Trenitalia e Caronte & Tourist: la storia è davvero finita?
Corte giust., 30 gennaio 2025, cause C-510/23, Trenitalia e C-511/23, Caronte & Tourist
Trenitalia et Caronte & Tourist : l’histoire est-elle vraiment terminée ?
Trenitalia and Caronte & Tourist: is it really the end of the story?
Introduzione
Lo scorso 30 gennaio, la Corte di giustizia dell’UE si è pronunciata nella saga che da qualche anno occupa i giudici amministrativi italiani, sul termine decadenziale di 90 giorni, previsto dall’art. 14 della legge n. 689/811.
Questa norma – che, com’è noto, si colloca nell’ambito della disciplina generale delle sanzioni amministrative – prevede che, in assenza di contestazione immediata, «gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni e a quelli residenti all’estero entro il termine di trecentosessanta giorni dall’accertamento».
Sull’art. 14 della legge n. 681/89 si è registrato a livello nazionale un intenso dibattito tra giudici amministrativi di prima e ultima istanza, in particolare circa la sua applicabilità all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) nell’ambito di procedimenti in materia di accertamento di intese e posizioni dominanti e di pratiche commerciali sleali, nonché la determinazione del dies a quo da cui tale termine decadenziale inizia a decorrere e le conseguenze della sua violazione2.
Di tale dibattito viene dato atto anche nelle ordinanze di rinvio nelle cause C-510/23 e C-511/23, da cui risulta che l’orientamento ormai consolidato del Consiglio di Stato va nel senso di: (i) ritenere il termine di 90 giorni di natura perentoria ed applicabile ai procedimenti di AGCM; (ii) computare il dies a quo di tale termine non dalla notitia criminis, ma dalla piena conoscenza della condotta illecita, facendo poi coincidere il dies a quem con la notifica all’impresa dell’atto di avvio del procedimento; e (iii) identificare il rimedio processuale della violazione del predetto termine nell’annullamento integrale del provvedimento sanzionatorio.
Reputando non condivisibile il predetto orientamento, descritto come «maggiormente garantista nei confronti degli autori delle condotte illecite»3, il TAR del Lazio ha quindi ritenuto opportuno coinvolgere nel dibattito in corso anche la Corte, ribaltando su quest’ultima l’onere di sciogliere la questione.
Risulta peraltro che della medesima questione sia stata medio tempore interessata anche la DG Concorrenza della Commissione europea che, nel corso del 2023, ha rivolto una richiesta di informazioni alle autorità italiane, al fine di valutare, all’occorrenza nel quadro di una procedura d’infrazione, la sussistenza di profili di distonia del regime procedurale italiano con l’effettivo enforcement delle norme in materia di concorrenza.
È, dunque, in questo contesto che la Corte è stata chiamata a pronunciarsi ex art. 267 TFUE sulla «compatibilità con l’ordinamento europeo» – e, in particolare, con la direttiva 2005/29/CE4 (C-510/23) e con l’art. 102 TFUE (C-511/23) – «dell’art. 14 legge 24 novembre 1981, n. 689, per come interpretato nel diritto vivente»5.
I giudizi a quo all’origine delle domande di rinvio pregiudiziale
Il caso Trenitalia (C-510/23) trova origine in talune denunce di consumatori ricevute dall’AGCM tra il 2011 e il 2016 in merito alla possibile violazione da parte di Trenitalia delle norme del Codice del Consumo6, di trasposizione della direttiva 2005/29/CE, in relazione a talune pratiche di vendita di biglietti online. L’AGCM ha dato avvio ad una istruttoria nell’ottobre 2016, notificando il relativo provvedimento di avvio del procedimento a Trenitalia nel novembre 2016. L’indagine si è conclusa nel luglio 2017, con l’accertamento della violazione degli artt. 20, 21, comma 1, lett. b), e 22 del Codice del Consumo, e conseguente irrogazione a Trenitalia di una ammenda, nonché l’ordine di cessare la pratica sleale.
