimento pre-contenzioso. In questa luce può essere forse anche compresa una formulazione della Corte, che appare a prima vista alquanto oscura. A differenza dell’avvocato generale, la Corte osserva infatti che la Commissione non solo è tenuta a verificare che la sentenza non sia stata eseguita al momento della lettera di diffida, ma anche «ad affermare e a stabilire prima facie, con chiarezza, in tale lettera di diffida, che la sentenza non sarà stata ancora eseguita alla data di riferimento» (punto 26). Tale valutazione prognostica non può essere compresa se non alla luce di questo “onere di spiegazione” che la Corte introduce. Una tale lettura permetterebbe quindi di non ravvisare nella sentenza della Corte tanto un obbligo in capo alla Commissione di prevedere il futuro o di aspettare per adire la Corte che tutti i dati siano disponibili, ma piuttosto di suffragare le sue anticipazioni con chiari indizi ed evidenze, senza le quali verrebbero meno le garanzie procedurali dello Stato Membro.

Le conclusioni dell’avvocato generale aiutano a comprendere meglio le ragioni che hanno portato la Corte a sottolineare così insistentemente l’importanza dei requisiti di chiarezza e determinazione prima facie della lettera di diffida nei ricorsi per “doppio” inadempimento. Nel procedere per analogia con l’art. 258 TFUE l’avvocato generale Kokott introduce due distinzioni importanti e complementari. Da un lato, nella procedura ai sensi dell’art. 260, par. 2, TFUE è la sentenza della Corte a determinare l’oggetto della controversia, e non, come nel caso dell’art. 258, la lettera di diffida, e pertanto i requisiti di chiarezza e precisione sembrerebbero avere importanza minore. Tuttavia, poiché l’art. 260, par. 2, TFUE permette alla Corte di imporre sanzioni, le possibili conseguenze giuridiche di un tale procedimento risultano «sensibilmente più importanti di quelle derivanti da un procedimento ai sensi dell’articolo 258», e «di conseguenza, la certezza del diritto e i diritti di difesa dello Stato membro esigono una particolare diligenza da parte della Commissione nell’esposizione dell’oggetto della controversia» (para 37). Emerge qui in modo più chiaro il dovere di diligenza che sussiste in capo alla Commissione e che ritroviamo come un punto centrale dell’argomentazione della Corte. D’altronde, osserva l’avvocato generale Kokott, alla Commissione sarebbe bastato adottare una lettera di diffida complementare per precisare l’oggetto della controversia (para 40). Inoltre, «la Commissione non ha cercato di indicare in altro modo il superamento dei valori limite dopo la sentenza del 5 aprile 2017. Ad esempio, dal superamento dei valori limite nel 2015 e nel 2016 e dalla carenza di piani di qualità dell’aria sufficienti, invocata nel suo secondo motivo, essa avrebbe potuto concludere che i valori limite sarebbero stati probabilmente superati anche nel 2017» (para 43). In altre parole, l’avvocato generale sottolinea come non sarebbe stato difficile per la Commissione adempiere al suo obbligo di “spiegazione” come elemento fondamentale del procedimento preliminare.

In questa luce, appare più chiara la portata innovativa dal punto di vista teorico-giuridico dell’argomentazione della Corte, volta a rammentare come, ancor di più in presenza di un ricorso per “doppio” inadempimento, e considerate le possibili conseguenze giuridiche, le garanzie procedurali debbano sempre essere rispettate nel procedimento precontenzioso, che rimane fondamentale per la certezza del diritto e per la garanzia dei diritti della difesa. La pronuncia della Corte è così destinata a segnare un precedente di rilievo nei ricorsi per inadempimento ai sensi dell’art. 260, par. 2, TFUE.

Inadempimenti di tipo sistematico e continuo

Le violazioni contestate alla Bulgaria nella causa in esame sono per loro natura violazioni dal carattere sistematico e continuo. La sentenza di condanna della Bulgaria del 5 aprile 2017 aveva infatti constatato un superamento sistematico e costante dei valori limite di particelle fini (PM10) previsti dalla direttiva 2008/50/CE sulla qualità dell’aria. Ritenendo che tale sentenza non sia stata eseguita, la Commissione ha fatto quindi valere nella presente causa la violazione sistematica e costante da parte della Bulgaria di tali valori anche a seguito della sentenza del 2017. Occorre notare a questo proposito che la Commissione considera le violazioni sistematiche una priorità nella gestione delle procedure di infrazione e, di conseguenza, nella scelta di adire la Corte di giustizia in presenza di tali casi. La Commissione è quindi particolarmente attenta a monitorare e a porre rimedio a tali inadempimenti. Come osservato da Prete (2023) la maggior parte dei casi relativi a queste violazioni sono da rinvenire nell’ambito delle politiche ambientali. Non a caso, come notato nella premessa, la causa C-174/21 è il primo ricorso di questo tipo in materia di inquinamento atmosferico. Sembrano incrociarsi qui due assi prioritari per la Commissione: le violazioni sistematiche e la politica ambientale. Tuttavia, persiste una generale incertezza sulla definizione della nozione di “violazione sistematica” e sulle situazioni che possano esservi fatte rientrare.

In questo contesto, la pronuncia della Corte nella causa C-174/21 assume una rilevanza ulteriore, perché riafferma il principio della certezza del diritto anche in presenza di una violazione di tipo sistematico e continuo. La Corte non vuole, cioè, avallare alcuna pratica che utilizzi la nozione di violazione sistematica e continua in modo vago ed impreciso, senza il supporto di evidenze. Non è sufficiente inferire il carattere sistematico di una violazione, bensì occorre che essa sia determinata in modo chiaro e prima facie nella lettera di diffida. Occorre, cioè, che essa si fondi su «spiegazioni circostanziate» o su di «un’analisi dei fatti», come osserva la Corte nella sentenza in oggetto (C-174/21, punto 29).  Per questo motivo la Corte afferma che «né il fatto che tali inadempimenti si siano protratti tra la fine del periodo oggetto della sentenza della Corte, vale a dire il 2014, e un periodo successivo ma anteriore alla data di pronuncia della sentenza, ossia gli anni 2015 e 2016, né il carattere sistematico e continuato di tali inadempimenti rilevato dalla Corte in tale sentenza implicano automaticamente che, tanto alla data di pronuncia di detta sentenza quanto alla data di riferimento, quest’ultima non sarebbe stata ancora eseguita e che si poteva quindi contestare alla Repubblica di Bulgaria di non aver adottato tutte le misure che la sua esecuzione comportava» (ibid., punto 30). Pertanto, anche in presenza di inadempimenti di carattere sistematico e continuo, la regolarità del procedimento precontenzioso non deve venir meno. Ciò, a maggior ragione, come spiega l’avvocato generale Kokott, qualora si tratti di un ricorso ai sensi dell’art. 260, par. 2, TFUE, le cui conseguenze giuridiche per gli Stati membri possono essere significative e comportare sanzioni pecuniarie.