Trenitalia ha contestato il provvedimento dell’AGCM dinanzi al TAR del Lazio, sostenendo, tra l’altro, che l’istruttoria era stata avviata tardivamente, in violazione del termine previsto dall’art. 14 della legge 689/81. Il TAR del Lazio ha quindi rinviato alla Corte UE il seguente quesito pregiudiziale:
«Se l’articolo 11 [della] direttiva [2005/29], letto alla luce dei principi di tutela dei consumatori ed effettività dell’azione amministrativa, debba essere interpretato nel senso che osti a una normativa nazionale, quale quella discendente dall’applicazione dell’articolo 14 [della legge n. 689/81] – come interpretata nel diritto vivente – che impone all’[AGCM] di avviare il procedimento istruttorio per l’accertamento di una pratica commerciale scorretta (sleale) entro un termine decadenziale di novanta giorni, decorrente dal momento in cui l’Autorità ha la conoscenza degli elementi essenziali della violazione, potendo questi ultimi esaurirsi nella prima segnalazione dell’illecito».
Analoga questione è stata sollevata nel caso Caronte & Tourist (C-511/23), seppur con riferimento ad un diverso parametro europeo di compatibilità: l’art. 102 TFUE.
Questa seconda vicenda trae infatti origine da un provvedimento adottato dall’AGCM nell’esercizio dei suoi poteri di enforcement delle norme di concorrenza. In particolare, Caronte & Tourist è stata sanzionata per aver violato l’art. 102 TFUE avendo abusato della propria posizione dominante, condotta riconducibile all’imposizione di prezzi eccessivi per il servizio di traghettamento nello stretto di Messina. Così come Trenitalia, anche Caronte & Tourist ha fatto valere, in sede di impugnativa dinanzi al giudice amministrativo di primo grado, la tardività dell’avvio della fase istruttoria in violazione dell’art. 14 della legge n. 681/89.
Risulta dalla ricostruzione dei fatti riportata nell’ordinanza che la condotta in questione era stata segnalata all’AGCM nei primi mesi del 2018 e che, nel corso del 2019, l’AGCM aveva inviato una richiesta di informazioni ad un terzo, per poi notificare a Caronte & Tourist l’avvio del procedimento. nell’agosto 2020.
Le motivazioni delle sentenze del 30 gennaio 2025
In entrambe le sentenze del 30 gennaio 2025, la Corte giunge alla medesima conclusione del suo Avvocato Generale ritenendo che gli artt. 11 e 13 della direttiva 2005/29/CE, da un lato, e l’art. 102 TFUE e gli artt. 4, par. 5, e 13, par. 1, della direttiva 2019/1/UE7, dall’altro, ostano al termine decadenziale prescritto dall’art. 14 della legge n. 689/81, la cui violazione viene sanzionata con l’automatico annullamento del provvedimento sanzionatorio e l’impossibilità per l’autorità competente di intervenire sulle medesime condotte.
Fermi restando i differenti parametri di diritto UE oggetto di interpretazione, le motivazioni sviluppate nelle due sentenze sono sostanzialmente speculari e possono essere così riassunte.
La Corte riconosce anzitutto che le norme di diritto UE oggetto di interpretazione – tanto la direttiva 2005/29/CE, quanto la direttiva 2019/1 e l’art. 102 TFUE – non recano una armonizzazione delle previsioni procedurali, ivi inclusi i relativi termini, applicabili all’accertamento delle infrazioni e di imposizioni di sanzioni da parte delle autorità nazionali competenti. Pertanto, gli Stati membri dispongono di un margine di discrezionalità nel definire, a livello nazionale, le discipline procedurali applicabili.
Nondimeno, pur muovendosi nell’ambito della c.d. autonomia procedurale loro riconosciuta, gli Stati membri sono tenuti ad esercitare le loro prerogative in coerenza con il principio di effettività, in modo tale da non rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto dell’UE. La Corte ricorda altresì che l’obbligo di garantire piena efficacia alle disposizioni di diritto dell’UE non si impone soltanto alle autorità degli Stati membri, ma anche ai loro organi giurisdizionali.
Rifacendosi poi alla giurisprudenza in materia ragionevole durata di procedimenti in materia di concorrenza condotti dalla Commissione – che viene ritenuta trasponibile anche nell’ambito della tutela dei consumatori – la Corte evidenzia l’importanza di termini procedurali ragionevoli quale strumento necessario per garantire la certezza del diritto e tutelare i diritti di difesa delle imprese.
Essa osserva, inoltre, che «le norme nazionali che fissano i termini procedurali in materia di accertamento delle infrazioni e di imposizione di sanzioni da parte delle autorità nazionali responsabili dell’esecuzione della normativa che tutela i consumatori per contrastare le pratiche commerciali sleali [ovvero delle autorità nazionali garanti della concorrenza] devono far sì che, nel rispetto del principio della certezza del diritto, le cause siano trattate entro un termine ragionevole, senza compromettere l’effettiva attuazione dalla direttiva 2005/29/CE [ovvero degli articoli 101 e 102 TFUE nonché della direttiva 2019/1] nell’ordinamento giuridico interno»8.
La Corte rileva, quindi, che i termini procedurali disposti dagli Stati membri devono garantire il rispetto di un «siffatto equilibrio». In questa prospettiva, la valutazione di un termine procedurale richiede di prendere in considerazione la sua durata, le modalità di applicazione (dies a quo, calcolo e modalità di sospensione e interruzione), nonché la peculiarità dei casi cui si applica e il relativo grado di complessità.
Tale valutazione deve essere effettuata tenuto conto dell’esigenza di garantire:
– in linea con il principio di certezza del diritto, l’applicazione di una «disciplina in materia di termini sufficientemente precisa, chiara e comprensibile che consenta a tutti gli attori coinvolti di conoscere con esattezza la portata degli obblighi loro imposti (…) e di regolarsi di conseguenza»9; e
– il rispetto da parte dell’autorità competente dei diritti della difesa:
– la coerenza della durata dei procedimenti con il principio del termine ragionevole, che deve trovare applicazione anche nella fase preliminare, che si estende fino all’invio della comunicazione degli addebiti, così da evitare che durante tale fase si «perpetu[i] uno stato di inattività»10.
In applicazione di tali criteri, pur riconoscendo che, in linea di principio, la previsione di un termine decadenziale si pone in coerenza con i principi sopra enunciati, la Corte osserva che il termine di cui all’art. 14 della legge n. 689/81 dovrebbe essere adattato alla peculiarità dei procedimenti condotti dall’AGCM e la piena efficacia delle norme oggetto di enforcement. Secondo la Corte, la previsione in discorso potrebbe ostacolare la capacità dell’AGCM di condurre indagini approfondite, soprattutto in casi complessi, nella misura in cui obbliga l’AGCM ad avviare la fase istruttoria entro 90 giorni dall’accertamento degli elementi essenziali dell’infrazione, mediante invio di una comunicazione degli addebiti.
Inoltre, questo termine potrebbe costringere l’AGCM a dare priorità ai casi in base all’ordine cronologico in cui sono state ricevute piuttosto che alla loro importanza o complessità, compromettendo potenzialmente l’efficacia delle norme antitrust e di quelle poste a protezione dei consumatori. Sotto questo profilo, la Corte precisa che tale modus operandi si pone in contrasto con l’art. 4, par. 5, e il considerando 23 della direttiva 2019/1 che riconosce alle autorità antitrust la «indipendenza operativa» e il «potere di definire le loro priorità»11 e di utilizzare efficacemente le loro risorse, oltre che con il regolamento n. 2006/2004 (poi sostituito dal regolamento n. 2017/2394) che prevede analoghi presidi per le autorità nazionali responsabili dell’esecuzione delle norme a tutela dei consumatori.
La Corte osserva, infine, che l’annullamento automatico dei provvedimenti dell’AGCM e il divieto di avviare nuovamente un procedimento per gli stessi fatti (ne bis in idem), come conseguenze del mancato rispetto del termine di avvio del procedimento, potrebbero portare a un rischio sistematico di impunità per le pratiche commerciali scorrette e le violazioni delle norme di concorrenza. Questo risultato, oltre ad essere contrario agli obiettivi di assicurare una elevata tutela dei consumatori e della concorrenza mediante l’irrogazione di sanzioni efficaci e dissuasive, impedirebbe altresì all’autorità di cooperare pienamente nell’ambito delle reti delle autorità degli Stati membri competenti per l’applicazione delle norme antitrust e per la tutela dei consumatori.
Considerazioni conclusive
Come indicato in entrambe le sentenze, spetta ora al giudice del rinvio interpretare il diritto interno quanto più possibile in modo conforme al diritto dell’Unione e, se necessario, disapplicare qualsiasi interpretazione giurisprudenziale che risulti incompatibile. I principi elaborati nelle sentenze dovrebbero quindi condurre il TAR del Lazio, come del resto dallo stesso auspicato, a “superare” il sopra richiamato l’orientamento consolidato del Consiglio di Stato, appunto non condiviso dal giudice di prime cure.
Come si vede, si tratta di una tipica situazione à la Rheinmühlen II12 in cui – anche qualora non strettamente vincolato da un formale dovere di stare decisis – il giudice di prima istanza utilizza lo strumento del rinvio pregiudiziale, ex art. 267 TFUE, al fine di potersi discostare dall’orientamento del giudice di ultima istanza che ritiene non condivisibile e non conforme a precetti di diritto UE.
Restano nondimeno dubbi circa gli esiti cui conducono le due sentenze e sul se queste ultime abbiano davvero messo la parola fine a questa vicenda.
Anzitutto, ci si chiede se le specificità del regime procedurale italiano siano state effettivamente ben rappresentate sia nelle ordinanze di rinvio che nel dibattito processuale svoltosi dinanzi alla Corte, così da consentire a quest’ultima di coglierle appieno.
Ad un attento lettore non sarà sfuggito che le modalità di svolgimento dei procedimenti nazionali in materia di pratiche commerciali sleali e di concorrenza presentano caratteristiche diverse rispetto a quelli condotti dalla Commissione. Le due pronunce sembrano invece assimilare i due distinti regimi, facendo coincidere l’atto di avvio del procedimento adottato dall’AGCM, con la comunicazione degli addebiti adottata dalla Commissione, ex art. 10 del Regolamento (CE) n. 773/2004. Ciò sembra emergere dalle sentenze in cui si rileva che «come risulta dall’ordinanza di rinvio, l’AGCM è tenuta ad avviare la fase istruttoria in contraddittorio del procedimento mediante la comunicazione degli addebiti entro il termine disso di 90 giorni decorrente dall’accertamento degli elementi essenziali dell’asserita violazione»13.
La Corte non considera invero che, nell’ordinamento italiano, l’atto di avvio del procedimento si colloca “a monte” dell’invio della comunicazione degli addebiti (denominata comunicazione delle risultanze istruttorie nell’ordinamento italiano). Tale atto è specificamente funzionale a dare corso alla articolata ed approfondita fase di vaglio istruttorio, destinata ad un accurato ed attendibile accertamento di eventuali illeciti, con piena partecipazione delle imprese interessate, che possono esercitare in tale sede i propri diritti della difesa, oltre che di eventuali terzi.
Un analogo atto non è invece presente nei procedimenti della Commissione. Il c.d. atto di avvio del procedimento, di cui all’art. 2 del Regolamento (CE) n. 773/2004, è infatti una mera notizia che segnala l’esistenza di una attività di indagine, segnatamente per precludere alle autorità nazionali l’avvio di proprie indagini sulle medesime condotte. Inoltre, a tale atto di avvio non consegue l’esercizio per l’impresa dei diritti di difesa, prerogative che invero si collocano a valle dell’invio della comunicazione degli addebiti.
Entrambe le sentenze poi paiono fissare sostanzialmente il dies a quo di decorrenza del termine di 90 giorni alla «prima segnalazione dell’illecito». Nelle motivazioni non sembra darsi adeguatamente peso alle modalità di applicazione del dies a quo, quale risultante dell’interpretazione del Consiglio di Stato che, proprio per trovare un punto di equilibrio tra esigenze di effettività dell’enforcement, da un lato, e fondamentali garanzie di buona amministrazione, dall’altro, ha stabilito che è soltanto al momento dell’acquisizione degli elementi essenziali dell’asserita infrazione che il termine inizia a decorrere: momento che può essere (e in genere è) successivo alla prima segnalazione.
Il regime procedurale, così ricostruito, sembra quindi coerente con la necessità di evitare una indebita dilazione dell’azione amministrativa, accelerando e promuovendo l’effettivo enforcement delle norme UE e salvaguardano, al contempo, la certezza del diritto e i diritti della difesa delle imprese interessate. L’annullamento in ragione del mancato rispetto del termine non mette in dubbio tale equilibrio; è soltanto la naturale conseguenza della posizione più garantista assunta dal Consiglio di Stato, nell’esercizio del proprio scrutinio, in merito alla salvaguardia dei diritti della difesa delle imprese: posizione questa, com’è noto, non condivisa dalla giurisprudenza UE secondo cui, salvo ipotesi eccezionali, l’irragionevole durata dei procedimenti condotti dalla Commissione non può essere “sanzionata” con l’annullamento del provvedimento.
Va segnalato poi che con ordinanza del 9 luglio 2024, n. 6057, il Consiglio di Stato è tornato sulla questione, sottoponendo una nuova domanda di rinvio pregiudiziale alla Corte, registrata con il numero di causa C-491/24 e attualmente pendete. In tale ordinanza, il giudice di ultima istanza ribadisce la coerenza con i richiamati principi fondamentali delle modalità di computo del termine, fornendo talune precisazioni circa la portata delle attività preistruttorie. Nella medesima ordinanza, viene inoltre ipotizzata anche una diversa soluzione circa le conseguenze da trarre dalla violazione del termine decadenziale dell’art. 14 della legge n. 689/81, volta a consentire all’AGCM di esercitare i suoi poteri di enforcement, evitando al contempo la totale impunità delle imprese. Il Consiglio di Stato precisa che un eventuale superamento del termine impedirebbe soltanto all’AGCM di non comminare sanzioni, ma non di intervenire nei confronti delle imprese esercitando «gli ulteriori poteri che le sono attribuiti, e segnatamente quello di “diffida”».
È plausibile che la causa sia stata sospesa in attesa delle pronunce in commento. Resta ora da vedere se, interrogato sul punto, il Consiglio di Stato decida di mantenere comunque la domanda di rinvio a valle di tali sentenze e, in caso affermativo, quale sorte la Corte darà poi a questa nuova domanda.
Ciò posto, a prescindere dall’incompatibilità del predetto termine, si osserva, da ultimo, che le conclusioni cui è giunta la Corte confermano, in ogni caso, che – in quanto espressione del diritto fondamentale ad una buona amministrazione – il principio del termine ragionevole deve trovare applicazione ai procedimenti delle autorità nazionali, quali l’AGCM. In particolare, «il rispetto del principio del termine ragionevole si impone, in linea di principio, in ciascuna fase che s’inscriva in tali procedure»14.
In relazione a quanto ora rilevato va richiamato un diverso orientamento dello stesso giudice del rinvio, non menzionato nelle ordinanze, che non si è basato sull’art. 14 della legge n. 689/81, ma ha censurato la prolungata inattività dell’AGCM nella fase precedente l’avvio del procedimento direttamente in base al principio fondamentale del termine ragionevole, letto alla luce dei principi giurisprudenziali enunciati dalle Corti UE e dalla Corte EDU15.
À suivre…
1 Corte giust., 30 gennaio 2025, causa C-510/23, Trenitalia, ECLI:EU:C:2025:41; 30 gennaio 2025, causa C-511/23, Caronte & Tourist, ECLI:EU:C:2025:42.
2 Tar del Lazio, 1° agosto 2023, nn. 12962 e 13016, rispettivamente parr. 32-44 e parr. 37-51.
3 Tar del Lazio, 1° agosto 2023, n. 13016, par. 42.
4 Direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 maggio 2005 relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, in GUCE L 149 11 giugno 2005.
5 Tar del Lazio, 1° agosto 2023, nn. 12962 e 13016, rispettivamente par. 33 e par. 36.
6 Decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, Codice del Consumo, in GURI 8 ottobre 2005, n. 235.
7 Direttiva (UE) 2019/1 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, che conferisce alle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri poteri di applicazione più efficace e che assicura il corretto funzionamento del mercato interno, in GUUE L 130 del 17 maggio 2019.
8 Corte giust., 30 gennaio 2025, causa C-510/23, Trenitalia, cit., punto 38; 30 gennaio 2025, causa C-511/23, Caronte & Tourist, punto 46.
9 Corte giust., 30 gennaio 2025, causa C-510/23, Trenitalia, cit., punto 41; 30 gennaio 2025, causa C-511/23, Caronte & Tourist, punto 49.
10 Corte giust., 30 gennaio 2025, causa C-510/23, Trenitalia, cit., punto 46; 30 gennaio 2025, causa C-511/23, Caronte & Tourist, punto 54.
11 Corte giust., 30 gennaio 2025, causa C-510/23, Trenitalia, cit., punti 49-52; 30 gennaio 2025, causa C-511/23, Caronte & Tourist, punti 57-60.
12 Corte giust., 16 gennaio 1974, causa 166/73, Rheinmühlen-Düsseldorf, ECLI:EU:C:1974:3, punti 3-4.
13 Corte giust., 30 gennaio 2025, causa C-510/23, Trenitalia, cit., punto 57; 30 gennaio 2025, causa C-511/23, Caronte & Tourist, punto 66.
14 Corte giust., 30 gennaio 2025, causa C-510/23, Trenitalia, cit., punto 42; 30 gennaio 2025, causa C-511/23, Caronte & Tourist, punto 50.
15 Tar del Lazio, Sez. I, sentenza 9 ottobre 2023, n. 14838.